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Autore: EffieSamadhi    12/04/2023    0 recensioni
Londra, giorni nostri.
Clarissa ha ventisette anni, un cane e un lavoro che la soddisfa, ma dopo una brutta delusione non è più riuscita ad abbandonarsi all'amore. Almeno finché non incontra Christian, il suo nuovo capo, un uomo eccentrico e scanzonato ma dal passato estremamente misterioso...
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Clarissa1

Capitolo secondo.

 

Londra, aprile

 

 

            «Ancora un momento, ancora un momento, ancora un… ecco fatto!» esclamò Ava, mulinando l’arricciacapelli in aria come una spada. «Sono veramente fiera di me, ho fatto un ottimo lavoro» aggiunse, spegnendo l’attrezzo e riponendolo a distanza di sicurezza.

            Clarissa osservò la propria immagine allo specchio, annuendo alla vista della semplice acconciatura realizzata dall’amica. Ava non aveva fatto altro che accentuare le onde naturali dei suoi capelli, eppure il risultato finale sembrava davvero quello che avrebbe raggiunto un professionista del settore. Si alzò dalla sedia, lisciandosi il vestito. «Che ne dici, sono presentabile?»

            «Scherzi? Sarai la donna più bella di tutta la festa. Questo vestito ti sta una favola» rispose l’altra ragazza, allungando una mano per sistemarle la gonna. «Anche se il pezzo forte sono i capelli, naturalmente» continuò con un sorriso.

            «Spero di non fare figuracce. Non vorrei si pentisse della sua scelta» sussurrò Clarissa, controllando per l’ennesima volta di aver inserito tutto il necessario nella borsa. «Per quanto sono nervosa, sento che come minimo potrei rovesciare un drink addosso ad un futuro premio Nobel» aggiunse, guardando ancora una volta il proprio riflesso. «Pensi che in quel caso sarei licenziata?»

            «Per quanto sei noiosa, sento che come minimo potrei darti un calcio nel sedere» le fece il verso l’amica. «Ma non lo farò perché non voglio sgualcirti il vestito. A che ora dovrebbe arrivare?» chiese, gettando un’occhiata all’orologio.

            «All’incirca…» iniziò Clarissa, subito interrotta dal suono del campanello, «..ora

            «Puntuale, il nostro signor Murray. Un altro punto a suo favore» commentò Ava, voltandosi per fissare Harry, che le restituì uno sguardo piuttosto assonnato. Aspettò che Clarissa rispondesse al citofono, poi la aiutò a indossare il cappotto. «Passa una bella serata, e non fare niente che io non farei.»

            «Il problema è che tu faresti un sacco di cose» scherzò Clarissa, prendendo la borsa. «Non c’è il caso che resti con Harry fino al mio ritorno, comunque. È sufficiente che lo porti fuori verso le dieci e mezza, dopo puoi anche tornare a casa. Non dovrei rientrare tardi, è abituato a stare solo per qualche ora.»

            «In frigo c’è la birra?»

            «Naturalmente.»

            «I biscotti sono nella credenza?»

            «Come sempre.»

            «Netflix funziona?»

            «Come vivrei senza?»

            «Allora credo non avremo bisogno di altro, dico bene?» Harry alzò il muso e guaì appena, come a voler sottolineare che la presenza di Clarissa non era affatto necessaria. «Ora vai, la tua carrozza probabilmente è parcheggiata in doppia fila. E vedi di rilassarti, ok?» Clarissa prese un respiro profondo, alzando gli occhi al cielo. Non si sentiva così nervosa dai tempi del primo appuntamento, ma sapeva che non avrebbe dovuto provare certe sensazioni, in fondo si trattava semplicemente di una serata di lavoro. Eppure, nonostante ci avesse provato in tutti i modi, non riusciva a calmarsi. Si trattenne dall’esprimere i propri dubbi soltanto perché sapeva che Ava non avrebbe mai smesso di prendersi gioco di lei.

 

            Varcò il portone e scese gli scalini a testa bassa, impegnandosi per mantenere l’equilibrio sui tacchi, che non era abituata a portare. Quando finalmente alzò lo sguardo, si trattenne a stento dall’esternare il proprio stupore ad alta voce. Appoggiato alla portiera di un’auto piuttosto datata, con le mani affondate nelle tasche e lo sguardo perso ad osservare il quartiere, Christian pareva un incrocio tra James Bond e il Dylan McKay di Beverly Hills 90210. Clarissa pensò che si sentiva impacciata come Brenda, ma con indosso un abito da Bond Girl. Scese sul marciapiede e si avvicinò di qualche passo, salutandolo in modo garbato. «Clarissa!» esclamò lui, accorgendosi all’improvviso del suo arrivo. «Mi perdoni, ero distratto. Non mi avevano parlato bene di questo quartiere, ma in realtà devo dire che mi affascina. Lo trovo pittoresco.»

            «Sì, pittoresco potrebbe essere l’aggettivo adatto» sorrise lei, guardandosi attorno a sua volta. «Mi dispiace di averla fatta aspettare.»

            «Non lo dica nemmeno per scherzo, è in perfetto orario. E comunque si aspetta sempre volentieri una bella ragazza in abito da sera.» Le porse una mano, mentre con l’altra aprì lo sportello dell’auto, invitandola a salire. Clarissa evitò di guardarlo negli occhi, sicura che sarebbe riuscito a notare il rossore sul suo viso. Nonostante non si fosse soffermata a considerare il signor Murray come un uomo, ma solo come il suo capo, ricevere un complimento del genere l’aveva fatta arrossire come quando era una ragazzina. «Prima di andare, vorrei dire una cosa» proseguì l’uomo dopo aver fatto il giro dell’auto ed essersi accomodato al posto di guida. «Vorrei davvero ringraziarla per aver accettato di accompagnarmi. E prometto di impegnarmi a renderle la serata il meno noiosa possibile.»

            «Se dovessi annoiarmi, potrebbe pagarmi la serata come ore di straordinario» replicò lei, sorprendendosi per la propria prontezza di spirito.

            «Affare fatto» decretò lui, porgendole la mano per suggellare l’accordo. «Se si annoierà, avrà gli straordinari. Ora andiamo, che ne dice?» aggiunse, avviando il motore mentre lei si allacciava la cintura.

            Per i primi tre minuti, nessuno dei due parlò. Christian era concentrato sulle strade di un quartiere che non conosceva, mentre Clarissa si stava prendendo un attimo di tempo per guardarsi attorno, cercando qualche dettaglio che potesse permetterle di conoscere meglio l’uomo che le stava accanto. «Non sono un’esperta di auto, ma la sua mi piace molto. Sembra antica.»

            Christian scoppiò a ridere. «La perdono perché non è un’esperta, ma non dica mai che un’auto è antica. Antico si può dire di un libro, di un soprammobile, di un edificio… ma un’auto non è antica. Si dice vintage

            «Quale sarebbe la differenza?»

            «L’ego di chi la possiede, suppongo» sorrise lui. «Comunque è una Aston Martin DBS del 1969, completamente originale. Una delle auto più belle mai prodotte.»

            «E… cosa farebbe che le auto moderne non fanno?»

            «Beh, l’Aston Martin è l’auto preferita da 007. In effetti, questa è l’auto di 007.»

            «Nel senso che 007 guidava questo tipo di auto?»

            «Non esattamente» replicò lui. Clarissa notò che sembrava diventato improvvisamente reticente, come se quell’auto nascondesse un segreto che non voleva rivelare. «Se le dico la verità, promette di non iniziare a considerarmi un ricco capriccioso?»

            «Non potrei mai pensare questo di lei. Praticamente mi paga lo stipendio.»

            «Giusto, tendo sempre a dimenticare quale sia il potere dei soldi. Per farla breve, questa è l’auto che George Lazenby guidava nel film Al servizio segreto di sua maestà. Quindi, a tutti gli effetti si tratta della macchina di James Bond.»

            «Lei ha comprato l’auto di James Bond?»

            «Un capriccio che volevo soddisfare» rispose lui, alzando le spalle. «Da ragazzo ero un vero appassionato della saga di 007. A sedici anni avevo già letto tutti i romanzi di Ian Fleming, e ogni volta che usciva un nuovo film ero il primo nella fila davanti al cinema. Ma quando vidi quest’auto…» sospirò. «Il film lo trovai noioso, a dire il vero. Preferivo Sean Connery. Ma questa macchina…» disse ancora, accarezzando con delicatezza il volante in pelle. «Tre o quattro anni fa un amico mi invitò a un’asta. Un ricco uomo d’affari sull’orlo della bancarotta voleva disfarsi di alcuni dei suoi oggetti più preziosi per tentare di risollevarsi. Ci andai per far compagnia al mio amico, non pensavo avrei nutrito interesse per qualcosa. Poi il banditore annunciò questo lotto.»

            «E decise che doveva averla.»

            «Non mi fraintenda, Clarissa. Non sono facile al colpo di fulmine. Ma per avere quest’auto sarei stato pronto a fare pazzie.»

            «Più che per una donna?» gli domandò lei, curiosa di conoscere più dettagli circa quel bizzarro aneddoto.

            «Mi creda, in quel momento avrei potuto avere Naomi Campbell seduta sulle ginocchia e non me ne sarei nemmeno reso conto.»

            «Scommetto che in molti l’avranno presa per pazzo.»

            «La pazzia è un concetto relativo. Al mondo c’è chi colleziona sassi, chi prenota un jet privato per portare la fidanzata a cena a Parigi e chi battezza il proprio cane come uno dei membri della famiglia reale. Chi può dire che cosa sia realmente la pazzia?»

            Sentendosi chiamata in causa, Clarissa sorrise. «Penso di potermi giustificare. Non conosco una sola ragazza in tutto il Regno Unito che non abbia mai sognato di vivere con un Windsor.»

            «E io non conosco un solo uomo al mondo che non abbia fantasticato almeno una volta di essere un agente segreto. Presumo che potremmo ritenerci pari.»

            «Lo penso anche io. Anche se trovo difficile immaginare James Bond che indossa un braccialetto di perline.» Christian scoppiò in una risata fragorosa, e Clarissa non poté fare a meno di chiedersi se quel suo ultimo intervento non fosse stato un’esagerazione, anche se, a giudicare dalla sua reazione, sembrava che ne fosse rimasto estremamente divertito. «Mi perdoni, non intendevo essere impertinente.»

            «Impertinente? Non scherziamo» rispose lui, asciugandosi una lacrima causata dalla troppa ilarità. «Mi stavo giusto chiedendo quando avrei rivisto quello spirito.»

            «Quale spirito

            «Andiamo, sa benissimo di cosa sto parlando» replicò lui, fermandosi ad un semaforo rosso. «Al lavoro lei è sempre molto elegante, composta, precisa. Quasi una signorina Rottenmaier» precisò, voltandosi per guardarla. «Ma lei non è veramente così. Ricordo bene come mi ha attaccato il giorno in cui l’ho trascinata in giro per la città per vedere tutte quelle case.»

            «Ero stanca e mi facevano male i piedi. Chiunque nelle mie condizioni avrebbe alzato la voce.»

            Christian fece spallucce, riprendendo a guidare non appena il semaforo ebbe cambiato colore. «Sarà. Le auguro di avere spesso male ai piedi, allora.»

            Per un lunghissimo minuto Clarissa lo fissò, domandandosi il significato di quell’ultimo bizzarro scambio di battute. Se Ava fosse stata lì con loro, le avrebbe fatto notare che Christian aveva fatto centro. In effetti era vero, in lei convivevano due personalità distinte: quella che ogni mattina entrava in ufficio e svolgeva il proprio lavoro in maniera straordinariamente efficiente, e poi quella riservata agli amici, alla famiglia e al resto del mondo. Le era sembrato naturale scindere il suo modo di fare, differenziando i comportamenti consoni all’ufficio e quelli adatti alla vita privata: aveva preso a farlo quando le era stata offerta la promozione, sicura che l’azienda fosse alla ricerca di una figura integerrima e dedita al lavoro, e aveva continuato su quella linea per difendersi dagli attacchi di Spencer, sicura che se si fosse mostrata come una donna tutta d’un pezzo lui avrebbe smesso di importunarla – mossa che in effetti si era rivelata vincente. Tuttavia, ora che Christian aveva iniziato a far parte delle sue giornate, sembrava quasi scontato che molti dei suoi comportamenti avrebbero dovuto iniziare a cambiare. «Ha qualche consiglio per me?» domandò, desiderosa di sviare una conversazione che cominciava a procurarle troppi dubbi. «Su come dovrei comportarmi questa sera.»

            «Nessuno in particolare, saranno tutti troppo presi da loro stessi per prestarle davvero attenzione.»

            «Quindi mi sta dicendo che dovrei soltanto essere me stessa?»

            «Esattamente. E si rilassi, andrà tutto bene.»

            «Ma io sono rilassata.»

            «Certo, è così rilassata che potrei usarla per fare surf» replicò lui, accostando al marciapiede nei pressi di un palazzo elegante e spegnendo il motore. «Finga che sia una serata tra amiche.» Scese dall’auto e passo dall’altro lato per aprirle lo sportello, tendendole una mano per aiutarla a scendere. «Andiamo?» Clarissa gli sorrise, seguendolo verso l’ingresso dell’edificio.

            Christian si rivolse in modo cordiale al concierge in piedi accanto al portone. «Buonasera, Christian Murray e Clarissa Breckenridge.»

            «Prego, signori. Vi auguro una buona serata» rispose l’altro uomo, spuntando i loro nomi dalla lista degli invitati e stendendo un braccio per invitarli ad entrare.

            «Non credo di essere mai stata ad una festa con lista» commentò Clarissa, iniziando a slacciarsi il cappotto mentre Christian la guidava verso il guardaroba.

            «Se si comporterà bene, vedrò di invitarla anche alla prossima» ridacchiò, porgendo il proprio soprabito alla giovane addetta che li aveva accolti con un sorriso. Si voltò verso Clarissa per aiutarla, ma alla vista del suo abito rimase senza fiato. «Santo cielo… vedo che ha preso alla lettera la mia richiesta di vestirsi elegante» sussurrò.

            «Cosa? Non… non va bene?» ribatté in fretta lei, abbassando gli occhi sul proprio vestito, pronta a rimettersi il cappotto.

            «Tutto il contrario» rispose lui, facendo correre il proprio sguardo sulla sua figura mentre le toglieva il soprabito dalle mani. «Credo che stasera avrà addosso un sacco di occhi.» Clarissa abbassò gli occhi, vagamente imbarazzata. «Non abbassi lo sguardo» aggiunse lui a bassa voce, sfiorandole il meno con due dita per convincerla a guardarlo. «Con due occhi come i suoi, sarebbe un peccato.»

            «Signor Murray, ci sta per caso provando con me?» lo sfidò, ritrovando un po’ di coraggio.

            «Chi lo sa» rise lui, ritirando la ricevuta del guardaroba. «Di sicuro il cliché del capo che insidia la segretaria è uno dei più comuni.» Nonostante avesse vissuto tale situazione sulla propria pelle, Clarissa capì immediatamente che stava scherzando. «Una cosa è certa: se berrà tutti i drink che le offriranno stasera, dovrò portarla a casa in braccio.»

 

            La grande sala era illuminata da maestosi lampadari di cristallo, i tavoli ricoperti da raffinate tovaglie damascate, i coperti apparecchiati con precisione millimetrica. «E così questa sarebbe una fiera del libro in miniatura?» domandò Clarissa, ricordando bene il modo in cui Christian le aveva descritto la serata per convincerla ad accompagnarlo.

            «Diciamo una versione elegante di una fiera del libro» rispose lui, guardandosi attorno come per cercare dei visi noti. «Tutto quello che dobbiamo fare è… mescolarci» aggiunse, prendendo due bicchieri di champagne dal vassoio di un cameriere lì accanto. «Ecco, prenda questo. Imparerà presto che il miglior modo per sentirsi a proprio agio è anestetizzarsi.»

            «Intende farmi ubriacare e approfittare di me?» lo stuzzicò, accettando il calice con un sorriso.

            «Per fortuna non ho bisogno di ricorrere a questi mezzucci per conquistare una ragazza. Se volessi approfittare di lei, se ne accorgerebbe» replicò, strizzandole l’occhio. Alzò il calice e lo inclinò appena, invitandola a brindare con lui. I bicchieri stavano per toccarsi, quando una voce nota li interruppe.

            «Signor Murray, finalmente è arrivato!»

            «Buonasera, signor James» lo salutò Christian, ricambiando la stretta di mano. «Sarei arrivato prima, ma ho dovuto aspettare che la signora finisse di prepararsi» si giustificò, indicando Clarissa.

            Il signor James si voltò verso di lei per salutarla, sgranando gli occhi nell’accorgersi di chi si trattasse. «Signorina Breckenridge!» esclamò, evidentemente sorpreso. «Mi perdoni, ad un primo sguardo non l’avevo riconosciuta» si scusò, esibendosi in un raffinato baciamano. «Se posso permettermi, la trovo molto elegante.»

            «La ringrazio, signor James. È un piacere essere qui. Questa sala è incantevole.»

            «Non è merito mio, ho lo stesso senso artistico di un gorilla» nicchiò lui. «Dovrebbe rivolgere i suoi complimenti a mia moglie, è stata lei ad occuparsi di tutto. Cara, cara!» aggiunse, richiamando l’attenzione di una signora poco distante. «Veronica, mia cara, vorrei presentarti due dei miei più preziosi collaboratori, Christian Murray e Clarissa Breckenridge. Christian, Clarissa, vi presento Veronica, mia moglie.»

            Clarissa strinse cordialmente la mano della signora James, che aveva intravisto alcune volte negli uffici della More Books, ma con la quale non aveva mai parlato di persona. Christian la salutò chinando il capo e baciandole la mano, proprio come un vero gentiluomo. «Signora James, è un vero piacere incontrarla.»

            «Il piacere è tutto mio» rispose la donna, mostrando un sorriso aperto e sincero. «Devo ammettere che ero piuttosto ansiosa di incontrarvi. Mio marito negli ultimi giorni non ha fatto altro che parlare di voi.»

            Clarissa continuò a sorridere, pensando fosse una delle tipiche frasi di circostanza da usare in quel tipo di situazioni. «Spero in termini lusinghieri» rispose Christian.

«Usa solo termini lusinghieri, posso giurarlo. In trent’anni di matrimonio non l’ho mai sentito parlare così bene di nessuno. Se mai doveste decidere di dimettervi, credo che per la disperazione potrebbe uccidersi.»

«Personalmente, non credo potrei trovare un’azienda migliore della More Books» intervenne Clarissa, seriamente convinta delle proprie parole. Per quanto non stesse svolgendo il lavoro per il quale aveva fatto richiesta tre anni prima, sentiva di aver finalmente trovato un equilibrio che non avrebbe barattato per nulla al mondo.

«Sono lieta di sentirglielo dire, Clarissa» rispose la donna, annuendo appena. «La More Books per mio marito rappresenta il lavoro di una vita. Sentir pronunciare queste parole a uno dei suoi dipendenti è la prova che sia davvero riuscito nel suo intento.» La osservò con attenzione, piegando la testa da un lato. «Mi perdoni, ma non riesco a staccare gli occhi dal suo vestito. Sembra un modello della nuova collezione di Ella Breckenridge, ma non credevo sarebbe stato in vendita fino all’estate.»

Clarissa si sentì arrossire. Nonostante fosse ben consapevole del talento della sorella, tendeva a dimenticare quanto fosse conosciuta. «In effetti fa parte della collezione che uscirà quest’estate. Ne ho avuto uno in anteprima perché Ella Breckenridge è mia sorella» confessò.

«Che stupida a non averci pensato» replicò la donna, battendosi una mano aperta sulla fronte. «In effetti Breckenridge non è un cognome così comune. Può dire a sua sorella che le ha fatto un regalo prezioso. Le sta davvero d’incanto.» Il marito le passò un braccio attorno alla vita, stringendole appena il fianco come a voler comunicare un segnale. «Il signor James sta cercando di ricordarmi che abbiamo ancora molti invitati da accogliere, dunque ci perdonerete se vi lasciamo da soli. A più tardi.»

«A più tardi» risposero all’unisono Christian e Clarissa, guardando la coppia allontanarsi nella sala gremita.

«Devo ammettere che questo mi tranquillizza» sospirò l’uomo. Intercettò lo sguardo interrogativo di Clarissa e alzò le spalle. «Sapere che l’abito è un regalo di sua sorella. Tremavo al pensiero della ricevuta della boutique.»

Lei sorrise. «Il lato positivo dell’avere molte sorelle è che ognuna è specializzata in un campo diverso. Dispongo di molte figure professionali solide, comprese un’avvocatessa e una parrucchiera.»

«Certamente più utili di un’insegnante di pianoforte e di un critico letterario. Che ne dice, vogliamo finalmente brindare?» aggiunse, rialzando il calice.

«A cosa vuole brindare?» gli domandò, alzando il calice a sua volta.

«Alla compagnia giusta, direi.»

«Alla compagnia giusta» ripeté lei. I bicchieri tintinnarono, e un lungo sorso li tenne entrambi impegnati per qualche secondo. «Mi fa uno strano effetto essere qui» disse dopo un breve silenzio. «Conosco tutte queste persone, di vista o di fama, ma sono più che sicura che nessuna di loro conosca me. Eppure molti di loro mi hanno già incontrata.»

«Uno dei problemi del mondo moderno. È tutto veloce, frenetico… non riusciamo più a trovare il tempo di soffermarci sulle persone» rispose lui, continuando a guardarsi attorno. Clarissa approfittò di quella distrazione per osservare meglio i suoi lineamenti. Non si poteva dire che fosse un uomo perfetto: aveva la fronte troppo alta e il naso sembrava lievemente storto, come se avesse subito una frattura che non si era saldata correttamente. Sorrise pensando al modo in cui Ava avrebbe risposto alle sue obiezioni: le avrebbe definite stupide e insensate, e sicuramente le avrebbe ricordato quanto fosse importante osservare il contesto generale, invece dei singoli dettagli. Clarissa non poté fare a meno di pensare che si trattava di un uomo molto affascinante nonostante quei piccoli difetti, un uomo che certamente sapeva sopperire alle proprie mancanze con l’ausilio di una personalità dirompente e molto estrosa. «Perché mi sta fissando?» le domandò, sorprendendola concentrata su di lui.

«Mi stavo chiedendo perché abbia chiesto a me di accompagnarla. Qualcosa mi dice che non le mancano le donne da invitare alle feste.»

«Forse no, ma non credo sarebbe appropriato dirlo proprio a lei.»

«Avanti, me lo dica. Perché lo ha chiesto a me?»

Christian bevve un altro sorso di champagne, cercando le parole giuste. «Da quando lavoro alla More Books, e cioè due settimane, mi sono stati recapitati tre mazzi di fiori, dieci numeri di telefono e otto inviti a cena» confessò. «Ammetto che la cosa mi ha lusingato, in un certo senso, ma io sono uno della vecchia scuola. Preferisco essere il corteggiatore piuttosto del corteggiato.»

«Devo pensare che mi stia corteggiando?» gli domandò in tono dubbioso.

«Gliel’ho già detto, se la stessi corteggiando se ne accorgerebbe» sorrise lui. «No, semplicemente volevo al mio fianco una donna con una considerazione di me che andasse oltre il mero aspetto sessuale.»

«Quindi ha scelto me perché crede sia una delle poche donne in azienda che non vogliono venire a letto con lei?»

«Qualcosa del genere. A meno che non abbia preso una colossale cantonata, certo.»

«Intrecciare una relazione con il mio capo non è sulla mia lista delle cose da fare, per il momento» rispose lei, scoppiando in una risata. «Anzi, se devo essere sincera al momento non nutro alcun interesse per gli uomini in generale

«Una brutta esperienza?»

«Diciamo di sì. Riassumendo, l’ho trovato a letto con la mia migliore amica.»

«Pessimo. Davvero pessimo. Almeno gliel’ha fatta pagare?»

«Non come avrei voluto» rispose lei, sorseggiando il suo champagne. «La cosa peggiore è che suo fratello è fidanzato con una delle mie sorelle, dunque spesso sono costretta a vederlo. Cerco sempre di essere cordiale, ma tutto quello che vorrei fare è sputargli in un occhio.»

«Bella e vendicativa, eh? Lei mi piace sempre di più.»

Clarissa sorrise, ma non ebbe occasione di rispondere: il signor James era appena salito sul piccolo palco allestito in un angolo della stanza. L’orchestra abbassò il volume della musica fino al silenzio, e il dirigente prese la parola al microfono. «Buonasera a tutti, signore e signori. Vi ringrazio di aver accettato il mio invito a partecipare a questa serata. Vorrei invitarvi a prendere posto, la cena è pronta per essere servita.»

Tra gli applausi dei convitati, Clarissa e Christian si guardarono attorno cercando i loro posti. Scoprirono di essere stati destinati al tavolo più importante, quello a cui sedevano gli organizzatori della serata. Avvicinandosi al gruppo, Clarissa ritrovò il sorriso cordiale della signora James, che con un cenno della mano la invitò ad accomodarsi. «Credo sia doveroso indugiare in un breve giro di presentazioni» annunciò. «Il signor Bradley, socio di mio marito» iniziò ad elencare, indicando un uomo dall’aria non troppo allegra, «l’avvocato Mark Farsnworth, il capo del nostro ufficio legale» proseguì, indicando un distinto signore distinto con una folta chioma di capelli rossi, «e la sua signora, Nancy» aggiunse rivolta alla donna bruna seduta accanto a lui. «Ultima, ma non meno importante, la signora Annabeth Buckley.» Clarissa, riconoscendo il volto di una delle scrittrici di punta dell’azienda, si sentì quasi mancare il respiro: poteva davvero dividere il tavolo con una delle autrici più promettenti del panorama letterario inglese? La donna aveva un volto sorridente, incorniciato da lunghi boccoli biondi, e salutò i commensali con un breve cenno del capo. «Lasciate che vi presenti Christian Murray, il nuovo acquisto della nostra società» proseguì la signora James, «e la signorina Clarissa Breckenridge, una delle nostre migliori impiegate.»

Profondamente imbarazzata nel sentirsi messa così al centro dell’attenzione, Clarissa si trattenne a stento dal salutare con la mano come avrebbe fatto una ragazzina. Si limitò a sorridere, sperando di non risultare troppo impacciata. D’un tratto sentì una mano posarsi sul fianco, del tutto inaspettata. Alzò lo sguardo, e capì che Christian, dopo aver scostato la sedia per lei, le stava facendo cenno di accomodarsi. Prese posto, e subito sentì la signora Buckley prendere la parola. «Un gesto davvero cavalleresco, signor Murray. Da vero gentiluomo inglese.»

«Devo essere un ottimo attore, allora, perché sono scozzese al cento per cento» scherzò lui, prendendo posto alla destra di Clarissa e alla sinistra della signora James.

«Non credo che la cavalleria dipenda dalla provenienza geografica» intervenne la signora Farnsworth con un sorriso. «Mio marito è un inglese purosangue da generazioni, ma non mi risulta abbia mai spostato una sedia per me.»

«Devo averlo fatto sicuramente, mia cara» ribatté l’uomo. «Forse non di recente, ma quando eravamo fidanzati…»

«Quando eravamo fidanzati il tuo massimo livello di romanticismo era lasciare che ti guardassi studiare» tagliò corto la donna.

«Se posso permettermi» intervenne timidamente Clarissa, «il romanticismo può essere molto soggettivo. Mio padre si innamorò di mia madre quando lei lo fece cadere dalla bicicletta.»

«Che storia curiosa» replicò la signora Buckley. «Non ci tenga sulle spine, credo che tutti a questo tavolo siamo curiosi di sentire i dettagli.»

Clarissa incrociò lo sguardo di Christian, trovando il coraggio necessario per continuare. «Mio padre è inglese, e con alcuni amici aveva organizzato un viaggio in bicicletta in giro per l’Europa. Mentre si trovavano in Irlanda, incontrarono mia madre. Lei stava lanciando dei sassi contro alcuni ragazzini che importunavano un cane randagio, ma sbagliò mira e colpì la bicicletta di mio padre, facendolo cadere. Andò a scusarsi, si presentarono e… beh, lui non finì mai quel viaggio.»

«Ho sempre pensato che le storie migliori fossero le più semplici» annuì la signora James, mentre il marito prendeva posto accanto a lei e una schiera di camerieri in livrea irrompeva nella sala sorreggendo i piatti contenenti la prima portata.

«Forse sono prevenuto a causa dei recenti sviluppi del mio matrimonio» intervenne il signor Bradley, «ma credo che molti di voi abbiano una visione piuttosto distorta dei sentimenti. Sono disposto a perdonare soltanto la signorina Breckenridge, perché è giovane e ha ancora il diritto di sognare.»

Il signor James ridacchiò, scostandosi per permettere al cameriere di servirlo. «Amico mio, parli con tanta acredine perché la tua ferita è ancora troppo recente. Non dovresti permettere ad un solo episodio spiacevole di condizionare la tua mente.»

«Forse dovremmo lasciar perdere e riparlarne tra qualche mese» rispose l’altro uomo. «Forse per allora riuscirò a vedere tutto in maniera più chiara.»

L’assaggio della prima portata fece calare il silenzio su una questione ancora troppo recente per poter essere discussa con serenità. Per stemperare la tensione Christian, che aveva notato lo sguardo indagatore della signora Buckley, seduta esattamente di fronte a lui, decise di intervenire: «Dunque, signora Buckley, pare che dovrò impegnarmi molto per portare al successo il suo prossimo lavoro.»

«Ammetto di aver svolto qualche indagine circa la sua carriera, signor Murray» rispose la donna, sostenendo fermamente il suo sguardo. «Non credo dovrà poi impegnarsi molto, visti i suoi precedenti.»

«La ringrazio, ma lei mi dà troppa fiducia. Non ho mai lavorato con un nome importante quanto il suo.»

«Non sia modesto, Christian» replicò lei, sporgendosi impercettibilmente in avanti. «Sono certa che lei sia un uomo dalle mille risorse» aggiunse, scostandosi i capelli dal viso con un gesto apparentemente spontaneo. «Dovremmo organizzare un incontro per conoscerci meglio.»

Badando di non farsi cogliere in flagrante, Clarissa osservò attentamente la scrittrice: persino un cieco avrebbe notato il suo disperato tentativo di ottenere l’attenzione esclusiva di Christian. Il modo in cui si protendeva verso di lui, il gesto ripetuto di scoprire il viso e il collo, lo sguardo fisso sul volto dell’uomo… in un istante le fu chiaro che, nonostante lo conoscesse da poco più di cinque minuti, la signora Buckley stava già iniziando a subire il fascino di Christian. Nel silenzio della propria testa sentì la coscienza farsi avanti con una vocetta subdola, simile a quella di Ava: Sei gelosa che altre donne lo guardino, vero? Vorresti che avesse occhi solo per te… Fingendo di scostarsi i capelli dagli occhi, scacciò il pensiero negativo. Essere gelosa di un’altra donna avrebbe implicato provare un’attrazione della cui inesistenza era più che certa: se Christian avesse voluto proseguire la serata in compagnia di un’altra persona, non avrebbe avuto alcuna ragione per impedirlo.

«Capirà che questi primi giorni mi sono serviti per assestarmi, guardarmi intorno» rispose Christian, pulendosi educatamente la bocca con il tovagliolo. «Tuttavia nei prossimi giorni chiederò alla signorina Breckenridge di organizzare una riunione.»

Sentendosi chiamare in causa, Clarissa alzò la testa – giusto in tempo per vedere l’ego della signora Buckley crollare come un castello di carte nel momento esatto in cui Christian aveva frapposto tra loro un ostacolo. Si sforzò di rimanere seria, tuttavia non le dispiacque che la donna fosse stata costretta a ridimensionarsi.

 

Al termine della cena, il signor James e il signor Bradley si congedarono dalla compagnia, iniziando un lungo giro di ringraziamenti tra gli altri tavoli. Clarissa si alzò dal proprio posto, prendendo con sé la borsa. «Ehi, dove sta andando?» le sussurrò Christian, posandole una mano sul braccio. «Non vorrà lasciarmi qui da solo?»

«Non mi dirà che un uomo grande e grosso come lei non può restare da solo per cinque minuti? Devo portarla alla toilette con me, forse?»

«Per carità, vederla seduta sulla tazza distruggerebbe irrimediabilmente l’ideale angelico che ho di lei.»

Clarissa sorrise, scuotendo la testa. «Lei è un uomo molto bizzarro, signor Murray. Spero ne sia cosciente.»

«Fa parte del mio fascino. La aspetto qui, veda di non metterci una vita.»

 

In piedi di fronte allo specchio, impegnata a ritoccarsi il trucco leggero, Clarissa sorrise quando la signora James entrò nello stesso spazio. «A costo di ripetermi, devo complimentarmi con lei» disse, voltandosi per guardarla.

La signora James si avvicinò al lavandino, aprendo il rubinetto per lavarsi le mani. «Spero di non peccare di superbia, ma ho sempre avuto un certo talento per queste cose» sorrise a sua volta, insaponandosi con cura. «Molti morirebbero piuttosto di ammetterlo, ma parte del successo di mio marito dipende anche da questo. Sono sempre stata piuttosto brava anche nel capire le persone, e credo proprio di vedere che sta passando una bella serata.»

«Non ero mai stata ad una festa così elegante. Non smetterò mai di ringraziare il signor Murray per avermi chiesto di accompagnarlo.»

La signora James si risciacquò le mani ed iniziò ad asciugarle con cura. «Mi dica, com’è lavorare con lui? Si trova a suo agio?»

«Mi è servito qualche giorno per imparare a conoscerlo, ma devo dire che le cose stanno iniziando ad andare piuttosto bene. Mi rispetta e rispetta il mio lavoro, per me è solo questo che conta.»

«A proposito di rispetto, dopo quanto è accaduto con il signor Glencorse… ecco, a mio marito sono giunte voci poco lusinghiere circa quell’uomo. In particolare, si è parlato di comportamenti poco appropriati nei confronti di alcune dipendenti. Lei ha lavorato al suo fianco per molto tempo, quindi se avesse qualcosa da dire…»

Clarissa abbassò lo sguardo sulle proprie mani, cercando le parole giuste. Sapeva che era solo questione di tempo prima che la vera natura di Spencer fosse portata alla luce. «Per quanto mi riguarda, si tratta di una questione chiusa» rispose nel tono più neutro possibile. «Ho gestito la cosa a suo tempo, troverei inutile riaprire una storia per la quale oltretutto non posso fornire alcuna prova.»

La signora James incrociò le braccia davanti al petto, fissandola con estrema attenzione. «Ma lei quanti anni ha?»

«Ne compirò ventisette a settembre, perché?»

«Perché si esprime con la maturità e l’eleganza di una donna molto più grande» rispose l’altra. «Non smetta di coltivare questa sua qualità. La personalità, al contrario della bellezza, non sfiorisce mai.»

«Mi sembra di sentir parlare mia madre. Senza offesa, naturalmente» si corresse in fretta, consapevole della possibile gaffe.

«Nessuna offesa» replicò l’altra donna con una risata. «In effetti, ho l’età giusta per essere sua madre. Vede» riprese dopo un istante, «mio marito nutre una profonda stima per lei. Forse non ha ancora avuto occasione per dimostrarlo, ma è molto colpito dalla sua serietà.»

«Mi stupisce, in fondo sono soltanto una segretaria.»

«Forse. Ma è l’unica che sia rimasta alle dipendenze dirette del signor Glencorse per più di tre mesi. Se non è una prova di forza questa… ora mi perdoni, ma il mio ruolo di ospite mi attende» concluse, gettando la salvietta usata per asciugarsi nel cestino accanto alla porta. «Mi raccomando, si goda il resto della serata.»

Clarissa rimase sola, provando la strana sensazione che la signora James l’avesse seguita unicamente per poter restare da sola con lei. Tornò a fissare la propria immagine allo specchio, ripensando ai velati complimenti che la donna le aveva rivolto. Quelle parole, pronunciate da una figura così importante, le riempirono il cuore di orgoglio: anche se non era riuscita ad ottenere ciò per cui era arrivata alla More Books, ora aveva la prova che in qualche modo stava facendo un buon lavoro.

 

            «Finalmente! Iniziavo a pensare di dover chiamare i vigili del fuoco» la accolse Christian all’uscita della toilette.

            «Non sapevo di avere una guardia del corpo» lo prese in giro. «Devo ammettere che la cosa mi diverte un mondo. Ma perché è qui? Credevo mi avrebbe aspettato al tavolo.»

            «Il progetto era quello, ma la signora Buckley sta continuando a braccarmi. Credo che non veda l’ora di fissare quella riunione» sussurrò, mimando un paio di virgolette nell’aria. Clarissa tentò di reprimere una risata, senza successo. «Bene, vedo che la cosa la diverte.»

            «Sì, trovo la cosa molto divertente» replicò lei, senza smettere di ridere. «Vedrò di prenotarvi un bel ristorante. Preferisce la cucina italiana o indiana per il primo appuntamento?» Christian rispose con una smorfia, continuando a guardarsi attorno per scongiurare il pericolo di essere visto dalla scrittrice con cui avevano condiviso il tavolo della cena. «Non mi dirà che ha paura di quella donna?»

            «Non ne ho paura» si difese prontamente lui. «Ho capito che nutre un certo interesse per me, che ovviamente non ricambio, ma non posso dirglielo in faccia. Distruggerei le mie possibilità di pubblicare i suoi prossimi successi.»

            «Quindi intende scappare per il resto dei suoi giorni?»

            «Non per il resto dei miei giorni, solo… beh, solo finché non sarò riuscito a farle capire che non accadrà mai ciò che spera.»

            «Perché non si fa vedere in intimità con un’altra? Quando ero ragazzina e volevo evitare un ragazzo che ci provava mi facevo sempre vedere in giro con un altro. Di solito funzionava.»

            «Credo sia l’idea più balorda che abbia mai sentito.»

            «Avevo sedici anni, non tutte le cose che facevano avevano un senso» rispose lei, alzando gli occhi al cielo. «Insomma, adoravo Alanis Morissette e pensavo che avrei sposato Johnny Depp. Perché mi guarda così?» domandò subito dopo, notando lo sguardo di Christian fisso su di lei.

            «Perché è un’idea talmente balorda che potrebbe funzionare. Venga, andiamo a ballare!» esclamò all’improvviso, afferrandole un polso e trascinandola verso la pista da ballo. Si insinuò tra le coppie già impegnate a seguire il ritmo del piccolo complesso, trascinandosi dietro una Clarissa a dir poco riluttante.

            «Guardi che non è il caso, io non so…»

            «Non protesti e si fidi di me» la interruppe l’uomo, posandole una mano sulla schiena per avvicinarla a sé. «Non è necessario saper ballare se l’altro sa condurre bene. E per sua fortuna, io sono piuttosto bravo.»

            «Chissà perché non lo mettevo in dubbio.»

            «Si fidi di me» sussurrò, abbassando il capo verso il suo orecchio. «Si lasci semplicemente andare.»

            Clarissa sentì di non avere scelta. Avrebbe potuto continuare a protestare, ma sapeva che non sarebbe servito a niente: alla fine, in un modo o nell’altro, Christian l’avrebbe comunque avuta vinta. «Però, non mentiva» disse dopo un paio di minuti. «Sa davvero ballare.»

            «Il frutto di un’educazione da famiglia ricca» rispose lui in tono quasi di sufficienza, così come avrebbe commentato un improvviso acquazzone in una calda giornata estiva.

            «Viene da una famiglia ricca?»

            «Adesso che lo sa mi trova improvvisamente affascinante?» Lei si limitò a sorridere, scuotendo appena la testa: era incredibile il modo in cui riusciva a buttare ogni cosa sul ridere, come se nulla riuscisse davvero a toccarlo. «Ebbene sì, sono cresciuto in una famiglia ricca» riprese in tono più serio, «quindi i miei genitori hanno ritenuto opportuno accrescere i miei talenti. Lezioni di galateo, arte oratoria, ballo da sala…»

            «La fa sembrare una cosa orribile.»

            «Lo è, quando hai dodici anni e tutto ciò che vorresti fare è giocare a pallone con gli amici» sospirò lui. «Ma ammetto che è stato un bene, per certi versi.»

            «Ad esempio?»

            «Se non li avessi assecondati, ora non starei ballando con lei.»

            Per un istante, Clarissa non seppe dove guardare: si sentiva lusingata ma al tempo stesso in profondo imbarazzo, poiché per quanto quella serata fosse un piacevole diversivo, non poteva e soprattutto non doveva dimenticare chi fosse quell’uomo per lei. Si sforzò di recuperare la propria compostezza. «Chissà, un giorno forse incontrerà una donna che saprà apprezzare questa sua qualità più di quanto non stia facendo io.»

            «Mi sta dicendo che non le piace ballare con me? Strano, non le ho pestato i piedi nemmeno una volta.»

            «Sto dicendo che qualsiasi donna gradirebbe essere invitata a ballare in maniera spontanea, e non solo per sfuggire ad una spasimante poco gradita.»

            «Prometto che alla prossima occasione me ne ricorderò.»

            «Sta dando per scontato che accetterò ancora di accompagnarla a una festa?»

            «Sto dando per scontato che glielo chiederò, visto il successo di questa sera. A questo proposito, immagino che non mi domanderà di pagarle gli straordinari.»

            Clarissa si mordicchiò un labbro, fissandolo dritto negli occhi. «No, credo che per questa volta lo considererò un favore.»

            Christian strinse impercettibilmente la mano sul suo fianco, continuando a volteggiare con lei sulla pista, confondendosi con le altre coppie. Era felice che avesse accettato di accompagnarlo, e ancor di più era contento di averla fatta divertire. D’altronde, se glielo aveva proposto era perché tra loro sentiva una certa sintonia, una capacità di comprendersi che andava oltre il classico rapporto tra capo e sottoposto. Già dal loro primo incontro in ascensore gli era piaciuta, e quelle due settimane di lavoro a stretto contatto non avevano fatto altro che accrescere la convinzione che sarebbero andati molto d’accordo. Nonostante l’immagine seria e inflessibile che Clarissa tentava di dare di sé, aveva colto da subito la sua natura amichevole e scanzonata, e si era dato come obiettivo quello di aiutarla a mettere in mostra quella parte di lei, il suo lato più genuino. Allo stesso tempo, si stava sforzando di non concentrarsi sui dettagli fisici che la rendevano così simile all’ideale di donna che lo aveva sempre fatto impazzire: la figura minuta, i luminosi capelli biondi, quei suoi occhi così chiari da sembrare di vetro… Aveva letto con attenzione il regolamento della società e sapeva che non era vietato intrattenere relazioni tra colleghi, a patto di non superare i limiti imposti dal comune senso della decenza. Tuttavia, sapeva anche di non poter indulgere in determinati pensieri: si era appena trasferito in una nuova città, aveva appena iniziato un nuovo lavoro… non poteva permettersi di complicare ulteriormente le cose. Non in quel periodo. Non con una ragazza come lei.

 

            «Va tutto bene?» si sentì domandare all’improvviso. Clarissa lo stava fissando con aria preoccupata, segno che la complessità dei suoi pensieri doveva essersi inevitabilmente tradotta sul suo volto.

            «Va tutto bene» la tranquillizzò, tornando a sorridere. «Stavo solo pensando che il tempo è davvero volato. È mezzanotte passata.»

            «Sul serio è così tardi?» si stupì lei, allungando il collo per controllargli l’orologio. «Non immaginavo che questo genere di feste andasse avanti fino a notte fonda.»

            «Che ne dice se l’accompagno a casa? Non che non mi stia divertendo, ma oggi ho avuto una giornata piuttosto impegnativa.»

            «Sono d’accordo. E poi credo che la signora Buckley l’abbia di nuovo messa nel mirino» aggiunse a bassa voce, indicando con un cenno del capo un punto alle sue spalle.

            «E allora noi la seminiamo» sussurrò lui, trascinandola via dalla pista a passo svelto. Clarissa lo seguì divertita, pensando che con Spencer non le sarebbe mai capitato di vivere un momento simile. Raggiunsero di corsa il guardaroba, ritirarono e indossarono i soprabiti e salutarono di sfuggita il concierge ancora in piedi accanto alla porta. Scendendo l’ultimo scalino, Clarissa lanciò un breve grido nel sentire un’improvvisa fitta alla caviglia. «Che succede?» domandò Christian, arrestando subito la propria corsa. «Si è fatta male?»

            «No, no» minimizzò lei, massaggiandosi la parte dolorante. «Ma non è molto saggio correre con i tacchi.»

            «Se la sente di camminare?»

            «Ho affrontato i cinque matrimoni delle mie sorelle con tacchi ben più alti di questi. Dovrei farcela.»

            «Venga, la aiuto.» Christian le passò un braccio dietro la schiena, aiutandola a scaricare il peso dalla caviglia offesa, e a passo lento si avviarono verso l’auto parcheggiata poco distante. «Fatta eccezione per questo piccolo incidente, direi che stasera ci siamo divertiti» commentò, aiutandola ad accomodarsi sul sedile.

            «Devo ammettere che non me lo aspettavo. Me l’aveva descritta come una noiosa festa aziendale.»

            «Non credo di aver mai usato questi termini.»

            «Non esplicitamente.» Christian chiuse lo sportello, passo dall’altro lato e si accomodò accanto a lei, infilando la chiave nel quadro e accendendo il motore. «Non riesco a fare a meno di pensare alla povera signora Buckley. Che delusione quando si accorgerà che è scappato senza salutarla. E quale scandalo quando scopriranno che siamo andati via insieme!» lo prese in giro mentre lasciavano il parcheggio.

            «La malizia è negli occhi di chi guarda» rispose lui con aria di sufficienza. «Per quanto mi riguarda, non vedo nulla di sbagliato in due persone attraenti che passano del tempo insieme.» Si accorse dello sguardo di lei e si affrettò a correggere il tiro. «Sto ragionando in termini ipotetici, è ovvio.»

            «Certo, è ovvio» rispose la ragazza. «Lei ha delle convinzioni molto particolari, lo sa?»

            «Meno particolari di quanto possa immaginare. Sono semplicemente convinto che per far nascere una relazione tra due persone servano soltanto due cose: il rispetto e l’onestà. La bellezza sfiorisce, la ricchezza può svanire… ma il rispetto e l’onestà sono immortali.»

            «E l’amore non c’entra nulla?»

            «Non c’è amore all’inizio di una storia. L’amore è il risultato, non il punto di partenza.»

            «Lei ha mai amato qualcuno?» Si morse la lingua, ma era troppo tardi: ormai la domanda era già stata fatta.

            «Non credo di aver bevuto abbastanza champagne per poter sostenere questa conversazione» scherzò lui, fermandosi ad un semaforo.

            «Mi perdoni, sono stata inopportuna. Forse con lo champagne io ho esagerato, di solito non faccio questo genere di domande.»

            «Forse significa solo che si sente a suo agio con me, il che significa che mi sto comportando bene con lei.» Il semaforo tornò verde e la macchina ricominciò a muoversi. «E lei, Clarissa? Lei ha mai amato qualcuno?»

            «Una volta l’ho pensato.»

            «Il ragazzo di cui mi parlava prima?»

            «Già» sospirò lei. «Mi aveva anche chiesto di sposarlo, il bastardo. E io da vera stupida avevo detto di sì. Me lo aveva anche chiesto per bene: una cena romantica, una passeggiata al chiaro di luna, un bell’anello… e alla fine l’ho sorpreso a letto con la mia migliore amica.»

            «Posso solo immaginare la delusione.»

            «Vuole sapere qual è la cosa che mi fa più arrabbiare? Che io dei sospetti li avevo già da tempo. Avevo notato dei dettagli che non mi sembravano chiari, avevo anche provato ad affrontare il discorso, ma lui negava sempre… alla fine pensai di essere paranoica e lasciai perdere. Bella mossa, Clarissa.»

            «Succede di essere ciechi, quando si è innamorati di qualcuno. Non è la prima né sarà l’ultima ad essere delusa da un uomo.»

            «Questo è vero. Ma non basta ad alleviare il dolore.»

            «Lei è giovane, e il tempo cura tutto.»

            «Non la facevo tipo da ricorrere ai luoghi comuni.»

            «Non lo faccio, di solito. Ma che il tempo cura tutto è vero.»

            Clarissa osservò il suo profilo nella penombra dell’abitacolo. Giorno dopo giorno, iniziava a chiedersi se quella personalità così estroversa non avesse altro scopo se non quello di nascondere un’anima sofferente. «Le sue ferite sono già guarite?»

            Christian sorrise, rendendosi conto che probabilmente non sarebbe mai riuscito a nasconderle nulla. «Per ora hanno smesso di bruciare.» Fermò l’auto sotto casa della ragazza, spegnendo il motore e rilassandosi contro il sedile. «Forse un giorno le permetterò di vedere le mie cicatrici.»

            «Sarebbe un grande onore» rispose lei, mettendo una mano sul meccanismo di apertura della portiera. Esitò, prima di sganciarlo: ora che la serata era davvero giunta al termine, avrebbe tanto voluto avere una scusa per prolungarla ancora. «La ringrazio per il suo invito. Mi sono divertita davvero molto.»

            «Anche se per colpa mia si è quasi spezzata una gamba?»

            «Le manderò il conto del mio ortopedico.»

            «Come si sente?»

            «Un po’ indolenzita, ma passerà.»

            Christian lanciò un’occhiata al palazzo. «A che piano vive?»

            «Al terzo, perché?»

            «Perché l’accompagno» rispose lui, scendendo dalla macchina e correndo ad aprirle lo sportello. «Non protesti, è inutile.»

            «Perché perdere tempo a protestare, quando so già che farà comunque quello che vuole?»

            «Per il gusto della sfida, forse?»

            «Non a quest’ora della notte» rispose lei con un sorriso, accettando il braccio che le veniva offerto. La caviglia aveva completamente smesso di dolerle, ma l’idea che Christian l’accompagnasse alla porta aveva iniziato a piacerle a tal punto da decidere di tacere. Si stava dimostrando un vero gentiluomo, quasi un eroe senza macchia, l’ideale di uomo vero che per tutta la vita aveva sempre mancato di incontrare. «Perché non entra? Le offro qualcosa di caldo.»

            «Non posso approfittare così della sua ospitalità.»

            «Dovrò ringraziarla per avermi scortata fino alla porta, non crede?»

            «E va bene, in effetti mi deve un po’ di gratitudine. Entro, aspetto che si metta a letto e me ne vado.»

            Mentre girava la chiave nella serratura, Clarissa sperò che Ava fosse tornata a casa propria subito dopo essere rientrata dalla passeggiata serale con Harry. Tuttavia conosceva bene l’amica, e aveva perso il conto di quante volte fosse rientrata trovandola addormentata sul divano accanto ad una bottiglia di birra vuota e con la mano affondata in un sacchetto di patatine. Inspirò profondamente prima di spingere la porta, tranquillizzandosi quando trovò il divano occupato solo dal cane. «Signor Murray, le presento il mio coinquilino, Harry. Di’ ciao, Harry.»

            Il cane si stiracchiò, muovendo una zampa in direzione di Christian con un breve guaito. «Ma guarda che splendido ragazzo abbiamo qui» sorrise l’uomo, avvicinandosi all’animale e stringendogli teneramente la zampa. «Ho sentito parlare molto bene di te.» Harry si rotolò sulla schiena, offrendogli la possibilità di accarezzargli la pancia.

            «Strano, di solito impiega molto tempo per fidarsi di qualcuno» commentò la ragazza, riempiendo il bollitore d’acqua e mettendolo sul fornello. Mentre Christian continuava a giocherellare con Harry, prese il proprio cellulare dalla borsa e controllò i messaggi. Nel corso della serata ne aveva ricevuti parecchi: ignorò quelli della famiglia e si concentrò su quelli di Ava, che l’aveva informata in modo molto preciso circa il pasto consumato da Harry, esprimendosi ancor più chiaramente in merito all’esito dell’ultima passeggiata. L’ultimo messaggio le confermò di aver scelto una donna completamente squilibrata come migliore amica: Se le cose dovessero andare per il meglio, e me lo auguro per te, nel cassetto del comodino ti ho lasciato un pensierino che credo potresti trovare molto utile. Clarissa si incupì, chiedendosi che cosa mai le sarebbe potuto servire: un’idea ce l’aveva, ma conoscendo Ava non si poteva mai sapere. «Vado a mettermi qualcosa di più comodo. Torno subito» disse, avviandosi verso la propria camera.

            Una volta entrata nella stanza aprì subito il cassetto del comodino, scoprendo una scatola di preservativi nuova di zecca proprio accanto alle compresse per il mal di testa. Non credo proprio che il tuo regalo mi servirà, digitò in fretta sul cellulare, sperando che l’amica fosse ancora sveglia per recepire subito il messaggio. Richiuse il cassetto, scacciando l’idea che tra lei e Christian potesse succedere qualcosa quella notte – anzi, che potesse succedere qualcosa in generale. Sì, Christian era un bell’uomo e di certo esercitava un bel fascino su di lei, ma ne sarebbe dovuta passare di acqua sotto i ponti prima che facesse qualcosa di così stupido come andare a letto con lui. Nonostante l’avvenenza, la simpatia e le buone maniere, restava sempre il suo superiore, e non c’era proprio alcun motivo per complicare quella situazione. Si voltò verso la cassettiera, cercando qualcosa di più comodo da indossare.

 

            Rimasto solo in salotto, Christian coccolò ancora Harry per un paio di minuti. Quando il cane, felice per le attenzioni ricevute, sfuggì alle sue carezze per andare a sistemarsi nella propria cuccia accanto al termosifone, l’uomo si prese un momento per guardarsi attorno, cercando di cogliere qualche dettaglio in più circa la vita di Clarissa. Si soffermò su un alto scaffale traboccante di libri e fotografie, concentrandosi sulle immagini: ritraevano un gran numero di belle donne, che Christian intuì essere le sorelle della ragazza. Notò che erano tutte molto diverse, eppure c’era come un filo rosso che le accomunava, la stessa brillante luce negli sguardi di tutte loro. Si divertì ad immaginare quali potessero essere le loro personalità, quali fossero i rapporti di ognuna di loro con la sorella lontana: in ogni caso, era certo che dovevano essere fiere di lei, di come stava procedendo la sua vita, di come se la stesse cavando anche se si trovava sola e lontana da casa. Osservò la sua collezione di album musicali, scoprendo con una punta di stupore che, come lui, era una grande fan di Springsteen. Chissà qual è la sua canzone preferita, si domandò, accarezzando la copertina di Working on a dream, album che conteneva The Wrestler, forse la sua canzone preferita in assoluto. Si allontanò dallo scaffale, passeggiando lentamente fino al centro della stanza.

            Commise l’errore di alzare lo sguardo proprio in quel momento. La porta della camera da letto non si era chiusa completamente, perciò fissando lo specchio a figura intera appeso nell’angolo del salotto poteva intravedere l’interno della stanza di Clarissa. Il buonsenso gli suggeriva che avrebbe dovuto guardare da un’altra parte, ma la curiosità fu più forte: lo specchio gli restituì l’immagine di una ragazza che indugiava davanti ad una cassettiera aperta, impegnata a domandarsi se fosse più giusto sacrificare la comodità oppure l’eleganza. Non riuscì a smettere di guardare nemmeno quando la vide far scivolare a terra l’elegante vestito blu, chinandosi subito dopo per raccoglierlo. Si disse che non stava facendo nulla di male, che qualsiasi uomo avrebbe desiderato avere una ragazza in biancheria intima a pochi metri da lui, ma la cosa non lo faceva sentire meno colpevole. Sarebbe bastato smettere di guardare, ma non ci riusciva: la verità era che non ci era riuscito per tutta la sera.

            Scosse la testa, imponendosi di abbassare gli occhi. Per quanto avesse ironizzato a proposito del capo che cerca di concupire la segretaria, non voleva indugiare in quel tipo di pensieri: stava appena iniziando a conoscerla, ma aveva già capito quale fosse il suo valore. Non poteva, e soprattutto non voleva, ritrovarsi a pensare a lei in termini che non fossero strettamente professionali. Certo non era facile, non dopo quella festa – non dopo averla vista indossare un abito che rendeva finalmente giustizia alla sua figura, rendendola desiderabile agli occhi di qualsiasi uomo presente. Aveva visto gli occhi di molti uomini accendersi al suo passaggio, l’ombra del desiderio affacciarsi ai loro sguardi prima spenti. Non poteva mentire a se stesso, anche lui aveva provato quel medesimo desiderio.

            Si spostò da quella traiettoria tentatrice, costringendosi a fissare di nuovo lo scaffale ordinato, alla ricerca di una quiete che non riusciva ad afferrare. Quando la ragazza lo raggiunse, notò che aveva indossato dei semplici pantaloni in felpa e una maglietta sformata. Era diametralmente opposta alla Clarissa che aveva ballato con lui alla festa, eppure non riusciva a non trovarla attraente: in quel momento si rese conto che ad affascinarlo non erano soltanto il suo fisico o i suoi vestiti, ma la sua personalità. Non poteva fingere che quella ragazza non gli piacesse.

            Il bollitore iniziò a fischiare. Clarissa spense il fornello e aprì lo stipetto per prendere due tazze, ma all’improvviso si fermò, percependo una presenza alle proprie spalle. Abbassò lentamente il braccio, sentendo una mano calda posarsi sul suo fianco. Altrettanto lentamente si voltò, scoprendo Christian molto più vicino di quanto avrebbe dovuto. Una mano salì ad accarezzarle il viso, e a quel contatto così delicato la ragazza chiuse gli occhi, senza trattenere un sospiro. Quando rialzò lo sguardo, Christian era ancora vicino. Troppo vicino. La testa le suggeriva che avrebbe dovuto sottrarsi a quel contatto, che se avesse esitato per un altro pugno di secondi se ne sarebbe pentita, ma il suo corpo non voleva saperne di muoversi, inchiodato al pavimento da un’atmosfera carica di elettricità. Quando il viso di Christian si abbassò verso il suo, Clarissa trattenne il respiro – ma quando le loro labbra si toccarono, capì che non c’era modo di tornare indietro.

            Il corpo di Christian aderì al suo, spingendola contro la superficie dura del mobile: le grandi mani calde dell’uomo le strinsero i fianchi, sollevandole la maglietta per entrare in contatto diretto con la sua pelle. Clarissa gli allacciò le braccia al collo, tenendolo stretto: una vocina fastidiosa continuava a ripeterle di non andare oltre, ma per una volta volle ignorarla, lasciandosi trascinare dagli eventi. Christian la sollevò tra le proprie braccia, continuando a baciarla: dalle labbra scese al collo, e più giù verso il seno, affondando nell’ampia scollatura della maglia. Il respiro caldo che le solleticava la pelle la faceva impazzire: non era passato molto tempo dall’ultima volta che era stata con un uomo, ma il suo corpo sembrava anelare quel contatto come se nessuno l’avesse sfiorata per anni. Gli strinse le gambe attorno ai fianchi, smettendo di ascoltare la voce nella propria testa: non sapeva che cosa sarebbe successo, ma per la prima volta nella vita il mistero non la spaventava.

   
 
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