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Autore: Herondale66    03/04/2023    0 recensioni
Un rigurgito del cervello per mantenere a freno i pensieri. Una realtà distopica e una storia di sopravvivenza. Giorno per giorno, quello che bisogna fare è andare avanti, sempre. E allora andiamoci insieme.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In questo posto dimenticato da tutti non c’è mai tempo per fermarsi. Non appena i debolissimi raggi del sole sferzano la fresca aria mattutina, è già ora di muoversi. Raccolgo i miei scarsi averi nello zaino malconcio e mi metto in marcia. Ogni giorno è una corsa contro il tempo per raccogliere cibo e per mettere più chilometri possibili tra oggi e ieri. Non è possibile voltarsi indietro, quindi l’unica scelta è andare avanti, sperando di trovare il necessario per sopravvivere. Ogni giorno bisogna sperare di trovare una fonte d’acqua e del cibo, un riparo dove passare la notte e poco altro. Tutto quello che sembrava importante prima adesso non ha più un senso. Non riesco nemmeno a immaginarmelo.

Apri gli occhi, alzati, controlla di avere ancora tutte le tue cose, mangia quel poco che è avanzato da ieri e via, mettiti a camminare.

Allora io cammino e cammino, a volte capita che passino ore prima di trovare quello che sto cercando. Non è mai la stessa cosa. Mi capita di sprecare una quantità immensa di energia per un misero pasto, che non mi lascia minimamente saziə. I pasti sono i miei punti fissi della giornata, quello che mi permette di non impazzire. Non devono essere sempre allo stesso orario, anche perché sarebbe impossibile capire che ore sono in mezzo a tutta questa nebbia, ma l’importante è farli nell’arco della giornata. Come con la breve doccia non appena trovo dell’acqua. È una sorta di rituale che non posso mancare. Qualche volta mi capita di imbattermi in un vecchio rivolo d’acqua, pieno d’alghe e di melma, e in quelle occasioni mi permetto di essere felice. Per qualche tempo abbandono lo zaino e i laceri vestiti a riva e mi immergo nell’acqua stagnante, sperando di purificarmi. Spesso il livello dell’acqua è talmente basso che non mi arriva nemmeno alle ginocchia, allora mi accovaccio e mi lascio sommergere. Se l’acqua in qualche modo lava via lo sporco dalla mia pelle, non riesce a penetrare abbastanza a fondo per strapparmi dalle ossa quel senso di vuoto e di schifo che mi accompagna tutto il giorno. Non succede mai. Una cosa che mi manca molto di prima è sicuramente l’acqua corrente. Se lə mə stessə di prima vedesse dove mi faccio il bagno probabilmente avrebbe un mancamento. Ma qui è così. Un po’ d’acqua puzzolente è un lusso che rare volte è disponibile, ed è meglio approfittarsene. Anche adesso ucciderei per immergermi in un po’ d’acqua. Ma non ci sono boschi in vista, sono ancora troppo vicino al lordume della città. Mentre cammino sul ciglio della vecchia strada piena di crepe mi perdo nei miei pensieri. Se riuscissi a raggiungere un checkpoint entro stasera potrei barattare un coltello nuovo con quei vecchi fili e componenti elettroniche che ho trovato qualche giorno fa. Anche se mi viene la nausea all’idea di aiutare quei bastardi preferisco avere la possibilità di trovare da mangiare piuttosto che morire di fame con un pugno di fili in mano. E poi non saprei proprio che farmene. Comunque sono ancora lontanə dal checkpoint, e devo camminare tanto. Quindi metto a tacere questi stupidi pensieri e fisso lo sguardo sull’orizzonte ricoperto di nebbia verdastra, ascoltando il rumore ritmico dei miei passi sull’asfalto. E vado avanti, senza voltarmi indietro.
   
 
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