Nico Robin era sola sul ponte della nave.
Era mattina presto e gli altri membri dell'equipaggio ancora dormivano.
Il vento soffiava forte tra i suoi capelli corvini.
Con sé aveva portato anche il silenzio.
L'unico rumore che si percepiva erano le onde del mare che si infrangevano contro la nave.
A Robin era sempre piaciuta la tranquillità che regnava nelle prime ore del giorno.
Non sentire le urla e le risate dei suoi amici, le permettava di concentrarsi sui suoi pensieri.
Il suo sguardo era fisso sul cielo che si estendeva davanti a lei.
Aveva lo stesso colore ceruleo dei suoi occhi, degli occhi di sua madre.
Nico Robin pensava spesso a Nico Olvia, ad Ohara, al suo passato.
Almeno una volta al giorno dedicava un pensiero a tutti quei civili innocenti che non c'erano più.
Ripensava spesso alle cattiverie subite, alle risate dei bambini e all'assenza della madre.
Quella madre che aveva ritrovato e persa nel giro di pochi minuti.
Il tempo, a volte, sembrava ancora bloccato a quell'abbraccio stretto che la soffocava tutt'ora.
Sentiva quelle braccia tenerla prigioniera nel suo dolore, nel suo passato.
Nico Robin non sopportava più quel peso, voleva liberarsene ma non riusciva a parlarne con nessuno.
Era sempre stata una bambina sola, cresciuta troppo in fretta e aveva sempre fatto affidamento su stessa.
Anche se ora aveva degli amici, per lei era difficile aprirsi con loro.
Odiava mostrarsi debole.
Forse, una parte di lei, si rifiutava di liberarsi di quei ricordi anche se brutti perché era presente sua madre.
Se ripensava al Buster Call vedeva il volto di sua madre rigato dalle lacrime e sentiva la sua voce spezzata dalle lacrime che la supplicava di continuare a vivere.
Se ricordava Ohara lo faceva solo per sua madre, per Sauro e per gli archeologi.
Quei ricordi erano perlopiù brutti, le facevano male.
Ma sua madre viveva in quelle sue memorie.
Il ricordo di lei la opprimeva, la imprigionava in traumi infantili.
Quel dolore era come una droga per Robin, faceva male ma non riusciva a farne a meno.
A volte voleva liberarsene, altre volte no.
Aveva paura che se quei ricordi fossero usciti da lei avrebbero fatto del male ai suoi amici e che sua madre sarebbe sparita.
Perché lei non era presente in nessun altro ricordo, o forse sì ma erano troppo lontani per poter tornare alla mente.

Era mattina presto e gli altri membri dell'equipaggio ancora dormivano.
Il vento soffiava forte tra i suoi capelli corvini.
Con sé aveva portato anche il silenzio.
L'unico rumore che si percepiva erano le onde del mare che si infrangevano contro la nave.
A Robin era sempre piaciuta la tranquillità che regnava nelle prime ore del giorno.
Non sentire le urla e le risate dei suoi amici, le permettava di concentrarsi sui suoi pensieri.
Il suo sguardo era fisso sul cielo che si estendeva davanti a lei.
Aveva lo stesso colore ceruleo dei suoi occhi, degli occhi di sua madre.
Nico Robin pensava spesso a Nico Olvia, ad Ohara, al suo passato.
Almeno una volta al giorno dedicava un pensiero a tutti quei civili innocenti che non c'erano più.
Ripensava spesso alle cattiverie subite, alle risate dei bambini e all'assenza della madre.
Quella madre che aveva ritrovato e persa nel giro di pochi minuti.
Il tempo, a volte, sembrava ancora bloccato a quell'abbraccio stretto che la soffocava tutt'ora.
Sentiva quelle braccia tenerla prigioniera nel suo dolore, nel suo passato.
Nico Robin non sopportava più quel peso, voleva liberarsene ma non riusciva a parlarne con nessuno.
Era sempre stata una bambina sola, cresciuta troppo in fretta e aveva sempre fatto affidamento su stessa.
Anche se ora aveva degli amici, per lei era difficile aprirsi con loro.
Odiava mostrarsi debole.
Forse, una parte di lei, si rifiutava di liberarsi di quei ricordi anche se brutti perché era presente sua madre.
Se ripensava al Buster Call vedeva il volto di sua madre rigato dalle lacrime e sentiva la sua voce spezzata dalle lacrime che la supplicava di continuare a vivere.
Se ricordava Ohara lo faceva solo per sua madre, per Sauro e per gli archeologi.
Quei ricordi erano perlopiù brutti, le facevano male.
Ma sua madre viveva in quelle sue memorie.
Il ricordo di lei la opprimeva, la imprigionava in traumi infantili.
Quel dolore era come una droga per Robin, faceva male ma non riusciva a farne a meno.
A volte voleva liberarsene, altre volte no.
Aveva paura che se quei ricordi fossero usciti da lei avrebbero fatto del male ai suoi amici e che sua madre sarebbe sparita.
Perché lei non era presente in nessun altro ricordo, o forse sì ma erano troppo lontani per poter tornare alla mente.
