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Autore: Nina Ninetta    15/03/2023    3 recensioni
Un mondo flagellato da un gelo senza precedenti che gli abitanti hanno ribattezzato IV Era Glaciale. Eppure, qualcuno sostiene che non sia un fenomeno naturale, ma che ci sia qualcosa di oscuro dietro...
Cinque giovani, ognuno con il proprio passato ingombrante, dovranno unire le forze e affrontare ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare. Finora...
"Seconda classificata al contest “D&D Mania” indetto da Ghostro sul forum di Efp"
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO
QUINTO

 
 
 
Kewst tirò su il secchio pieno d’acqua che aveva riempito nel pozzo, sito alle spalle della locanda, la stessa dove si erano fermati la sera prima ed erano stati attaccati. Avevano deciso di fermarsi comunque lì per trascorrere l’Ora della Stella Nera: mettersi in viaggio con il buio non era una buona idea.
Si spogliò della parte superiore della corazza, sgranchendosi i muscoli ancora addormentati. La sua schiena era una cartina di vecchie cicatrici, ricordi del suo passato tormentato. Immerse le mani nell’acqua e prese a lavarsi. Sapeva che l’acqua era gelida, così come le temperature, ne era consapevole, ma lui non lo avvertiva quel freddo di cui tutti si lagnavano, grazie ovviamente al Sangue di Gigante che gli scorreva nelle vene. Quando ebbe finito, si asciugò meglio che poteva e fu in quel momento che sentì uno scricchiolio alle spalle, simile a un rametto spezzato. Piano, si mosse in quella direzione, inoltrandosi nella fitta boscaglia che costeggiava la via. La nebbia non si era ancora diradata del tutto, ma per Kewst non fu un problema…
 
Garni sbadigliò vistosamente, seduto sul bancone della locanda mentre mangiava una fetta di pane raffermo, sulla quale aveva spalmato una conserva alla frutta. Màs era sdraiato ai suoi piedi, il muso adagiato sopra le zampe anteriori e gli occhi socchiusi. Emeryl e Stella erano sedute a un tavolo e discutevano, come aveva fatto la sera precedente. La Din Nadair, in particolare, stava rimproverando l’altra per il comportamento che aveva avuto in quegli anni, in cui tutti l’aveva creduta morta. Secondo lei, infatti, avrebbe dovuto lottare contro il fratello Globo e riprendersi ciò che le spettava di diritto, ossia il trono di Iberia. Come aveva potuto lasciare che il suo paese cadesse nelle mani di un delinquente? Stella, in tutta risposta, teneva il capo abbassato e le mani strette l’una nell’altra.
Kewst entrò nella locanda, ma non era solo. Lanciò, letteralmente, un giovane che cadde disteso sul pavimento. Lo sconosciuto si mise seduto, protendendo le braccia in avanti temendo che potessero attaccarlo, le orecchie a punta spiccavano fra i capelli castani. Emeryl e Stella scattarono in piedi e anche Màs sembrò attento a ciò che accadeva.
«Chi è, Kewst?» Chiese l’incantatrice.
«Dice di chiamarsi Damien. Ci seguiva.» Kewst strinse i pugni. «È un mago di Gamirhia.»
Garni fischiò, mordendo un altro pezzo di pane.
«Sei una spia, elfo?» Emeryl gli puntò contro il bastone.
«No, no! Aspettate, non sono una spia! Ve lo giuro!» Damien scosse la testa e i palmi sollevati. «Vi ho seguiti, è vero! Ma solo perché volevo aiutarvi.»
«Aiutarci?» Ripeté la Din Nadair.
«Sì, sì! Conosco la vostra missione e penso di sapere come fermare il Grande Gelo.»
Emeryl scoppiò a ridere, ritirando l’arma.
«Noi abbiamo già un piano, mago!» Disse poi.
«Lo so: l’Antica Pergamena e il Sangue di Ve’Rah…» Damien guardò il giovane del Deserto alle sue spalle.
Anche Stella lo fece, quasi non credendo a ciò che aveva appena sentito. Garni era il figlio della dea del Fuoco Sacro? Allora era vero, non l’aveva presa in giro quella notte, quando le aveva raccontato quale fosse la sua missione.
«Avete già letto le antiche parole riportate sulla Pergamena?» Chiese Damien.
Kewst ed Emeryl si guardarono, quel ragazzino sapeva davvero molto sul loro conto. Avrebbero fatto bene a rispondergli sinceramente, oppure era meglio tacere?
«Alcuni maghi di Gamirhia ci hanno attaccato. Tu indossi la loro tunica, sei un elfo... Perché dovremmo fidarci di te?» Continuò la donna.
«Mezz’elfo, da parte di madre» o almeno così gli era stato raccontato. «Non faccio più parte dell’Accademia, l’ho lasciata tempo fa…» Mentre lo diceva, sfiorò la spilla di zaffiro sulla spalla sinistra. «L’Arcimago Meldor è coinvolto nella vicenda della IV Era Glaciale e io voglio fermarlo.» Pausa. «Credetemi!»
Màs gli saltò addosso, cominciando a leccargli la faccia, ululando e scodinzolando. Garni balzò dal bancone con agilità, piegandosi su un ginocchio per tirare via il lupo.
«Io ti credo» affermò e gli occhi di Damien si spalancarono di gioia.
«Gar, forse dovremmo prima discuterne» intervenne Emeryl.
«Se uno sta simpatico al mio lupo, allora vuol dire che è apposto.»
«Lupa…» fece Damien. «È una femmina».
«Ti fidi così tanto del parere del tuo animale che non ti sei neanche accorto che è una femmina. Perfetto!» Lo canzonò l’incantatrice bionda.
«Io perlomeno non vado in giro indossando animali morti» rispose Garni, tornando in piedi e tendendo una mano al giovane mago, il quale l’accettò volentieri.
«Questo è il mantello delle Din Nadair! Ma che ne vuoi sapere tu!»
«So solo che è un cervo morto!»
Emeryl e Garni si fissarono negli occhi. Lei accigliata, adirata, lui con la sua calma irritante.
«Mettiamoci in marcia. Abbiamo già perso troppo tempo» concluse la donna, uscendo per prima dalla locanda.
«Mi dispiace aver creato problemi» si scusò Damien chinando il capo. Garni gli batté una mano sulla spalla, erano alti uguali.
«Cos’è che sai fare, mezz’elfo?»
«Sono un mago guaritore!»
Stella fu l’ultima a lasciare il locale, seguendoli a capo chino fino alla fattoria dall’altra parte della strada. Nessuno le aveva detto nulla, nessuno le aveva chiesto che intenzioni avesse. Era come se dessero per scontato che li seguisse. Li vide montare sui rispettivi cavalli, poi finalmente Garni le parlò:
«Monti con me?» Occhiolino.
Emeryl scosse il capo, sbuffando, poi lasciò che il suo destriero trottasse fino a mettersi fra Stella e il giovane di Niihel.
«Stella sta con me. Tu prendi il mago.»
«Che vita grama» fu il commento di Garni, prima di rivolgersi a Kewst. «Tu che ne pensi, guerriero?»
«Meglio andare.» Disse solo.
 
 
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Viaggiarono per diversi giorni, sostando nei piccoli e anonimi villaggi che incontravano lungo la strada. Scoprirono che Damien li conosceva tutti e, in più di un’occasione, le persone lo salutarono felici per aver salvato un proprio figlio o una moglie morente.
Anche Stella sapeva molti luoghi, segno evidente della sua lunga latitanza in giro per Magena.
Erano ormai arrivati al confine del Continente Verde, pochi chilometri ancora e sarebbe stata giurisdizione del Sultano di Agran. Ma loro erano diretti al piccolo Regno di Niihel, penultima fermata prima di raggiungere Vhulchanius, tempio della dea del Fuoco Sacro, nell’estremo est.
Avevano cavalcato fino all’esaurirsi dell’Ora dell’Alba Inoltrata, quando la Stella Chiara sfiora il mare a oriente e le ombre si accorciano. Sostarono per rifocillarsi e lasciar pascolare i cavalli, sedendo intorno a un piccolo falò. Dietro di loro si stagliava il mare: un’immensa distesa di acqua grigia e gelida.
Garni guardò Stella di sottecchi, era seduta di fronte a lui ma teneva la testa rivolta indietro, gli occhi persi all’orizzonte. Perfino lui sapeva che in quella direzione c’era Iberia. Spezzò un pezzo di pane che stava mangiando e lo diede a Màs.
«A-avete consultato l’Antica Pergamena?» Era stato Damien a irrompere nel silenzio.
«No» rispose Emeryl. «Non è compito nostro.»
Ci fu silenzio, poi Kewst decise di parlare:
«È bianca. Completamente.» rivelò.
Damien mosse il capo avanti e dietro, annuendo.
«Posso vederla?» Chiese.
La Din Nadair guardò Kewst e quando questo fece un cenno di assenso, la donna si sfilò la pergamena da sotto il mantello e gliela porse. Anche Stella adesso era interessata alla conversazione. Damien srotolò il foglio ed effettivamente constatò che non c’era scritto nulla. Niente di niente.
«Viene chiamata Antica Pergamena del Drago, giusto?» Pareva parlare più fra sé e sé che con gli altri. «Cosa sappiamo sui Draghi?»
Kewst allora gli porse il foglio che aveva strappato dal tomo conservato nella biblioteca reale di Magena, sostenendo che, stando a quella leggenda, i Draghi erano gli antenati della dea Ve’Rah.
«Il cui Sangue scorre nelle tue vene» aggiunse il mago indicando Garni, perciò lo invitò ad allungargli il braccio. Il giovane di Niihel lo fece e Damien fu così scaltro a ferirlo alla mano con un coltellino che Garni quasi non se ne accorse.
«Ahi!» Esclamò solo, tirando via l’arto e controllandosi la ferita al centro del palmo. Alcune gocce di sangue però erano cadute sulla pergamena. Per qualche istante non accadde nulla, ma all’improvviso lettere, parole e infine frasi intere cominciarono a comparire sul foglio dapprima immacolato. Sembrava che ci fosse un calamaio invisibile che scrivesse davanti a loro.
«Incredibile!» Sussurrò Stella «Ma cosa c’è scritto?»
In effetti, ciò che il sangue aveva rivelato sulla pergamena era incomprensibile. Si trattava di una scrittura antichissima, molto simile a geroglifici.
«Beh, suppongo che il Sommo Sacerdote sappia interpretarla» disse Emeryl.
«Immagino di sì» sospirò Damien.
Kewst rimase in assoluto silenzio, tenendo lo sguardo fisso sulle parole comparse. Lui sapeva cosa c’era scritto, aveva studiato Scrittura Arcana con Decilius e non era un messaggio neanche tanto complicato da comprendere, ma preferì tenere il segreto. Non era quello il compito che gli era stato affidato: semplicemente, avrebbe dovuto consegnare la Pergamena – e Garni – al Sommo Sacerdote di Ve’Rah.
Quando rinvenne dai suoi pensieri, incrociò lo sguardo con quello di Stella: la ragazza, infatti, lo stava scrutando con un cipiglio fra gli occhi ridotti a due fessure.
Emeryl arrotolò la Pergamena e la mise al sicuro, poi incoraggiò tutti a riprendere il cammino.
«Fra qualche miglio dovremmo incontrare un piccolo villaggio, potremmo fermarci» Affermò Damien, arrampicandosi alle spalle di Garni.
«Sei molto informato» notò quest’ultimo.
«Diciamo che ho viaggiato molto per…» il mago soppesò bene le parole da pronunciare. «… per curare gli ammalati.»
Stella attese che Emeryl salisse in groppa al proprio animale, stava ancora sbirciando Kewst quando la donna richiamò la sua attenzione.
«Vado con Kewst» disse la principessa di Iberia, inerpicandosi alle spalle del guerriero, il quale si irrigidì come un tronco d’albero. Non gli piaceva trovarsi troppo vicino a un’altra persona, men che meno intuendo che questa aveva qualcosa da chiedergli.
Damien stava ancora parlando della sua vita di mago guaritore itinerante, ma il suo interlocutore aveva la mente altrove. Garni stringeva le redini con forza, domandandosi perché Stella avesse scelto di cavalcare con il guerriero di ghiaccio e non con lui. Distolse lo sguardo, sentiva la rabbia pulsargli nelle tempie. Gli dava fastidio? Certo che sì! La vide cingergli il ventre e d’istinto colpì il suo cavallo con un tallone, spronandolo a partire a gran velocità. Il mago si strinse a lui appena prima di cadere all’indietro. Màs lo seguì di gran carriera.
«Gar, rallenta!» Emeryl lo seguì, bofonchiando insulti irripetibili per una donna del suo rango.
Infine, si mossero Kewst e Stella, la quale gli ordinò di moderare l’andamento del cavallo.
«Perderemo di vista gli altri»
«Li ritroveremo» aggiunse lei. «Cosa hai visto, Kewst?»
«Non capisco.»
Stella tirò le redini e l’animale frenò bruscamente. Saltò sul terreno roccioso, puntandogli addosso il suo sguardo colmo di avvertimenti, osservandolo dabbasso:
«Sì che capisci! Non fingere con me! Cosa c’era scritto sulla Pergamena?»
Kewst deglutì. Non poteva dirglielo, sarebbe corsa da Garni a rivelargli tutto e, con ogni probabilità, la missione sarebbe fallita e la colpa sarebbe stata sua. Una volta, almeno una, voleva dimostrare a se stesso di essere in grado di portare a compimento un dovere, un incarico. Se la IV Era Glaciale fosse finita, sarebbe stato anche merito suo, giusto? Così, suo padre non avrebbe avuto nulla da rimproverargli, non questa volta. Ma quella piccola Leonid rischiava di far saltare tutto, doveva mentire, sebbene andasse contro ogni sua morale.
Kewst Lamarcana fece per spiegarle che nessuno sarebbe stato in grado di decifrare quella scrittura, se non il Sommo Sacerdote, quando sentirono Garni urlare il nome di Màs. Entrambi voltarono l’attenzione sulla strada che si dipanava davanti a loro e che pareva cadere a picco sul mare, poi un lampo di luce bianca avvolse ogni cosa.
«Garni» disse solo Kewst, partendo al galoppo.
«Garni, cosa?» Ripeté Stella, mentre l’altro si allontanava. «Aspetta!» Il suo corpo si trasformò: gli arti divennero zampe, la bocca si allungò fino a diventare un muso, i capelli si tinsero di arancione, solo le orecchie da felino rimasero identiche. Divenuta un leone, si mosse all’inseguimento del compagno a cavallo, con tutte e quattro le zampe a terra.
La luce bianca era tuttavia troppo luminosa e accecante per sperare di scorgere qualcosa. Sentivano solo il respiro affannoso di Garni e i rantoli strozzati di qualcun altro. Poi, d’improvviso, così come era comparsa, la luce si diradò, rivelando un vero e proprio campo di battaglia, sul quale si ergeva un unico vincitore: Gar di Niihel. Ai suoi piedi, si contavano almeno cinque avversari, tre Leonid – sgozzati – e due giovani maghi di Gamirhia.
Damien accorse immediatamente, inginocchiandosi accanto a ciascun corpo e scuotendo il capo chiuse loro gli occhi.
«Non aveva neanche sedici anni» sospirò, sull’ultimo cadavere.
Stella tornò nella sua forma umana, la testa china e le lacrime trattenute a stento dalle unghie ficcate nei palmi. Gliel’aveva detto, in fondo, la sera che si erano conosciuti: se ci avessero riprovato, li avrebbe sgozzati. Beh, il Sangue di Ve’Rah era stato di parola. Sentì Damien chiamarlo per nome e rialzò lo sguardo, vedendo Garni – la camicia chiara aperta fino a metà torace era zuppa di sangue – oscillare avanti e indietro, premendosi i polsi contro le tempie, la scimitarra con le rune di luce ancora stretta nella mano destra e le palpebre strizzate.
«Garni, che cos’hai?» Damien lo sostenne.
«Màs» biascicò. «Màs è…»
Il mago aprì i palmi sul capo dell’amico e un tenue bagliore caldo prese ad avvolgerlo. Piano, il dolore parve sciogliersi e i mille aghi conficcati nelle pupille lo lasciarono in pace. Riaprì gli occhi, attese qualche istante che la vista tornasse normale, poi si mosse, ancora barcollando, verso la lupa riversa al suolo pochi metri più in là. Una grossa ferita le correva lungo la pancia, la cui pelle era stata squarciata, molto probabilmente opera di uno dei Leonid poiché erano chiari i segni degli artigli. Màs era ancora viva, ma respirava a fatica. Il ventre andava su e giù convulsamente e quando cercò di sollevare il capo per salutare il padrone non ci riuscì.
Garni era sconvolto, il volto rigato di lacrime. Avrebbe voluto accarezzare la propria bestia, ma aveva paura di farle male, continuava a ripetere il suo nome come un mantra. Per la prima volta, gli altri videro una persona diversa dal solito ragazzo allegro e frivolo, menefreghista per certi versi.
Stella si voltò dall’altra parte, vergognandosi di farsi vedere a frignare come una bambina.
«Allora a qualcosa ci tieni.» Disse Emeryl, il tono derisorio, mentre riponeva la propria arma sulla schiena e si acconciava il verde mantello delle Din Nadair.
Garni si rimise in piedi urlando tutta la sua frustrazione, afferrò uno dei tanti pugnali che teneva nascosti sul corpo e si scaraventò addosso alla donna, minacciandola con l’arma alla gola e sbattendola contro un tronco alle sue spalle. Alcune foglie rinsecchite caddero dall’alto e planarono ai loro piedi, silenziose. Emeryl gridò di lasciarla andare o se ne sarebbe pentito amaramente. Garni non era più alto o più grosso di lei, come Kewst, ma aveva una forza incredibile.
O forse era solo la forza della disperazione?
«Rivolgiti a me ancora una volta con quel tono e giuro ti uccido!» Le parlò a una spanna dal viso, premendole sempre più il coltello alla gola. La lama e le dita si macchiarono del suo sangue.
«Posso aiutarla» disse Damien, inginocchiato al fianco della lupa, ma nessuno lo sentì.
«Fammi vedere, Gar di Niihel, Sangue di Ve’Rah. Fammi vedere come fai, forza!» Gli occhi azzurrissimi di Emeryl si velarono di bianco, la testa si piegò all’indietro, mentre in lontananza si udiva il rimbombo di un tuono.
Dita gelide e tremendamente possenti si chiusero intorno al polso di Garni, tirandolo via dalla gola di Emeryl e facendogli perdere la presa sul pugnale. Kewst guardò il ragazzo dritto negli occhi, era grosso il doppio di lui e forse ancor più forte.
«Adesso basta» disse.
Emeryl, finalmente libera, si accasciò contro il tronco, tossendo e avvolgendosi il collo con entrambe le mani; Kewst l’aiuto a bere. In lontananza il cielo era tornato sereno.
«Garni» Stella gli si accostò, ma l’altro la superò senza degnarla di uno sguardo. «Gar…».
Il giovane raggiunse Damien e Màs, le cui ferite sembravano meno profonde ora e qualche graffio che teneva sparso sulla pelliccia addirittura rimarginato. Si mise seduto con le gambe incrociate, prendendo a carezzarle la testa, grattandola dietro le orecchie, proprio dove sapeva le piaceva di più.
«Ho sempre saputo che era una femmina» disse, senza smettere di coccolarla. «Ma preferivo far credere agli altri che fosse un maschio, così sarei sembrato più ganzo.» Alle sue spalle sentì i passi di Stella, Kewst ed Emeryl ovattati dal fogliame e non fu difficile immaginarli in piedi, a fissarlo. In attesa. «Non mi scuserò» cominciò, alzandosi e voltandosi per guardarli in viso uno per uno. Emeryl aveva ancora del sangue incrostato e il collo arrossato si stava gonfiando. Avrebbe potuto ucciderla, le sue ossa e la sua pelle erano così tenere che avrebbe tranquillamente potuto tagliarle la giugulare e nessuna magia sarebbe mai stata in grado di salvarla. Eppure, non provava pena.
«Non mi scuserò con voi. Nessuno di voi.»
Emeryl fece per parlare, portandosi una mano intorno alla gola, la voce le uscì strozzata. Era chiaro che provasse dolore. Kewst, però, le fece cenno di tacere: il viaggio era quasi terminato, una discussione si sarebbe rivelata alquanto sterile. Damien si avvicinò alla Din Nadair, chiedendole di lasciargli controllare la ferita, poi si rivolse a Garni, informandolo che Màs era fuori pericolo, ma aveva bisogno di qualche petalo di Achillea per preparare un unguento ed evitare che le ferite si infettassero.
«Dovresti trovarne qualcuno ai piedi del promontorio» aggiunse.
«Achi-che? Io non so distinguere un fiore da un ortaggio» ammise senza alcun imbarazzo il giovane di Niihel.
«Vado io» intervenne Stella. «Quanti te ne servono?»
«Cinque andranno bene. Grazie.»

Stella si allontanò diversi metri prima di tornare alla forma leonina, grazie alla quale sarebbe stato più semplice muoversi nelle rientranze rocciose e scendere sulla costa sabbiosa.
Era intenta a studiare alcune erbacee che crescevano lì vicino, trovò ciò che cercava e ne strappò tre steli, attenta a non rovinare la corolla, quando avvertì la presenza di qualcuno, ma non si allarmò: aveva imparato a riconoscere il suo odore, inoltre in quella forma ferina l’olfatto era oltremodo sviluppato.
«Sei molto carina anche così» scherzò, senza ottenere risposta. «Grazie per i fiori» aggiunse, indicandoli.
«Non ti illudere, non l’ho fatto per te. Anche io voglio bene a Màs.» Stella lo oltrepassò per cercare altri esemplari di Achillea.
«Lo so. Ti ringraziavo a nome suo» ancora silenzio. «Non ti chiederò scusa per i Leonid che ho ucciso, lo sai vero?»
«Lo so, mi avevi avvertito. Forse dovresti farlo con Emeryl.»
Gar di Niihel abbassò la testa e Stella si avvicinò.
«Potevi ucciderla» aggiunse lei.
«Ha quel suo modo di fare da superiore che mi dà sui nervi!» Garni sospirò, aveva ancora la camicia sporca di sangue, perciò Stella gli ordinò di toglierla, dopo aver raccolto altri due fiori. Garni sollevò un sopracciglio, arricciando le labbra.
«Muoviti, idiota! Non puoi stare con quella camicia macchiata!» Stella sorrise, mentre lo osservava tirarsi via la blusa e metteva in mostra il tatuaggio, il torace magro, ma definito, e la ciocca colorata che sulla pelle olivastra spiccava come non mai. Era bello Garni, doveva ammetterlo. E quando sorrideva con sincerità, senza camuffamenti, il viso pareva illuminarsi. La ragazza gli porse i fiori e prese in consegna l’indumento, quindi si diresse alla riva del mare e cominciò a lavarlo. Garni la seguì.
«Kewst ha visto qualcosa» cominciò lei. «Sulla Pergamena intendo.» Si alzò e fronteggiò il giovane, alto appena qualche centimetro in più. «Garni, penso che sia pericoloso andare al tempio.»
«Lo so.»
«Lo sai? E ci andrai comunque?»
Il giovane puntò i suoi occhi felini sull’orizzonte.
«Quando ho visto Màs in quelle condizioni... Ho provato una paura assurda e ho capito che comprendiamo quanto teniamo a qualcosa troppo tardi.» Guardò Stella. «Andrò al tempio e salverò il mondo perché ci sono responsabilità da cui non possiamo fuggire e persone a cui non voglio rinunciare.»
«Ad esempio?» La ragazza si pentì immediatamente di quella domanda.
Cosa si aspettava che rispondesse?
Garni sorrise, dolce:
«Andiamo, Màs ha bisogno di questi» concluse lui, mostrando i fiori.  


 
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