Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Milly_Sunshine    29/03/2023    0 recensioni
Non importa se siamo bambini, adolescenti, adulti, persone tranquille oppure tormentate, angeli della morte, aspiranti killer, creazioni di laboratorio, animali domestici, fenomeni atmosferici o addirittura automobili: abbiamo il sacrosanto diritto di vedere le cose dalla nostra prospettiva e di narrare la nostra storia. /// Una raccolta disomogenea di racconti scritti a vent'anni e dintorni (o anche poco venti e molto dintorni), alcuni pubblicati nella loro forma originale, altri a seguito di una piccola revisione. La maggior parte risalgono all'epoca dei forum, qualcuno ha partecipato a contest di scrittura sul forum Scrittori della Notte o su altri forum simili. I rating variano dal verde all'arancione e la maggior parte dei racconti hanno lunghezza da one-shot, alcuni tuttavia secondo EFP sarebbero da considerarsi flashfic.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
MOSTRI IN LABORATORIO

C’è chi dice che abbiamo ricordi soltanto a partire dal momento in cui vediamo per la prima volta la luce. Forse è davvero così. In attesa di essere forte abbastanza per distruggere l’involucro che mi imprigionava, mi sembrava che qualcosa filtrasse. Era la luce, ma ancora non lo sapevo. Nessuno me l’aveva spiegato, ma non ero da solo. Ce n’erano tanti altri come me, racchiusi in involucri chiari, nascosti tra la vegetazione, perché qualche predatore non ci trasformasse in un lauto pasto.
Poi tutto cambiò. Un giorno spezzai l’involucro. Non fui il solo: mi guardai intorno spaesato e vidi tanti altri come me, che spezzavano quelle cose tondeggianti che, mia madre mi avrebbe raccontato, si chiamavano uova.
La luce era forte, ma a poco a poco mi ci abituai. La voce di mia madre era confortante... o almeno lo fu finché non iniziò a raccontare strane storie a me e ai miei fratelli. Non erano storie molto rassicuranti, parlavano tutte di mostri: animali strani, enormi e senza coda, che stavano in piedi sulle loro zampe posteriori e che comunicavano con una voce strana. Erano mostri terribili che, se ci trovavano nei loro giardini, ci scacciavano oppure ci facevano del male.
Io avevo paura, anche se sapevo, dentro di me, che i mostri non esistevano.
Una volta glielo dissi.
«I mostri non ci sono.»
«Lo pensi perché non ne hai mai incontrato uno» ribatté mia madre, «E ti auguro di non incontrarlo mai.»
Per un attimo mi sentii rassicurato: dentro di me ero sicuro che non mi sarei mai ritrovato davanti chi non esisteva.
Vivevamo ancora tra la fitta vegetazione, dove l’unico pericolo erano i predatori che non riuscivano a entrare nelle nostre tane. Mia madre se la cavava bene, a costruire tane.
Un giorno le chiesi, timidamente, se anche i mostri avessero delle tane. Lei mi raccontò che le loro dimore erano fatte di mattoni e a volte erano tanto alte da arrivare fino al cielo.
«Non è vero» la accusai, «Dici che i mostri esistono, ma in realtà non esistono.»
Invece non andò così: un giorno i mostri mi rapirono e mi portarono via dal mio bosco, dalla mia famiglia... e da tutto il resto.
Venni infilato in uno strano contenitore, che non somigliava per niente all’uovo che mi aveva intrappolato prima che fossi grande abbastanza per uscirne. Nel mio vecchio involucro potevo vedere un po’ di luce, mentre da quella scatola non vedevo niente. E poi si soffocava.

Quando tornai a vedere ero infilato dentro qualcosa di trasparente. Non potevo uscire, ma potevo vedere la luce. Eravamo dentro un’altra scatola, che ai lati e in alto era bianca. La luce veniva dall’alto: non era quella del sole, ma era originata da una palla bianca attaccata alla parte più alta della scatola. Forse non eravamo davvero in una scatola: doveva essere una delle strane costruzioni che i mostri realizzavano.
“No” mi dissi, “I mostri non esistono.”
Fu a quel punto che ne vidi due: erano proprio come li descriveva mia madre, enormi, in piedi sulle zampe posteriori, con uno sguardo crudele.
«Lasciatemi andare via» li pregai. «Voglio tornare nel mio bosco, dalla mia mamma e dai miei fratelli.»
Non lo fecero. Forse non mi capirono: ero sicuro che non conoscessero la mia lingua. Io imparai in fretta la loro e, nel tempo che passai in quella scatola, che in realtà loro chiamavano laboratorio, scoprii che erano un mostro maschio e un mostro femmina. Non avevo idea di quale fosse il loro scopo, ma parlavano sempre di scoperte scientifiche. Io non sapevo che cosa fossero, ma avevo l’impressione che riguardassero me.
Scoprii che non mi sbagliavo. Dopo giorni e giorni intrappolato dentro strani contenitori, nutrito dal loro cibo, che non era buono quanto quello che si trovava nel bosco, mi presentarono davanti qualcosa che aveva un odore strano.
Ero un po’ riluttante. Forse avrei fatto meglio a non mangiarlo, anche se avevo fame.
Il mostro femmina non ne fu molto soddisfatto. La sentii protestare con il suo compagno: «Secondo me dovremmo cambiare lucertola. Quell’obbrobrio non ci farà mai vincere un Nobel.»
Il mostro maschio rise di gusto.
«Dipende tutto da come andranno le cose. Abbiamo formulato una teoria sensazionale...»
«Ma non abbiamo ancora verificato» gli ricordò il mostro femmina, «Che la teoria sia riscontrabile anche nella pratica.»
«Lo verificheremo» la rassicurò il mostro maschio. «Quell’obbrobrio di lucertola si deciderà a mangiare, se non gli daremo null’altro. Se anche le nostre scoperte non saranno riconosciute dalla scienza accademica, senza ombra di dubbio i nostri mangimi potenziati ci faranno fruttare un sacco di soldi. Quanti allevatori vorranno utilizzarli per i loro animali? Cresceranno più del dovuto e costeranno di più, inoltre potranno chiedere anche un’extra: non è cosa da tutti giorni avere animali così grandi. E poi quell’obbrobrio non è una lucertola.»
«Lo sembra.»
«Le lucertole non vivono nell’acqua.»
Nemmeno io vivevo nell’acqua, anche se mia madre ogni tanto mi aveva portato a fare una nuotata. Diceva che potevamo stare sia dentro sia fuori. A me, però, il bagnato non piaceva. Preferivo le foglie, i rami secchi e la nostra tana buia.
«Non è rilevante dove viva questo obbrobrio» precisò, a quel punto, il mostro femmina. «Quello che conta è che il nostro mangime faccia effetto.»
Io decisi che non me ne sarei nutrito, qualunque cosa fosse. Pensavo di avere una forte capacità di resistenza, ma realizzai che non ce l’avevo: proprio come il mostro femmina, che non faceva che lamentarsi del fatto che il suo peso aumentasse perché non riusciva a contenersi davanti al cibo, anch’io finii per avventarmi su quell’alimento dallo strano odore.
L’odore era insolito, ma il sapore era molto buono. Mia madre avrebbe storto il naso, proprio come il mostro femmina diceva di storcere il naso quando i suoi figli preferivano ingozzarsi di confezioni di uno strano cibo per mostri chiamato patatine alla paprika piuttosto che di un altro strano cibo per mostri chiamato arrosto di manzo.
Mangiai cibo che a mia madre non sarebbe piaciuto per tanto tempo, forse troppo a lungo. Il mostro maschio e il mostro femmina mi mettevano giorno dopo giorno dentro scatole più grandi, perché crescevo a vista d’occhio.
Poi una notte mi lasciarono una porzione extra di cibo. Convinto di non avere più nulla da perdere, lo divorai con foga.

Frammenti del contenitore in cui ero tenuto prigioniero furono scagliati dalla sua rottura sulle quattro pareti che avevo intorno. Il mangime transgenico, ingerito in quantità industriale, aveva avuto un effetto che andava oltre le previsioni.
Ero enorme, al punto tale che rischiavo di rovesciare ogni cosa contro la quale sbattessi.
Probabilmente attirato dal rumore, sopraggiunse il custode dello stabile in cui si trovava il laboratorio. Era anche lui un mostro, che ogni tanto veniva a informarsi su come procedesse il lavoro dei due mostri che avevano distrutto la mia vita.
Lo sentii urlare. Chiamava qualcuno a gran voce. Io lo guardai senza capire.
“Cosa sta succedendo?” avrei voluto chiedergli. “Tu stesso sapevi come sarebbe andata a finire.”
Fu in quel momento che realizzai che forse qualcosa era andato storto.
Una gran folla si radunò nel giro di pochi istanti. Mi ritrovai davanti un intero esercito di mostri. Uno di loro gridò, indicandomi: «Cos’è quel mostro?»
Rimasi spiazzato. Non potevo essere un mostro. I mostri erano loro: erano tutti come mia madre me li aveva descritti. Non c’era null’altro da fare, se non fuggire darmi alla macchia. Non ero sicuro, però, di dove avrei potuto nascondermi.
Mi avviai verso la porta, affrontando con coraggio i mostri che mi si paravano davanti. Furono loro a correre via, mentre cercavo di non rimanere incastrato tra i due stipiti. Li guardai mentre si allontanavano in gran fretta e, per la prima volta da quando avevo iniziato ad avere a che fare con loro, mi accorsi che mi apparivano incredibilmente piccoli e spaventati.
Sorrisi tra me e me, pensando a quella strana inversione di ruoli: i mostri mi vedevano come un mostro e avevano paura di me.
Ricordai, però, gli avvertimenti di mia madre: i mostri, alla cui specie appartenevano quelli che mi avevano catturato e trasformato nella loro cavia da laboratorio e sottoposto a un ingegnoso processo scientifico all’avanguardia, quando erano spaventati diventavano ancora più pericolosi. Mi aveva raccontato che possedevano strani oggetti chiamati armi, con i quali potevano togliere la vita alle creature innocenti come noi.
Dovevo affrettarmi, se volevo trovare la strada con cui tornare a casa... anche se, sospettavo fortemente, anche mia madre mi avrebbe visto come un mostro. Per un attimo mi chiesi se non fosse meglio rimanere lì e permettere ai veri mostri di eliminarmi. Solo quando sentii le urla placarsi cominciai a correre più in fretta che potevo, nella notte rischiarata da strane luci che non somigliavano a quella del sole, ma sorgevano in cima a dei pali posizionati ai lati della strada.

Trovai un luogo in cui nascondermi. Mi ero allontanato dalle strade, mi ero allontanato da tutto e da tutti, proprio mentre il cielo a oriente cominciava a colorarsi di rosso.
Guardai il lago che mi ritrovavo davanti e compresi che, con tutta probabilità, era una buona soluzione: potevo vivere anche nell’acqua e avrebbe potuto nascondere meglio le mie strane forme, proteggendomi dallo sguardo dei mostri.
Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse individuarmi. Ai mostri, a quanto sembrava, piaceva occuparsi di quelli come me. Facevamo notizia, perciò i mostri si piazzavano in prima linea, con strani strumenti che emanavano flash. Mia madre mi aveva raccontato, quando ancora non ero stato separato da lei, che usavano quegli aggeggi per produrre ritratti. Che cosa facessero con quei ritratti, era un mistero. Considerando che si trattava di mostri, era probabile che li usassero per qualche scopo non troppo rispettabile.
Protetto dalle acque incontaminate del lago, comunque, finii per sentirmi libero. I mostri mi guardavano, ma non facevano nulla per avvicinarsi a me. Questo era un passo avanti che non si poteva sottovalutare. Mi rendeva felice. Più erano lontani e meno si sarebbero rivelati dannosi.
Poi accadde l’inevitabile. Finii addirittura per essere io ad avvicinarmi ai mostri. Ce n’erano due piuttosto piccoli, che si erano allontanati dagli adulti che li avevano accompagnati. Sebbene fossero mostri, e in quanto tali fossero brutti come la fame, avevano comunque un’aria simpatica. Chissà, magari avremmo addirittura potuto fare amicizia.
Mi spinsi verso la riva e li guardai. Cercai di mostrare loro quello che somigliava a un sorriso, senza avere la più pallida idea di come fare.
Per un attimo pensai che non fossero davvero pericolosi. Poi gettarono tra le acque fino a quel momento incontaminate del lago due lattine rosse e un involucro di quello strano cibo per umani chiamato patatine alla paprika.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Milly_Sunshine