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Autore: Nina Ninetta    14/03/2023    3 recensioni
Un mondo flagellato da un gelo senza precedenti che gli abitanti hanno ribattezzato IV Era Glaciale. Eppure, qualcuno sostiene che non sia un fenomeno naturale, ma che ci sia qualcosa di oscuro dietro...
Cinque giovani, ognuno con il proprio passato ingombrante, dovranno unire le forze e affrontare ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare. Finora...
"Seconda classificata al contest “D&D Mania” indetto da Ghostro sul forum di Efp"
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO
QUAƦTO
 
 
La farfalla dalle ali dorate volò a ritroso, fino ad adagiarsi con grazia sull’indice del mago che l’aveva evocata. Gli rivelò ciò che aveva appreso e poi si volatilizzò, lasciando nell’aria solo granuli di polvere luminosa. Non era ancora pratico di magie di illusione, ma stava imparando e invocare una piccola bestiolina affinché fosse le sue orecchie e i suoi occhi gli riusciva abbastanza bene. Quindi, stando al racconto della farfalla magica, quei tre giovani erano stati incaricati di fermare la IV Era Glaciale. Proprio come aveva ipotizzato lui, questo freddo era anomalo, innaturale, e nasceva da Iberia. Il giovanissimo mago aveva sentito anche questo, lo aveva avvertito. Forse perché nelle sue vene scorreva sangue di elfo, ma era sempre stato particolarmente sensibile alla voce della natura e degli animali. Decise che non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione del genere, era ciò che stava cercando, un motivo per indagare ulteriormente e – magari – agire. Pertanto li seguì.
 
 
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Re Vermyl era stato di parola: aveva permesso loro di fuggire da palazzo dando l’allarme solo diversi minuti dopo. Tra l’altro, grazie alla magia, Emeryl aveva fatto perdere le loro tracce.
Il viaggio verso il Continente del Deserto era troppo lungo per pretendere di affrontarlo in una sola giornata, avevano bisogno di sostare e riposare. E di far abbeverare i cavalli. Garni propose dunque di fermarsi a una locanda lungo la strada, non era un vero villaggio, ma c’era una fattoria a pochi metri dal locale che avrebbe badato ai cavalli. Era gente fidata, disse, così come il locandiere e la moglie. In effetti, sia Emeryl sia Kewst ebbero una buona impressione dell’anziano che prese in custodia le proprie bestie. Un’ottima accoglienza ricevettero anche alla taverna. Era evidente che conoscevano il giovane di Niihel, giacché lo accolsero con un saluto affettuoso. Si meravigliarono, però, di vederlo con un’insolita compagnia e non insieme ai compagni Lupi. Garni fu vago, disse che si trattava di un affare che stava svolgendo da solo, cose segrete che non poteva rivelare a nessuno, aggiunse rivolto in particolare alla moglie dell’uomo. Questa arrossì lievemente e chinò lo sguardo: Garni aveva la metà dei suoi anni e sebbene fosse abituata ad avances ben più spinte, quel giovane aveva uno sguardo e una sensualità che non aveva ritrovato in nessun altro.
La Din Nadair alzò gli occhi al cielo, sbuffando, quindi chiese alla signora se potevano restare per la notte e di quante camere disponessero.
«Quante ve ne occorrono, mia signora?»
«Minimo due» rispose Emeryl.
«Potremmo risparmiare ulteriormente…» Garni le strizzò l’occhio.
«Tre» rispose Kewst, il tono inflessibile come di consueto. «Ce ne servono tre.»
«Spendaccioni» aggiunse il giovane di Niihel.
Si accomodarono a un tavolo rotondo e la locandiera tornò poco dopo con una brocca di buon vino di ciliegia.
«Questo vi scalderà, le temperature sono calate parecchio negli ultimi giorni.»
Garni la ringraziò e bevve un lungo sorso di quel sidro del colore del fuoco.
Già, il fuoco… gli avevano rivelato che in lui scorreva il Sangue della dea Ve’Rah e che il suo destino era quello di salvare il mondo dalla IV Era Glaciale. Che idiozie! Lui, salvare il mondo? E che cosa c’avrebbe guadagnato poi?
Fama?
Denari?
Donne?
Certo, andarsene in giro a petto in fuori, pieno di orgoglio per essere un semidio – poteva definirsi tale? – non era cosa da niente. Anzi! Le donne semplici, come la moglie del locandiere – alla quale lanciò uno sguardo furtivo accorgendosi che lei lo stava già fissando – sarebbero cadute ai suoi piedi, letteralmente. E i mariti, i padri o i fratelli non avrebbero avuto di che lamentarsi: era il figlio di una dea, in fondo. L’eroe di un mondo senza gelo… portatore di vita.
Mentre pensava a tutte queste cose, e beveva, scorse una ragazza seduta di spalle al bancone. Era abbarbicata sul primo sgabello a sinistra, una gamba si muoveva nervosamente su e giù, impaziente. La testa era celata da una bandana, dalla quale erano sfuggite alcune ciocche di capelli color… argento?
Possibile?
Che razza di colore era?
Garni bevve ancora.
«Mi stai seguendo?» Emeryl gli passò il palmo davanti agli occhi.
«Sì, certo. Continua pure.»
«Dicevo con Kewst che forse dovremmo fare un turno di guardia, questa notte.»
«Ah-ah.»
Anche l’abbigliamento della ragazza con la bandana era singolare. Sulle spalle teneva adagiata una pelliccia di leone, le cui zampe parevano unirsi sul davanti, mentre un lungo abito bianco, sgualcito e con gli orli strappati, cadeva fino alle caviglie. Un abbigliamento insolito, appunto, non solo per l’abbinamento contrastante, ma perché quel vestito, che pareva richiamare uno status importante, era invece logoro e consunto. Come se fosse scampato a mille battaglie.
«Garni!» Emeryl batté un palmo sul tavolo, richiamando ancora una volta l’attenzione del compagno. «Smettila di fare gli occhi dolci alla locandiera o verremo sbattuti fuori e io sinceramente ho fame e voglia di riposare!»
Il giovane Lupo di Niihel le sorrise malizioso:
«Ti serve qualcuno che ti massaggi la schiena?»
Emeryl chiuse gli occhi e contò fino a dieci, sforzandosi di non rispondere. O di non fulminarlo.
In ogni caso, Garni ottenne l’effetto desiderato: ossia liberarsi della Din Nadair per poter tornare a scrutare la misteriosa ragazza. Questa volta notò l’armamentario che si portava dietro: ossia un’alabarda le cui estremità argentate spiccavano nel riverbero delle candele accese. Il locandiere le rivolse la parola, forse chiedendole se desiderasse altro, e solo così Garni poté scorgere un’ombra del giovane viso. Allora il ragazzo decise: riempì il proprio boccale di vino, afferrò quello ancora pieno di Emeryl, la quale lo fissò sbalordita mentre le diceva che tanto lei non lo beveva, e si allontanò.
«Dove vai?» Gli chiese.
«Auguratemi buona fortuna» fu la risposta di Garni facendo l’occhiolino a entrambi. Emeryl guardò Kewst che, serio, le chiese di mostrargli la pergamena che Vermyl le aveva consegnato.
 
Garni fece scivolare il boccale sulla superficie ruvida del banco, fino alla misteriosa ragazza. Quest’ultima si voltò di scatto, le pupille spalancate, simile a un felino colto di sorpresa e pronto a graffiare. Proprio come aveva immaginato il giovane del Deserto, era di una bellezza singolare. Non bella come Emeryl, la cui pelle di porcellana la faceva somigliare a una creatura eterea, ma bella come una ragazza che ha dovuto combattere per la propria vita. Lo dimostravano il suo abbigliamento, l’arma che teneva incollata alla schiena, il viso sporco di fuliggine e il tatuaggio dipinto sulla guancia sinistra. Il ragazzo fu la prima cosa che indicò:
«Simboleggia la tua appartenenza a qualche ordine, immagino. Come il mio…» disse, separando i lembi della blusa per mostrare la testa di lupo. Quello della ragazza misteriosa, invece, riprendeva un leone con le fauci spalancate.
«Che vuoi?» Lei pareva in allerta, si guardava intorno con circospezione, sebbene il locale fosse quasi deserto. Notò una Din Nadair in compagnia di un guerriero. Si chiese se fossero amici di quello… svitato.
«Solo fare due chiacchiere.» Garni sorrise amichevole.
«Vattene.» La ragazza si voltò dall’altra parte, studiando una via di fuga.
«Che maleducato! Non mi sono neanche presentato. Io sono Gar di Niihel, ma gli amici mi chiamano Garni.» Le allungò la mano, lei la fissò prima di rispondere.
«Noi non siamo amici.»
«Ma potremmo diventarlo» il ragazzo le strizzò l’occhio.
«Vattene, dico sul serio.»
«Almeno un brindisi?» Garni prese il boccale.
«Non bevo.»
«Sei astemia? Preferisci del latte?»
L’altra sbuffò platealmente, cominciava a stufarsi. Ormai non aveva neanche più il timore che volesse farle del male o fosse una spia inviata da suo fratello, semplicemente voleva rimanere sola. Avere un amico sarebbe stato bello, divertente, romantico anche… peccato che lei non potesse permettersi questo lusso. Già una volta era successo e aveva giurato a se stessa che non sarebbe capitato mai più.
«Te lo ripeto: vattene!» Esclamò infine, guardandolo dritto negli occhi. Era la prima volta che lo faceva, non aveva fatto caso a quelle iridi così particolari. Le parve di ricordare che una volta il suo maestro le aveva raccontato qualcosa su un’antica leggenda che riguardava i draghi e la dea della Fiamma Sacra, ma adesso non riusciva a farsela venire a mente. «Dico davvero, non-»
In quel momento, la porta venne scardinata ed esplose in mille schegge di legno. D’istinto Garni si gettò sulla misteriosa ragazza e insieme finirono sul pavimento. L’oste e sua moglie fecero capolino dalle cucine, standosene in piedi a pochi metri dai due giovani. Lui in particolare chiese spiegazioni. Scaglie di ghiaccio grosse quanto rami e appuntite come stiletti si conficcarono nel petto dei locandieri, i quali non ebbero neppure il tempo di realizzare ciò che era accaduto. Si accasciarono sul pavimento, gli occhi spalancati e un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca di entrambi.
«Per la dea O’Shu-Tal!» Blaterò la misteriosa ragazza, mentre Garni era ancora su di lei. Quest’ultimo lanciò uno sguardo verso Emeryl e Kewst e li vide già in posizione da combattimento, intanto che tre maghi di Gamirhia e due uomini-leone entravano nel locale.
«Mi dispiace,» cominciò il ragazzo, mettendosi in piedi e allungando una mano verso la giovane distesa di schiena. Questa volta lei gliela strinse e con il suo sostegno si tirò su. «Ci hanno trovato e ne andrai anche tu di mezzo. Sai difenderti?»
Lei lo guardò e sorrise spavalda:
«E io che pensavo fossero venuti per me.»
Garni la fissò di sottecchi, la fronte corrucciata.
«Spero che tu sappia difenderti, Gar-ni!» La ragazza afferrò l’alabarda sulla schiena e la divise a metà, brandendo così due lame, quindi si scagliò con un urlo contro uno dei Leonid.
Gar di Niihel ampliò il sorriso e si mise in posizione di combattimento, divaricando le gambe e portandosi le braccia all’altezza delle spalle, con i pugni chiusi. Era da tanto che non si allenava nello Stile del Lupo, le arti marziali che Dun’Gar gli aveva insegnato, meglio fare qualche ripassino. Con un sorrisetto di scherno fece cenno all’altro uomo-leone di farsi avanti e questo non se lo fece ripetere due volte.
I tre maghi sollevarono i propri bastoni, pronti a evocare un incantesimo, ma una frusta elettrica colpì i dorsi di ciascuno di loro. Si voltarono nella direzione in cui era scaturita la magia e videro la Din Nadair fissarli con aria di sfida, mentre al suo fianco un uomo grosso il doppio di qualsiasi persona normale brandiva un martello con entrambe le mani, che a occhio e croce doveva pesare quanto loro tre messi insieme. La bella incantatrice mugolò qualcosa fra i denti socchiudendo gli occhi, poi la testa del martello gigante si fece incandescente e Kewst partì alla carica, alzandolo sulla testa per poi farlo cadere a ridosso dei maghi. Due riuscirono a evitare il colpo, ma il terzo vide lo scudo magico che aveva evocato andare in frantumi e così il suo capo.
Garni si abbassò un attimo prima che il proprio avversario potesse colpirlo al volto, quindi lo falciò con un colpo dabbasso e quando l’altro perse l’equilibrio lo calciò in pieno stomaco, facendolo volare fuori dalla finestra. Diede un’occhiata veloce alla misteriosa ragazza: sembrava sapere il fatto suo. Poi, però, il Leonid che stava combattendo le afferrò la bandana, strappandogliela via e rivelando una folta capigliatura argentea, simile alla criniera di un leone, ma soprattutto due orecchie da felino. Incredibile!
Per lei fu come se avesse ricevuto un colpo in pieno volto e nel tentativo di nascondersi la testa il Leonid le fu addosso, urlando parole apparentemente incomprensibili:
«L’ho trovata! È la principessa Stella! È lei!»
«Lasciami andare! Lasciami and-»
Garni afferrò l’uomo-leone dalla nuca e lo scaraventò oltre la breccia che si era aperta quando era esplosa la porta.
«È così che si trattano le principesse?!» Esclamò, incamminandosi verso l’uscita per concludere una volta per tutte quella storia.
Stella si rimise in piedi e gli corse dietro, ormai dimentica delle orecchie leonine che spiccavano dalla criniera argentata.
Kewst ed Emeryl, i quali avevano assistito alla scena, sapevano che avrebbero dovuto lasciare quel luogo quanto prima e cancellare ogni traccia del loro passaggio. Era ormai evidente che qualcuno – Leonid e maghi dell’Accademia di Gamirhia a quanto sembrava – li voleva morti. O quantomeno fermare la loro missione. Re Vermyl aveva rivelato loro che la fonte del potere che aveva scatenato l’Era Glaciale in corso si trovava nel Regno di Iberia, dimora degli uomini-leone. Questo avrebbe spiegato il motivo dei continui attacchi da parte di quell’Ordine, ma i maghi? Che fossero invischiati anche loro?
Kewst rinsaldò la presa sulla propria arma, dicendo alla Din Nadair di occuparsi del mago alla sua destra, lui avrebbe pensato all’altro. Emeryl notò che la sua preda era già mezza stordita dal colpo precedente e si chiese se Kewst non avesse fatto quella scelta per agevolarla. Decise di dimostrargli che lei non aveva alcun bisogno di quelle gentilezze da femminucce, perciò si liberò facilmente del mago e, appena prima che Kewst potesse calare il colpo fatale sul proprio avversario, lo anticipò con una lingua infuocata. Kewst si voltò a guardarla, mentre lo raggiungeva con fare baldanzoso.
«Non ho bisogno di queste accortezze» gli sussurrò all’orecchio.
Kewst rinfoderò l’arma, abbozzando un sorrisetto sghembo. Forse era la prima volta che lo vedeva sorridere, perfino la cicatrice che gli attraversava il volto da parte a parte pareva rilassarsi. Era quasi bello.
«Va bene» disse solo, poi sentirono urlare Garni e si precipitarono all’esterno.
 
In realtà il giovane del Deserto aveva urlato di gioia. Dal nulla, proprio mentre stava per sferrare l’ennesimo calcio in pieno stomaco al Leonid, era spuntato Màs dal boschetto lì vicino e aveva conficcato i denti aguzzi nel polpaccio sinistro del nemico. Garni sguainò un pugnale dagli anfibi, pronto a sgozzare l’avversario inginocchiato davanti a lui, Màs lo teneva immobilizzato per una gamba, ma la ragazza – Stella – lo trattenne fermandogli la mano:
«Non lo uccidere!»
«Nel caso non lo avessi notato, ha cercato di farlo lui per primo!»
«Lo so, ma ti prego comunque di risparmiarli, entrambi.» L’altro uomo-leone giaceva supino sul terreno. «Te lo chiedo come favore personale.»
Garni la fissò negli occhi, erano così azzurri che sembravano di vetro. Gli sembrò che un orecchio si muovesse in un moto nervoso, proprio come fanno i gatti, poi capì: anche lei apparteneva alla schiera dei Leonid e, chissà perché, le stavano dando la caccia. Abbassò il braccio, lentamente.
«Se ci riprovano, però, li decapito» aggiunse e Stella annuì prima di rivolgersi al Leonid ai suoi piedi.
«Di’ pure a mio fratello Globo e al suo leccapiedi Shuva che sì, io sono ancora viva e con me il desiderio di liberare la mia gente! Va!» La ragazza accompagnò l’ultima sillaba con un cenno del braccio, l’uomo chinò il capo e piano piano si trascinò lontano.
Stella sospirò, pronta ad affrontare Garni e le mille domande che sicuramente le avrebbe rivolto, forse gli doveva anche un favore. Si voltò indietro, fece per parlare, ma contro ogni sua previsione lo trovò sdraiato di schiena con il lupo comparso dal nulla a leccargli la faccia. Rideva e Stella non poté fare a meno di sorridere a sua volta.


 
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