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Autore: Longview    11/04/2023    2 recensioni
"Quei ricordi gli formicolavano nella testa e gli sembrava -impossibile, davvero insensato- di starli rivivendo in quel preciso istante. Se ne accorse non appena sentì, in uno sprazzo di lucidità, che quel ladruncolo stava lentamente scivolando sotto le sue dita ormai paralizzate, molli, così come il resto del suo corpo. Una piccolissima parte della sua coscienza gli gridava di svegliarsi, di alzarsi e rincorrerlo, ma il resto del suo cervello era avvolto da una nube densa fatta di consistenti flashback del suo passato; era come in un sogno, anche se era perfettamente consapevole del suo corpo reale e di ciò che stava accadendo nell’ambiente attorno a lui."
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due.






Caldo.
Izuku sentiva molto, troppo caldo. E non credeva fosse la temperatura nella stanza a farlo avvampare con tale violenza; no, dopotutto c'erano le finestre aperte e una lieve brezza fresca gli faceva drizzare i peli sulle braccia scoperte. Eppure il suo viso stava letteralmente andando a fuoco.
Se solo avesse potuto guardarsi allo specchio, si sarebbe scoperto rosso come un pomodoro fino all'attaccatura dei capelli, ancora immobile appena oltre la porta della sua camera da letto. Ochako non era un'illusione creata dal suo cervello sull'orlo dell'esaurimento nervoso, lei era davvero lì sotto le coperte, vestita di una leggera t-shirt e un paio di pantaloncini morbidi, adatti a quel clima mite. 
La ragazza si stropicciò gli occhi, mandando al diavolo i suoi propositi di dormire qualche ora in più. Si passò le dita tra i capelli nel tentativo di ricomporli un minimo e, con un po' di fatica, si mise a sedere. 
-Izu? Ti senti bene?-
Lo sguardo spaventato che quello le riservò -lo vide senza dubbio rabbrividire alle sue parole- fu la risposta evidente che, no, il verdino non stava bene. 
Che poi, se proprio doveva essere sincero, Izuku non sapeva come sentirsi. Insomma, era scioccato -sconvolto, incredibilmente stranito, il suo cervello era rimasto bloccato nel preciso istante in cui aveva varcato la soglia della sua stessa stanza- e, dato che quella realtà che stava vivendo gli sembrava davvero poco reale, non potè far altro che fermarsi, bloccarsi senza neanche ragionare e fissarla con un rumore statico di sottofondo nel suo cranio.
Non pensava a niente. 
La sua testa era una scatola vuota in cui qualche grillo imbarazzato suonava una strana e triste canzone stonata. 
Lo strano nodo alla gola che gli mozzava il fiato e gli stava causando un conato di vomito strozzato lo portò a comprendere di non star vivendo in un sogno. La nausea era reale, il petto che gli esplodeva sotto il battito impazzito del suo cuore era tremendamente reale, le sue guance bollenti lo erano. E anche Ochako, che ora lo osservava con una punta di preoccupazione in quegli occhi nocciola, era reale -realmente incomprensibile e spiazzante.
In un moto di imbarazzo, abbassò lo sguardo, alla vana ricerca di una via di fuga da quella situazione: si guardò intorno, dall'armadio fino alla finestra sulla parete opposta, e persino fino a quella piccola scrivania color betulla posta appena sotto di essa, che non aveva mai visto prima di allora. La fissò per alcuni lunghi e intensi attimi, quasi stesse avendo delle allucinazioni; poteva mai essere così esaurito da essersi dimenticato di essere andato a un negozio d'arredamento, aver scelto e acquistato un mobile, averlo portato a casa e poi montato? Era possibile? E se anche tutti quei passaggi li avesse fatti sua madre per fargli una qualche sorta di favore, beh, di certo non si era intrufolata in casa sua durante la notte e l'aveva piazzata là, come se nulla fosse. 
Era tutto molto strano.
Certo, forse Izuku stava solo girando attorno al problema, evitando il punto principale, quello più ingombrante, il cosiddetto elefante nella stanza: ancora non si era davvero domandato il motivo per cui Ochako Uraraka, la ragazza per cui aveva una cotta da tempi immemori, era dentro casa sua-- o, per meglio dire, dentro il suo letto. L'idea di conoscere la risposta lo spaventava troppo, e poi magari, ignorando il fatto, prima o poi sarebbe sparito da solo.
No?
No, era il panico che parlava al posto suo. 
Fece un piccolo balzo spaventato non appena la vide posare i piedi a terra e alzarsi, diretta proprio verso di lui: dopotutto, Izuku si stava comportando come un pazzo in preda a una crisi paranoide, quindi la preoccupazione della ragazza era più che motivata. Il verdino rimase pietrificato, nella sua testa quel ronzio simile allo statico della televisione iniziava ad espandersi fino a coprire qualsiasi altro suono.
Forse stava per svenire. Forse era morto nel sonno. In quel preciso momento, non aveva le capacità cognitive necessarie per ipotizzare altre possibilità; solo la presenza sempre più vicina e incomprensibilmente minacciosa di Ochako gli fece distogliere lo sguardo dalla parete color crema di fronte a sé: lo puntò dritto sulla ragazza che, con ferma risolutezza, fece scattare il braccio verso l'alto, il palmo aperto e rivolto verso di lui.
Izuku lo schivò con incredibile maestria, quasi si trattasse dell'attacco a sorpresa di un villain e non -con ogni probabilità- del tentativo mancato di sentirgli la febbre. Era rimasta con la mano a mezz'aria proprio all'altezza della sua fronte, e infatti il verdino provò subito un certo imbarazzo. 
Era un vero sciocco. Tutte quella vergogna per un banale contatto fisico con Ochako? La ragazza di cui era cotto? Che era appena scivolata fuori dal suo letto con un pigiama cortissimo, che lasciava davvero poco all'immaginazione? Da sotto la t-shirt spingevano timidamente i capezzoli, come due bottoncini cuciti in cima ai seni prosperosi. 
Distolse lo sguardo il più in fretta possibile, nella speranza di non essere stato visto, e arrossì fino alla punta del naso. 
-Cosa c'è? Stai male? C'è qualcosa di brutto che devi dirmi?- sbottò lievemente stizzita la morettina, puntellandosi le mani sui fianchi.
Lui strabuzzò gli occhi: no, non voleva farla indispettire. Cercò velocemente un modo per tirarsi fuori dai guai, e buttò lì la prima cosa che gli venne in mente: -Uhm, no! Va tutto benissimo!-, tirando a forza il sorriso più finto che avesse mai fatto, proseguì, -Sai dirmi che giorno è oggi?-
Ochako inclinò appena la testa, confusa, ma gli rispose lo stesso: era giovedì.
Izuku sentì un lieve tuffo al cuore, come un piccolo ingranaggio che smetteva di funzionare: la sera prima, quando si era addormentato da solo nel suo letto dentro il suo piccolo appartamento, era domenica.
Non poteva aver dormito per quattro giorni e, anche se fosse stato, in quei quattro giorni di misterioso coma profondo non poteva essersi materializzata una scrivania e Ochako Uraraka dentro alla sua camera. 
Non capiva. Davvero non capiva. Sembrava che il suo cervello sempre attivo si fosse preso un giorno di vacanza.
Cosa poteva fare in una situazione simile, per svignarsela senza destare troppi sospetti? 
-Izu?- 
A quel punto, tornò finalmente alla realtà. Diede uno sguardo veloce oltre le spalle di Ochako, verso il comodino posto sulla sinistra del letto: sì, il suo cellulare era al suo posto. Almeno quello.
-Scusami, non ho più sonno. Penso andrò a farmi una passeggiata-
La fronte appena corrucciata di lei lasciò trasparire un certo disagio. Sembrava triste, confusa, un po' delusa; ma non disse nulla, anzi, forzò un piccolo sorriso e posando entrambe le mani sulle sue spalle, si mise in punta di piedi: erano quasi alla stessa altezza ora, e il suo viso era pericolosamente vicino a quello di Izuku. Era chiaramente intenzionata a posargli un bacio sulle labbra e, beh, in quel momento il corpo del verdino si mosse d'istinto, inclinando la testa e allungandosi a sua volta per lasciargliene uno sulla guancia. La tensione lo aveva portato ad affondare i polpastrelli nei fianchi della ragazza, facendola sobbalzare. Erano così morbidi.
Si preparò in fretta e furia, ignorando completamente Ochako che, con un'espressione sconsolata, si rimise a letto, voltandogli le spalle. Afferrò cellulare e portafoglio, e infine uscì di casa.
Si chiuse la porta alle spalle in un sospiro -di sollievo?-, e si prese qualche istante per ragionare.
Cos'era appena successo? Sì, era arrivato il momento di analizzare la mezzora appena trascorsa, dal momento in cui si era svegliato a quando era scappato con il cervello in tilt.
Quella mattina aveva aperto gli occhi alle otto e trenta, la sveglia non era suonata e lui avrebbe dovuto iniziare a lavorare alle otto spaccate, se fosse stato davvero lunedì mattina. Invece, no, era giovedì.
Primo fatto strano, ma in fondo era molto stressato nell'ultimo periodo e forse stava andando in burnout -non che ci fosse da festeggiare, dato che come ipotesi era alquanto preoccupante.
Si era alzato di corsa, era andato in bagno e si era lavato faccia e denti. Era tutto filato liscio, tranne--
Il secondo spazzolino nel bicchiere. Non era suo, e ora che ci ragionava era rosa: mise in ordine tutte quelle informazioni e gli parve chiaro che quello fosse il primo segno della presenza di un'altra persona in casa sua.
Aveva buttato lo spazzolino di Ochako nel cestino.
Tornato in camera per prendere la divisa, si era accorto di lei. Era sempre stata lì fin dal primo istante in cui aveva aperto gli occhi, ma Izuku non l'aveva notata. Ochako sembrava tranquilla, nei suoi occhi non c'era nemmeno un velo di imbarazzo, quasi fosse abituata a quella routine e a svegliarsi al suo fianco.
Questo era certamente il dettaglio più strano e sconcertante. Loro due erano sempre stati amici, ma non avevano mai espresso il loro affetto con abbracci o altre esternazioni fisiche, figurarsi se potevano dormire insieme. Inoltre, quel tentativo di bacio prima che il verdino se la svignasse non lasciava molto spazio alla fantasia: per Ochako, loro stavano insieme. E, per qualche motivo, gli sembrava che l'ipotesi più plausibile fosse di aver perso la memoria, e non che lei fosse improvvisamente impazzita.
Istintivamente, portò lo sguardo alle sue stesse mani. Erano callose e pallide, come sempre, ma notò subito alcune cicatrici che, ne era certo, non aveva mai visto.
Prese il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e, per fugare qualsiasi dubbio, guardò la data che apparve sullo schermo ancora bloccato: era il 5 giugno, sì, ma l'anno segnato era completamente sbagliato. Sbatté le palpebre più volte, si diede un sonoro schiaffo in faccia nel caso il sonno avesse deciso di rimanere ancora attaccato al suo corpo e fargli vedere cose che non esistevano.
Però, no, era il 5 giugno di due anni dopo. Due anni passati dalla sera precedente e nessuna giustificazione sensata.
Il cuore stava scavando un tunnel nel suo petto per finire direttamente nello stomaco e farsi vomitare fuori; i palmi sudati gli fecero scivolare via il telefono, che si schiantò sulle piastrelle del pianerottolo in un suono sordo -senza rompersi, fortunatamente. 
"Niente panico", pensò, "Magari il mio telefono ha qualche bug, un problema di sincronizzazione...". Onestamente, non ci capiva nulla di quelle cose, ma sperò di avere ragione.
Trovò il coraggio di muoversi e scese in strada, intenzionato a trovare l'edicola più vicina e ricorrere al metodo più vecchio del mondo: affidarsi alla buon vecchia carta stampata. 
Camminò circa per un isolato, quando vide un chioschetto: afferrò il primo giornale che gli capitò sotto tiro, pagò e si mise immediatamente a scandagliare la prima pagina, finché non trovò in alto a destra la conferma che cercava -e che tanto lo spaventava.
Era davvero il 5 giugno, erano davvero passati due anni.
Come diavolo era possibile? Quale arcano mistero si nascondeva dietro quella incomprensibile incongruenza tra la tua testa e la realtà? Aveva problemi di memoria o si trattava di una dannatissima magia?
Ma, soprattutto, cosa era successo in quei due anni di vuoto più totale?
-Deku?-
Una voce sconosciuta prese a chiamarlo alle sue spalle, e Izuku non se ne accorse subito: era troppo assorto, troppo sconvolto. Troppo confuso.
-Deku, sei davvero tu?- 
Il ragazzo si voltò, trovandosi di fronte una ragazzina di circa 15 o 16 anni che lo guardava con gli occhi nocciola che le brillavano. Non l'aveva mai vista in vita sua, ma per non risultare scortese le sorrise e le chiese con calma se si conoscessero.
-Uh, no!-, sembrava agitata, e fece una mezza risata imbarazzata, -Sono una tua grande fan! Possiamo farci una foto?-
Izuku corrugò la fronte, perplesso, ma alla fine acconsentì a quella richiesta: era molto inusuale che qualcuno lo riconoscesse per strada, però non poté negare che fu una sensazione molto piacevole. Quel piccolo scambio catturò l'attenzione di altre quattro o cinque persone che puntarono lo sguardo su di lui e si illuminarono: subito lo accerchiarono chiedendo chi una foto e chi un autografo; un ragazzo gli chiese semplicemente un abbraccio, e lui ancora frastornato lo accontentò senza fare domande.
Si sentiva stranamente bene. La gente lo conosceva, il che significava che forse in quei due anni si era distinto come eroe. Un vero e proprio sogno che diventava realtà.
Si rifugiò nel primo cafè che individuò con una veloce occhiata lungo la strada, alla ricerca di un po' di privacy e indirizzato da una certa fame: dopotutto, non aveva ancora fatto colazione.
Ordinò un caffè -lungo- e dei pancake e, dopo aver smangiucchiato qua e là il suo pasto quel che bastava per ristabilire i livelli di zucchero nel suo sangue, tirò fuori il suo cellulare e prese a scorrere tra le chat: era certo che lì avrebbe trovato le risposte alle sue domande, o quantomeno avrebbe fatto un po' di chiarezza nella sua testa dannatamente confusa.
Notò subito una serie di nomi familiari, e in qualche modo si tranquillizzò: Shoto, Ochako, Iida, Tsuyu, persino Kacchan era tra i contatti recenti. Chissà come stavano tutti, ora che era trascorso tutto quel tempo.
Puntato in alto c'era il nome di Shoto, e scorrendo tra i messaggi vide che parlavano spesso di lavoro usando frasi brevi e coincise. Pareva fossero colleghi, anche se chiaramente non ricordava il momento in cui quel fatto fosse accaduto. Un brivido di contentezza lo attraversò, non c'era niente di meglio che andare in pattuglia e combattere fianco a fianco con un amico -e Shoto era probabilmente uno dei suoi migliori amici.
Passò oltre.
Subito sotto, sempre fissato, c'era il nome di Ochako: era salvato con un cuoricino accanto. L'ultimo messaggio era della sera prima e Izuku le aveva chiesto cosa volesse per cena, dato che stava tornando a casa.
Era una domanda dolce, premurosa -classico comportamento di due persone che si amano e vivono sotto lo stesso tetto.
Sospirò. Onestamente, non gli sarebbe dispiaciuto ricordarsi dei -indubbi- bei momenti passati con lei fino a quel momento; chissà come era iniziata tra loro. 
All'improvviso, Izuku spalancò gli occhi colto da un'assurda realizzazione. In mezzo a quel trambusto, si era completamente dimenticato di un dettaglio: quando era andato a dormire la sera prima -o meglio, da quanto aveva capito, due anni prima- era felice e agitato, tanto che si era convinto che non avrebbe mai chiuso occhio. 
Magari non si fosse mai addormentato.
Se avesse passato l'intera notte in bianco, la sera dopo si sarebbe potuto godere il suo tanto agognato primo appuntamento con Ochako.
Ovvio, no? Era così stupido da non aver compreso fino a quel momento come dovevano essere andate le cose. Quell'appuntamento che -dannazione- non aveva potuto vivere per qualche strana assurdità che ancora doveva processare era andato a buon fine. Ottimo fine, visto che a distanza di due anni stavano ancora insieme.
Sorrise. Prima poco, le labbra appena piegate all'insù e le guance imporporate, poi pian piano sempre di più, fino a esibire i denti bianchi e ordinati in una simpatica smorfia di contentezza. Un paio di persone lo fissarono stranite, ma lui non ci fece caso. Era troppo perso nel suo mondo incantato; le farfalle nel suo stomaco sembravano uno sciame impazzito, e il che era inspiegabile visto che non aveva mai realmente baciato Ochako. O, almeno, non ne aveva ricordi. L'aveva persino rifiutata quella mattina: si era comportato in maniera pessima con lei, anche se era comprensibile data la situazione in cui si era visto catapultato.
Però lei non poteva immaginarlo. Era come se Ochako avesse vissuto in una linea temporale diversa dalla sua fino a quel momento, e loro due, appartenenti a due mondi completamente diversi, si fossero incontrati quel 5 giugno per la prima volta.
D'un tratto Izuku ragionò sul pensiero che aveva appena formulato. 
Linee temporali. Universi paralleli. 
Il giorno precedente, mentre cercava di trattenere quel ladruncolo da strapazzo ed estremamente sfuggevole, si era sentito molto strano. Come se la sua intera vita gli stesse passando davanti agli occhi ma senza un senso di continuità, senza un ordine, in preda a dei balzi impazziti e sconclusionati avanti e indietro nel tempo. 
C'erano i giorni felici, ma soprattutto quelli tristi, i peggiori, quelli che più lo avevano segnato e gli avevano permesso, in un certo senso, di trasformarsi nella persona che era diventato.
I punti chiave della sua esistenza.
Non poteva, no, anzi, non doveva essere tutto un caso. Izuku era fermamente convinto che ci fosse una motivazione dietro a tutto quello che stava vivendo: iniziava a credere che non si trattasse semplicemente di un vuoto di memoria lungo due anni. Quel ragazzo lo aveva manipolato in qualche assurdo modo, e davvero non comprendeva quale fosse il funzionamento alla base di quel quirk, lui che di poteri e stranezze ne sapeva a bizzeffe.
Quello spaventoso timore di essere impazzito stava lentamente svanendo; non poteva essere malato o esageratamente stressato, almeno non in maniera così grave e improvvisa: la paura era giustificata, ma a un certo punto era necessario ragionare lucidamente.
La notte precedente era successo qualcosa che aveva incrinato il suo spazio-tempo e lo aveva sputato direttamente in quel momento della sua vita, per quanto assurdo potesse sembrare.
Sì, insomma, non poteva averne la certezza. Tuttavia, era l'unica opzione sensata a cui riusciva a pensare, e in quel momento voleva aggrapparsi con tutte le forze alla minima cosa che avesse una vaga parvenza di certezza.
In quella situazione c'erano più domande che risposte. Cosa stava succedendo? Sarebbe mai più tornato al suo tempo? Avrebbe dovuto abituarsi a vivere così?
Non poteva saperlo, e onestamente meno ci pensava e meglio era per la sua salute mentale già gravemente compromessa da tutta quella faccenda. L'unica cosa che poteva fare era analizzare il tutto man mano che si svolgeva: non era un modus operandi particolarmente comodo, ma era l'unico che aveva a disposizione.
Ora, c'era un'unica, vera grande domanda a cui voleva trovare una soluzione: al prossimo risveglio, dove si sarebbe trovato?
  
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