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Autore: Orso Scrive    23/03/2023    1 recensioni
Alan Knight, agente dell’Interpol, prosegue l’inseguimento dei due ladri d’antichità, Smith e Fournier, che era quasi riuscito ad acciuffare in Egitto. La sua caccia lo conduce tra le cupe foreste dell’Africa Nera, luoghi selvaggi e inesplorati, che celano insidie misteriose…
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNDICESIMO

 

 

Il gruppo, quindi, risalì la breve cascatella e si rimise in marcia nel mezzo della foresta, questa volta avviandosi lungo un breve torrentello che, scorrendo attraverso gli alberi con un leggero gorgoglio, andava poi a formare la piccola cascata che si trovava ormai alle sue spalle.

Guidati da Tumbili, i cacciatori avanzarono rapidamente in quei luoghi sconosciuti, in cui mai nessuno dei guerrieri della foresta s’era avventurato, almeno non di recente; qua e là, tra i fitti arbusti, infatti, di quando in quando emergevano punte di freccia o pezzetti di antiche ossa umane, segno che, in quel territorio, doveva essersi combattuta una delle tante battaglie che, secoli addietro, avevano contrapposto le scimmie giganti agli uomini del re venuto dal meridione.

Dopo circa una mezz’ora di marcia, qua e là tra la vegetazione cominciarono a distinguersi alcuni massi che sembravano essere stati rozzamente scolpiti in forma quadrangolare; certi erano piuttosto piccoli, altri davvero grandi, alcuni addirittura imponenti.

«Che cosa diavolo sono, questi affari?» domandò Knight, scrutando con circospezione le pietre lavorate.

«Sono i resti dell’antica città delle scimmie, costruita dai loro schiavi» spiegò Tumbili. «Quando le scimmie giganti furono sconfitte ed i prigionieri liberati, nessuno più si prese cura della città che, quindi, andò in rovina. Questo che vedi è tutto quello che ne rimane.»

Una città delle scimmie; se non fosse stato intento a guardarla con i suoi occhi, il poliziotto non ci avrebbe mai creduto. Eppure le rovine erano lì, tutt’attorno a loro. Gettò un’occhiata verso gli alberi, dove credeva che, adesso, vivessero i giganteschi primati.

«Qui non rischiamo di fare brutti incontri» lo rassicurò il figlio della foresta, rendendosi conto del suo nervosismo.

«E, allora, quel brutto muso di poco fa?» lo rimbrottò Knight, massaggiandosi i punti ancora doloranti in cui era stato colpito.

Tumbili non rispose.

Mugambi, però, si avvicinò e mormorò: «Ho chiesto ai guerrieri e non notano pericoli, qui attorno. Forse quello scimmione era capitato alla cascata per puro caso.»

«Speriamo» brontolò Knight.

«Dev’essere per forza così» aggiunse Tumbili. «Le scimmie hanno abbandonato questo posto e non lo abitano più; adesso, vivono un po’ in giù, di fronte della grotta di Wamatsengal. Ora silenzio. Ci stiamo avvicinando.»

Sulla loro destra, infatti, le piante avevano ceduto lentamente il posto alla roccia che, adesso, man mano che avanzavano, andava facendosi sempre più alta, come una piccola montagna. L’idea che nelle viscere di quel granito potessero celarsi due colossali scimmioni fece sentire un brivido freddo lungo la schiena a Knight. Dopo un’altra decina di minuti di cammino, Tumbili fece loro segno d’arrestarsi.

Avvicinatosi ad alcuni cespugli, li scostò, rivelando un pertugio che pareva essere l’imbocco di una bassa galleria.

«Questa l’ho scoperto io» spiegò il giovane. «È una via segreta che conduce alla grotta in cui Wamatsengal e Matisikana custodiscono la pietra magica.»

«Speriamo di non trovare un esercito di dannate scimmie antropofaghe ad attenderci dall’altra parte» borbottò Knight. Fece cenno a Tumbili di precederlo poi, come lo ebbe veduto varcare l’ingresso della galleria, fu lesto a seguirlo. Ormai, non aveva più paura di nulla; arrivato a quel punto, infatti, tanto valeva andare avanti fino in fondo, senza fermarsi troppo a lungo a riflettere su che cosa lo avrebbe effettivamente atteso, una volta che fosse veramente giunto in fondo. In ogni caso, si disse prima di cominciare a strisciare tra le stretti pareti di roccia, era più che sicuro che il suo stipendio da agente dell’Interpol non fosse abbastanza per quello che stava facendo. Come minimo, una volta ritornato in Inghilterra, avrebbe chiesto un aumento.

Strisciando l’uno dietro all’altro, i membri della spedizione di soccorso avanzarono lungo la malagevole galleria, il cui bassissimo soffitto non permetteva neppure di sollevarsi sulle ginocchia, mentre le pareti vicinissime tra loro rendevano praticamente impossibile tentare di girarsi all’indietro. Se avessero trovato un ostacolo, sul loro cammino, sarebbero certamente stati costretti a procedere all’incontrario per poter riguadagnare l’uscita.

Quando, ormai, Knight stava cominciano a divenire claustrofobico, vide Tumbili oltrepassare un secondo varco nella roccia e rizzarsi in piedi al di là; lo seguì e, finalmente, si ritrovò in una sala rocciosa parecchio ampia, nella quale gli fu possibile alzarsi e stiracchiarsi.

Mentre attendevano che tutti gli altri li raggiungessero, Tumbili disse sottovoce a Knight e Mugambi, il quale era sbucato dalla galleria subito dopo il poliziotto: «Ci siamo. Questa è la grotta in cui risiedono Wamatsengal e la sua consorte.»

L’agente di polizia, i cui occhi si erano già abituati all’oscurità nel tunnel, fece volgere tutto attorno lo sguardo, scrutando ogni angolo della caverna che, peraltro, era in parte illuminata da alcuni raggi solari che piovevano da fori presenti sull’alto soffitto. Notò scarti di ossa, mucchi di frutta marcescente, alcuni massi accumulati in un angolo, tutti segni che lì dentro avesse vissuto davvero qualcuno, ma nulla che facesse intuire la presenza del re delle scimmie giganti.

«Be’, qui, adesso, non c’è nessuno» constatò.

Tumbili annusò l’aria per qualche istante, prima di rispondere.

«Wamatsengal e Matisikana sono stati qui fino a poco fa. Qualcosa deve averli attirati all’esterno» disse, indicando il fondo della caverna, da dove si dipartiva un ampio corridoio che, salendo verso l’alto, doveva certamente condurre nella foresta.

«Probabilmente l’arrivo dei prigionieri» intuì Mugambi.

«Esatto» aggiunse Knight. «Il che ci da un vantaggio, poiché potremo cercare indisturbati la pietra magica e, con un po’ di fortuna, appropriarcene e distruggerla prima ancora di aver fatto la conoscenza con quella brutta bestiaccia. Mettiamoci subito all’opera.»

Essendo ormai tutti riuniti attorno a loro i guerrieri e le donne, Mugambi fece passare il messaggio e, in breve, si sparsero per la grotta, guardando in ogni angolo e, al medesimo tempo, tentando di fare il meno rumore possibile per non destare sospetti in qualche scimmia che, magari, fosse stata lasciata di guardia poco lontano. Purtroppo, però, la vastità della grotta faceva rimbombare ogni singolo passo come se fosse stata una cannonata.

Knight, consapevole di non avere molto tempo a disposizione prima che qualcuno li scoprisse, si dava da fare febbrilmente per cercare la pietra magica, con il fedele Mugambi sempre al suo fianco. Ma Tumbili non era certo stato prodigo d’informazioni, nel descrivere quell’oggetto e, considerando che, il fondo della grotta, era completamente cosparso di sassi di ogni forma e dimensione, non sarebbe certo stata una passeggiata.

«Come la troviamo, se non sappiamo neppure come sia fatta?» domandò Mugambi, come se gli avesse letto nel pensiero.

«Non ne ho idea. Vai da quella specie di australopiteco e domandagli come diamine è fatta, la dannatissima pietra» borbottò Knight, approssimandosi al mucchio di frutta marcia che aveva già osservato in precedenza e chiedendosi se valesse la pena esaminarlo. Storcendo il naso, pensò che quel compito avrebbe potuto benissimo sostenerlo uno dei guerrieri.

Si volse per chiamarne uno ma, in quel momento, un cupo rimbombo, che fece tremare tutta la volta, si diffuse nella grotta, subito seguito da un altro e un altro e un altro ancora. Passi. Passi di una creatura gigantesca che si stava avvicinando.

Ognuno dei presenti, come imbambolato, si volse verso il grande corridoio, da cui proveniva quei profondi suoni; ognuno, in realtà, a parte Tumbili, il quale fu lestissimo a riguadagnare con un’agile balzo la galleria da cui erano provenuti ed a scomparire.

«Che razza di vigliacco!» sbottò a mezza voce Knight, nel notare la sua manovra. Lo avrebbe volentieri imitato, ma era troppo lontano e, comunque, era troppo tardi. Sull’orlo della galleria era apparso un immenso e colossale animale, una specie di gorilla, alto, però, come un palazzo di tre piani. Le sue braccia erano enormi, i suoi pugni parevano macigni, i muscoli estremamente sviluppati e la sua testa, se fosse stata vuota, avrebbe di sicuro potuto agevolmente dare alloggio ad un uomo adulto in piedi. Ma quella testa non era affatto vuota, poiché sul viso del mostruoso scimmione brillava un’aria d’intelligenza che gli conferiva quasi un senso di umanità. Tuttavia, alla vista degli uomini che avevano invaso il suo regno, l’aria quasi pensierosa scomparve dai tratti del mostro, lasciando il posto ad una smorfia di brutale ferocia.

Con un ruggito angosciante, il gigantesco gorilla si batté i pugni sul petto, come per darsi forza.

A Knight non fu necessario impartire ordini. Contemporaneamente a lui, i guerrieri e Mugambi aprirono il fuoco contro la bestia, mentre le donne iniziarono a scagliare frecce a volontà con i loro archi. Tutto, però, fu inutile, poiché i proiettili ed i dardi erano un nonnulla, in confronto alla grandezza dello scimmione, sul cui corpo dovevano produrre, forse, gli stessi effetti delle punture fastidiose delle zanzare.

Il mostro si lanciò in avanti, urlando furiosamente, ignorando i colpi che continuavano a colpirlo. Knight, paralizzato sul posto, continuò a sparare finché ebbe a propria disposizione dei proiettili, poi gettò via il fucile e, estratta la rivoltella dalla fondina, la scaricò completamente contro l’avversario. Fu tutto inutile. Coprendo lo scoppio delle armi da fuoco con le proprie urla e con i propri passi pesantissimi, lo scimmione fu lesto nel raggiungere i guerrieri, che si trovavano riuniti in gruppo nel centro della stanza, e ad abbatterli tutti quanti con un solo manrovescio. I poveretti volarono in ogni direzione, come se fossero stati colpiti da un treno lanciato a tutta velocità, poi arrestarono con violenza i loro voli contro le pareti della grotta, per poi ricadere in terra, esanimi e morenti. Subito, il mostro, evitando per un soffio Mugambi, che era riuscito a gettarsi in terra, s’avventò sulle povere donne della compagnia, sopraffacendole in un attimo come aveva fatto con gli uomini.

Mentre l’essere mostruoso sfogava tutta la propria rabbia gettando qua e là i corpi delle misere giovani, Mugambi riuscì a rialzarsi ed a raggiungere Knight, strattonandolo per indurlo a fuggire. Tuttavia, non poterono correre vero la stretta galleria, dato che fra essa e loro si trovava il grosso scimmione, quindi cominciarono a correre lungo il corridoio da cui era sopraggiunto il mostro. Erano ben consapevoli, ovviamente, di essere del tutto inermi: Mugambi aveva perduto la carabina, mentre a Knight era rimasta solo la pistola, la quale, tuttavia, era ormai scarica e, se avessero incontrato dei nemici, non avrebbe certamente fatto in tempo a ricaricarla con gli unici sei proiettili che era riuscito a conservare in una tasca.

«Mi sa che, se anche riusciremo a sottrarci alla furia di quella brutta bestia, non potremo andare tanto lontano» constatò il poliziotto, ansimando nella corsa.

Mugambi non rispose, anche perché non ne ebbe né il tempo né il motivo. A replicare a Knight, infatti, furono le decine di scimmie che, sbucate all’improvviso da ogni dove, quando erano ormai giunti in cima al corridoio e già vedevano di fronte ai propri occhi gli alberi della foresta, li assalirono rapidamente e li misero fuori combattimento, gettandoli sul duro pavimento di roccia ed immobilizzandoli.

Knight si sentì sollevare da decine di braccia e, poi, trasportare all’esterno, dove fu gettato al suolo, all’ombra di una montagna. Mugambi, poco dopo, cadde al suo fianco. I due uomini sollevarono gli occhi e poterono vedere, con sgomento, seduti in cerchio, i guerrieri, le donne ed i bambini rapiti al villaggio, guardati dalle scimmie, che saltellavano tutto attorno. I poveretti erano visibilmente impauriti e rassegnati, ma sul volto di parecchi apparve anche un certo stupore, nel riconoscere i due uomini che già avevano veduto al villaggio.

Tra quei poveri prigionieri, Knight riconobbe anche Wamkulu Koposa e, seppure ormai stremato, riuscì a trascinarsi sull’erba ed a raggiungerlo. Il re, nel scorgerlo, sorrise debolmente.

«Mi dispiace, grande re, di non aver potuto aiutarti» mormorò Knight. «Siamo partiti per salvarti ma abbiamo fallito…»

Dette queste poche frasi, il poliziotto perse i sensi, vinto dal ribrezzo, dalle percosse e dalla fatica. Mugambi, che gli era accanto, tradusse le parole per il re, poi aggiunse: «Purtroppo, quando eravamo ormai vicini a spezzare la magia, siamo stati assaliti dal re delle scimmie giganti, il quale ha avuto gioco facile nel metterci fuori combattimento.»

«Ti sbagli» bisbigliò il sovrano. «Il re delle scimmie non si è mai mosso da qui, da quando siamo arrivati.»

Ed accennò col capo all’ombra in cui erano immersi.

Mugambi si voltò di scatto e, per poco, non gli prese un colpo per il raccapriccio. Quella che, prima, senza guardarla troppo, gli era parsa una montagna, era invece una bestia colossale, una scimmia enorme, un animale più grosso di qualsiasi altro. Era seduto, con le gambe incrociate e, solo così, raggiungeva i venti metri in altezza. Il suo antichissimo volto puntava uno sguardo di puro odio verso gli uomini, come se il mago ancora soffrisse per l’umiliazione fattagli soffrire dai suoi simili tanti secoli addietro e non fosse ancora pago, quindi, delle tante vendette già compiute.

Il mostro teneva la bocca semiaperta, mostrando i suoi denti grandi come macigni ed affilati come macigni. Era immobile, limitandosi a respirare rumorosamente, senza emettere altro suono che non fosse il risucchio e l’emissione del suo fiato. Ad un tratto, però, una scimmia gli si inerpicò lungo il corpo e gli raggiunse una delle orecchie, gridandovi dentro qualcosa, quasi come se gli stesse parlando. E la reazione dello scimmione fu scomposta: serrati i grossi pugni, li agitò nell’aria rabbiosamente ed emise delle grida che avrebbero potuto far concorrenza agli scoppi dei più potenti fulmini.

Mugambi comprese che Wamatsengal doveva essere stato informato del tentativo d’incursione nella sua grotta e, dalla sua reazione, non ne pareva affatto contento. Il congolese comprese che, quella volta, non ci sarebbe stato scampo, che tutti loro sarebbero stati puniti per quell’audacia. Ciò nonostante, non abbassò il capo con rassegnazione, ma continuò a tenere gli occhi fissi contro l’antico mago, senza badare alle ondate di paura che gli faceva provare la vista di quell’essere ributtante. E fu così, quindi, che la vide: dal collo del mostro pendeva una catena a cui era infissa una grossa pietra azzurra. La pietra magica! Forse non tutto era perduto. Ma come giungere fin lassù?

Quasi come se presagisse un possibile pericolo, Wamatsengal indicò Mugambi e gridò qualche cosa d’incomprensibile, comunque una specie di ordine, poiché alcune scimmie si gettarono subito contro il poveretto, cercando di strangolarlo. E la guida, in un ultimo tentativo di difesa, iniziò ad agitare calci e pugni, colpendo i propri avversari. Le scimmie, però, erano troppe e non sarebbe riuscito a resistere a lungo. Già una di quelle mani dai lunghi artigli gli si era stretta al collo, mozzandogli il respiro e facendogli vedere lampi di luce. Improvvisamente, però, un grido acuto e prolungato si levò nel mezzo della foresta e la presa sul collo di Mugambi si allentò. Tossendo per riprendere fiato, il congolese si volse per vedere che cosa stesse accadendo e per un momento credette di essere in un sogno.

Animali, decine di animali, si stavano riversando da ogni direzione contro le scimmie incantate ed il loro re: c’erano scimmie, decisamente libere, ma anche leoni, leopardi, giraffe, elefanti, coccodrilli, ippopotami, bufali, antilopi, gazzelle, pitoni… sembrava quasi che tutti gli animali della foresta e della savana, deposte le naturali inimicizie che, da sempre, li contraddistinguevano nella lotta per la sopravvivenza, si stessero riversando contro il mago malvagio in una coalizione fantastica.

I guerrieri della tribù, afferrati le donne ed i bambini, si scostarono ai margini della radura per non essere travolti e Mugambi li seguì, trascinando con sé anche Knight, ancora privo di conoscenza, per evitargli di essere calpestato da quella massa animalesca.

Incredulo, Mugambi raggiunse Wamkulu Koposa, sperando che egli potesse avere una spiegazione per quell’avvenimento inaspettato; ed il re, indicando un punto nel mezzo di quella carica degna delle migliori cavallerie, gridò, in preda all’entusiasmo: «Tumbili! Tumbili!»

Era vero. L’uomo selvatico era ritto sul dorso di un colossale rinoceronte, incitandolo ad andare alla carica. E, dopo che le scimmie incantate si furono disperse in ogni direzione per non essere maciullate, il rinoceronte continuò a correre ed andò a schiantarsi contro Wamatsengal, colpendolo al ventre con il suo formidabile corno. Con un balzo, Tumbili saltò sopra una spalla del mago, che gridava furente, incapace di vedere alcunché a causa di alcuni grifoni dal dorso bianco e di alcuni aironi che, volteggiandogli attorno alla testa, cercavano di colpirgli gli occhi con i loro lunghi becchi per accecarlo. Afferrato un coltello di pietra, Tumbili scivolò sul petto della bestia e glielo conficcò nel cuore. Ma la lama non era abbastanza lunga per riuscire a penetrare tanto in profondità ed il grosso scimmione continuò ad agitarsi come prima, emettendo delle grida disumane.

Gli animali, intanto, messe in fuga le scimmie incantate, stavano andando alla carica delle scimmie giganti, le quali furono sopraffatte facilmente dalla schiacciante superiorità numerica degli avversari; ogni difesa, ormai, sembrava vana, ma all’improvviso, dalla grotta, emerse Matisikana, la quale si gettò in difesa dei suoi discendenti. Tuttavia, i più robusti felini le saltarono immediatamente al collo, mordendola atrocemente, ed un elefante, con un calcio possente, la gettò a rotolare sulle rocce acuminate di cui era disseminato il terreno.

Tumbili, però, era in difficoltà. Wamatsengal, riuscito a liberarsi con un pugno degli uccelli che tentavano di accecarlo, lo aveva afferrato in una delle sue immense mani e lo stava lentamente stritolando; in suo soccorso, allora, i guerrieri della foresta iniziarono a bersagliare di pietre il mago.

Mugambi, invece, deposto in terra Knight, gli tolse dalla fondina la rivoltella e, dalla tasca della giacca, i sei proiettili che gli rimanevano. Ricarica l’arma, corse in direzione del mostro, risoluto a mettere fine una volta per sempre alle sue magie. Con un balzo, superò una scimmia gigante che gli si era avventata contro, lasciando che di lei si occupasse un bufalo africano, che la incornò dopo una spettacolare carica, poi superò di slancio i guerrieri e si approssimò allo scimmione che, sotto i colpi dei nemici, cominciava a perdere sangue da numerose ferite, senza però lasciare andare Tumbili, il quale stava divenendo paonazzo.

Arrampicatosi lungo il ventre sconquassato dal rinoceronte ed il petto del mostro, Mugambi raggiunse la pietra magica e, reggendosi ai ciuffi di pelo di Wamatsengal con la mano sinistra, la mirò tenendo ben salda la pistola con la destra. Dopo un solo secondo, premette il grilletto.

Il proiettile sembrò penetrare al rallentatore nel gioiello, che andò in frantumi. Nel momento stesso in cui il mago iniziava a stringere più forte per maciullare Tumbili, le sue sembianze mutarono ed egli, con una rapidissima metamorfosi, divenne un uomo, un uomo decrepito ed incredibilmente vecchio.

Tumbili e Mugambi rotolarono in terra, contusi ma salvi. Le scimmie giganti scomparvero all’improvviso, come se non fossero mai esistite e, in tutta la foresta, i primati, gli scimpanzé, le bertucce, i gorilla, tutte le scimmie, insomma, furono finalmente liberate dall’incantesimo che, tanto a lungo, le aveva tenute prigioniere. Anche Matisikana riassunse le proprie sembianze umane ma, per le ferite riportate, morì immediatamente, divenendo preda delle iene e degli altri animali spazzini che, poi, si dileguarono subito, insieme a tutti gli altri che avevano preso parte alla carica, ritornando ognuno verso le proprie aree.

Mugambi e Tumbili si rialzarono, ma non fecero in tempo a dire una parola che grida festose si levarono da ogni parte: erano i guerrieri, le donne ed i bambini, che festeggiavano la fine della magia che, troppo a lungo, avevano dovuto contrastare. Wamkulu Koposa, dopo aver inviato nella grotta alcuni uomini per recuperare i loro compagni caduti e sincerarsi che, magari, alcuni non fossero solamente feriti, raggiunse Tumbili e lo abbracciò fraternamente, senza dire nulla, poiché furono sufficienti le lacrime di entrambi a sostituire qualsiasi frase.

Mugambi, invece, corse da Knight che, risvegliatosi, aveva assistito alle ultime fasi del combattimento ed ora si guardava attorno con aria imbronciata.

«Non crucciarti per non aver potuto prendere allo scontro» lo consolò il congolese. «Hai comunque fatto la tua parte, dando inizio alla spedizione.»

«Non è per questo» borbottò il poliziotto, gettando occhiate in tralice in ogni direzione. «Il fatto è che non vedo né Smith né Fournier da nessuna parte.»

 

   
 
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