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Autore: Cunegonda109    16/04/2023    10 recensioni
«Se fuggire fosse la soluzione, io sarei fuggito da te tanto tempo fa, Oscar... È inutile fuggire, Oscar, credimi!»
Mi sono sempre chiesta come facesse André a esserne tanto sicuro. Ho immaginato, quindi, che in passato almeno una volta abbia provato ad allontanarsi (se non altro temporaneamente) da Oscar. Questa storia nasce per raccontare quell’esperienza.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Marron Glacé, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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II
 

Chino sul proprio letto, su cui erano poggiati gli indumenti che intendeva portare con sé, André pensava che in quel preciso momento i bagagli di entrambi venivano preparati. Ai suoi stava provvedendo da solo, come sempre, mentre ad approntare quelli di Oscar erano, secondo consuetudine, le mani zelanti di sua nonna, ché quella non permetteva intromissione alcuna, quando si trattava della "sua bambina". Eppure, rifletteva, a differenza di ogni altra volta, bisacce, sacche e bauli sarebbero partiti verso direzioni differenti. L’idea che non fosse mai accaduto prima gli suscitò repentina una sensazione d’apprensione per la situazione incognita e una tristezza indefinita, quasi una malinconia, come se gli incombesse sul capo il commiato a una stagione della vita che, evidentemente, pareva essersi esaurita. La stagione iniziata diciotto anni prima, quando il grande cancello di palazzo Jarjayes s’era aperto per accoglierlo, e che da allora mai aveva varcato senza di lei, se non per sbrigare qualche commissione affidatagli da sua nonna, dal Generale o da Oscar stessa, oppure per qualche sortita in una taverna di Parigi per brindare alla maggiore età, alle imminenti nozze o alla novella paternità di qualche membro della servitù.

Mentre la mente vagava per tali aspri sentieri, senza che potesse avvedersene, le mani con uno scatto involontario accartocciarono una delle camicie candide e croccanti di amido che avrebbero dovuto riporre nel bagaglio. Non appena lo sguardo si posò sullo scempio della stoffa stazzonata ancora ghermita tra le dita con noncuranza, apprensione e malinconia divennero stizza. Se c’era un peccato di cui André Grandier non avrebbe mai potuto essere accusato, era la negligenza. Ciononostante, si ritrovò a constatare, la distrazione di un momento prima aveva sciupato il lavoro solerte di una delle lavandaie del palazzo, che probabilmente – non ignorava d’essere al centro dell’attenzione della maggior parte delle giovani domestiche – aveva stirato la camicia con una particolare dedizione, sapendola sua. E, invece, quella adesso gli penzolava stropicciata dalle mani: una cosa ben fatta, una cosa fatta con amore, rovinata.

Una cosa ben fatta, una cosa fatta con amore, come il rapporto con Oscar, coltivato negli anni con la meticolosità di un giardiniere, perché fosse saldo e discreto, caloroso e appropriato. Era stato un esercizio da funambolo raggiungere un equilibrio tanto armonico e apparentemente spontaneo e ogni giorno occorreva concentrarsi profondamente per non sbilanciarsi, per non mettere un piede in fallo e svelare l’artificio. E adesso, per la smania di mettere alla prova se stesso o il destino o entrambi, gettava tutto su un tavolo da roulette

Ci aveva pensato per giorni. Macché per giorni! Per mesi ci aveva pensato! E alla fine si era convinto che fosse la sola cosa da fare: allontanarsi per essere certi che non esistesse la possibilità di alcun’altra vita, di alcun altro futuro che non fosse sempre lì, abbastanza vicino da poter respirare il profumo di lei e al contempo distante quanto il rango e la decenza e l’impenetrabile rigore di Oscar e il suo cuore innamorato di un altro imponevano. Tuttavia, nell’imminenza della partenza la risolutezza pareva vacillare. Ammise tra sé che non era il distacco a impensierirlo, lo angosciava il ritorno e più ancora ciò che sarebbe cambiato da quel momento. Perché, André ne aveva certezza, a qualunque conclusione fosse giunto durante le settimane a venire, qualcosa sarebbe inevitabilmente mutato tra loro.

Alea iacta est!, si disse infine per darsi il coraggio che non aveva. Quindi, cacciata la camicia raggrinzita nella sacca, si affrettò a terminare il lavoro. Poi sarebbe andato da lei per salutarla, benché non gli andasse, ché se solo quella l’avesse interrogato nuovamente guardandolo negli occhi, le avrebbe confessato tutto come un bambino messo alle strette mentre cerca di negare una marachella. Ma partire senza un commiato proprio non sarebbe stato capace di farlo. Né a lei né a se stesso.
 
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Un bussare familiare destò Oscar dai propri pensieri, persi oltre i vetri tra le ortensie in fiore a chiedersi cos’altro le fosse sfuggito, se era riuscita a non accorgersi che s’era fatta estate e che André era cambiato al punto da avere segreti di cui non poteva essere messa a parte.
«Avanti!», invitò rivolgendo lo sguardo alla porta.
L’altro entrò quasi con circospezione. Le spalle un po’ curve, il volto contratto e nessuna traccia della facile eleganza con la quale si muoveva abitualmente. Quell’inedito imbarazzo da parte di lui la contagiò con il medesimo disagio e d’istinto si voltò nuovamente a guardar fuori.
«Perdona il disturbo, Oscar», esordì il giovane, grato di non trovarsi addosso gli occhi di lei, «sono venuto per avvisarti che tra poco partirò. Se c’è qualcosa che hai bisogno che faccia, prima di andare…»
«No, nulla», lo interruppe, «tua nonna ha preparato i nostri bagagli e domattina di buon’ora ci metteremo in viaggio anche io e Rosalie. Didier condurrà la carrozza e penserà ai cavalli. Come vedi è già tutto predisposto», gli spiegò con un tono distaccato da inventario.  

Chi non avesse avuto una consuetudine tanto antica e profonda con Oscar François de Jarjayes avrebbe potuto scambiare quell’atteggiamento per indifferenza, ma André Grandier sapeva che era il turbamento a irrigidirne i gesti e la voce. Pensò di meritare ogni scheggia della freddezza con cui ella lo colpiva per dissimulare d’essere a propria volta intimamente colpita. Tutta la situazione che aveva architettato adesso gli pareva d’una assurdità opprimente e, pietoso, affrettò la conclusione per alleviare la difficoltà di entrambi: «Bene, quand’è così: ti saluto, Oscar. Fate buon viaggio! Col tuo permesso, mi congedo. A presto.»
Nessuna risposta seguì a quelle parole.
L’abitudine gli dettò un inchino che l’altra, voltata di spalle com’era, non avrebbe potuto vedere. Gli occhi indugiarono un istante sulla figura affusolata in controluce, sulle volute d’oro dei folti capelli, sulle postura delle gambe agili e troppo poco divaricate perché si potesse sinceramente credere che quella fosse una posa maschile. Lo sguardo vagò rapido dalla testa ai piedi per carpire ogni particolare di lei, ché quell’ultima visione gli sarebbe dovuta bastare per settimane. Infine, obtorto collo, lasciò la stanza richiudendo la porta dietro di sé.
 
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Era ormai quasi mezzogiorno, quando André entrò nella grande cucina di palazzo Jarjayes in cerca di sua nonna e non la trovò. Ma, prima che potesse voltarsi per avviarsi verso altre stanze, gli si fecero alle spalle un fruscio di vesti e passi corti e leggeri e un’ombra minuta gli si mise accanto e una mano furtiva gli insinuò qualcosa nel palmo. Sollevò la mano per portarla davanti a sé e vide un sacchetto di tela. E lo sentì tintinnare.

«Nonna, ne abbiamo già parlato, non insistere…»
«Accettali, potranno esserti utili!»
Guidò la nonna fino a farla accomodare sulla lunga panca su cui sedeva la servitù per i pasti. Le s’inginocchiò davanti, le posò con dolcezza il sacchetto in grembo e, tenendole entrambe le mani tra le proprie, la riprese con tono gentile: «Sai che ho abbastanza denaro e che questa è una cosa che debbo fare da me…»
«Va bene, va bene, caro, come desideri. Comprendo che è una questione di onore… una questione da uomo…», chinò il capo sconfitta.
«Sì, nonna, è questo: sento che è mio dovere farlo, posso farlo e lo farò», confermò il nipote, «ma ti ringrazio per la tua premura… per quella di adesso e per tutte le altre in passato», le spiegò sorridendole d’affetto e riconoscenza.
«Il padrone ti ha dato il permesso, dunque?»
«È così. E non mi ha dato solo il permesso, anche la sua benedizione. E mi ha concesso di prendere Alexandre.»
«Partirai oggi stesso?»
«Pensavo di andar via subito, per la verità. Ho già preparato i bagagli. Ero venuto appunto per salutarti.»
«Lo immaginavo… ma quella devi portarla con te!», protestò perentoria indicando una sacca poggiata su una sedia vicino all’uscita che dava sul retro della tenuta.
André ubbidiente si alzò e andò a prenderla. Constatò che era abbastanza pesante, ma non l’aprì. «Cos’è, nonna?», s’informò.
«Solo qualcosa da mangiare per il viaggio: una pagnotta, una forma di formaggio e qualche mela. Nient’altro.»
Allentò la chiusura della sacca e inspirò l’allettante aroma del suo contenuto: «Grazie, questi li accetto volentieri!», disse alla nonna mentre si chinava per lasciarle un bacio sulla cuffietta.
«A lei lo hai detto?», gli chiese quella sollevando il capo per poterne scrutare la reazione, ché la nonna aveva intuito da tempo cosa celava nel cuore il nipote e non le era difficile immaginare la pena di comunicare a Oscar la propria partenza.
«Sì, le ho detto che mi allontanerò per qualche tempo. Non le ho spiegato il motivo, però, né dove andrò…», ammise guardando negli occhi l’anziana parente, che lo vide farsi d’un tratto serio. «Ti prego, nonna, rispetta la mia volontà e non rivelarle niente neppure tu!», sollecitò il giovane, cercando conferma dell’intenzione di tener fede all’impegno preso. E la conferma non tardò: «Certo, André, te l’ho promesso! Anche se non capisco perché tu voglia così…»
Con un movimento fluido, prima di esporre le proprie ragioni, il nipote si mise di nuovo in ginocchio davanti alla panca. Non per impetrare qualcosa, solo perché l’altra potesse leggergli chiaramente nello sguardo la necessità e la fermezza di quella decisione. «Oscar è in licenza adesso, nonna. Deve potersi godere questo periodo di riposo serenamente. Io non desidero rattristarla con le mie faccende private», si giustificò, senza che l’anziana potesse neppure sospettare che in quel momento André non fosse completamente sincero. «Inoltre, sono convinto che, se le avessi parlato, si sarebbe offerta di accompagnarmi. Ma questo è un viaggio che debbo compiere da solo e mi figuro che, almeno in parte, sarà un’esperienza penosa… io so, sono certo, che tu puoi capirmi… non è così, nonna?»
E quella, con dolorosa dimestichezza alle più laceranti ferite del cuore, non poté che dargli ragione.
«Nonna, non stare in pensiero: so badare a me stesso e sarò presto di ritorno», le sussurrò André abbracciandola per scacciare i ricordi tetri, spingendola gentilmente a poggiargli il capo sul petto.
«Che Dio ti benedica, ragazzo mio! Pregherò tutti i giorni affinché la Santa Vergine ti protegga sempre lungo il cammino», gli assicurò stretta al suo cuore.
«Lo so, non ne ho mai dubitato…», le disse in un soffio, commosso dal sapersi pensato e custodito dalle orazioni della nonna, mentre serrava di più l’abbraccio e le carezzava la testa come fosse una bambina da consolare.
 
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Raccolti i propri bagagli, André si diresse verso le scuderie. Non si rese conto dello sguardo accigliato che lo seguiva da dietro i vetri, scosso dal vederlo andar via. Cosa inaudita, ritenuta talmente assurda da non essere mai stata, neppure fugacemente, ipotizzata. Eppure, lo sguardo color del cielo dovette arrendersi all’evidenza nell’osservarlo incedere con una sacca a tracolla e le bisacce in spalla, finché la figura slanciata di lui non divenne indistinguibile, stemperandosi nel buio dell’ingresso delle stalle.

Deposti i bagagli su una panca addossata al muro accanto al portone, André si diresse alla volta dell’area adibita a rimessa delle carrozze. La trovò deserta, come aveva immaginato. Didier si sarebbe probabilmente dedicato ai preparativi per il viaggio di Oscar e Rosalie dopo pranzo. Questo gli diede agio di verificare che la berlina fosse in perfetta efficienza, compito che gli era sempre spettato e che sempre aveva svolto con scrupolo e che mai avrebbe volontariamente demandato ad altri. Constatò con sollievo che il mezzo era impeccabile e tornò sui propri passi. Gli rimaneva un’ultima cosa da fare prima di caricare Alexandre e iniziare il proprio viaggio.

Si muoveva nelle scuderie con il fare sicuro di chi si trova nel proprio regno e in poche falcate raggiunse la sua destinazione. All’udirlo avvicinarsi César, con la sua tipica vivacità da bestia araba[1] a sangue caldo, prese a scuotere la testa e a rumoreggiare. Una mano corse allora rapida al muso, nella consueta carezza longitudinale che aveva il potere di placarlo immediatamente, mentre l’altra cavava di tasca una zolletta di zucchero sottratta furtivamente dalla cucina.

«Te l’affido. Abbi cura di lei e tienile compagnia», gli sussurrò dolcemente vicino all’orecchio mentre il cavallo gli leccava il palmo soddisfatto. «A presto, amico mio!», lo salutò lasciandogli una lieve pacca sulla groppa.

Sistemati i bagagli e offerto uno zuccherino anche al suo docile morello, André condusse infine Alexandre fuori dalle scuderie. Montò in sella senza più voltarsi verso il palazzo, come se temesse di cadere vittima del richiamo di qualche sirena tardiva, e si avviò al passo in direzione del cancello della tenuta della famiglia Jarjayes. Lasciava il luogo che aveva imparato a considerare casa, per intraprendere il viaggio verso quella che era stata l’unica vera casa che avesse mai avuto.

Gli ci sarebbero voluti quattro giorni per raggiungere Noyal sur Brue[2].






 

N.d.A. Finalmente abbiamo scoperto dove è diretto André! Ma c’è ancora un mistero: cosa deve fare?
Inoltre, questo capitolo (nel dialogo con la nonna) introduce uno dei temi che saranno centrali nella storia, che svilupperò più approfonditamente in quelli a seguire.

Ho scelto di rendere André bretone per una serie di motivi. In primis, perché da una ricerca (rudimentale, considerando che non conosco il francese...) che ho compiuto, il cognome Grandier, che è assai poco comune, è maggiormente diffuso proprio nella regione dei Paesi della Loira, che rientrava in parte nella regione storica della Bretagna. In secondo luogo, perché ho notato che c’è una certa tradizione nel mondo delle fanfiction rispetto all’origine bretone di André e sua nonna. La terza ragione è che mi serviva una località che fosse più o meno equidistante tra Versailles e Fécamp e Noyal-sur-Brutz era perfetta. E, dulcis in fundo, il nome André trovo che si sposi benissimo con l’aggettivo breton (ogni riferimento a personaggi realmente esistiti è fortemente intenzionale).

Spero di non aver deluso nessuno con questo secondo capitolo della storia. Debbo ammettere che gli apprezzamenti ricevuti mi hanno dato un po’ di ansia da prestazione…

Grazie a tutti coloro che hanno letto e leggeranno e a chi ha lasciato (o lascerà) una recensione.
 
[1] In modo del tutto arbitrario, ho deciso che César, come il famoso Marengo di Napoleone, è un cavallo arabo.
[2] Piccolo comune del dipartimento della Loira Atlantica, un tempo parte della regione storica della Bretagna. Oggi il nome del comune è Noyal-sur-Brutz. Cito da Wikipedia (scusate, non avevo a disposizione fonti più attendibili o accurate…): "Le nom de la localité est attesté sous la forme Noyal sur Brue en 1394. La commune a été baptisée Noyal en 1793, et a pris le nom de Noyal-sur-Brutz en 1801." 
   
 
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