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Autore: Puffardella    29/03/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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WILLIGIS
La prima cosa che aveva fatto Willigis quando era uscito dal fortino, era stata recarsi alla taverna di Trimontium per parlare con Allan, il locandiere, e saperne di più sulla donna della quale gli era stato chiesto di occuparsi e su tutte le strane vicende che le ruotavano intorno.
Allan aveva saputo dirgli poco altro rispetto a quello che sapeva già.
Per qualche strana ragione, la donna non aveva mai voluto sposarsi né dichiarare chi fosse il padre dei suoi due gemelli, di cui uno era accusato di essere il Portatore del Segno - un’antica maledizione druidica - per via dei suoi capelli neri come la pece e la carnagione olivastra.
A Willigis era subito venuto in mente il ragazzino incontrato poche ore prima e la strana sensazione che aveva provato nell’esaminarlo, come se lo conoscesse già.
Non sapeva ancora quale fosse la relazione che legava insieme tutti quegli elementi, ma era determinato a scoprirlo.
Era quindi tornato all’accampamento, ormai quasi completamente smantellato, e aveva avvisato i suoi uomini che la partenza era rimandata di qualche ora, forse di qualche giorno.
Sua moglie Isabel aveva accolto la notizia con sollievo. L’idea di lasciare la Britannia l’atterriva e lui sapeva che era a causa di Chrigel. Quella stupida donna continuava ancora a sperare che tra loro due le cose si sarebbero potute risolvere, in qualche modo, e questo era stato uno dei motivi per cui aveva smesso di amarla.
In realtà, il suo cuore inaridito aveva smesso da tempo di provare sentimenti non solo per sua moglie ma per tutte le donne in generale, fatta eccezione di sua figlia Ailisa, già forte e coraggiosa come solo una donna germanica sapeva essere, nonostante fosse poco più di una bambina.
A differenza della madre, Ailisa era rimasta delusa dalla notizia del ritardo della partenza. Lei, come lui e la maggior parte dei suoi uomini, si era stancata della situazione di staticità in cui da anni vivevano. Aveva voglia di muoversi, esplorare nuove terre, vivere eccitanti avventure, e Willigis desiderava accontentarla.
Ecco perché quella mattina si era svegliato all’alba, determinato a recarsi dalla donna che viveva tra i boschi per interrogarla e venire al più presto a capo di tutta quella misteriosa faccenda.
Quella notte c’era stato un violento temporale, poi sostituito da una leggera pioggerella. Tutta quell’acqua aveva reso il terreno tra i boschi scivoloso e aveva costretto lui e i suoi uomini a procedere con cautela.
Arrivati al capanno, Willigis smontò da cavallo. Mentre ordinava ai suoi uomini di restare fuori e fare la guardia, una donna si affacciò preoccupata sulla soglia. Willigis l’afferrò per un braccio e la spinse rudemente dentro la capanna, per poi richiudersi la porta alle spalle.
Una volta entrato, si guardò intorno e studiò l’ambiente, per controllare eventuali nascondigli nei quali avrebbero potuto trovare riparo persone che non desideravano essere scoperte.
La stanza era semplice, arredata in maniera spartana con un tavolo, tre sedie, due pagliericci addossati al muro e, nel centro, un braciere sopra il quale, su una struttura in ferro, era agganciata una marmitta. Ad una parete erano appesi un paio di pentolini più piccoli e varie stoviglie destinate a diversi usi. Alcune mensole, sopra le quali erano disposti uno vicino all’altro vasetti di terracotta e sacchetti di pelle, completavano l’arredamento.
I figli non c’erano, probabilmente erano al fortino a lavorare. “Meglio così”, si disse, “meno seccature alle quali pensare”.
«Lo sai chi sono?» chiese alla donna mentre finiva di ispezionare l’ambiente.
«Tutti sanno chi sei…» rispose lei titubante, massaggiandosi il braccio.
Willigis si avvicinò alla parete con le mensole. Da una di esse prelevò un vasetto di terracotta. Lo scoprì e ne annusò il contenuto: un’erba seccata e triturata, che lui non era in grado di riconoscere. Tuttavia, dallo sguardo nervoso della donna, intuì che il contenuto le fosse prezioso.
«E allora dimmelo» la spronò, con voce calma ma autoritaria.
La Britanna si morse le labbra, esitando. «Sei il Germano…» rispose dopo qualche secondo.
«Risposta sbagliata» disse Willigis gettando il vasetto a terra, che andò in frantumi spargendo l’erba sul pavimento di sassi. «Riprova» la esortò quindi afferrando un nuovo contenitore.
«Per favore, non gettarla a terra… Le erbe in questi contenitori sono rare, molte di esse fioriscono solo ogni tre o quattro anni, ci ho messo anni per riuscire a raccoglierne quel tanto da ricavarne appena un pugno. Sono erbe medicinali importanti…» lo implorò lei.
Willigis indurì lo sguardo. «E allora rispondi e cerca di farlo correttamente, stavolta!»
«Sei conosciuto in tanti modi, come faccio a sapere come vuoi che ti chiami?»
«Non ti ho chiesto se sai come mi chiamo, ma se sai chi sono. La capisci la differenza, Britanna?» disse lui, ora visibilmente spazientito.
Lei annuì debolmente. «Sei il cugino del Re Orso» rispose quindi.
Willigis annuì soddisfatto. «Molto bene. E sai anche cosa mi porta qui da te?» chiese ancora.
«No, non ne ho idea…»
«Vedi, circolano strane storie sul conto tuo e dei tuoi figli, storie che parlano di druidi vendicativi e lupi solitari che, secondo la gente, si aggirerebbero per questi boschi. Tu ne sai niente?»
«Sono solo un mucchio di stupidaggini, non c’è altro da sapere…»
«No, queste non sono stupidaggini. Quello che ci hanno creato intorno, quella è una stupidaggine, ma il vecchio e il lupo esistono e tu ora mi dirai dove si nascondono» la intimò.
«Io non so di cosa tu stia parlando, non ho mai visto né vecchi né lupi in queste foreste…»
Willigis non la fece finire di parlare. Sollevò il vasetto in alto e lo scaraventò nuovamente a terra, con forza. Ne prese un terzo e la minacciò, dicendo: «Prova di nuovo a deludermi e il prossimo vaso te lo rompo sulla faccia.»
«Io non so davvero di cosa tu stia parlando… Dicono che si aggiri uno spirito tra questi boschi, ma io non l’ho mai visto…»
«Parlami del druido uomo, donna, è di lui che voglio sapere, non di un fottuto spirito!»
La donna trattenne il fiato, visibilmente scossa. «Un druido?» chiese, con un filo di voce.
A Willigis non sfuggì la sua reazione. «Un druido caledone» precisò avvicinandosi. «Lascia che ti spieghi. Mio cugino, come saprai, ha sposato una troia caledone. Intorno alla regina gravitano sempre due figure: il druido e il lupo. Ho conosciuto lo stregone tanti anni fa e ti assicuro che le stava sempre incollato al culo e, da quanto mi hanno riferito, anche il lupo non si stacca mai da lei. Eppure entrambi hanno deciso di lasciarla per trasferirsi da queste parti, ed io voglio scoprire perché.» Socchiuse gli occhi e, dopo averla penetrata con lo sguardo, proseguì dicendo: «Te lo leggo negli occhi che sai di cosa sto parlando, perciò non farmi perdere altro tempo e dimmi dove si nascondono.»
«Io non lo so, te lo giuro sulla Dea Madre…» rispose debolmente lei scuotendo leggermente il capo, mentre una lacrima le scivolava silenziosa sulla guancia.
Willigis sentì la collera montargli nell’animo. Stava per colpirla, quando un trambusto proveniente dall’esterno lo distrasse. Pochi attimi dopo, la porta si spalancò e i suoi uomini fecero irruzione nel capanno, ciascuno tenendo per la collottola un ragazzino.
L’attenzione di Willigis si focalizzò immediatamente su uno dei due, quello con i capelli neri, che lo guardava con la stessa espressione indignata del giorno prima.
«Questi due leprotti vogliono sapere cosa ci facciamo qui» disse uno dei due guerrieri, ghignando divertito.
Willigis si avvicinò lentamente al ragazzo dai capelli corvini e lo esaminò con attenzione, ruotandogli intorno.
«Tu mi ricordi qualcuno che conosco…» disse, fermandosi infine di fronte a lui e curvandosi leggermente per poterlo guardare in faccia. Dopo un po’ gettò una veloce occhiata sull’altro ragazzino, che aveva stampata in faccia un’espressione grave, come uno che si apprestava a morire.
«Gemelli, mi hanno detto… Beh, di gemelli diversi ne ho visti parecchi ma questi qui sembrano usciti da due grembi diversi. Sono davvero entrambi figli tuoi?» chiese alla Britanna con sarcasmo.
«Certo che lo sono!» rispose lei con più impeto di quanto non fosse necessario.
«Se lo dici tu…» rispose Willigis, tornando a fissare il ragazzino dai capelli neri con crescente interesse, mentre l’altro, il castano, continuava a dondolarsi avanti e indietro, piangendo ed emettendo strani lamenti.
«Perciò…» continuò afferrando il moro per il collo e strappandolo dalle mani del guerriero germanico «… se adesso io te ne uccidessi uno a caso, per te non farebbe alcuna differenza, soffriresti nello stesso modo» minacciò, allo scopo di estorcerle quanto voleva sentirsi dire.
«Ti prego, no!» gridò la donna gettandoglisi contro. Tuttavia, il guerriero che fino ad un attimo prima stringeva il ragazzino moro, la fermò prima che lo raggiungesse. La colpì con un pugno così potente da scaraventarla a terra, facendole impattare il cranio sopra un grosso frammento di terracotta.
Il ragazzino dai capelli castani si coprì il volto con le mani gemendo disperato, mentre l’altro, quello che Willigis teneva per il collo, prese a urlare come un forsennato.
«Ma che cazzo fai, razza di idiota?» sbraitò Willigis contro il suo uomo, mollando la presa sul ragazzino e dirigendosi con ampie falcate verso la donna, che giaceva a terra esanime mentre una pozza di sangue scuro e denso le fuoriusciva dalla testa e si allargava velocemente sul pavimento. La donna smise di respirare un attimo dopo e Willigis imprecò a denti stretti, sollevando uno sguardo astioso sul guerriero germanico.
«Per questo ti avevo ordinato di restare fuori, razza di imbecille!» lo rimproverò, le narici dilatate e le vene del collo indurite. A quel punto, il ragazzino dai capelli neri, intuendo che la madre fosse morta, emise un urlo rabbioso e, cogliendo tutti di sorpresa, estrasse un pugnale dalla cintola e si gettò sul guerriero, gli saltò sulla schiena e iniziò a colpirlo al collo, digrignando i denti e schiumando dalla rabbia.
Willigis intervenne tempestivamente. Si precipitò alle spalle del ragazzino e lo afferrò ad un polso. Mentre il guerriero crollava a terra producendo un tonfo sordo, lui gli strappò il pugnale dalla mano e fissò incredulo l’arma. Una violenta emozione lo investì in tutto il suo essere. Quando si fu ripreso dallo sbalordimento, costrinse il ragazzino a voltarsi, lo afferrò per il bavero della casacca e gli chiese: «Dove lo hai preso?»
Il ragazzino si limitò a guardarlo con indicibile astio. Piangeva a dirotto, non sembrava in condizioni di rispondergli. Tuttavia Willigis tornò a ripetergli, sollevandolo dal suolo per guardarlo dritto negli occhi: «Ho detto: dove lo hai preso?»
«È mio!» gridò infine quello con quanto più fiato aveva in corpo, sbracciandosi nel tentativo di riappropriarsene.
«No, non è vero, non ti appartiene» rispose Willigis spingendolo a terra. «Perciò ora tu mi dirai dove lo hai preso» gli intimò nuovamente. Il ragazzino, tuttavia, lo ignorò. Strisciò ai piedi della madre, se la prese tra le braccia e iniziò a piangere più forte.
«È morto, Willigis…» gli riferì a quel punto l’altro guerriero, che nel frattempo si era inginocchiato vicino al compagno per valutare la gravità delle ferite.
Willigis strinse forte il pugnale e se lo portò alla fronte. Un sentimento indefinibile gli scese nel cuore, stravolgendolo intimamente.
Tornò a guardare il ragazzino e, all’improvviso, un pensiero assurdo quanto insistente si piantò nella sua mente. Era sicuro di non averlo mai incontrato prima in vita sua, ma i suoi occhi, verdi ed espressivi, li aveva già visti addosso a qualcun altro, ne era più che certo.
«E ora, che facciamo?» gli chiese il guerriero.
«I ragazzi vengono via con noi. Da’ fuoco alla capanna» dispose.
«E Sigmund?»
Willigis aggrottò le sopracciglia e gli lanciò un’occhiataccia.
«Cosa vuoi che me ne importi di quello stupido animale? Se non lo avesse ucciso il ragazzo lo avrei fatto io. Che bruci insieme a tutto il resto, è la fine che si merita.»
Dopo un attimo di esitazione, il guerriero gli fece un’ultima domanda: «Hai trovato quello che cercavi?»
Willigis sfiorò con il pollice uno dei simboli incisi sul manico in osso del pugnale, la runa Mannaz, e tornò ad interessarsi al ragazzino dai capelli neri, che teneva la fronte schiacciata su quella della madre e continuava a piangerla disperato.
«No» rispose. «Ho trovato di meglio.»

 
   
 
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