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Autore: Biblioteca    13/04/2023    2 recensioni
E se Harry non fosse mai cresciuto con i Dursley?
Se la McGrannitt, Hagrid e Piton, di comune accordo (e con molti complici) avessero deciso di portare Harry a Hogwarts prima del tempo e di crescerlo al sicuro?
Harry Potter sarebbe sicuramente stato diverso, al primo anno come ai successivi. Ma come e quanto sarebbe cambiato? E perchè?
In questa prima storia (che inizia la notte prima dei suoi undici anni e finisce con il suo smistamento) voglio presentarvi un Harry Potter diverso e vedere, insieme a voi, se può diventare un personaggio interessante su cui lavorare o restare solo una fantasia di una storia diversa dalle solite...
Genere: Fantasy, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Rubeus Hagrid, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Harry trottava dietro Piton tentato dal prendergli la mano, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato inopportuno.
Si ricordava però di quando Piton lo aveva preso per un braccio e trascinato fuori dallo sgabuzzino.
Era accaduto mentre stava nel buio dello sgabuzzino ancora a sorridere per la sgridata che zia Petunia si stava prendendo.
“Allora Potter, sei pronto?”
Harry, ancora in pigiama, aveva visto con la coda dell’occhio la zia rannicchiata per terra sulla soglia del salotto.
“P-Pronto per cosa?” aveva domandato a Piton, che nel frattempo era rientrato nello sgabuzzino e stava buttando all’aria le poche cose che aveva al suo interno.
“Per andartene.” Piton gli aveva lanciato le scarpe lise da ginnastica e uno dei maglioni orribili di Dudley che era passato a Harry con la prima macchia impossibile da smacchiare.
“Andarmene? Da qui?”
“Potter… non c’è niente che vuoi portare con te vero?”
Il tono di Piton era cambiato, si era fatto all’improvviso quasi dolce e pieno di pena. Harry aveva osservato l’interno del suo sgabuzzino, con i pochi vestiti lisi, le lenzuola bucate, la coperta che non lavava da anni, i pochi giocattoli recuperati dalla spazzatura… no, non aveva nulla di veramente caro e suo da portare. Salvo forse gli occhiali, una necessità a cui i Dursley avevano acconsentito solo perché Harry aveva attirato troppo le attenzioni di un insegnante con la sua difficoltà a leggere (e che aveva ripreso a ignorarlo appena Harry aveva ottenuto le sue lenti).
“No, infatti…” aveva mormorato Harry infilandosi il maglione.
Era in uno stato di stupore tale da vivere l’intera vicenda come un sogno. Sì, probabilmente stava sognando, lo aveva fatto tante volte di sognare di andarsene da Privet Drive. Sicuramente stava sognando di nuovo, anche se forse in modo diverso, più realistico.
“Allora infilati le scarpe, e non perdere tempo. E tu…” a quel punto Piton, che però agli occhi di Harry ancora non aveva un nome, aveva infilato la mano in tasca e tirato fuori un piccolo bastone di colore nero e l’aveva puntato contro Petunia “… Una parola, una sola parola su oggi con chiunque e io torno personalmente a finire il lavoro. Chiaro!?”
Lentamente, ancora con gli occhi lacrimanti, il magrissimo volto di Petunia aveva annuito.
Harry aveva sentito un brivido lungo la schiena e per la prima volta aveva provato una sincera pena per la zia, senza spiegarsi il perché. Cos’era quell’oggetto e perché la spaventava tanto? Si sarebbe aspettato una pistola, di sicuro non un bastoncino…
“Andiamo! Forza!” ed era stato allora che l’uomo l’aveva preso per mano e portato fuori dalla casa dei Dursley, dove con grande sorpresa di Harry, c’era qualcosa in giardino che li aspettava.
Un uomo enorme, dalla folta barba marrone, su di una motocicletta dotata di sidecar.
“Forza Hagrid” Piton lo aveva caricato sul sidecar ed era balzato vicino a lui “Andiamo!”
L’uomo sulla moto, che evidentemente si chiamava Hagrid, si era tolto gli occhiali protettivi e aveva fissato Harry con uno sguardo che il bambino aveva fatto fatica a capire: era la prima volta che qualcuno sembrava felice di vederlo.
“Harry…. Oddio Harry…. Sei tu… e sei cresciuto così tanto….”
“HAGRID NON E’ IL MOMENTO!”
“Dove lo portate?”
Harry e Piton si erano voltati e Petunia era sulla soglia della casa.
“In un luogo dove sarà trattato come merita!” aveva sibillato Piton. Poi si era rivolto a Hagrid “Andiamo. ORA!”
Harry, ancora stordito dagli eventi, non aveva subito capito che la motocicletta stava volando.
 
Finite le scale e attraversato il grande portone dell’atrio, Harry si concesse una corsa nei giardini d’ingresso respirando a pieni polmoni l’aria estiva. Faceva caldo e il prato sembrava un po' sofferente, per quanto ancora verde e rigoglioso.
Piton lo lasciò fare, ma lo raggiunse presto.
“L’unguento Potter.” Ordinò tirando fuori dalla tasca un barattolino.
Harry si coprì il viso, le mani e il collo dell’unguento di protezione solare e restituì l’oggetto a Piton.
“Se hai finito di seguire le farfalle, signor Potter, possiamo metterci al lavoro.”
Harry annuì e riprese a seguire Piton. Era la terza volta che entrava nella foresta, la seconda insieme a lui. La prima volta c’era stato Hagrid, la seconda Piton e Hagrid erano entrati insieme e poi si erano divisi, ed Harry era rimasto con Piton.
“Cosa cerchiamo oggi?”
“Dittamo. Ti ricordi a cosa serve Potter?”
“Alla cura delle ferite… Ma è giusto che io impari queste cose prima degli altri ragazzi?”
“Oh Potter, raccogliere il dittamo non ti renderà migliore di nessuno. C’è una tale quantità di nozioni da imparare che ci vorrà molto molto tempo prima che tu possa considerarti un’eccellenza. E non basterà neanche questa scuola a renderti tale. No, dopo dovrai continuare a studiare…” Piton si interruppe e parve per un attimo perso nei suoi pensieri. Harry intanto, aveva visto il dittamo seminascosto in uno degli alberi al confine con la foresta, ed era corso a prenderlo.
“Professor Piton! Eccone uno!”
Piton osservò la pianta e per la prima volta in tutta la giornata abbozzò quello che poteva sembrare un sorriso.
“Molto bene Potter. Procediamo.”
 
“Procediamo con cautela, detesto i cieli babbani.”
Nella Foresta Proibita a Harry tornavano gli stessi brividi che aveva sentito in cielo, mentre la motocicletta volava.
Piton aveva usato una parte del mantello per coprirlo, ma non bastava a proteggerlo dall’umido e dal freddo.
“Com’era la situazione Severus?” aveva domandato l’uomo alla guida della moto.
“Peggiore di quello che avevamo pensato. D'altronde Arabella Figg non poteva guardare dentro casa. Non aveva niente il ragazzo. Neanche dei vestiti decenti!”
“Allora si troverà sicuramente bene con noi! Posso farlo dormire nella mia capanna? Per stasera almeno!”
“Hagrid non è un gatto!”
Harry si era rannicchiato ancora di più e la mano di Piton lo aveva stretto forte sulla spalla.
“Tutto bene Potter?”
Harry aveva gli occhiali appannati dall’umidità, ma era riuscito a guardare verso Piton.
“Perché voi sapete il mio nome?”
Fu l’unica domanda che gli venne in mente di chiedere. Era convinto che la motocicletta volasse perché si trattava di un sogno. Era inutile chiedere spiegazioni su quello. Ma quei due estranei si comportavano in modo così familiare… eppure era sicuro di non averli mai visti prima.
“Io so molto più del tuo nome Potter. Conoscevo i tuoi genitori. Lily e James.” Disse allora Piton “Erano miei compagni di scuola. La stessa dove ora stiamo andando e che frequenterai tra un paio d’anni.”
Harry si stranì: perché mai di tutti i luoghi del mondo doveva sognare di fuggire in una scuola?
Allora forse non stava sognando… Ma non era possibile che una motocicletta volasse. No, doveva per forza essere un sogno.
“Anch’io ho conosciuto i tuoi Harry. Brave persone!” esclamò allora Hagrid “Severus qui, non andava molto d’accordo con tuo padre ai tempi della scuola ma…”
“Silenzio! Questa informazione è superflua per il ragazzo! E non passare troppo vicino ai palazzi!”
“Severus?” aveva chiesto Harry “Ti chiami Severus?”
L’uomo aveva guardato Harry negli occhi, ma stavolta questi erano rimasti freddi.
“Severus Piton. Professor Severus Piton. Insegnante di Pozioni.”
“Via Severus, in fondo Harry può anche chiamarci per nome, visto che saremo noi a tenerlo d’ora in poi…”
“Non è un gatto Hagrid, chiaro!?”
Harry si era fatto ancora più piccolo nel lembo di mantello nero che lo copriva e che emanava un odore molto chimico.
All’improvviso l’altezza a cui si trovava gli aveva fatto una gran paura.
 
“Potter, scendi dall’albero!”
Harry, con un agile balzo, aveva raggiunto Piton che lo aspettava a terra.
“Guardate cosa ho trovato professore!” il bambino aprì la mano e mostrò la piuma che aveva preso, di colore blu chiaro con venature nere “Potrebbe essere una piuma di Jobberknoll!”
Piton prese la piuma in mano. La osservò controluce e annuì.
“Bene, signor Potter, molto bene!” abbozzò un’altra smorfia simile a un sorriso e si infilò la piuma in tasca.
“È vero che urlano ogni suono che hanno sentito in vita loro prima di morire?” domandò Harry.
“Te ne ha parlato Hagrid di questo, signor Potter?”
“Hagrid adora le creature magiche e mi insegna tante cose su di loro, sì.”
“Beh, non ho avuto il piacere di vederne morire uno.” Quella frase, pronunciata gelidamente da Piton, fece trasalire Harry “Ma se dicono così, deve essere vero.”
Per un po' i due camminarono in silenzio. Di giorno la foresta era quasi gradevole da vedere e i suoi rami filtravano i caldi raggi del sole estivo creando allegri giochi di luce e colori.
Dei funghetti salterini si nascosero sotto una radice appena li videro passare.
“Professor Piton?”
“Cosa Potter.”
“Mia madre le era antipatica?”
Piton sobbalzò e strabuzzò gli occhi. Un’espressione così inaspettata che Harry anche Harry si spaventò.
“Chi mai ti ha detto una sciocchezza del genere!?”
“N-Nessuno… L’ho pensato io…”
“Beh hai di meglio da fare che pensare a queste sciocchezze.” La voce di Piton si era fatta all’improvviso tagliente e arrabbiata “Nessuno deve parlare o pensare male di tua madre. È chiaro!?”
“Io non ho pensato male… di mia madre…” mormorò Harry indietreggiando.
Allora Piton parve calmarsi. I suoi occhi neri si semichiusero mentre si inginocchiava, chiamando a sé Harry. Dopo una breve esitazione, Harry lo raggiunse.
“Ti dirò una cosa che nessuno deve sapere: sai perché tua zia mi ha riconosciuto, quando sono venuto a prenderti da casa sua?”
Harry scosse la testa e tese le orecchie.
“Beh, mi conosceva perché sono stato io, tanti anni fa, ad andare a casa di tua madre per dirle che era una strega.”
Harry sentì il cuore battere forte, gli piaceva quando gli raccontavano dei suoi genitori.
“Tua zia Petunia era così invidiosa di lei. E tua madre… beh lei non ci ha creduto subito. Abbiamo parlato a lungo dopo l’annuncio ai suoi genitori. Loro volevano che lei scegliesse con calma se venire qui a Hogwarts o no.”
“E tu l’hai convinta?”
Gli occhi di Piton si inumidirono. A distanza nessuno se ne sarebbe accorto, ma Harry era a un passo da lui e lo vedeva benissimo.
“Tua madre, Harry, era una donna meravigliosa. Era gentile con tutti… anche con me. Anzi, posso dire che è stata l’unica persona a essermi sinceramente amica mentre ero studente ad Hogwarts.”
Harry fu sul punto di chiedere di suo padre, ma la domanda gli morì in gola. Aveva ormai capito che suo padre e Piton non erano mai andati d’accordo e aveva paura di rompere quel momento tirandolo in mezzo.
“Quindi ti sia chiaro, signor Potter, che io mai e poi mai ho antipatia e rancore verso tua madre.”
Purtroppo il racconto di Piton finì lì. L’uomo si alzò in piedi e indicò un sentiero.
“Il dittamo non basta. Proseguiamo da quella parte, lì ne troveremo di più.”

 
  
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