Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: AlexSupertramp    15/04/2023    3 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 16 - Effetto domino
 
Sana aveva cercato di dormire quella notte. Si era girata e rigirata più volte in quelle ore buie, convinta che fosse la posizione scomoda in cui era o la costrizione della gamba fasciata ad impedirle di dormire.
Eppure, nonostante gli innumerevoli tentativi, non aveva chiuso occhio. Nemmeno per un’ora.
Durante quella notte insonne aveva pensato a moltissime cose. Si era chiesta quando avrebbe potuto togliere le bende e tornare a Seul, alla sua vita di sempre. Aveva pensato ai suoi impegni cancellati e al fatto che, molto probabilmente Ji-Won non si stava perdendo nemmeno una festa e si domandò se avesse combinato qualcosa con quell’attore che le piaceva tanto e di cui non ricordava nemmeno il nome. In effetti, il pensiero successivo ci concentrò sul numero dei giorni trascorsi da quando non sentiva la sua amica e quella constatazione le provocò una strana sensazione che non riuscì però a spiegarsi.
A quel punto si girò nuovamente nel letto, cambiando posizione. Tuttavia, sentì ben presto una fitta alla gamba fasciata e dovette tornare immediatamente alla posizione di prima. Pensò che quella gamba fasciata fosse davvero scomoda e che la stampella con cui andava in giro le impediva di fare qualsiasi momento e che, qualche ora prima, ci aveva messo davvero una vita a raggiungere la porta di casa sua, una volta uscita dalla macchina di Akito. Quindi, la sua mente andò proprio a ripescare gli eventi di quella serata in compagnia dei suoi vecchi compagni di classe, l’incontro con quel Jun Watanabe e il viaggio di ritorno insieme a lui, fino alla scoperta di Fumiko e della sua relazione con Hayama.
Sana a quel punto si rigirò lentamente dall’altra parte, sprofondando la faccia nel cuscino, finché non emise l’ennesimo gemito di dolore, causato dalla sua gamba malconcia.
«Che palle!» mugugnò, finché non voltò leggermente il viso verso la finestra della sua camera perché in quel momento un timido raggio di sole la stava avvisando dell’alba imminente.
Possibile che non fosse riuscita a chiudere occhio nemmeno per un minuto?
«Morirò, me lo sento.» disse lentamente, senza nemmeno preoccuparsi di scostare un ciuffo di capelli dagli occhi che le impedivano la vista completa dell’alba su Tokyo.
In fondo Gomi, che era il suo medico, le aveva detto di riposarsi il più possibile. Quindi Sana proprio non trovava alcun motivo per alzarsi e fare chissà cosa. Non aveva dormito, era stanca e voleva tornare a Seul. Cosa che non poteva comunque fare.
Fu in quel momento però che il suo cellulare vibrò insistente, proprio quando aveva deciso di non voler fare nulla in quella giornata, ma quel suono pedante sembrò quasi richiamarla alla realtà e al fatto che, nonostante tutto, aveva ancora degli impegni di lavoro a cui doveva dare conto, malgrado le sue condizioni di salute.
E proprio come un monito, il suo manager Ryu la stava chiamando in quell’esatto istante.
«Pronto…» disse lei, con la voce impastata.
«Sana, stavi dormendo?» domandò lui dall’altra parte, come un tono di voce quasi sbalordito. 
«Magari.» si lasciò sfuggire lei, ma Ryu non sembrò farci minimamente caso, «Tu, invece, non dormi mai?» gli chiese.
«Vorrei tanto credimi, ma mi hanno appena chiamato da Seul.»
Sana a quel punto pensò con un pizzico di sollievo che la malattia dell’insonnia doveva essere davvero comune, più di quanto credesse, e fece un debole sorriso.
«Non è un po’ presto? Che ore sono lì?» disse, appellandosi ad un fuso orario inesistente.
«Be’ Sana, mi dispiace dirtelo per telefono, ma sono convinto che in breve tempo la notizia farà il giro di internet, quindi prima è meglio è.»
«Che notizia Ryu?» domandò allora Sana. Questa volta la sua voce era cambiata, divenendo improvvisamente seria.
«Mi dispiace, ma ho appena sentito il produttore della serie per cui avevi girato il primo episodio a Seul prima di partire, e hanno deciso di sostituirti con un’altra attrice.» disse lui, con un tono da confessione. 
«Cosa? Ma perché?» domandò lei, che a quel punto si era alzata di scatto dal letto provando una tremenda fitta alla gamba.
«Be’, mi hanno detto che non potevano più aspettarti e che il lavoro doveva continuare, anche senza di te. Mi dispiace Sana, ho provato a dirgli che hai bisogno di riposo e che non dipende da noi, ma non c’è stato verso. D’altronde il contratto che hai firmato parla chiaro: non avrebbero tollerato a lungo la tua assenza.»
Sana non disse nulla, si lasciò semplicemente andare rilassando le spalle e facendo scivolare il cellulare lungo la sua guancia. In quel momento, inspiegabilmente, percepì un forte senso di vuoto dentro di sé e si domandò il motivo di quella sensazione così forte. Possibile che a scatenarla fosse stata quella notizia? In fondo aveva girato così tante serie in Corea e sapeva perfettamente come funzionava il mondo della televisione lì. I ritmi erano serrati e non si ammettevano errori o assenze. Mai.
Eppure, le sembrò di sentire le parole di Ryu che le scorrevano addosso e si sgretolavano sui palmi aperti delle mani fino a schiantarsi sulla sua gamba dolorante.
«Sana? Ci sei?»
«Sì, scusa. D’accordo, capisco. Ci rifaremo presto, me lo sento.» 
E Ryu si sentì quasi sollevato nel sentirle pronunciare quelle parole di speranza, perché pensò che probabilmente la notizia non doveva averla scioccata più di tanto.
«Ma certo. Vedrai che appena torneremo ci chiederanno scusa e verranno…»
«Scusami Ryu, ma ora vorrei riposare un po’.» disse lei, interrompendo il flusso di parole del suo manager. Riagganciò il telefono senza aspettare la sua risposta e si lasciò andare nuovamente sul letto. Aprì le notizie della prima pagina internet e scoprì che Ryu aveva ragione: ne stavano già parlando tutti. La notizia della sostituzione di Sana Kurata, tornata in Giappone dopo anni di vita a Seul, e della felicità di Park Ji-Won nell’accettare il ruolo dell’amica e collega era praticamente ovunque.
Nel leggere quelle parole, Sana provò qualcosa, ma non seppe proprio decifrare cosa. Era una sensazione diversa da quella di prima, non sentì un vuoto. Bensì provò quasi imbarazzo, ma non ne capiva il motivo. 
Continuò a leggere la notizia di Ji-Won e del suo nuovo ruolo da protagonista in una serie romantica ambientata durante gli anni del liceo senza prestare troppa attenzione alle parole che stava leggendo, tanto che dovette rileggere nuovamente la notizia. Poi, chiuse la pagina di internet e aprì la sua rubrica telefonica. Il nome di Ji-Won compariva proprio in cima alla lista, perché aveva provato a chiamarla proprio la sera precedente, appena tornata a casa dopo la serata con Tsuyoshi e gli altri. Ma, come tutti i precedenti tentativi, anche quella chiamata non aveva ricevuto risposta. 
Sana quindi andò dritta tra i messaggi inviati, ripescando la sua conversazione con Ji-Won in fondo alla lista. Tuttavia, una volta aperta esitò qualche istante, finché non chiuse tutte le finestre aperte sul suo cellulare e lo appoggiò sul comodino accanto al letto. E fu in quel momento che notò il biglietto da visita che le aveva dato Jun Watanabe la sera precedente. Ricordò poi perfettamente di averlo appoggiato proprio lì dopo averlo osservato per un bel po’ di tempo prima di infilarsi al letto. Lesse il suo nome seguito dal numero di cellulare, poi lo sguardo si spostò proprio sul logo dell’azienda informatica dove sia lui che Hayama lavoravano, la “Keywords Studios” di Shinjuku. Si domandò quale fosse il ruolo di Akito lì dentro, e come ci fosse finito a lavorare lì. Insomma, ricordava bene quanto lui fosse bravo alle superiori, soprattutto in matematica. Così bravo da dare addirittura ripetizioni ai suoi compagni di classe. 
A quel punto Sana alzò lo sguardo dal bigliettino da visita di Watanabe, e si mise involontariamente una mano sulle labbra dischiuse.
«Fumiko…» sussurrò, ricordando improvvisamente quel nome e dove lo aveva già sentito. Improvvisamente, grazie a quel bigliettino da visita, ricordò perfettamente chi fosse Fumiko, e ricordò anche la gelosia che aveva provato al tempo quando aveva scoperto che lei e Akito si conoscevano. Le venne da sorridere, pensando a quanto fosse bizzarra la vita. Poi, fece un profondo sospiro.
«Che fame!» disse all’improvviso, lasciando andare il bigliettino di Jun e trascinando la sua gamba fasciata oltre il bordo del letto. All’improvviso quasi dimenticò la stanchezza dovuta alla sua notte insonne che aveva lasciato il posto ad un’improvvisa e tremenda fame.
Con un po’ di fatica raggiunse il piano di sotto, dove trovò la signora Yazumi, la nuova domestica assunta da sua madre appena un anno prima, intenta a preparare la colazione.
«Buongiorno signora Yazumi, che profumo...» commentò lei. Ma dall’altra parte non ricevette risposta. Allora Sana si avvicinò leggermente a lei, ma sussultò sui suoi stessi passi quando sentì qualcuno afferrarle le braccia.
«Non risponde mai, perché è stata abituata così dai suoi vecchi datori di lavoro, che non le permettevano di rivolgere loro la parola.» disse la voce inconfondibile di sua madre. A quel punto Sana rilassò le spalle: «Mamma, mi hai spaventata!»
«Io ci provo a parlarci, ma è come se fosse un gatto randagio.» disse lei, ignorando sua figlia. 
In quel momento la signora Yazumi servì la colazione per entrambe, senza dire nemmeno una parola.
«Vedi, figliola?»
«Sì, vedo.» commentò Sana, osservando i movimenti sicuri ma silenziosi della domestica. Poi raggiunse sua madre al tavolo da pranzo, e nel vedere quella così grossa quantità di cibo le passò inspiegabilmente la fame. Allora decise di bere solo una tazza di tè verde. 
«Però è una cuoca straordinaria. Dovresti provare tutto.» commentò sua madre, agguantando una fetta di crostata alla marmellata. Sana non aveva alcun dubbio sulla veridicità di quelle parole, semplicemente il suo stomaco aveva cambiato idea.
«Lo so mamma. Ormai è una settimana che sono qui.»
«Una settimana? A me sembra un’eternità. Forse perché non ti sei fermata mai così a lungo.»
«Già, ma sai com’è.» disse Sana, indicando la sua gamba fasciata.
«Spero non ti faccia troppo male, perché mi piacerebbe che mi accompagnassi questa sera.»
«Accompagnarti dove?» fece lei, appoggiando la tazza di tè bollente sul tavolo. Sua madre allora la guardò per qualche istante, assottigliando lo sguardo.
«Non te l’avevo detto? Oggi ho la presentazione del mio nuovo libro in un posto molto importante.»
«Oh… non me lo ricordavo. Scusami, mamma.»
Sua madre a quel punto si alzò in piedi, lasciando la sua fetta di crostata a metà insieme ad una tazza di caffè ancora fumante.
«Ci passerà a prendere il mio editore oggi pomeriggio. Vestiti bene, andremo in un posto molto alla moda.» disse soltanto, dando le spalle a sua figlia e avviandosi verso il suo studio.
«Ma mamma, potresti spiegarti meglio?»
«Vestiti bene, mia cara.» riuscì a sentire da lontano Sana.
«Sì, ma dimmi almeno dove si trova questo posto alla moda.» replicò Sana tra sé e sé, perfettamente consapevole del fatto che ormai l’attenzione di sua madre era stata catturata chissà da cosa e che difficilmente la sua domanda avrebbe ricevuto una risposta.
Diede un altro sguardo al suo cellulare, ormai divenuto silenzioso, e poi finì la sua tazza di tè.
Quel pomeriggio in realtà non aveva nessun impegno, così come non lo avrebbe avuto il giorno successivo perché Ryu, che cercava disperatamente di trovarle un ingaggio lì in Giappone, non era riuscito a rimediarle nulla. O meglio, nulla che lei potesse fare considerando le condizioni della sua gamba. 
Le avevano offerto un paio di pubblicità, ma erano tutte troppo impegnative. Nonostante il disappunto di Sana, Ryu aveva dovuto rifiutare tutte le offerte. Quindi, non aveva proprio niente di meglio da fare se non decidere cosa indossare per la serata di presentazione del libro insieme a sua madre.
«Ma sì, questo andrà bene…» disse tra sé e sé, esplorando un semplice vestito rosa, leggero e a maniche lunghe. Nonostante fossero in ottobre, la temperatura era ancora abbastanza calda.  
Allora Sana lo indossò, aggiungendo poi una giacca leggera, poi afferrò la sua stampella e scese al piano di sotto dove trovò sua madre ad aspettarla seduta sul divano del soggiorno.
«Vado bene così?» le domandò, indicando il suo abbigliamento.
«Ma certo tesoro, stai benissimo.»
«Oh be’, mi ero preoccupata quando hai detto di vestirmi bene sai.»
«Oh ma figurati, non hai idea della gente come si concia qui a Tokyo.» disse la madre, avviandosi poi verso la porta d’ingresso.
«Il tuo editor è arrivato?»
«Da un pezzo!»
«Ma come?» replicò Sana, che cercò di accelerare il passo dietro sua madre, la quale però non si scompose più di tanto. E allora Sana pensò che non fosse cambiata affatto in quegli anni.
E ad attenderle fuori il vialetto di casa loro c’era un uomo sulla cinquantina, vestito di tutto punto e appoggiato a quella che doveva essere certamente la sua auto.
«Signora Kurata… finalmente.» le disse, con il tono della voce un po’ annoiato. Poi volse il suo viso verso Sana, che camminava dietro sua madre.
«Oh, lei deve essere la signorina Sana Kurata. Venga, lasci che le dia una mano.» si affrettò a dirle. 
«Non si preoccupi, posso…»
«Non lo dica nemmeno per scherzo.» si precipitò lui verso Sana, afferrandola per un braccio e aiutandola a raggiungere la sua auto.
«No, davvero non ce n’è bisogno…»
«L’anno scorso mi sono rotto una gamba e sono stato a letto per un mese. Dopo non riuscivo a fare proprio niente da solo, quindi la capisco e la aiuto volentieri.» raccontò l’uomo, ormai giunti alla sua auto nella quale la signora Kurata si era già messa comoda da un pezzo.
Sana ascoltò le parole dell’editor di sua madre sperando di non fare la sua stessa fine, poi gli sorrise, leggermente inquieta, e si sedette accanto a lei nel sedile posteriore.
Durante il tragitto in macchina, che durò davvero poco, Sana diede un’occhiata al suo cellulare un paio di volte. Aprì la sua vecchia conversazione con Ji-Won, scorrendo con l’indice gli ultimi messaggi che aveva ricevuto, risalenti ormai a più di una settimana prima. In quel momento il cellulare le vibrò fra le mani perché le era appena arrivato un messaggio di Lee in cui le chiedeva il numero della donna che le puliva l’appartamento una volta alla settimana.
“Vorrei che fosse tutto impeccabile per quando tornerai.” Recitava così il messaggio.
Sana sbuffò, senza nemmeno sapere il perché di quel gesto che richiamò l’attenzione di sua madre, che le rivolse subito un’occhiata.
«Non si farà tardi e non ci sarà nessuno della stampa. È una serata che mi sono offerta di fare in collaborazione con un ente benefico.»
«Lo so, mamma.» le disse soltanto, infilando il cellulare nella borsa senza preoccuparsi di rispondere a quel messaggio. In fondo sapeva che il motivo per cui non aveva battuto ciglio davanti all’invito di sua madre era perché di lei poteva fidarsi, e non c’era nemmeno bisogno di chiederglielo.
In quel momento però, sentì nuovamente quella sensazione di vuoto che aveva provato proprio quella mattina, eppure continuava a non riuscire a capirne il motivo. E di nuovo il suo cellulare le vibrò tra le mani. 
Sana si morse un labbro e aspettò qualche secondo prima di controllare l’origine di quella vibrazione: era sicura che fosse un altro messaggio di Lee e si rese conto di non avere nessuna voglia di rispondergli, né tantomeno leggere qualche altra sua richiesta. Poi però, subito dopo, decise che forse c’era la remota possibilità che si sbagliasse, allora accese lo schermo, ma con suo stupore scoprì che non era affatto Lee. Qualcuno l’aveva appena aggiunta ad un gruppo su Lime*.
Aprì la conversazione e scoprì che era stato Tsuyoshi Sasaki ad averla aggiunta ad una chat di gruppo chiamata “Vecchi amici”.
Sana sorrise, perché quel nome pensò che fosse adatto a loro solo se l’avessero esclusa all’istante da lì. Poi aprì la chat e selezionò il tasto che le avrebbe rivelato i membri di quel gruppo. Naturalmente l’unico numero che conosceva era quello di Tsuyoshi, ma riuscì a riconoscere gli altri dai loro nomi memorizzati su Lime. C’era Gomi e Hisae naturalmente, poi Tsuyoshi e infine Akito.
Sana cliccò proprio sul numero di Hayama, ma con un pizzico di delusione scoprì che non aveva nessuna immagine del profilo.
«Oh, siamo arrivate.» disse sua madre all’improvviso, allungando la testa verso l’ingresso di un lussuoso albergo di Jinbōchō. Sana a quel punto distolse l’attenzione dal suo cellulare, riponendolo nella borsa.
Il suo editor, il signor Harumi, aveva aperto la porta per entrambe e a Sana venne da sorridere perché quel tizio, più che un editor, le sembrò un autista e forse sua madre era proprio in quel modo che lo trattava. 
«La presentazione inizierà tra un quarto d’ora, dovremmo sbrigarci.» disse lui alla signora Misako che, in effetti, accelerò il passo verso l’ascensore che condusse tutti loro al decimo piano dell’albergo. Era proprio lì, nella lussuosa sala conferenze, addobbata per l’occasione con un lungo tavolo pieno di cibo e bibite, che si sarebbe svolta la presentazione dell’ultimo libro di Misako Kurata, “Le sue maschere.”
Sana si addentrò nella grande sala, camminando lentamente tra la gente, per raggiungere un punto non troppo lontano da cui assistere alla presentazione del libro di sua madre. Ricordava perfettamente quando gliene aveva parlato, più o meno un anno prima e a quel tempo quel racconto abbozzato, la cui trama era ancora tutta nella testa della scrittrice, le sembrò così folle da piacerle subito.
Appoggiò la stampella alla parete dietro di lei e si sistemò lì, in piedi, in un angolo non troppo lontano dal tavolo del buffet, ma abbastanza dal palco su cui sua madre avrebbe tenuto la sua intervista. Da quando era entrata in quella grande sala nessuno le aveva rivolto occhiate strane, ma Sana pensò che la prudenza non fosse mai troppa e che era meglio starsene un po’ in disparte. Nonostante quello che le aveva detto sua madre.
In fondo la notizia del suo apparente abbandono delle scene televisive in Corea si stava rapidamente diffondendo ed era sicura che prima o poi avrebbe dovuto rilasciare qualche intervista. Quindi, incrociò le braccia sul petto e aspettò che la folla si sedesse nell’esatto istante in cui sua madre comparve sul palco, tenendo tra le mani un microfono scuro. 
Si guardò un’ultima volta intorno, cercando di realizzare il numero di persone presenti a quell’evento, ma nonostante la stanza non fosse enorme, era comunque gremita di gente. Tuttavia, il suo posto in disparte le permise comunque di scorgere un viso familiare che proprio in quel momento aveva incrociato il suo sguardo, sorridendole.
Quando le fu abbastanza vicino, Sana pensò che non avrebbe mai potuto confondersi, perché aveva visto quella faccia per la prima volta soltanto poche ore prima.
«Immagino di non dover essere più di tanto sorpreso, visto che sei la figlia dell’autrice del libro di stasera. Sciocco io a non averci pensato subito.» disse Jun Watanabe, quando le fu praticamente accanto.
«Già, peccato che non possa dire la stessa cosa. Sono sorpresa eccome.» rispose lei afferrando la stampella appoggiata alla parete dietro di lei.
«Be’, in effetti in una città così grande quante probabilità ci sono di incontrare la stessa persona dopo meno di ventiquattro ore dalla prima volta in ci si conosce?»
«Non saprei, poche? Immagino.»
«Molto poche, e io con i numeri ci so fare.»
Sana allora pensò immediatamente al fatto che quel tipo lavorava in un’azienda informatica, la stessa azienda in cui lavorava Hayama.
«Immagino. Io invece sono una vera frana, mi dispiace.» disse lei, con un sorriso imbarazzato.
«Ad ognuno il suo.»
«E cosa ci fai qui? Sei un fan di mia madre?»
«Oh no, no.» disse come se si stesse giustificando di qualcosa che Sana comunque non riusciva a capire. Poi, rendendosi conto del tono, si grattò leggermente la fronte con le dita di una mano.
«Cioè questo libro l’ho letto, e mi è anche piaciuto. Ma non sono qui per questo, sto dando una mano a mio padre. Lui lavora in questo hotel e ha organizzato l’evento di stasera.»
«Oh, capisco. Quindi, stai lavorando?»
«Più o meno: mi assicuro che non succedano casini.» disse sbrigativo, poi si spostò di qualche metro verso il tavolo del buffet e raccolse due bicchieri pieni, porgendone uno a Sana.
«Non dovresti aspettare la fine della presentazione?»
«Tranquilla, ho un canale preferenziale, ricordi?» le disse, strizzandole un occhio. Allora Sana accennò un sorriso, afferrando il bicchiere ancora a mezz’aria tra lei e Jun e lo portò alle labbra.
Poi entrambi si voltarono verso il palco quando sentirono il battito di mani della folla.
«Mi premeva dire una cosa con questo libro.» disse Misako Kurata dall’alto del palco su cui era seduta. Aveva un tono serio, una veste in cui Sana l’aveva vista raramente.
«Nonostante l’indossare una maschera, nella vita, sia quasi sempre la strada più facile, non dobbiamo dimenticare mai le conseguenze che questa scelta comporta. A volte, sfilarsi la maschera di dosso, diventa pesante come un macigno.» concluse Misako.
Sana rimase in silenzio, con il bicchiere pieno tra le dita. Avrebbe voluto accompagnare anche lei l’applauso che aveva seguito l’ultimo discorso di sua madre, ma per qualche motivo non ci riuscì. Probabilmente, pensò lei, applaudire, tenere un bicchiere in una mano e la stampella in un’altra le avrebbero reso l’azione impossibile. Allora ci aveva semplicemente rinunciato.
«Saggia tua madre.» sentì dire a Jun all’improvviso, e quelle parole la ricondussero nuovamente in quella sala piena di gente.
«Già...»
«Comunque, parlando d’altro. Sono contento che ci siamo incontrati per caso. Speravo in una tua chiamata, ma avevo già deciso che avrei chiesto il tuo numero ad Hayama, sai?»
A quel nome, Sana sobbalzò visibilmente. Se avesse avuto il bicchiere tra le labbra, avrebbe certamente riversato tutto il suo contenuto in faccia a qualcuno.
«Hayama?»
«Sì, Hayama. Il mio collega e tuo amico… siete amici, no?» domandò lui, leggermente confuso.
«Amici, sì… vecchi amici.» e di colpo le venne da sorridere ripensando proprio al nome che Tsuyoshi aveva dato a quella chat di gruppo in cui era stata aggiunta solo poco prima.
«Appunto. Ma non ce n’è stato bisogno.»
«Sei diretto tu, eh?» commentò Sana, con un pizzico di disagio. Lui invece si lasciò sfuggire una risatina divertita.
«Pensavo si fosse capito anche ieri sera…» aggiunse lui, in tono tranquillo.  
Sana si sentì ancora più a disagio in quel momento; quindi, decise di affondare il viso nel bicchiere di vino frizzante che le aveva portato Jun. Poi qualcosa vibrò nella sua borsa, e pensò che quella potesse essere una scusa perfetta per distogliere l’attenzione da Jun e dal suo essere così diretto.
Si accorse che le era appena arrivato un messaggio nella chat di gruppo “Vecchi amici”.
“Ragazzi ho aggiunto Sana al gruppo! Così possiamo organizzare un’altra uscita tutti insieme” scriveva Tsuyoshi. A quel messaggio ne seguì un altro di Gomi: “Ehi Kurata! Io ci sono sempre per una bevuta… quando volete.”
Sana si sentì per un istante in una bolla fuori dal mondo. Non riusciva a decifrare le sue emozioni, ma per un momento le sembrò di provare un certo fermento all’idea di quei messaggi. Poi però tutto tacque, fatta eccezione per un pollice all’insù inviato da Hisae.
Si domandò se fosse il caso di rispondere, e soprattutto cosa dire. Inoltre, si domandò il motivo del disagio che stava provando. A quel punto allora decise che ci avrebbe pensato dopo, e infilò repentinamente il cellulare nella borsa prima di continuare a bere il suo vino frizzante.
«Tutto ok?» le domandò Jun.
«Come?»
«Tutto ok? Mi sembravi su un altro pianeta.» disse con un sorriso titubante. 
«Oh, sì sì. Stavo solo leggendo una cosa.»
«Deve essere stata una cosa importante. Ad ogni modo, ti chiedo scusa ma devo raggiungere mio padre al piano di sopra. Sono contento però di averti rivista.» disse lui, cogliendo Sana alla sprovvista.
«Oh, d’accordo… sono contenta anche io.» disse lei, senza chiedersi se lo fosse sul serio o meno.
«Allora ci vediamo, Sana Kurata. Spero presto…» concluse in fretta con un sorriso, appoggiando poi il suo bicchiere vuoto sul bancone del buffet. Così in fretta che Sana non riuscì nemmeno a replicare, perché in pochi istanti Jun Watanabe si era letteralmente dileguato. 
Sana aggrottò le sopracciglia e continuò a guardare nella direzione in cui Jun era andato, e si rese conto che insieme a lui era sparita anche quella sensazione di strano disagio che stava provando poco prima. Tuttavia, si domandò anche perché mai fare tutta quella scena se poi, alla fine, il numero di telefono non glielo aveva nemmeno chiesto.
«Mmm…» si lasciò uscire involontariamente, continuando a volgere l’attenzione verso la grande porta che Jun aveva attraversato. Ma nonostante il tempo, lui non tornò più nella sala in cui Misako stava presentando il suo libro, e Sana sorprese se stessa a guardare sempre nella stessa direzione più di quanto si fosse aspettata.
Eppure, lui non l’aveva messa affatto a suo agio, anzi. 
Quando finalmente lei e sua madre tornarono a casa, dopo che quest’ultima aveva rifiutato più di un invito a cena da parte di editor e giornalisti, Sana finalmente sentì le spalle rilassarsi un po’. Tuttavia, nella solitudine della sua stanza, quella sera strana di fine ottobre, ricominciò a pensare alla sua vita, alla città che l’aveva ospitata fino a meno di un mese prima e al lavoro che aveva appena perso.
Si lasciò andare sul grande letto a baldacchino della sua vecchia camera di bambina e si perse nel bianco alienante del soffitto sopra di lei.
«Eppure mi piaceva…» sussurrò tra se e se, appoggiando il dorso della mano sulla fronte.
Rimase lì in quella posizione per un tempo indefinito, finché non fu sopraffatta dalla stanchezza della notte insonne trascorsa.
 
*** 

Era passata una settimana da quando Sana aveva perso il lavoro in Corea, ma Ji-Won non l’aveva mai richiamata, né tantomeno le aveva inviato un messaggio. Aveva pensato molte volte di contattarla lei per prima, ma per un motivo che non riusciva a capire non ci era mai riuscita. A volte si chiedeva come stessero andando le riprese, dicendo a se stessa che il mondo dello spettacolo funzionava così: correva veloce, e se ti fermavi solo un attimo per un infortunio, non si sarebbe di certo fermato anche lui.
Era trascorsa una settimana anche da quando era stata alla presentazione del libro di sua madre in quell’hotel di lusso in cui aveva incontrato Jun Watanabe. Ma nonostante le sue parole dirette, non lo aveva mai più rivisto né tantomeno sentito. Per qualche ragione, aveva preso tra le dita il suo biglietto da visita più volte in quei giorni, ma anche in quell’occasione non aveva fatto nulla.
Erano trascorsi sette giorni esatti da quando Tsuyoshi aveva creato quella chat di gruppo chiamata “Vecchi amici”, ma da quel messaggio iniziale in cui lui stesso invitava gli altri a dare a Sana il benvenuto in quel gruppo, promettendo un’uscita tutti insieme, non era successo più nulla. Nessuno aveva scritto niente e Sana, un paio di volte, aveva pensato di proporre lei stessa un’uscita, ma poi aveva subito pensato al modo in cui Hisae le si era rivolta, alla non partecipazione di Akito a quei due messaggi scritti, e aveva cambiato idea all’istante.
Era passata una settimana in cui aveva pensato più e più volte di voler tornare a Seul, ma allo stesso tempo se ripensava a se stessa in quel posto le veniva una strana nausea. 
Allora guardò verso Ryu che guidava accanto a lei, mentre l’auto scura del suo agente imboccava l’uscita verso l’ospedale universitario di Shinjuku.
«Se oggi ti tolgono il gesso, con un po’ di fortuna saremo di ritorno a Seul prima di Natale.»
«Già…» rispose lei, chiedendosi cosa stesse sperando in cuor suo.
«Non devi essere triste Sana. Lo so che perdere quella parte è stato un duro colpo, ma sai com’è il mondo della televisione. Sono sicuro che non appena tornerai a Seul, pioveranno offerte di lavoro come se fosse la stagione dei monsoni.» disse lui ridacchiando.
«Dici? È che mi annoio così tanto a non far nulla. Forse potrei fare qualche lavoretto qui… che ne pensi?»
«Be’, ci avevo già pensato. Io però credo sia meglio far calmare le acque. Sai, fin quando non sarai tu a rilasciare un’intervista e a spiegare che non te ne sei andata per un capriccio, nessuno saprà come stanno le cose e i produttori qui sono abbastanza suscettibili all’opinione della gente.»
«Pensano che sia stata io ad abbandonare la serie?» domandò lei stranita.
«No, ma potrebbero pensarlo se non li smentisci.»
«Be’, anche se fosse? Che gliene importa alla gente?» domandò lei, con un tono infastidito.
«Ricordati che sei un personaggio pubblico, e l’opinione della gente conta più di ogni altra cosa.»
«Lo so, ma io…» solo che le parole le si fermarono in gola. Avrebbe voluto dire che lei non c’entrava nulla con quella decisione, ma non lo fece. Pensò che Ryu avesse ragione, solo che rilasciare un’intervista in quel momento le sembrava una cosa così lontana. Per qualche assurdo motivo, da quando era tornata a Tokyo si sentiva una specie di estranea a tutto, e quel mondo dello spettacolo che aveva frequentato da anni, e che era ormai il suo pane quotidiano, le sembrava invece lontano anni luce. Eppure, come faceva a non esserci più dentro? Cosa avrebbe fatto?
L’auto di Ryu imboccò una strada laterale, finché non entrò nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale.
«Stai tranquilla, vedrai che oggi ti toglieranno quelle bende, farai un po’ di riabilitazione e ce ne torneremo a casa. Anzi, mi impegnerò affinché tu possa farla a Seul…»
«D’accordo Ryu.» disse lei assecondandolo. Poi afferrò la sua stampella e uscì dall’auto del suo manager, dirigendosi verso l’ascensore del parcheggio che l’avrebbe condotta al piano dell’ospedale.
Gomi le aveva fissato quell’appuntamento una decina di giorni prima, dicendole che l’avrebbe ricevuta quel pomeriggio al piano di medicina generale. Allora Sana si ritrovò al piano dell’accoglienza, finché non trovò la reception con quattro impiegati, pronti a smistare i pazienti in visita.
«Salve, devo vedere il dottor Gomi.» disse, con una punta di titubanza. Chiamare il suo vecchio compagno di classe dalla testa calda dottore la faceva ancora sorridere. 
«Certo, mi faccia controllare. Può dirmi il suo nome per favore?» disse la ragazza dall’altra parte del bancone.
«Sono Sana Kurata.»
A quel punto la ragazza la osservò per qualche istante poi, presa da una sorta di imbarazzo, abbassò subito lo sguardo, concentrandosi sullo schermo del computer davanti al suo naso. Sana corrugò la fronte, finché la ragazza non le rivolse uno strano sorriso.
«Mi dispiace, ma deve aspettare un po’ perché il dottore ora è impegnato con un altro paziente.»
«Oh, sul serio? Ma lui…» disse lei, pensando al fatto che Gomi le aveva detto di presentarsi lì proprio a quell’ora.
«Non ci vorrà molto. Può accomodarsi nella sala d’attesa alle sue spalle.» le disse, indicando un punto proprio dietro di lei.
«D’accordo.» disse Sana arrendevole. A quel punto fece qualche passo verso la sala d’attesa, ma riuscì chiaramente a sentire uno strano mormorio alle sue spalle. Allora si voltò, scoprendo la ragazza dell’accoglienza che sussurrava qualcosa a bassa voce alla sua collega, seduta accanto a lei. Quest’ultima fissò Sana per un istante, finché non distolse lo sguardo quando lei corrugò nuovamente la fronte. Si domandò cosa stesse succedendo, tuttavia le due ragazze si ricomposero tornando ai loro posti, con i visi incollati allo schermo dei loro computer.
Sana allora si avviò verso la sala d’attesa e quando vi entrò cercò un posto libero con lo sguardo. Esaminò ogni punto di quella grossa stanza piena di gente, sulle cui teste pesavano dei grossi monitor su cui venivano annunciati i turni dei pazienti. Era quasi piena, finché non scorse un paio di sedie libere in fondo alla stanza, davanti ad una grossa vetrata che dava sui grattacieli di Shijuku. 
Mentre raggiungeva quei posti, non riuscì a fare a meno di sentire gli occhi delle persone che la seguivano, come se stesse facendo una sfilata, nonostante la stampella e la gamba fasciata non le davano un’aria chissà quanto elegante. Eppure, sentiva i loro sguardi proprio dietro alla schiena. Poi riuscì a sentire una ragazza che diceva alla persona accanto a lei che quella era Sana Kurata, e che ne era assolutamente sicura. 
Sana si sentì improvvisamente a disagio, e ripensò di colpo alle parole di Ryu.
Quando raggiunse i due posti liberi però, il suo cuore sussultò all’istante quando si accorse della persona che occupava una delle sedie in fondo alla sala. Lui non l’aveva vista, perché aveva la testa china sul cellulare ed era impegnato a leggere chissà cosa, a giudicare dal suo viso concentrato. Ma lei lo aveva visto eccome.
«Hayama…» sussurrò stupita. In quel momento l’unica cosa che riuscì a pensare fu di andare via, ma nonostante le era sembrato di aver sussurrato il suo nome con un leggero filo di voce, lui doveva averla sentita perché di colpo alzò lo sguardo verso di lei.
«Kurata?»
Pronunciò il suo nome con un tono di sorpresa. Poi abbassò lo sguardo sulla sua gamba fasciata.
«Ciao… Hayama.» disse di nuovo, avvicinandosi a lui. A quel punto Akito si voltò verso il posto vuoto accanto a lui e recuperò la sua giacca, liberandolo per lei.
«Grazie.» replicò Sana, sedendosi goffamente accanto a lui. Gli era così vicino che riuscì a sentire anche il suo profumo, e si domandò se fosse lo stesso della sera in cui l’aveva riaccompagnata in macchina.
«Sei qui per Gomi?»
«Già, ma a quanto pare è impegnato. Eppure, mi aveva detto di venire a quest’ora.»
«E’ un medico, è normale che non se ne stia con le mani in mano.» disse lui in tono tranquillo. Aveva smesso di guardare il cellulare e Sana si voltò leggermente verso di lui.
«Lo spero per la mia gamba.» replicò con un sorriso nervoso. Poi Hayama la scrutò per qualche istante in più, finché non corrugò la fronte.
«Pensavo, l’ultima volta che ci siamo visti eri nella stessa situazione.» disse Akito, cogliendo Sana completamente alla sprovvista. Per qualche ragione assurda, pensava che lui avesse semplicemente dimenticato ogni cosa e che fosse un Akito Hayama diverso. Una nuova persona, senza i ricordi legati a Sana Kurata. 
Sana abbassò lo sguardo e si guardò la gamba.
«Questo la dice lunga sulle mie abilità motorie…» disse sorridendo, cercando di sembrare divertente e nascondere l’imbarazzo.
«Mi sorprende che tu sia arrivata integra fino ad ora, in effetti.»
Akito disse quelle parole mantenendo un’espressione neutrale, ma Sana ricordava bene il suo strano senso dell’umorismo e si sentì finalmente a suo agio, dopo un tempo incredibilmente lungo.
«Be’ anche tu non sei cambiato dall’ultima volta.» gli disse, in tono di sfida. Ma lui si voltò e fissò lo sguardo su di lei per qualche istante.
«Dici?»
«Be’… sì, nel senso che le tue battute fanno sempre pena.» 
«Sarà, ma mi sembrava un sorriso quello lì.» disse lui, continuando a mantenere la stessa espressione seria. Allora Sana non riuscì più a reggere il suo sguardo, e tornò quindi alla sua gamba.
«Tu invece cos’hai? Qualche problema al cervello per caso?»
«Non sono qui per vedere un dottore.»
«Oh, quindi l’ospedale è il posto in cui passi il tuo tempo libero?»
«Più o meno. Sto aspettando una persona.»
A quel punto Sana collegò Akito al fatto che Fumiko, la sua ragazza, lavorasse proprio in quell’ospedale. E di colpo si sentì incredibilmente stupida.
«Ma certo, sei qui per Fumiko.»
«Sai, lavoro proprio qui vicino…»
Sana pensò che quello fosse il momento giusto per alzarsi e levare le tende. Non aveva nessuna voglia di aspettare lì insieme a lui l’arrivo della sua ragazza, quindi si voltò per afferrare la stampella che aveva appoggiato sulla sedia vuota accanto a lei, ma in quel momento furono raggiunti da un gruppo di tre ragazze che non aveva mai visto in vita sua.
Le tre ragazze si misero proprio davanti ai due e Akito le guardò con aria stranita.
«Sei Sana Kurata vero?» disse una delle tre, quella più alta.
«S-sì.» rispose Sana, pensando che probabilmente quelle ragazze erano delle fan e che le avrebbero chiesto solo un autografo. A quel punto sfoggiò loro un sorriso, che però non fu affatto ricambiato.
«È vero quello che c’è scritto qui sopra?» le domandò, mostrandole lo schermo del suo cellulare dove c’era una sua foto legata ad un articolo in cui si parlava del suo abbandono alle scene.
«Be’ sì. Vedi, mi sono infortunata, quindi…»
«Quindi non reciterai più? Aspettavamo con ansia questa serie.»
«No, purtroppo in questa non ci sarò, ma Ji-Won è bravissima.»
«Be’ non ci sembra giusto. Dovresti esserci tu. Poi per che cosa?» disse la ragazza, indicando la gamba di Sana. 
A quel punto Akito si alzò in piedi afferrando la sua giacca con una mano.
«Perché non la lasciate in pace?»
«Scusa, è tu chi saresti?» 
«Zitta Eriko, magari è il suo fidanzato.» le sussurrò l’altra di colpo.
«Ma Sana sta insieme a Lee, te lo sei scordato?»
Sana in quel momento avrebbe voluto che gli dèi degli inferi avessero aperto una botola per trascinarla giù con loro e sparire per sempre dalla vista di Hayama. Come facevano quelle ragazze a sapere della sua relazione con Lee?
Hayama però non sembrò affatto turbato, al contrario la prese per mano e la attirò a sé facendole segno di seguirlo.
«Forse dovremmo scattare loro una foto.» disse la più alta. Ma in quel momento Akito la fulminò con uno sguardo: «Forse invece dovreste togliervi dai piedi.» 
E il suo tono di voce fu così duro che le ragazze non trovarono il modo di replicare. Sembrava essere tornato l’Akito Hayama che Sana aveva conosciuto alle elementari, e lei si sentì quasi sollevata nel constatare che in qualche modo riusciva a riconoscerlo ancora così bene, nonostante tutto. Poi si sentì trascinare verso la porta che dava alle scale di emergenza.
«Ti accompagno da Gomi.» disse lui, continuando a tenere la mano di Sana stretta nella sua. Quella stretta però a lei sembrò così pesante che non riuscì a reggerla a lungo, così appena furono entrambi fuori dalla sala e in disparte sul piano delle scale antincendio, Sana lasciò la mano di Akito.
«Non preoccuparti, non ce n’è bisogno. Anzi, ti chiedo scusa, ma non pensavo che anche qui in Giappone ci fossero persone che mi seguono con tanto ardore.» si giustificò lei, con un sorriso imbarazzato. 
«Be’, ultimatene si legge solo di te.» disse alzando il cellulare in aria. Allora Sana alzò le sopracciglia, rendendosi conto con sorpresa che anche Akito aveva letto la notizia riguardo il suo lavoro.
«Già, è una bella patata da pelare.»
«Gatta, Kurata.» la corresse lui. Poi le tese nuovamente la mano: «Andiamo?»
Sana lo guardò per qualche istante, immobile, in quel minuscolo vano dalle pareti bianche. Non si era affatto resa conto che in quegli anni aveva messo da parte così tante cose da averle semplicemente dimenticate. In tutto quel tempo aveva deciso di scindere alcune parti di se stessa, ma non aveva fatto i conti con la difficoltà di ritrovare quelle parti quando ormai l’altra metà era così radicata. E in quel momento rivedere Hayama che aveva capito il suo disagio, senza nemmeno averglielo chiesto, aveva scatenato in lei così tante sensazioni assopite che si sentì di colpo incredibilmente sciocca.
Possibile che non riuscisse a fare nulla per evitare di sentirsi in quel modo?
In quel momento Akito la guardò e sollevò entrambe le sopracciglia, in un’espressione di sorpresa. Sana non capì subito, ma poi sentì le sue guance bagnate raffreddarsi. Si toccò il viso con la punta delle dita e si rese conto solo in quel momento che stava piangendo. Probabilmente la sensazione di imbarazzo aumentò, perché improvvisamente si sentì un nodo in gola talmente stretto da avere difficoltà a respirare.
«Io…» riuscì a dire, finché Akito non si avvicinò a lei di qualche passo.
«Io…» ripeté mettendosi una mano sul viso.
«Kurata…»
«Io… non ce la faccio più.» riuscì a dire, prima che il nodo in gola si sciogliesse, impedendole di parlare perché finalmente, si sentì sopraffatta da qualcosa. Hayama allora le appoggiò una mano sulla spalla, stringendo appena la presa con le dita. A quel punto Sana si aggrappò con una mano al suo braccio, stringendo la presa a sua volta.
Per qualche minuto in quelle scale si sentì solo il suono del suo pianto strozzato, perché lei stava cercando in tutti i modi di trattenersi, ma nonostante tutto proprio non ci riusciva perché sentiva che qualcosa le avrebbe impedito di respirare per sempre se non avesse pianto tutte le sue lacrime.
Mentre le sue lacrime continuavano a sgorgare sotto lo sguardo confuso di Akito, due infermiere comparvero alle loro spalle e si precipitarono verso Sana.
«Cosa succede? Si è fatta male?»
Sana le guardò frastornata, e si sentì di colpo persa ora che la sua mano non era più aggrappata al braccio di Akito. Tuttavia, non riuscì a parlare subito, quindi intervenne Hayama.
«Sì, la stavo accompagnando al piano di sopra. Ha una visita con Gomi Shinichi.»
A quel punto le infermiere guardarono la gamba fasciata di Sana, poi tornarono con lo sguardo ad Hayama.
«Mmm, d’accordo. Ma ditelo al dottore che sente così male.»
Sana a quel punto si asciugò le lacrime in fretta, aggiustandosi poi i capelli e cercando di tornare ad uno stato presentabile.
«Sì, glielo dirò.» rispose lei, con la voce rotta. 
Guardò le infermiere andare via, ma non aveva il coraggio di posare il suo sguardo su Hayama perché ora che le lacrime avevano smesso di offuscarle la mente, si sentì tremendamente in imbarazzo. E ringraziò mentalmente la vibrazione del suo cellulare, che usò come scusa per guardare per l’ennesima volta altrove.
Scoprì che le era appena arrivato un messaggio, e sgranò gli occhi quando lo lesse, decisamente sorpresa.
“Ti avevo detto che in qualche modo avrei avuto il tuo numero. Ciao, Sana Kurata.” 
A quel punto Sana si voltò verso Hayama, perché molto probabilmente era stato lui a dare il suo contatto a Jun Watanabe. Allora serrò le labbra e pensò che fosse davvero arrivato il momento del suo appuntamento con Gomi.



* app di messaggistica molto usata in Giappone

*Note d'autrice*

Eccomi di ritorno dopo una lunga (manco tanto) assenza. Ci eravamo lasciati con me in Africa e senza social, e ora ci ritroviamo con me in Inghilterra e senza una vita social xD Scherzi a parte, diciamo che il tempo, il freddo e il lavoro aiutano poco in questo.
Ho finalmente aggiunto una cazone che amo, parte della colonna sonora di un anime che adoro, Death Note. Non vedevo l'ora di piazzarvela da qualche parte, quindi beccateve sta Solitude :D.
Dunque, non commenterò troppo questo capitolo perché lascio la parola a voi. Dico solo una cosa, anzi vi chiedo: ma sto Jun? Un po' psicolabile? Che ne pensate? Sono curiosa di leggere i vostri commenti, e approfitto come sempre per ringraziarvi tutti perché dopo quasi tre anni e un EFP ormai quasi vuoto, la vostra presenza in questa storia non solo è fondamentale, ma mi riempie come sempre il corazon di gioia.
Un bacio

Alex

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: AlexSupertramp