#Springbingo gruppo Non solo Sherlock
Casella n.2: Di tipo spettro
Prompt di Ray Yadokari
Fanart credits @Naturium
«Mamma, possiamo uscire almeno stavolta? Mi annoio a stare
qui…»
«Lo so, ma questo è il nostro posto, il nostro habitat.»
«Cosa vuol dire?» Il piccolo, incuriosito dalle parole della madre, si sporse da
una delle travi dello scantinato disabitato. «Cosa è un habitat?»
«Il posto dove vive la nostra specie si chiama habitat.»
«Le case abbandonate lo sono, sì. Posso chiamarle habitat?»
La madre lo guardò, notò gli occhi vispi spegnersi nel buio: «beh, diciamo che
i Pokémon vivono in posti tanto diversi, ognuno ha il suo, e questo è il
nostro.»
Non molto convinto, Mimikyu scosse le piccole spalle
nere, confuse nelle ombre della casa. Corrugò la fronte e rimase così a
riflettere per un tempo che gli parve sufficientemente lungo. Era curioso,
chiacchierone e insistente, esattamente come molti dei cuccioli della sua età.
«Ma di solito non si vive tutti assieme?»
Lei esasperata sospirò: non era sempre facile rispondergli in modo sereno,
vista la loro condizione.
«Sì, di solito sì, ma noi non possiamo…»
«Perché?»
«Perché noi Pokémon spettro abbiamo i nostri bisogni,»
I nostri confini…
«le nostre abitudini,»
Le nostre catene…
«e viviamo in posti tranquilli,»
In solitudine.
«perché la quiete ci aiuta a stare meglio, e poi la luce del sole ci dà più
fastidio rispetto agli altri Pokémon.»
Gli umani ci vogliono nel buio.
Forse più convinto, Mimikyu lasciò cadere il
discorso, continuando a chiedersi perché mai i suoi simili non vivevano con
loro: ricordava di storie ascoltate al di là delle pareti, al piano di sopra,
storie che cercava di cogliere tutte le sere. Arrivavano da una voce metallica,
qualcosa che gli teneva spesso compagnia, e raccontava di come i Pokémon
vivessero in armonia nel mondo esterno, in cielo e in mare: assieme, in stormi,
mandrie o banchi.
Tranne lui.
E questo a Mimikyu faceva male, male davvero.
«Sono maledetti. Lo sapevo, sapevo che non sarebbe stata una buona idea
integrarli, quei Mimikyu dovrebbero estinguersi…
avremmo dovuto ucciderli tutti!» La voce dell’uomo si levò più alta delle altre,
dedite intanto a sussurrare parole di conforto e di speranza d’una vita
migliore alla salma che veniva calata all’interno della tomba. L’ultima vittima
era stata ritrovata da un vicino di casa, insospettito dall’assenza di rumori
in casa e della porta d’ingresso mai aperta, se non l’insistente vociare basso di una televisione costantemente
accesa: l’arrivo delle forze dell’ordine aveva confermato ogni sospetto.
Una morte innaturale stampata sul volto sfigurato dall’orrore.
«Mamma, io non sento più niente...» Mimikyu aveva
esitato a esprimersi credendo di andare contro alle ire della madre. Le storie
che ascoltava spiando alleviavano il suoi giorni grigi, dandogli qualcosa da
fare, da scoprire e su cui riflettere. Lei si voltò verso di lui, immaginando
diverse domande a cui dover rispondere.
«Di solito parla di più, invece… invece adesso fa silenzio, tanto silenzio.»
Era amareggiato.
«Sei andato a cercarlo? Mimikyu, rispondimi… hai per
caso lasciato questa stanza, andando di sopra?» Sapeva già, aveva intuito perché
anche lei ascoltava, seguiva, captava ogni cosa al di fuori di quelle mura
umide per mantenere al sicuro lei e il cucciolo.
«Sì, mamma… volevo solo sapere… non pensavo che…» singhiozzava, ricordando
l’espressione di chi l’aveva guardato per la prima volta negli occhi. Ancora vedeva
le pupille dell’uomo dilatarsi, la bocca spalancarsi in un grido muto, e il
cuore fermarsi. «siamo così tanto brutti da fare morire le persone?»
Due braccia nere lo raggiunsero e lo cullarono.
«No, non lo siamo, tu non lo sei. Non sei brutto, non sei cattivo, non sei
niente di diverso da un Mimikyu. È solo che…»
Siamo maledetti.
«Solo che?»
«È difficile, tesoro. Per quello noi ce ne stiamo tranquilli al buio, per non
avere problemi. Nessuno ci disturba, e noi non disturbiamo gli altri.»
Un odore acre aveva svegliato Mimikyu: era qualcosa
che non aveva mai sentito prima, gli attaccava la bocca e il collo rendendogli
difficile anche solo respirare. Agitato raggiunse la madre che pareva stordita,
incapace a muoversi regolarmente; lo guardava spaesata, lo accolse tra le
braccia e lo strinse forte a sé.
Sono venuti a prenderci perché hanno paura di noi.
«Mamma, mi fa male la gola…»
«Tranquillo, adesso passerà, vedrai…» Si alzò prima di sentire le forze venir
meno, raccolse le energie e spaccò la finestra che dava verso l’esterno,
l’unica via d’uscita dello scantinato. Lo scatto disperato, la via di fuga.
Il freddo, il buio là fuori. Un mondo vasto, tutto era fermo.
«Andiamo.»
«Ma quella… quella era casa nostra…»
«Potremo trovarci un’altra casa, un posto con più Pokémon, magari con qualcuno
come noi. Cosa dici? Andiamo?»
Hanno appena cercato di avvelenarci, di ucciderci.
«Sì, andiamo, ma sono così stanco…»
«Dormi, tesoro, abbiamo tutta la notte e nessuno ci disturberà.»
Non ci conoscono. Hanno paura di noi perché siamo spettri. Non vogliono
capirci, non ci provano nemmeno. Gli umani non fanno per noi, non faranno mai
niente per noi.