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Autore: _Lightning_    29/03/2023    1 recensioni
«Non è lontano» lo rassicura.
Din non risponde, osservando le ombre che si fanno più dense attorno a loro con ogni passo. Ruusaan ha il visore dell’elmo a renderle meno spaventose, mentre Din fa schizzare qua e là le pupille, con la mano vicina al fodero della vibrolama.
Normalmente, una madre prenderebbe un bambino di undici anni per mano e lo guiderebbe nell’oscurità. Ma lei non è più una vera madre e Din non è più un bambino: sono entrambi Mandaloriani ed entrambi guerrieri. Sa che Din non le perdonerebbe un gesto simile, non più.
Così continua a guidarlo verso la Forgia, dove lo aspetta, forse, la promessa di una nuova casa.

[pre-The Mandalorian // Kid!Din // Kid!Paz // spin-off di "Vode An" // Missing moments]
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Din Djarin, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V

“Ni ceta”

A Din questa
 

Ruu se n’è andata.

Ieri gli ha dato un bacio di Keldabe, posando il beskar dell’elmo contro la sua fronte, ha promesso che sarebbe tornata e se n’è andata.

Lui non è riuscito a dire una sola parola. Ha solo annuito più volte, senza capire davvero ciò che gli stava dicendo. Poi l’ha vista salire le scale d’uscita e sparire oltre la soglia, nella luce stinta del crepuscolo di Nevarro. Din le ha voltato subito spalle per non guardarla troppo a lungo e rischiare di ricordarsi quel momento, come ricorda ogni istante di quello in cui i suoi genitori l’hanno messo al sicuro in uno scantinato prima di chiudere le porte – in alto, irraggiungibili.

Non ha dormito, quella notte, per paura di tornare là sotto nei suoi sogni. Ha fissato il muro della sua nicchia per ore, stringendo il ciondolo in beskar come non faceva da anni, poi è sgusciato giù dalla branda prima che il sole sorgesse.

È contento che Paz gli abbia mostrato ogni nicchia e anfratto del Rifugio, perché così è riuscito a evitare gli altri Mandaloriani della Tribù per l’intera giornata, semplicemente cambiando strada nel sentire dei passi o voci in avvicinamento. Basta acquattarsi contro il muro in una zona d’ombra per diventare del tutto invisibile.

Tiene la testa e il corpo impegnati in quel gioco di nascondino che non ha nulla di divertente. Non può continuare per sempre, né può scappare da lì. Ruu tornerà, prima o poi. Gliel’ha promesso e lui le ha promesso di aspettarla, anche se adesso sente di odiarla più di chiunque altro al mondo – quasi più di Azi. 

Per ora, però, giocare a nascondino da solo basta per tenerlo impegnato. Sa che l’Armaiola lo sta cercando, probabilmente, ma non gli importa. Continua a girovagare per i tunnel, iniziando a imboccarne alcuni che non ricorda di aver percorso con Paz, né con Ruu. Meglio. Vuol dire che si sta allontanando dal cuore del Rifugio e che quella zona non è molto frequentata. Inizia anche a fare più caldo.

Dopo qualche altro minuto, intravede la fine del tunnel e quello che sembra un fiume rosso. Man mano che si avvicina, il calore diventa sempre più intenso e, quando arriva a pochi passi, non riesce a capire cosa sta guardando.

È un fiume che scorre in un tunnel di roccia, ma non è fatto d’acqua: sembra quasi solido e scorre un millimetro alla volta, sfociando all’esterno nelle pianure grigie di Nevarro. Sulla superficie arancione e chiazzata di nero scoppiano bolle dense che mandano schizzi incandescenti fin laggiù.

Un fiume di fuoco.

Din se ne sente attratto, anche se il calore gli brucia quasi la pelle già da quella distanza. Si guarda intorno, in cerca di qualcosa da gettarvi dentro, per il puro gusto di vedere cosa succede. Non trova nulla sul pavimento spoglio del Rifugio e le rocce del tunnel sono troppo calde.

A corto di altre idee, si avvicina più che può alla riva, si sporge in avanti e sputa al centro del fiume, balzando subito all’indietro per sicurezza. Per una manciata di secondi non succede nulla, poi la superficie gommosa del fiume ribolle e sfrigola in quel punto e scaglia in aria uno zampillo più forte degli altri.

Din trattiene un sorrisetto divertito. Sta giusto pensando che ha trovato il passatempo giusto per il resto della giornata, quando sente una voce alle sue spalle:

«Ehi! Ti ho cercato dappertutto.»

Din si volta e si incupisce un po’ quando inquadra la sagoma di Paz nel cunicolo alle sue spalle. Stringe qualcosa tra le mani.

«Che ci fai qui?» chiede Paz, sbucando nel corridoio naturale.

Din scocca uno sguardo al fiume di fuoco e medita se dirgli della sua scoperta, ma torna a guardare l’altro con un’alzata di spalle.

«Niente.»

«Non è molto sicuro per te, qui» commenta Paz, facendogli quasi alzare gli occhi al cielo, ma lo sorprende con le successive parole: «Soprattutto senza questo.»

Paz gli porge ciò che stringe tra le mani e Din si rende conto solo ora che è un elmo con visore a T. Sembra in durasteel e la vernice rossiccia è scrostata in più punti. Due piccoli triangoli blu rivolti verso l’alto lo decorano sulla fronte, dove termina la fascia centrale che la attraversa dal visore alla nuca.

Din sente il cuore che comincia ad aumentare i battiti in un misto di emozione e paura. È per lui? Cosa ha fatto per meritarselo? Scocca un’occhiata improvvisamente ostile Paz, con un nuovo sospetto che gli striscia in testa.

Cosa deve fare per meritarselo?

Per guadagnarsi il diritto di essere chiamato "Mandaloriano" ha dovuto superare una prova di sangue. Azi gli ha detto che per guadagnarsi il beskar ce ne sarebbe stata un’altra, ma pensava avrebbe avuto almeno un altro anno per prepararsi.

Non sa se quella di Paz sia una sfida o solo uno scherzo di cattivo gusto. È stato gentile e gli ha offerto anche quella torta uj buonissima che gli ha fatto brontolare lo stomaco per tutta la notte al solo pensiero di mangiarne ancora, ma non lo conosce davvero.

Per quanto ne sa, quella è una sfida a duello per conquistare l’elmo.

«Non lo prendi?» lo esorta invece Paz, sollevando appena l’elmo e facendo un piccolo sbuffo. «C’era solo questo colore, non fare lo schizzinoso.»

Din vorrebbe prenderlo, ma la voce di Azi lo frena, severa: non sei ancora degno del blu. Non può dirlo a Paz senza rischiare di risultare debole, inadeguato.

«Non voglio metterlo» risponde invece, calcando quelle parole.

Paz abbassa le mani, lasciando ricadere l’elmo contro la tunica.

«Questa è la Via» ribatte, suonando però incerto.

Din non ha idea di cosa voglia dire e rimane in silenzio. Conosce la Via, gliene ha parlato Ruu, e non vuol dire certo mettersi in testa un elmo non suo.

L’altro sembra spiazzato e, dopo qualche altro secondo di esitazione, incastra l’elmo tra braccio e fianco, alzando le spalle.

«La... prossima volta, allora» dice prima di voltargli la schiena, chiaramente a corto di parole e, gli sembra, con un po’ di irritazione.

Din non ha idea di come dovrebbe rispondere, né vuole chiedere cosa kriff significhi tutta quella recita. Se vuole sfidarlo per metterlo alla prova come Mandaloriano, perché non lo fa e basta? Decide di chiedere solo una cosa, tra le tante che gli ronzano in testa:

«Tu da quanto porti l’elmo?»

Paz si volta a guardarlo un po’ bruscamente e, dietro il visore, Din è certo che sia ancora più confuso.

«Da sempre. Sono nato nella Tribù.»

Din spalanca un poco gli occhi a quell’affermazione.

«Da sempre?»

Paz annuisce, piantandosi la mano libera dall’elmo sul fianco in un gesto che lo fa sembrare più adulto.

«Cioè, questo qua in beskar ce l’ho da poco... ma porto l’elmo da quando riesco a ricordare» si corregge poi, con un piccolo scatto laterale del capo.

Din lo scruta confuso, ragionando su quelle parole. Uno dei primissimi ricordi che ha – poco più di un’olofoto sbiadita nella sua memoria – è il tappeto che stava in salotto ad Aq Vetina, quello con le righe rosse e arancioni a zig-zag dove giocava per ore con modellini di astronavi e speeder. Non aveva più di tre anni, ne è sicuro, ed è la prima immagine che riesce a ricrearsi dietro gli occhi.

E a tre anni – nemmeno a quattro o cinque, se è per questo – non si può affrontare uno strill con una vibrolama e sopravvivere. Non si può combattere per conquistarsi l’elmo. Storce la bocca, scrutando con sospetto Paz. Gli sta mentendo, oppure...

«Vuol dire... che non hai combattuto per averlo?»

«Ma che stai dicendo? No.»

«Non sei un Mandaloriano, se non combatti per l’elmo.»

Sente Paz che sfiata dal naso, come trattenendo la rabbia, poi lo indica brusco con l’indice.

«Allora perché tu non ce l’hai ancora, nemmeno in durasteel? Quanti anni hai?»

«Undici» risponde Din, prima di poter pensare, e si corregge con una mezza bugia: «Quasi dodici. E anche se non ho ancora l’elmo, sono un Mandaloriano.»

Paz scoppia a ridere in modo così improvviso che Din si sente avvampare fino alla radice dei capelli. Il ragazzo fa un gesto con la mano, quasi a scacciare quelle parole.

«Non sei un Mandaloriano, se non porti l’elmo» gli fa il verso, quasi cantilenando.

«Sì, invece! Ho superato la prova.»

Din stringe i pugni e cerca di abbassare la voce, anche se la sente impennarsi. Gli sembra di sentir pulsare la schiena, nei punti in cui Kyr’ad l’ha graffiato quel giorno. È quasi sul punto di togliersi la tunica per mostrargli le tre cicatrici verticali e farlo tacere, ma Paz scuote la testa con fare incredulo.

«Eh? Che kriff stai dicendo? Il Mand’aab è un rito, non una "prova"» impreca Paz.

Qualcosa cambia, nella sua voce, che si fa più tagliente. Avanza di un passo e Din si impone di non indietreggiare, anche se adesso Paz sembra ancora più alto di lui. 

Esamina in fretta quella parola nuova, Mand’aab: "passo del Mandaloriano". Allora è così che si chiama, la prova d’iniziazione? Né Azi né Ruu gliel’hanno mai detto – e adesso li odia ancor di più, perché continua a fare la figura di quello che non sa mai nulla. Raddrizza le spalle e alza il mento, appuntando gli occhi oltre il visore del ragazzo.

«Ho superato il mio Mand’aab quando avevo otto anni. E adesso avrei anche un elmo, se fossi rimasto a combattere.»

Invece di scappare quaggiù con voi, non dice, almeno non a parole.

Paz lo fissa per un lungo momento, lasciando scivolare le mani dai fianchi. Din lo sente liberare un sospiro molto rumoroso, prima di parlare di nuovo:

«Hai giurato al Credo a otto anni?»

Quale Credo? quasi si lascia scappare Din, ma trattiene la domanda. Sente il cuore che accelera in modo quasi doloroso nel ripensare a quel giorno – se lo ricorda perfettamente, anche se non vorrebbe. Sente di nuovo Azi che gli tira i capelli sulla nuca per premergli la fronte contro la sua, e poi di nuovo quella frase sussurrata con voce gelida: la Ronda della Morte ti riconosce come figlio.

Era quello, il giuramento di cui parla Paz? Non ha tempo di rifletterci; non vuole rifletterci e ripensare a quel giorno che lo fa sentire debole, così caccia fuori la risposta di getto, come un colpo di blaster:

«Sì.»

Paz sbuffa dal naso, derisorio.

«Non hai un elmo, non vuoi seguire la Via, non hai nemmeno uno straccio di armatura e dici di aver giurato al Credo e superato la "prova" a otto anni. Più che un Mandaloriano, a me sembri solo un bugiardo.»

Din sente un crampo all’altezza del petto, dove è nascosto il ciondolo in beskar che gli ha dato Ruu. Gli sembra che uno zampillo di magma l’abbia colpito in pieno volto, ma è solo la rabbia che gli risale alle guance come fuoco.

Paz scuote un’ultima volta la testa e getta con stizza l’elmo in durasteel per terra, facendo per superarlo e andarsene. Din agisce in quell’istante. Si muove rapido, come ha imparato durante l’addestramento: fa un passo in avanti, uno di lato e dà una spallata a Paz con tutto il peso del proprio corpo, sbalzandolo via con forza.

«Kriff!»

Paz impreca, sorpreso e sbilanciato, ma Din non ha modo di costringerlo a terra che ha già riacquistato l’equilibrio e l’ha afferrato per le spalle della tunica. Lo solleva da terra con un verso di sforzo, per poi scagliarlo via.

Din non cade – mai cadere durante uno scontro, se cadi sei morto – mulina le braccia per mantenersi in piedi e si dà di nuovo la spinta per tornare all’attacco. Paz stavolta è pronto e lo accoglie con una ginocchiata. Din incassa il colpo – fa malissimo, si sente sul punto di vomitare – ma resiste, afferra il suo braccio, ruota su se stesso e tira verso il basso.

Paz è più alto e pesante, ma ha visto Azi e Ruu mettere al tappeto Mandaloriani grossi il doppio di loro con quell’identica mossa. Gli riesce a metà: Paz si sbilancia di nuovo, ma mentre capitombola a terra lo trascina con sé. Din impatta di faccia contro il permacrete e un istante dopo si ritrova immobilizzato con le ginocchia di Paz sulle spalle – il suo peso è di nuovo un vantaggio.

Sente la guancia che pulsa nel punto in cui ha sbattuto e il fiato corto, in modo troppo simile a quella volta a cui non vuole pensare, quando Kyr’ad l’ha inchiodato a terra e l’ha quasi sbranato. Il suo cuore se lo ricorda troppo bene e continua a tambureggiare tra le costole.

«Muoviti e ti spacco la faccia, dar’manda» ringhia Paz, spostando il peso sulle ginocchia in modo intenzionalmente crudele.

Serra i denti a quell’insulto, che lo colpisce come una pugnalata. Senza-manda. Feccia. Rinnegato. Sa bene cosa vuol dire, perché sarebbe meglio la morte che diventare un dar’manda.

Quando Paz prova anche solo a sfiorargli il retro del cappuccio per afferrarlo, Din scatta di nuovo, come se qualcuno avesse tirato la leva di salto di un’astronave. Si divincola, sgroppa con tutte le forze che ha e, appena Paz vacilla un istante, gli molla una gomitata in mezzo alle gambe. Il ragazzo guaisce per quel colpo basso e Din agisce senza nemmeno pensare: libera del tutto il braccio, si gira sulla schiena e allunga la mano verso l’alto ad afferrare il bordo dell’elmo di Paz.

«No!»

Din tira di scatto prima che lui riesca a piantare le mani sulla calotta e l’elmo si sfila con un fruscio, senza alcuna resistenza. Il clangore del beskar che impatta a terra accanto al suo orecchio è assordante, tanto da fargli male al timpano. Poi a fargli male è la testa, quando un pugno lo raggiunge sulla tempia.

Din ha a malapena il tempo di vedere Paz in volto – è biondo, ha gli occhi di un blu che non ha mai visto e un velo di lentiggini sul naso – che la sua vista si oscura e lampeggia.

Il secondo pugno lo colpisce sul naso con uno schiocco e Din sente il sapore del sangue in gola.

La sua mano si muove da sola: corre alla cintura, si stringe attorno all’elsa della vibrolama e la attiva. Il fendente sfreccia verso l’alto in una scia biancastra e sfiora Paz sulla guancia, lasciando una traccia rosso vivo. Paz nemmeno urla, con gli occhi chiari inondati di furia, ma vede la lama pronta a colpire di nuovo e si scansa d’istinto.

Din interrompe la finta e riesce a sbalzarlo via, tornando libero di muoversi. Alza l’arma, mirando al retro del ginocchio per recidere i tendini e incapacitare l’avversario, ma non fa in tempo a colpire che lui gli è di nuovo addosso e gli immobilizza il polso in una stretta ferrea, torcendolo.

Vede nero per un istante.

Quel gesto gli ricorda così tanto Azi che Din smette di combattere con la freddezza che gli ha insegnato lo stesso comandante della Ronda, come se anche così potesse fargli del male. Si scaglia in avanti d’istinto, assestando a Paz una testata sul mento che lo spedisce all’indietro. La presa sul suo polso scompare e stavolta è lui, a balzargli addosso e inchiodarlo a terra con le ginocchia premute sulle spalle.

Sta per puntargli la lama alla gola, intimandogli di non muoversi, ma Paz non sta opponendo resistenza: si copre solo il volto affilato con entrambe le mani. Quando scorge due scie umide oltre le dita serrate e sente un singhiozzo che gli scuote le ginocchia, Din frena il gesto. Esita, ansimando e deglutendo quello che sembra un groppo di ferro, mentre il sangue non smette di uscirgli a fiotti dal naso.

Non sa che fare. Ha vinto?

Non ha il tempo di capire se si senta soddisfatto o meno, che Paz si rianima di colpo. Scosta di scatto le mani dal viso, lo agguanta per la tunica e lo scaglia da parte con così tanta forza da mandarlo a sbattere con il fianco contro la parete più vicina e fargli sfuggire la vibrolama di mano.

Rintronato, vede Paz che si tira su sulle ginocchia, si asciuga le lacrime e il sangue che gli cola dal labbro spaccato e lo guarda con degli occhi inferociti che gli ricordano Kyr’ad.

«Gar kyrayc

Sei morto.

Din non si permette di provare davvero paura da molto tempo. Stavolta, però, sente una stretta spiacevole sotto lo stomaco e ogni singolo nervo che gli grida di scappare – e invece rimane paralizzato lì.

Quando Paz afferra la sua stessa vibrolama e lo immobilizza di nuovo a terra, molta più forza di prima, è convinto di essere morto per davvero.

«Gev! Gev, jii!»

Una voce stentorea sovrasta il rombo del sangue nelle sue orecchie. Din riprende a respirare non appena Paz si rialza di scatto, lasciandolo libero di muoversi. D’istinto, afferra di nuovo la vibrolama abbandonata a terra, ma, quando guarda il suo avversario, vede con sorpresa che è prostrato in ginocchio con la fronte premuta a terra. L’Armaiola avanza a falcate lente verso di loro.

«Ni ceta, buir, ni...» mormora Paz, in un tono acuto che sembra terrorizzato.

«Ne’johaa

Taci. Paz ammutolisce, obbedendo e continuando a respirare affannato contro il suolo. L’Armaiola si ferma a un passo da loro. Sposta il suo elmo verso di lui e Din si sente quasi risucchiato dal buio delle orbite sul suo elmo.

«È così, che ricambi l’ospitalità, Din Djarin?»

La sua voce non tradisce nemmeno una goccia di rabbia, ma lo inchioda a terra. Din si irrigidisce, preparandosi alla punizione. Non gli fa paura, non più di quanta gliene faceva Azi, ma si ritrova ad abbassare lo sguardo come non aveva mai fatto con lui.

«Per un atto del genere, dovresti essere bandito seduta stante dalla Tribù» aggiunge, senza però accennare ad afferrarlo o colpirlo. «Ruusaan si vergognerebbe di te.»

Fa molto più male di qualsiasi manrovescio gli abbiano mai assestato Azi o i sergenti. Tiene lo sguardo puntato a terra mentre cambia posizione, arrivando anche lui sulle ginocchia. Stringe tra le mani l’elsa della vibrolama, ora spenta. Non posa la fronte a terra come Paz, ma tiene il capo chino come se un peso invisibile glielo premesse verso il basso. Goccioline di sangue gli scendono dal viso e vanno a macchiare il pavimento. Sembrano lacrime rosse.

«Ni ceta» mormora infine. Perdonami.

Azi gli ha detto di non pronunciarle mai, che per un Mandaloriano chiedere scusa in ginocchio è un’umiliazione, ma in quel momento gli sembrano quasi un sollievo. Non sa spiegarsi cosa sia successo e si sente la testa nebbiosa, ma sa di aver sbagliato. Non vede la reazione dell’Armaiola, perché si è già rivolta a Paz.

«Tu, Paz Vizsla. Hai alzato le mani contro un fratello più piccolo che avresti dovuto educare, ti sei fatto battere da un bambino e hai perso il tuo buy’ce prima ancora di averlo davvero conquistato. Non sei pronto per giurare al Credo.»

L’Armaiola si china a raccogliere il suo elmo, incastrandolo sotto il braccio. Paz non si muove, ma Din sente un respiro più pesante e umido infrangersi contro il terreno e lo vede contrarre le dita con uno scricchiolio di cuoio.

«L’ho colpito io per primo» esala Din, a voce bassissima, tanto che non crede di aver parlato. «Lui si è solo difeso.»

L’Armaiola getta uno sguardo all’altro elmo in durasteel abbandonato a terra, ma non accenna a raccoglierlo.

«Non importa. Sa benissimo quali sono le regole.» Fa una breve pausa, per poi indicare entrambi con un cenno del mento appuntito dall’elmo. «In coro, entrambi.»

«Ba’jur bal beskar’gam, ara’nov, aliit, Mando’a bal Mand’alor – an vencuyan mhi.»

Paz pronuncia quella cantilena senza la minima esitazione. Din tace, boccheggiando a vuoto nel tentativo di far almeno finta di ripetere le parole che riconosce – armatura, famiglia, Mando’a – ma il senso completo gli sfugge.

«Non conosci i Resol’nare? I Sei Atti?» chiede l’Armaiola.

Stavolta Din si azzarda ad alzare lo sguardo, incrociando le fessure del suo elmo. Per un attimo ha l’istinto di mentire. Poi fa cenno di no, strizzando la stoffa dei pantaloni nei pugni, sotto la vibrolama. Sente un’ondata liquida che gli riempie il petto all’improvviso e la trattiene appena in tempo.

Cos’altro non sa?

L’Armaiola rimane in silenzio per quella che sembra un’eternità, scandita dal lento sobbollire della lava in sottofondo.

«Cosa ci rende Mandaloriani?» chiede, senza preavviso, alzando un palmo in direzione di Paz per frenarne la risposta.

Din deglutisce e si asciuga il sangue dal naso imbrattandosi le nocche, senza osar dire di getto ciò che ha imparato – coraggio, forza, onore – perché ha l’impressione che non sia la risposta giusta.

Ripensa ad Azi, a Kyr’ad che l’ha quasi sbranato e che lui ha quasi ucciso – quello l’ha reso un Mandaloriano? Ma si era sentito un Mandaloriano anche prima, quando ha indossato il ciondolo in beskar. Quando Ruu gli ha detto che esistono una Via e un manda che guideranno i suoi passi e gli ricorderanno chi non c’è più. Quando si sono promessi di tornare e aspettarsi sempre.

Din si rende conto solo allora che non è certo di crederci davvero, in quell’ultima parte. C’è una parte di lui che si aspetta di non veder mai più tornare Ruu. Paz ha ragione, forse: se non crede a quello, se non si fida di ciò che gli ha detto la persona che è la cosa più simile a una famiglia che gli è rimasta... che Mandaloriano è?

«La... la  famiglia» risponde infine a voce bassa, schivando per un istante il suo sguardo e seguendo l’onda di quei pensieri che, adesso, fanno più male che mai.

«È un inizio» commenta lei, annuendo piano col capo. «In piedi, ad’ike» ordina poi.

Din obbedisce, imitato più lentamente da Paz, che continua a tenere la testa china in avanti. L’Armaiola gli si avvicina e lo obbliga ad alzarla con una mano, per poi esaminare lo spacco sul labbro e la bruciatura sullo zigomo. Din scorge di sottecchi come tenga comunque gli occhi bassi, le guance screziate di un rosso acceso dalla vergogna.

L’Armaiola non commenta e Din sobbalza quando fa lo stesso con lui, controllandogli il naso, la sbucciatura sulla guancia e il livido che sente allargarsi in un alone caldo sulla tempia. Senza preavviso, gli preme i due pollici ai lati del naso e preme di scatto, con uno schiocco che lo fa sobbalzare e vedere le stelle. Trattiene come può ogni lamento e sente che adesso respira meglio, anche se fa un male del kriff.

L’Armaiola, con un gesto così naturale da coglierlo alla sprovvista, gli toglie la vibrolama dalle mani, riponendola nella propria bisaccia. Din non protesta, ma segue quel movimento con un sobbalzo, come se gli avesse di nuovo raddrizzato il naso.

L’Armaiola si scosta infine da loro, facendo cenno di seguirla.

«Una lezione di ripasso non farà male a nessuno dei due.»


 


Note dell’Autrice:


Ho fatto 30, perché non fare 31?
Anche questo capitolo ha la sua età (scritto a inizio 2022), ma rimane uno dei miei preferiti che ho scritto nel contesto di questa storia.
Spero che la lettura vi sia piaciuta e ogni commento è gradito ♥
Ci sono molti riferimenti a questo capitolo di Vode An, nel caso aveste dubbi e perplessità.

-Light-
   
 
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