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Autore: Fragolina84    22/04/2023    0 recensioni
Delusa da Matrix Resurrections, già mentre ero al cinema mi è nata l'idea di un finale diverso per una Trilogia che ho amato in ogni suo aspetto. Quindi, preso spunto dall'idea alla base del film, ho creato questa storia che parla della Resistenza sorta dopo il sacrificio di Neo e Trinity e la ripresa delle ostilità da parte delle macchine. Due nuovi personaggi, Raelynn e Calbet, saranno i protagonisti di questa storia che li vedrà lottare contro il sistema per l'agognata libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neo, Nuovo Personaggio, Trinity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Siamo arrivati all'epilogo di questa storia.
Spero che vi sia piaciuta e che vorrete farmelo sapere.
Grazie a tutti coloro che sono arrivati sin qui.
Buona lettura!

 

«Mamma!»
Raelynn si girò di scatto sul sedile di guida: «Che cosa ci fai tu qui?»
La bambina scosse i riccioli castani: «Sono venuta a vedere se siamo arrivati» affermò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Zoey era nata otto anni prima nella colonia di Zhaka, due anni dopo la fine della guerra con le macchine, diventando in un istante la gioia assoluta di mamma Raelynn e papà Calbet, recuperato dalla Città delle Macchine e perfettamente ristabilito. Si chiamava Zoey in onore della madre di Calbet, che era morta dandolo alla luce. Era una bimba dagli occhi e capelli scuri, vivace e sempre allegra, e Calbet diceva che aveva preso l’attitudine al comando da lei, visto che capeggiava una masnada di ragazzini più o meno della stessa età che erano diventati croce e delizia di buona parte della colonia.
Zoey batté il piede sul pavimento: «Allora, siamo arrivati?» chiese, riguadagnando l’attenzione della madre.
«Sì, siamo quasi arrivati. Proprio per questo dovresti essere legata al tuo sedile» replicò, seccata.
«Ormai sono qui» ribatté, avvicinandosi al sedile di Raelynn che si tese per prenderla in braccio.
«È stato tuo padre a slacciarti le cinture?» domandò, mentre se la sistemava sulla coscia destra.
«No, l’ho fatto da sola. Però mi ha detto che potevo» replicò.
Raelynn borbottò che con Calbet avrebbe fatto i conti più tardi.
«Posso pilotare io?»
«Non penso che le centocinquanta persone che abbiamo a bordo sarebbero entusiaste di sapere che la nave è nelle mani di uno scricciolo di otto anni.»
Quel giorno era un giorno speciale per tutta la colonia. Era il decimo anniversario dal giorno in cui la secolare lotta con le macchine era finita per merito di Raelynn, Neo e Trinity.
Le condizioni in cui versava il pianeta erano disastrose. Era un paesaggio arido e invivibile, desolato e desolante. Il sole non riusciva a bucare la coltre di nubi e non cresceva nulla in superficie, non un fiore, non un filo d’erba. Avevano pensato che ci sarebbero voluti decenni per riuscire a renderlo adatto alla vita. Invece, la Terra aveva dimostrato ancora una volta una grandissima capacità di guarigione.
La maggior parte della popolazione aveva continuato a vivere nella colonia, ma molti erano stati portati in superficie e avevano cominciato a lavorare per rendere il mondo di nuovo in grado di ospitare gli umani.
Dieci anni erano passati da allora. Dieci anni di duro lavoro, di viaggi continui verso la superficie, di fatica e di sudore.
Quel giorno, in quell’anniversario così importante, era stata l’ultima volta che la Livelyan aveva lasciato l’attracco di Zhaka. Avevano caricato le ultime centocinquanta persone rimaste alla colonia, avevano spento tutte le macchine che li avevano tenuti in vita in quei sotterranei e l’avevano salutata per l’ultima volta: non sarebbero più tornati là sotto. Da quel giorno iniziava una nuova vita in superficie, un nuovo capitolo tutto da scrivere.
«Quasi nove» contestò Zoey.Zoey aveva compiuto otto anni il mese prima, quindi era parecchio lontana dai nove. «Dai, mamma. Ti prego.»
Non era la prima volta che la lasciava pilotare. Adesso che i condotti erano stati liberati dalle Sentinelle non c’erano più pericoli e l’aveva portata con sé in diversi viaggi verso le altre colonie.
Dopo la liberazione avevano scoperto che c’erano più colonie di quante pensassero. Quella di Zyron che li aveva aiutati nella liberazione di Neo e Trinity era quella più vicina ma ce n’erano altre che, purtroppo, si trovavano in condizioni ben peggiori di loro. Così, non appena avevano stabilito i contatti e portato loro la notizia della fine del conflitto, si erano offerti di aiutare e alcune colonie erano state abbandonate e i loro abitanti trasferiti a Zhaka o in altri agglomerati.
«Va bene. Ma devi fare molta attenzione, ok?»capitolò infine Raelynn, lanciando al contempo uno sguardo a Rosius che sedeva al suo fianco e annuì, confermando che sarebbe stato pronto ad intervenire in caso di problemi.
Zoey posò tutta contenta le mani sulla cloche e Raelynn le tolse, lasciandole il timone. Raelynn teneva d’occhio lei e la mappa olografica, anche se aveva percorso quella rotta talmente tante volte da conoscerne ogni centimetro.
«C’è un ostacolo più avanti, lo vedi?» glielo indicò sulla mappa e Zoey annuì. «Dovrai far alzare la nave per evitarlo, ma non troppo o striscerai sul soffitto. Sei pronta?»
Non appena l’ostacolo si materializzò di fronte a loro, illuminato dai potenti fari della Liv, Zoey tirò leggermente la cloche verso di sé. L’hovercraft alzò il muso e sorvolò l’ostacolo. Non appena l’ebbero superato, Zoey lo fece riabbassare, riportandosi al centro del canale navigabile.
La manovra non era per nulla complicata, ma si trattava pur sempre di pilotare una nave di diverse tonnellate in cunicoli dove il più piccolo errore poteva costare carissimo, e Zoey l’aveva eseguita alla perfezione.
Raelynn scambiò un’occhiata con Rosiuse si complimentò con Zoey che si gonfiò di orgoglio per l’elogio ricevuto.
«Ottima manovra. Sei davvero brava, Zoey» la lodò Rosius.
«Grazie, zio Ros» replicò. E aggiunse: «Da grande voglio diventare comandante come la mia mamma.»
Lasciò che la bambina portasse la nave ancora per un buon tratto, poi tirò indietro la manetta e ridusse la velocità.
«Ok, ora siamo davvero vicini. Da qui ci penso io.»
Zoey le lasciò la cloche e Raelynn si preparò alle ultime manovre. Imboccò l’ultimo tratto in salita. Era lo stesso che aveva percorso nella sua prima visita alla Città delle Macchine dieci anni prima, ma era stato ampliato e la pendenza era stata migliorata per consentire un migliore accesso.
Non appena sbucarono in superficie, Zoey non poté trattenere un sonoro “wow”. Sia Lynn che Rosius scoppiarono a ridere.
«È quello il sole, mamma?» chiese la bambina, indicando l’enorme palla arancione che stava tramontando all’orizzonte.
«Sì, tesoro. Quello è il sole.»
«E il cielo… com’è azzurro» mormorò in tono riverente.
Raelynn la capiva benissimo. Anche se per lei non era la prima volta, non mancava mai di provare lo stesso senso di meraviglia che aveva fatto spalancare la bocca a Zoey. Era qualcosa che poteva capire soltanto chi aveva passato tutta la vita nelle profondità della terra.
Raelynn virò a destra. Sotto di loro, gli uomini erano impegnati nei loro compiti. Erano abitanti di Zhaka e delle altre colonie che vivevano stabilmente lì e si occupavano di bonificare i terreni, di costruire nuove case, di coltivare i campi per sfamare la popolazione presente e quella che sarebbe arrivata in seguito.
«Le vedi quelle torri?»
Raelynn attirò l’attenzione della figlia sulle grandi strutture all’orizzonte.
«Tu e papà eravate dentro una di quelle capsule?»
Zoey conosceva a memoria quella storia. I suoi genitori avevano voluto fortemente che crescesse con la piena consapevolezza di cos’era il mondo prima della sua nascita. Era l’unico modo per far sì che quanto era successo non accadesse mai più.
«Quelle cose fanno paura» disse la piccola, additando le macchine in forma di grossi insetti che ancora si muovevano sulle capsule.
«Non devi temerle. Ora abbiamo noi il controllo di quelle macchine.»
Raelynn aveva vissuto in un tempo in cui le macchine facevano davvero paura, perché programmate per uccidere. Però aveva sempre cercato di non passare quel pensiero a sua figlia. La sopravvivenza dell’umanità dipendeva ancora dalle macchine. C’era bisogno di equilibrio. L’equilibrio nasceva dalla conoscenza, non dal terrore.
Da alcuni anni ormai il genere umano si serviva di fonti di energia alternative e non sfruttava più l’energia prodotta dai corpi umani. Tuttavia, la Terra non era ancora pronta a ospitare quella moltitudine. Non c’erano le risorse, non c’erano gli alloggi, non c’erano le strutture. Perciò, avevano preso la pur sofferta decisione di mantenerli in quello stato, vivendo la loro vita inconsapevole in Matrix, in attesa che si creassero le condizioni per liberarli.
Sì, c’era ancora tanto lavoro da fare, ma Raelynn non era spaventata dall’enormità di quel compito. Forse non avrebbe visto la fine di quel cammino, ma i suoi figli e i figli dei suoi figli avrebbero proseguito ciò che lei e gli altri avevano iniziato.
«Torre di controllo, qui nave Livelyan di Zhaka.» Raelynn si mise in contatto con il Centro di Controllo che ora gestiva tutto il traffico di hovercraft in superficie. «Chiediamo il permesso di atterrare.»
«Nave Livelyan, qui torre di controllo. Permesso accordato, posteggio numero due.»
Era la voce inconfondibile di Edjac che lavorava alla torre di controllo ormai da qualche anno. Era
Raelynn obbedì alle istruzioni ricevute, facendo abbassare la Livelyan per posarla al suolo. Sotto di loro, diversi inservienti si muovevano attorno alle navi a terra. La Mayrein era ormeggiata al posteggio uno, come sempre, ma molte altre navi si muovevano lì intorno, appartenenti alle altre colonie o costruite dopo la Seconda Liberazione, come avevano preso a chiamare la fine della guerra.
La Livelyan scese dolcemente e si posò a terra con la delicatezza di una farfalla.
«Vado da papà» annunciò Zoey, scivolando dalle gambe di sua madre. «Fai presto, mamma. Voglio scendere subito» aggiunse, correndo via.
Raelynn scosse la testa e si rivolse a Rosius: «Grazie per avermi permesso di pilotare.»
«È sempre un onore, capitano Raelynn.»
Da qualche mese, la Livelyan era passata sotto il comando di Rosius. Il giovane le aveva ceduto il comando in via eccezionale: riconosceva che spettasse a lei il diritto di quell’ultimo viaggio dalla colonia.
Raelynn sganciò le cinture e raggiunse Calbet. Zoey gli saltellava intorno, impaziente di scendere.
«Non so dove tua figlia trovi tutte queste energie»borbottò.
La donna sorrise e tese le mani verso di lui che le passò il bambino che teneva in braccio. Amos aveva due anni e stampò sulla guancia della madre un umido bacio. Gli avevano dato il nome di Amos in onore dell’uomo che aveva risvegliato entrambi, assassinato da Velius tanto tempo prima.
«Scendiamo, prima che questa piccola peste diventi ingestibile.»
Seguirono il resto dei passeggeri sulla scaletta. Per la maggior parte di loro era la prima volta e si guardavano intorno con vari gradi di meraviglia dipinti sul viso.
In fondo alla scaletta una donna dai capelli biondi e dagli occhi di un azzurro impossibile spuntava i nomi dei nuovi arrivi sulla sua lista e li indirizzava verso le navette che li avrebbero portati ai loro alloggi. Alzò gli occhi verso di loro e sorrise.
«Ciao Vereena» la salutò Raelynn.
Era stata una sorpresa per tutti loro quando l’avevano ritrovata a Zyron. La donna aveva spiegato loro che, quando erano stati attaccati dalle Sentinelle, dopo aver liberato Neo e Trinity, il comandante Halliam era riuscito ad evacuare la nave. Era rimasto da solo a bordo – più il corpo senza vita di Calbet – e aveva guidato la nave in un attacco per distogliere l’attenzione dello sciame da loro che, scesi dalla Nidàs, cercavano di allontanarsi e nascondersi.
Aveva sacrificato se stesso ma era riuscito nell’intento. Due giorni dopo, due giorni di paura passati nei freddi cunicoli bui, una nave di Zyron era passata di lì in cerca proprio della Nidàs e loro erano riusciti a farsi prendere a bordo.
Raelynn ricordava bene il momento in cui Thorner l’aveva vista sulla banchina del porto di Zyron. Era corso giù non appena avevano aperto il portello e l’aveva sollevata, facendola piroettare. Era stato strano vedere un gigante come lui piangere come un bambino.
«È bello sapere che, finalmente, tutta la colonia di Zhaka è qui» commentò Vereena dopo aver risposto ai loro saluti.
«Non credevo che avremo visto tutto questo con i nostri occhi» replicò Calbet, alzando lo sguardo verso il cielo in cui si soffici nuvole bianche si rincorrevano pigramente.
«Ehi, ce ne hai messo di tempo!»
Era stato Tost a parlare. Strinse la mano a Calbet e strizzò l’occhio a Raelynn. Era ancora il comandante della Mayrein, dopo aver rifiutato il ruolo di ammiraglio che il Consiglio gli aveva proposto.
«Abbiamo fatto il giro panoramico» replicò la donna.
Trascinati dall’entusiasmo di Zoey, Raelynn e Calbetli lasciarono e si incamminarono verso un’area di parcheggio situata accanto alla struttura della torre di controllo. Era da lì che partivano le navette, ma Raelynn aveva una propria auto, un mezzo elettrico a guida autonoma di ultima generazione.
Mentre camminavano verso il parcheggio, incrociarono Thorner. Il gigante, che era stato l’operatore della Livelyan, ora era diventato capo manutentore, con la responsabilità di tenere in perfette condizioni le navi della flotta.
«Quand’è che io e Vereena avremo il piacere di avervi a cena?» domandò con il suo vocione.
«Non appena ci saremo sistemati, promesso» replicò Calbet.
Arrivati all’auto di Raelynn, Zoey si bloccò come se avesse sbattuto contro una barriera invisibile. Davanti all’area di parcheggio c’era un grande spiazzo libero coperto di soffice erba verde.
«Posso?» chiese.
Raelynn annuì con un sorriso e la piccola si sedette per terra e si tolse le scarpe; quindi corse a piedi nudi sul prato, ridendo felice. Raelynn tolse le scarpine anche ad Amos che caracollò dietro la sorella, ridacchiando per il solletico dei fili d’erba sotto i piedi.
Calbet l’abbracciò da dietro e le baciò la guancia. Rimasero a guardare i bambini che si rincorrevano felici nel tramonto.
…Volevo che i miei figli crescessero nel mondo reale… Volevo che potessero correre scalzi sul prato, rincorrendo una farfalla…
Quella scena che aveva solo immaginato ora si svolgeva davanti a lei e sentì le lacrime pungerle gli occhi. Calbet le posò le mani sul ventre.
«Il prossimo nascerà qui» sussurrò.
Avevano scoperto solo da pochi giorni che erano in attesa del terzo figlio e non l’avevano ancora detto a nessuno.
«Sì. Il prossimo nascerà qui» ripeté la donna.
Erano ancora abbracciati quando arrivò un inserviente dalla torre di controllo.
«Ammiraglio» chiamò.
Raelynn si voltò: «Sì?»
«Un messaggio da parte del Consiglio, signora» le disse, porgendole un foglietto.
Lo ringraziò e quello, con un inchino, girò sui tacchi e tornò alla torre.
Il messaggio era del Capo del Consiglio.
«Neo chiede la mia presenza sul palco alla riunione di stasera» lesse Raelynn.
Quella sera si sarebbe tenuta l’annuale Festa della Seconda Liberazione e, per la prima volta, l’avrebbero vissuta in superficie tutti gli abitanti di Zhaka. Raelynn aveva sperato di poterla passare divertendosi con i bambini, ma aveva degli obblighi istituzionali e non vi si sarebbe sottratta. Sebbene lei tendesse sempre a minimizzare quando qualcuno accennava agli eventi passati, tutti la ritenevano un elemento fondamentale nel percorso che avevaportato alla fine della guerra.
Era stato quello che aveva pesato in maniera determinante nella sua nomina ad ammiraglio. Il Consiglio l’aveva proposto a Tost per questioni di anzianità, ma tutti sapevano che doveva essere lei. Anche Tost, che aveva rifiutato immediatamente.
«Anche se è un delitto togliere quella ragazza dal timone di una nave, non c’è nessun’altro più degno di lei per questa carica» aveva detto.
In realtà, Raelynn aveva mantenuto il comando della Livelyan anche dopo essere diventata ammiraglio. C’era troppo da fare perché lei potesse limitarsi ad un ruolo istituzionale che prevedesse il restare bloccata dietro una scrivania. Non era proprio nella sua natura.
«Quindi avrò i bambini tutti per me?» domandò Calbet.
Raelynn scosse la testa: «Temo di no. L’invito è esteso anche a lei, generale.»
Calbet aveva ottenuto il ruolo che era stato di Velius e comandava con perizia e con il vigore della giovinezza l’intero dispiegamento delle forze di superficie che, non dovendo più combattere con le macchine, si dedicavano alla ricostruzione. Ora accennò con il capo a Zoey.
«Credi di riuscire a recuperarla prima della festa?»
«Sarebbe una missione difficile anche per Neo stesso» borbottò. «Ma a noi sono sempre piaciute le missioni complicate, no?»
E, mano nella mano con Cal, si avviò verso i bambini che si rotolavano sull’erba, ridendo come pazzi nell’ultima luce di quel primo giorno di vera libertà.
  
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