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Autore: Herondale66    04/04/2023    0 recensioni
Un rigurgito del cervello per mantenere a freno i pensieri. Una realtà distopica e una storia di sopravvivenza. Giorno per giorno, quello che bisogna fare è andare avanti, sempre. E allora andiamoci insieme.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono al checkpoint e non posso fare a meno di sentirmi sopraffatta. Un ammasso di corpi puzzolenti mi circonda e mi manca l’aria. Solitamente non ci rimango molto in questi posti, ma ho degli affari da sbrigare. Mi dirigo verso il mercato. Un nugolo di bambini scheletrici e urlanti mi supera correndo, spintonando tra la gente. A volte mi dimentico che esistono ancora i bambini in mezzo a questo disastro. Mi chiedo che futuro mai avranno, se a malapena noi riusciamo a sopravvivere alla giornata. Ma loro continuano a giocare a piedi nudi, incuranti della puzza e delle facce scure che li circondano. Il resto della gente ha il volto coperto, come faccio io. Molti hanno paura delle malattie, ma è diventata un’abitudine comune quella di non farsi vedere agli altri. Mi stringo nel mio passamontagna nero, cercando di non incontrare lo sguardo di nessuno. Superando il quartiere delle baracche raggiungo finalmente il mercato. Poche bancarelle mettono in mostra le merci più disparate: da armi a vestiti, delle verdure mezze marce, in alcune scorgo perfino occhiali e sigarette. Ormai sono dei beni di lusso, quelli. Individuo quello che mi sembra il rigattiere più malleabile, propongo il mio scambio.

“Un coltello per questi?” lo apostrofo, mostrandogli il gomitolo di fili. Lui li prende e li osserva, tastando l’integrità del fragile rame alle estremità.

“Mh”

“Sono ancora integri, ci puoi sicuramente costruire qualche circuito. So che qui ne avete sempre bisogno, quindi non fare tante storie”

L’uomo mi volta le spalle, rovistando tra i polverosi cassoni che tiene gelosamente custoditi dietro al banco. Una donna seduta lì vicina mi osserva. Non saprei dire se è anziana. Questo mondo ha fatto invecchiare tutti di colpo, è difficile capire se gli altri hanno vissuto la maggior parte della propria vita prima o dopo. Ha tutti i capelli scompigliati e sporchi, striati di grigio spento. Mi rivolge un sorriso sdentato, e i suoi lineamenti si tirano sul volto, mettendo in evidenza la sua natura scheletrica. Io mi limito a fissarla. Probabilmente sarà un’instabile.

“Allora?” tento di richiamare l’attenzione dell’uomo, che sembra metterci troppo a trovare quel coltello.

Lui si volta e mi porge un vecchio coltello a serramanico leggermente arrugginito. Lo soppeso tra le mani. È leggero, potrebbe spezzarsi a breve, ma credo di dovermi accontentare.
Gli rivolgo un cenno e faccio per voltarmi, quando sento una mano ossuta chiudersi attorno al mio polso. Istintivamente rivolgo il coltello ancora aperto verso l’assalitore. È la donna. Ha uno sguardo perso, ma mi tiene saldamente. L’uomo sembra indifferente allo scambio.

“Lasciami”

La donna continua a guardarmi. Poi mi fa cenno di aspettare e inizia a cercare affannosamente qualcosa all’interno delle sue tasche. Io la guardo con sospetto. Alla fine estrae una vecchia collanina, con piccole perline nere un tempo lucide e delle medagliette che credo fossero dorate. Me la porge, con quel sorriso sdentato.

“Non la voglio”

Lei insiste, porgendomi il gioiello con insistenza. Non è niente di valore. Gli oggetti di bellezza non hanno alcun senso in questo posto. Non servono a niente, la gente ha smesso di preoccuparsi di queste cose molto tempo fa. A pensarci non so nemmeno come abbia fatto quella donna a tenere per così tanto tempo quell’oggetto inutile con sé. Sarebbe stato più utile utilizzare la plastica per qualche altro scopo.

“Smettila. Non ho niente con cui scambiarla”

L’uomo finalmente sembra accorgersi dello scambio e sbuffa.

“Vattene, puoi tenerti la stupida collana. Se questa pazza te la vuole dare tienitela pure. Non saprei che farmene”

Li guardo, stupitə da questo inaspettato atto di gentilezza. Era da molto tempo che non mi capitava. Le mie interazioni con altre persone sono ridotte quasi a zero, oltre che questi scambi commerciali di sopravvivenza. Prendo la collana, rivolgo ad entrambi un cenno e mi rituffo nel calore dei corpi sudati che si affannano su e giù per le passerelle pericolanti. Tutto questo odore di esseri umani e di vita mi dà alla nausea. Alle volte, quando sono là fuori, mi sembra di essere rimasta da solə in queste terre. Ma il venire in posti come questo mi fa ricordare la realtà schifosa delle cose. Non voglio avere niente a che fare con i fantasmi che abitano questo tugurio. Voglio scappare. Mi affretto per le scale verso l’uscita e l’aria pulita. I profumi di una zuppa appena preparata investono le mie narici e mi fanno brontolare lo stomaco. Per un attimo risento tutti gli odori della cucina di casa, i pasti caldi e invitanti preparati con tanto amore dalla mamma e la nonna, il calore di una stufa scoppiettante. Poi una goccia di liquame gelato mi cade sulla fronte, e ritorno al presente. Devo andare avanti. Non potrei nemmeno pagarla una zuppa adesso. Potrei sempre tentare di scambiare la collanina. Però non so perché ma mi sembrerebbe scorretto. Un qualcosa che sembra morale mi ribolle nello stomaco assieme alla fame. In questo posto la morale non esiste più. Ma non posso fare a meno di farmi avvolgere da questo vecchio sentimento, lacero e scucito, talmente labile da poter essere strappato con un dito. Se voglio continuare a sopravvivere là fuori devo aggrapparmi a questo velo. Non voglio di certo impazzire come la donna. Però lei mi ha offerto la collanina.
   
 
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