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Autore: Herondale66    08/04/2023    0 recensioni
Un rigurgito del cervello per mantenere a freno i pensieri. Una realtà distopica e una storia di sopravvivenza. Giorno per giorno, quello che bisogna fare è andare avanti, sempre. E allora andiamoci insieme.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una fitta lancinante mi percorre la tempia, seguendo un percorso arzigogolato fino giù all’occhio destro. Fatico persino a tenerlo aperto. Sono seduta a terra, sul pavimento freddo del rudere nel bosco. Sono arrivatə ieri nel tardo pomeriggio e con mia grande sorpresa ho trovato tutto come lo avevamo lasciato. Nessuno ha fatto irruzione e i lucchetti che chiudevano le vecchie porte in legno erano ancora intatti. Arrugginiti ma saldi al loro posto. Ho trovato le vecchie chiavi nel posto dove mio padre le lasciava sempre, ho forzato i lucchetti e sono entratə. A parte gli evidenti segni dell’umidità e dell’incuria, qualche ragnatela qua e là, tutto è come lo ricordavo. Il focolare scuro ma saldo, pronto a riscaldare l’ambiente, il vecchio tavolaccio in legno rosicchiato un angolo da qualche animaletto, la credenza con una collezione di bicchierini da liquore. Il vecchio lavabo in pietra, con il rubinetto mangiato dalla ruggine. Perfino il fornello a gas c’è ancora, alimentato da una bombola blu scuro che mi desta qualche preoccupazione. Mi sono messə subito a dormire, strematə dalle due giornate di cammino. Ora, svegliatə dai rumori del bosco, mi metto subito all’opera. Al piano superiore del rudere c’è ancora tutta la legna accatastata e pronta per essere bruciata, gli attrezzi e materiali da lavoro. Immagino che il vecchio soffitto sia diventata la casa di diversi ghiri, dovrei ispezionarlo per cercare del cibo. Una volta trovavamo spesso anche dei grossi serpenti, innocui, che ci guardavano con i loro occhioni lucidi e andavano a nascondersi sotto le tegole al caldo. Mi chiedo come sia la carne di serpente. Tutti gli alberi da frutto sono secchi, per cui non posso sperare di ricavarci molto. Ci sono molti castagni, ma è ancora troppo presto per pensare a queste prelibatezze. Il vecchio orto recintato è completamente incolto e pieno di erbacce. Se decido di rimanere è decisamente da sistemare. Inizio pulendo la casa, strofinando via strati di polvere, sporco e memorie dolceamare. Ricordo tutti i momenti passati in questo posto, era la nostra seconda casa. Ci sono cresciutə in questo bosco, ed è così bello e doloroso tornarci. Un dolore martellante alla testa accompagna il mio lavoro per tutta la mattinata. Lo ignoro, ma mi sento man mano sempre più debole. Ad un certo punto mi fermo a mangiare, gustandomi i fiori di tarassaco che ho raccolto nel campo. La stanchezza emotiva di tornare in questi luoghi si fa sentire. Non sento più le forze di alzarmi e continuare a lavorare. Mi sento completamente estraniatə dal luogo in cui mi trovo, la mia mente esce da me e si fa strada nello stretto e annerito camino, per poi spuntare nel cielo, fuori dal bosco e su su su sempre più su, inghiottita dal grigiore delle nuvole. Mi immagino là e mi vengono in mente scene di normalità. Quella che una volta era normalità. Una famiglia, una casa, un pasto caldo ogni giorno. Ricordo che anche allora non ero felice. Però ora tutto è diverso. Il richiamo gutturale del cuculo mi riporta alla realtà. Rabbrividisco. Decido di tentare di accendere un focolare, per riscaldarmi. Recupero de bastoncini sottili e del fogliame nel prato, assieme alla legna da ardere più spessa. Mi tornano alla mente tutti i consigli di mio padre sul come si accende un buon fuoco. Costruisco una traballante capanna di bastoncini, adagiandoci accuratamente al centro le foglie. Prendo il vecchio acciarino, ringraziando l’amore per la tradizione che abbiamo sempre avuto in questo posto. La scintilla attecchisce, soffio leggermente per ravvivare la fiammella, e nel giro di poco un piccolo fuocherello illumina tutta la stanza. È molto umido, quindi devo fare attenzione. Una volta che la fiamma si è stabilizzata, procedo ad alimentarla con il resto della legna. Mi perdo ad osservare i giochi di luce creati dalle fiamme, gustandomi per la prima volta in tanto tempo questa sensazione di calore sulla pelle. Devo stare attenta a non lasciare crescere troppo il fuoco, così che il fumo non si noti troppo. Non vorrei ricevere visite inaspettate. Mi tasto la fronte e la sento scottare. Il mal di testa sembra peggiorare, per cui decido di concludere la giornata di lavoro e rintanarmi davanti al fuoco a pensare. Metto a bollire un po’ d’acqua nel mio vecchio pentolino e con il resto dei fiori raccolti faccio un infuso. Non mi sento abbastanza bene per mangiare, per cui sorseggio lentamente la bevanda amara, preparandomi ad affrontare la malattia che sono certə mi raggiungerà fra poco. Resto a guardare il fuoco fino a notte fonda, finché non rimangono solo tizzoni ardenti e sono avvolta dai rumori densi della notte. 
   
 
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