Anime & Manga > Ranma
Segui la storia  |       
Autore: Feles 85    10/04/2023    6 recensioni
Cristallizzati nel loro finale aperto, troppo aperto, nei limiti imposti dall’appartenere a un genere narrativo che sconfina nel comico e nella caricatura, Ranma e Akane necessitano di una svolta che sarà data dal mondo ironico, pop ed estraniante di Kill Bill, che irrompe nella loro eterna ciclicità.
Con la speranza che la musa tarantiniana mi ispiri, vedremo Akane, dopo il matrimonio fallito, tentare di sgattaiolare ad Okinawa per imparare le incredibili tecniche marziali che ha visto esibire da un singolare uomo di mezz’età, “curiosamente” somigliante a David Carradine. L’acciaio di Hattori Hanzo e le micidiali tecniche dell’inconsolabile Pai Mei saranno il suo obiettivo, nell’anno che precede gli esami di fine anno. E Ranma che farà?
Genere: Azione, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa numero due: ringrazio innanzitutto chi mi ha lasciato un commento in questi giorni di “debutto” della fan fiction. 

Ringrazio dunque fenris, Giorgi_b, Meddy80 (sono felice di condividere con voi la mia età attempata ;) ) e a Valemtolavy per il commento breve. Grazie per avermi accolta in questa fandom! 

 

Il titolo del capitolo è identico al romanzo a cui Tarantino si ispirò per concepire Kill Bill, mentre “il matrimonio che non fu” è un po’ “il massacro dei due pini” di questa storia, un disastro che vede Akane vestita da sposa, esattamente come la Sposa, Beatrix Kiddo, di Kill Bill. Il quaderno di Akane è liberamente ispirato alla lista di Beatrix 

 

 

 

 



Circa 12 mesi prima a Nerima, estate 1989

 

 

La sposa in nero

 

 

 

Il vestito nuziale era ancora appeso lì, di fronte al suo armadio, sebbene fosse passata più di una settimana dal matrimonio. O meglio, dal non-matrimonio, o anche chiamato da Nabiki il matrimonio che non fu. 

La routine quotidiana aveva ripreso il suo corso come se non fosse successo niente, come se il dojo di casa Tendo fosse ancora agibile, come se lei stessa non fosse quasi morta in Cina… 

 

Era appena rientrata in camera e stava fissando quell’abito e, ancora, non riusciva a riprendersi dal senso di sbigottimento che la pervadeva. Sentiva la testa vuota, bianca, come se fosse convalescente dopo una brutta febbre. In tutti quei giorni aveva seguito le lezioni, chiacchierato con le compagne di scuola, condiviso i pasti famigliari sempre accompagnata da quella sensazione, con quell’ estraniazione che l’avvolgeva come un vaporoso sudario.

 

In quel momento si domandava se quel senso di sospensione non fosse per caso un tentativo di proteggerla, da parte della sua testa. Chissà quando sarebbe tornata a lambiccarsi il cervello, a tormentarsi e ad attendere qualcosa… in quei giorni non ne era proprio in grado, si ritrovava a constatare.

 

Anche quella sera, avrebbe voluto uscire ad allenarsi, a sudare via tutto quel groviglio di sentimenti ed emozioni annodate e represse, come aveva sempre fatto in passato; come desiderava farlo quando si soffermava a riflettere su quella condizione; e ciò era capitato ciclicamente, ogni giorno, da una settimana a quella parte. Solo che il dojo non era ancora utilizzabile: troppi danni erano stati fatti durante il matrimonio che non fu. Assi portanti spezzate giacevano ancora sul legno del pavimento, festoni strappati penzolavano lugubri dal soffitto; solo le vivande e tutti i resti deperibili del banchetto erano stati diligentemente asportati e puliti da Kasumi.

 

“Domani vengono gli operai a cominciare i lavori così, forse, tra pochi giorni potremo riutilizzarlo…”aveva detto suo padre quella mattina, guardando sconsolato il dojo.

 

Invidiava Ranma, che riusciva comunque a mantenere il ritmo dei suoi allenamenti quotidiani in qualsiasi situazione egli si trovasse. Approfittava delle voragini nel pavimento ligneo per aumentare la difficoltà degli esercizi, sfruttava le assi spezzate per restare in bilico in verticale con tre dita per lunghissimi quarti d’ora, e usava i festoni come fossero liane per planare da una parte all’altra della palestra, divertendosi come un bambino al Luna Park. Lei non ci riusciva: aveva maturato quasi un morboso attaccamento per la routine; avrebbe voluto — preteso!— che gli oggetti fossero ancora al loro posto, le assi ben salde sul soffitto, il pavimento ancora intatto, i festoni strappati nel pattume; voleva allenarsi alla stessa ora e nello stesso luogo, con lo stesso gi, per potersi sentire a suo agio e procedere con i suoi esercizi quotidiani. E in quella situazione proprio non ci riusciva.

Lui è abituato ad allenarsi ovunque, in montagna, in città, a scuola, in situazioni incredibili… io, invece…

 

L’aveva visto intento a provare delle proiezioni in giardino giusto poco prima di salire in camera, con movimenti rapidi, tecnici e precisi, dondolando sulle gambe e facendo fluire le mani nei vari kata. E, anche se la ragazza avrebbe voluto assistere agli esercizi che il giovane stava eseguendo con la consueta maestria, non se l’era sentita di rimanere lì con lui. Così come non se la sentiva di indugiare troppo a stare in sua compagnia da sola, nemmeno durante il tragitto casa-scuola che percorrevano insieme la mattina.

Il ragazzo, dal canto suo, sembrava continuare a fare le cose di sempre; solo una cosa non gli riusciva, ossia provocarla con le sue proverbiali prese in giro. E non ci riusciva perché la giovane non gli stava dando modo di interagire con lei in modo naturale, rivolgendogli la parola in poche occasioni e per poco tempo. 

 

Akane non gli stava tenendo il broncio, come invece altre volte era accaduto. Proprio non le riusciva facile parlare con Ranma in quei giorni. 

Dovrei allenarmi, accidenti a me! Non resisto più!

Perché non scendeva le scale di legno per chiedere al fidanzato di darle una mano con gli allenamenti? Aveva provato ad uscire dalla porta, aveva provato a preparare il suo karategi sopra il suo lettino per decidersi a scendere e chiedere a Ranma di aiutarla. Ma tutte le volte desisteva e rinunciava. 

Sì, per farmi dire che gli faccio perdere tempo…

Sospirò rimettendosi a sedere sul letto. Rialzò gli occhi verso l’abito nuziale che beffardo la sfidava in silenzio. Il ticchettio dell’orologio a muro accompagnava implacabile quegli attimi di sospensione. Perché non l’aveva aveva ancora riposto in soffitta quell’arnese? Perché la sua apatia la costringeva a guardare tutti i giorni quel mostro bianco di pizzo e tulle che si faceva beffe di lei e nel frattempo si riempiva di polvere?

Doveva riprendere ad allenarsi, assolutamente, pensò in quel momento, o diventerò pazza. Ed ecco che sentì una lontana voce famigliare irrompere nell’ingresso di casa, giù per le scale. Era tornato suo padre!

Assecondando un improvviso impulso, si lanciò fuori dalla porta e affacciò il suo grazioso visetto dalla balaustra delle scale. Stava per chiamare suo padre, stava per chiedergli di allenarsi con lei. Ma poi si ricordò di essere molto arrabbiata con lui, di serbargli un sordo rancore, molto più che con Ranma per il tranello malefico in cui l’avevano coinvolta in quel maledetto matrimonio che non fu… lei doveva tenergli il broncio! L’aveva anche scritto in rosso sulla pagina di un quaderno nuovo, la mattina del giorno precedente:

 

Tenere il broncio a papà — deve capire che stavolta l’ha fatta grossa!—

Sbuffò per l’ennesima volta, mettendosi una mano in fronte.

E poi, mio padre mi ha già insegnato tutto… non può farmi migliorare…    

Già, ma chi, a parte Ranma, avrebbe potuto farla migliorare nelle arti marziali? Forse Ryoga, se non fosse sparito di nuovo. La vecchia Obaba avrebbe potuto, sì, ma lei non si sarebbe mai sognata di chiederle una cosa del genere. Chi rimaneva? Forse Happosai, il vecchio maestro di suo padre, del signor Saotome, di Ranma…

Fu allora che dal giardino sottostante si sentì un urlo, un tonfo, l’inconfondibile scroscio d’acqua causato da un tuffo. Ranma era finito nel laghetto per l’ennesima volta.

“Vecchio porco, lasciami allenare in pace! Ti spacco la faccia!”, strepitò furiosa un’acuta voce femminile.

“Ranma, vieni qui e indossa questo zuccherino per il tuo maestro!”, rispose l’inconfondibile gracchio del vecchio Happosai.

“Metti via quel coso, pervertito maledetto! Togliti di dosso, aaaaaahhhh! Schifoso!”

Seguirono tonfi e colpi, il fracasso di un oggetto di vetro che finiva in frantumi e ancora urla.

Akane si mise la mano sugli occhi, con un gocciolone immenso che le calava sulla fronte. Come le era anche solo venuto in mente che quel vecchio rospo depravato potesse aiutarla sul serio con gli allenamenti?

Dèi, devo essere davvero disperata…

Scosse la testa e, reprimendo un brivido d’inquietudine alla sola idea di allenarsi con quel vecchio maniaco, tornò in camera più nervosa che mai. Ed eccolo, ancora lì, maligno e malizioso, quello stupido vestito da sposa. Un moto di stizza le si mosse dallo stomaco.

“Quanto sei frivolo… mi chiedo come mi sia venuto in mente di indossarti”, disse tra sé, mentre si sedeva di nuovo sul letto.

Prese il quaderno che aveva inaugurato il giorno prima, che giaceva ancora semiaperto lì sul comodino, per poi aprirlo. Con il pennarello rosso scrisse:

Diventare più forte — trovare un buon maestro— no Happosai, no Obaba e sopratutto no Ranma!

Doveva diventare più forte, a tutti i costi. Doveva farlo per poter scongiurare la rovina del dojo, di cui non sopportava la vista in quello squallore. Doveva farlo per esserne una degna erede e farla vedere a suo padre. Doveva farlo per emanciparsi dai salvataggi di Ranma, dall’ essere il  punto debole del giovane guerriero, il lato tenero dove colpirlo; sopratutto, doveva emanciparsi dal fatto che lui sembrasse aprirsi a lei solo in quanto vittima, per poi tornare a far finta di niente una volta scampato il pericolo. Doveva farlo per rendere la pariglia a certa gente, che troppo si era approfittata della sua inferiorità fisica, del suo essere tutto sommato una ragazza ordinaria, e aveva permesso a quel disastro del matrimonio che non fu di realizzarsi…

Sono stufa di essere ordinaria in mezzo a gente non ordinaria…

Annuì da sola con convinzione. Finalmente quella scivolosa apatia si stava incrinando e stava di nuovo facendo fluire i suoi pensieri; sopratutto, fu lieta di vedere che stava di nuovo facendo progetti.Dell’Università, a conti fatti, non le interessava, così come le interessava sempre meno far parte della caotica vita da giapponese moderno; del resto, quegli anni bizzarri e avventurosi, seppur estenuanti, le avevano decisamente tolto l’appetito per una vita normale e borghese. 

Comprese con chiarezza che il dojo era il suo punto fermo, il suo cardine assiale, l’eredità dei suoi antenati, il suo onore. Il dojo e…

Ranma?…

Te la faccio vedere, caro mio… ti mostro che sono all’altezza del dojo e che so esserti alla pari…

Chiuse il quaderno e lo ripose nel cassetto del comodino affianco al letto; aveva deciso che sarebbe scesa a spaparanzarsi davanti alla tv, magari riguardandosi le vecchie VHS di “Kung fu”, quelle con David Carradine, le preferite di papà! L’indomani si sarebbe impegnata per trovare una scuola, un dojo, un club di arti marziali dove imparare tecniche nuove.

Mentre si apprestava ad uscire, le sembrò che dalle pieghe del bianco abito nuziale, ormai un sudario di polvere, provenisse una risatina.

“Tanto non sei carina, ragazza mia… diventerai ancora più un maschiaccio sgraziato! Come lo sei stata quel giorno nonostante tu mi abbia indossato…”

“Taci tu! Sei patetico! Sappi che la prossima volta indosserò un kimono!”, urlò la ragazza nell’ombra della sua stanza. Senza indugiare aprì il cassetto e si mise a frugare nervosamente tra miriadi di oggetti, cercando qualcosa che trovò prima del previsto. Trionfante si voltò a fronteggiare ancora quel maledetto, lezioso, vaporoso, patetico abito…

“Te la faccio vedere io! Sì! Ecco!”

Toc toc, qualcuno picchietta lievemente alla sua porta con una nocca sola.

“Che fai, Akane, parli da sola?”

Oddio…

Era Ranma.

Per poco Akane non volò con la faccia sul pavimento. 

“Chi io? N-no, no…”, rispose lei. Il gocciolone sulla sua fronte era ricomparso. 

Sto diventando matta…

Vieni giù? Kasumi dice che è quasi pronto.”

“S-sì, solo un attimo e arrivo”, rispose lei con un angolo della bocca che pulsava istericamente.

Un fascio di luce esplose fulmineo nella penombra crepuscolare in cui era avvolta Akane: Ranma aveva aperto la porta facendo irrompere in quella camera la luminosità elettrica del corridoio. Per poco la ragazza non aveva avuto una sincope.

“Perché stai al buio da sola? Parli ai fantasmi?” la provocò il giovane, simpatico come sempre. 

“Perché entri senza chiedere il permesso?”rispose lei fiondandosi di corsa fuori dalla camera e anticipandolo sulle scale.

“Ehi, aspetta dove corri? Aspettami, dai!”, lo sentì protestare dietro di lei. Ma Akane era già sparita, in direttissima verso la sala da pranzo.

Ranma sentì allora uno strano odore, dolciastro ma con un alcunché di amaro, decisamente alto e chimico, provenire dalla camera di Akane, così entrò soprappensiero come per verificare cosa potesse emanare un simile olezzo.  E lì si trovò di fronte l’abito nuziale — quell’abito! — con un’immensa macchia nera a inquinare il suo candore. Una bomboletta spray rotolava sul pavimento verso il suo piede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Ranma / Vai alla pagina dell'autore: Feles 85