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Autore: Chevalier1    23/04/2023    5 recensioni
Nata quasi per caso come una raccolta di one shot, iniziata con i turbamenti di una piccola Oscar alle prese con la scoperta di essere una bambina, è diventata di fatto una serie di notti agitate lungo la cronologia dell'anime.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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«E adesso che cosa vorresti farmi André, che cosa vuoi provare?».

La sbornia da vino di quart’ordine che ottundeva la mente non riusciva a tener giù quella frase che inesorabile tornava a galla, quella sì lucidissima, in mezzo a una nebbia di pensieri indistinti a ogni singhiozzo: non se ne andava la frase e non se ne andava il rimorso, a dispetto della testa che girava e dello stomaco sottosopra, tutto tornava nella forma di una spina nell’anima: un dolore acuto che il vino non era riuscito a placare e nemmeno a mettere da parte, altro che dimenticare. La certezza di non poter srotolare a ritroso il tempo e tornare indietro da quel gesto di violenza che non si poteva perdonare dava al tutto un senso di irrimediabile inesorabilità: sentiva di avere perso, anzi distrutto, anche il niente che aveva e che pure era stato fin lì tutta la sua vita, e guardava dal ponte lo scorrere nero della Senna sotto la luna appena offuscata dalle nubi, con la sensazione che il gorgo scuro che fissava sotto di sé stesse guardando a propria volta nell’abisso dentro di lui, fu tentato di farsene risucchiare.

O almeno così temette l’imponente frate cappuccino che in quel momento attraversava il ponte di ritorno al convento dopo aver soccorso una famiglia miserrima che aveva perso in un incidente il padre e unica fonte di sostentamento: nella vita aveva visto abbastanza disperazione da rendersi conto che quel giovane, appoggiato alla balaustra, portava dentro di sé un peso molto più gravoso del pessimo vino che aveva con ogni evidenza sullo stomaco.

«Figlio mio, dove abiti?».

«Lontano», biascicò l’altro, pensando al palazzo al quale si sentiva troppo lercio e troppo in colpa per tornare.

«Lascia perdere, non ci arrivi a casa in queste condizioni», tagliò corto il frate dopo aver escluso con un’occhiata che l’altro fosse in grado di stare in arcioni, prese le redini con la destra – per fortuna il cavallo era docile e ben addestrato, «ha più giudizio del padrone», pensò Frère Jacques – si fece passare il braccio destro del malcapitato sulle spalle, poi reggendolo con il proprio sinistro per la vita si avviò, pregando che l’uomo fosse in grado di camminare per la mezz’ora che separava Pont Neuf dal convento dei Cappuccini. Ringraziò il Padreterno di essere stato fatto più alto e più robusto di quel derelitto che pure di prestanza fisica non difettava e lo convinse a seguirlo. Quello, rassegnato, troppo annebbiato, troppo stanco e troppo infelice per resistere ad alcunché, prese a camminare mettendo con fatica improba un piede davanti all’altro, seguendo la malinconica nenia di una fisarmonica che proveniva da sotto le arcate e a ogni passo si allontanava nel buio.

Il frate provò a imbastire quanto di più simile a una conversazione, per cercare di capire con chi avesse a che fare, ma l’altro, ubriaco perso e in conflitto con la lingua e con un sacco di altre meno chiare cose dentro di sé, rispondeva perlopiù a monosillabi, confusi anche quelli. Dopo cento domande più o meno a caso, il frate riuscì a intendere che non era un nobile, cosa che aveva desunto anche dalle sue vesti e dalle sue mani, ma che viveva in un palazzo nobiliare: un servitore, uno stalliere, un valletto qualcosa del genere e che doveva aver commesso qualcosa di grave di cui si era pentito e di cui temeva le conseguenze. Man mano che camminava gravato del peso dell’uomo instabile sulle gambe, frère Jacques si convinceva che quello che, sulle prime, quando lo aveva persuaso a ritrarsi dal parapetto da cui si sporgeva pericolosamente sul fiume, gli era parso uno dei tanti ubriachi dal vino triste, tuttalpiù un innamorato respinto, nascondesse una storia più complicata: nel groviglio di frasi strascicate senza costrutto, annegate com’erano nelle lacrime e ancor più nel vino, aveva intuito dapprima l’amore impossibile per una nobildonna, ipotesi poi rapidamente evoluta nel sospetto che l’amore non corrisposto si fosse tradotto in una profferta violenta alla figlia del padrone, cosa che di per sé sarebbe bastata a sconsigliargli di ripresentarsi a casa quantomeno per non incorrere nella vendetta del padre di lei e a suggerirgli di cercare rifugio in convento in attesa che tornasse la lucidità e, pensava tra sé il frate cui prima il mondo e poi il saio avevano dato abbastanza pratica di anime in pena, prima che commettesse qualche altra sciocchezza.

Quello che venne dopo fu una serie di parole malmasticate e sconclusionate che avevano finito per consigliare al francescano di non indagare oltre, un po’ perché non si sarebbe venuti a capo delle contraddizioni in quelle condizioni, un po’ perché gli stava sorgendo il timore che ci fosse sotto di molto peggio – l’aggressione a una sorella? L’attrazione per un soldato? Si domandava perplesso il frate –: peccati che, nel caso, avrebbero richiesto ben altro discernimento da parte di quel disgraziato e anche da parte del religioso che si fosse disposto ad accogliere una così delicata confessione. Se così profondo doveva essere il baratro, il frate pregò che s’aprisse al riparo di una chiesa, non lì in mezzo alla strada, dove ancora si augurava di aver inteso male, di essersi spinto troppo in là con le deduzioni nel tentativo di colmare i buchi di un racconto con più vuoti che pieni che ad ogni evidenza così com’era non stava in piedi.

Frère Jacques bussò con decisione al portone neoclassico del convento del nuovo quartiere d’Antin, di inurbazione recente e non ben frequentato di notte, dove i cappuccini nel 1783 erano stati trasferiti da rue des Capucines. Non in vena di discutere, circumnavigò l’insofferenza del padre guardiano - che, ancorché abituato alla carità immune al perbenismo del confratello, non si rassegnava a vederlo tornare oltre l’orario consentito per dare asilo a un’infinita varietà di miserie umane - e guidò lo sconosciuto alle cucine dove lo provvide di un amaro decotto sperando che lo aiutasse ad accelerare lo smaltimento dei fumi dell’alcol, per poi lasciarlo all’austerità di una cella fredda e spoglia:

«Buonanotte, fratello, pace e bene. Che Dio ti illumini, domani mattina vedremo che fare con te». «Son troppo vigliacco, frate, per rinchiudermi qui dentro», farfugliò l’altro per cui evidentemente il decotto non aveva fatto miracoli.

«Per intanto stanotte nessuno, a parte i tuoi fantasmi, verrà a cercarti qui, domani a mente lucida valuteremo».

Lo rassicurò l’uomo cui la veste di sacco esaltava l’imponenza spigolosa e s’incamminò verso la propria cella non troppo lontana, interrogandosi sul mistero del suo ospite inatteso, che a dispetto di ogni autoconvincimento alla cautela continuava a sembrargli un bravo ragazzo. L’esperienza gli diceva che, in genere, quando si trattava di misurare le persone al primo sguardo, i suoi occhi azzurri non si ingannavano, vieppiù le parole confuse intercorse durante la loro malferma camminata lo preoccupavano e lo invitavano a stare in guardia: eppure la curiosità e l’empatia per l’umanità in difficoltà erano in lui più forti di ogni cautela. Che avrai mai fatto, fratello? Quale grumo di sentimenti si agita dentro di te?

Si coricò affidando a Dio le povere anime incontrate nella giornata, non ultima quella del giovane che aveva soccorso per ultima, e la propria, chiedendo al Padreterno la forza di ascoltare con misericordia una storia che temeva più penosa delle attese.

Né il vino né il decotto disposero André Grandier a un sonno profondo, il suo incubo troppo reale per essere relegato all’incoscienza, si era riproposto per le poche ore che mancavano al termine della notte replicando all’infinito la frase che avrebbe voluto cancellare insieme al gesto che la aveva provocata. Si sarebbe trovato in guai peggiori se lei avesse chiamato aiuto come lo aveva minacciato e sarebbe stata in pieno diritto di fare e invece gli aveva consegnato soltanto quella domanda disperata che lo aveva relegato all’angolo del disprezzo di sé: «Volevo metterti di fronte senza appello alla ineliminabile differenza tra noi, Oscar, è stato un gesto di disperazione, Oscar, ma non mi giustifica: hai ragione tu, per quanto assurdo sia il tuo proposito di dimostrare a te stessa di poter vivere da uomo, dato che non lo sei, non avevo diritto di farti questo e non avrei potuto immaginare un modo e un momento peggiore per dirti che ti amo», rifletteva nel buio e nel silenzio della sua, improvvisata e momentanea, cella, «e neanche un modo peggiore di perderti: ti avrei perduta se Fersen ti avesse corrisposto, ti avrei perduta se avessi ascoltato tanti anni fa il mio suggerimento di vivere come una donna, ti perderei adesso se tu corrispondessi i miei sentimenti: sarebbe tutto incompatibile con il tuo ruolo e con il tuo rango, tuo padre farebbe il possibile per allontanarti da me e non potrei attendermi nulla di diverso, Oscar. Forse hai ragione anche in questo Oscar: questa società non è pronta a lasciarti essere donna con la tua testa, il sentimento che provi, per il quale mi ha accecato la gelosia, ti ha forse spaventata Oscar, ha messo in discussione il tuo ruolo, mandato in crisi la tua identità, ma se scappare fosse la soluzione Oscar io mi sarei chiuso in questo convento tanto tempo fa. Ma adesso, nemmeno più questo ho titolo per dirti, ho distrutto ogni cosa, su tutto la fiducia che avevi in me. Il limbo in cui ho vissuto fin qui era l’unico modo di non perderti e io ho mandato a pezzi anche quello: adesso siamo soli senza rimedio tutti e due, Oscar, ognuno per sé, ed è solo colpa mia. Che farò adesso?».

Una campana, uno scalpiccio leggero e un frusciare di vesti ruppe il silenzio ovattato del convento prima dell’alba: André indovinò dai rumori i frati che si affrettavano al mattutino.

Li seguì a distanza cercando di non aggiungere il minimo rumore e si nascose dietro uno dei larghi pilastri della moderna chiesa del nuovo convento, ma ogni tentativo di cercar pace in quella pace andò frustrato: nessuna grazia sentiva scendere su di sé. Il Gesù troppo lezioso che con la croce nella destra lo guardava distante gli sembrava abitare un empireo del tutto indifferente al guazzabuglio del cuore umano (1).

Non così l’imponente frate che lo aveva aiutato la notte precedente, di cui ricordava a malapena il nome e che, pur non avendone dato vista, si era accorto di lui lì nascosto in disparte, deciso a raggiungerlo al termine della recita delle Lodi, in parte preoccupato in parte desideroso di andare incontro a quell’anima in pena.

E così fece al termine della preghiera, attento a restare ultimo, lasciò uscire i confratelli e si accostò non visto all’uomo nella penombra indicandogli una panca defilata: «Pace e bene, fratello, non hai un’aria delle migliori ma almeno sei sobrio».

«Vi chiedo perdono, padre, per l’incomodo che vi ho dato e per le condizioni indegne in cui mi avete trovato e accolto. Vi devo una spiegazione».

«Chiamami Frère Jacques, fratello, non è a me che la devi, forse a lui», gli disse indicandogli un povero crocifisso appeso in un angolo che André senza saper dire perché sentiva più affine nella sua umanissima sofferenza, molto meno distante del Cristo azzimato che lo fissava da sopra la navata centrale.

«Lo devo anche a voi, ma mi dovete promettere la massima discrezione: questa storia complicata non riguarda solo me e non è per la paura delle conseguenze che potrei subirne io se qualcuno sapesse che ve lo chiedo, ma per le conseguenze che pagherebbero persone che già stanno soffrendo a causa mia».

«Fa' conto che quello che mi dirai resti segreto come sotto il vincolo sacramentale, nulla uscirà da questa chiesa, te ne do la mia parola di uomo e di frate».

André Grandier prese coraggio e gli raccontò dall’inizio l’improbabile storia della sua vita che aveva preso una svolta imprevista e imprevedibile quando aveva sei anni.

Una storia certo non facile che pure il frate, al confronto con i timori che aveva nutrito dalle frasi smozzicate della notte precedente, accolse quasi con sollievo.

André si stupì vedendone gli occhi chiari e il movimento della barba articolarsi in un sorriso quasi paterno non appena ebbe concluso il proprio racconto, benché gli anni che li dividevano potessero al massimo fare del frate un verosimile fratello maggiore, seppure non di poco: «Non fraintendermi, fratello, non sottovaluto né la tua azione né il tuo rimorso, ma ho temuto che avessi combinato di peggio dalle tue parole confuse ieri notte, nondimeno penso che tu abbia ferito profondamente una persona, cui di certo vuoi bene, che ha in sé una grande forza ma anche profonde fragilità. Sei stato con me sincero fino all’osso a costo di scorticarti, è giusto che anche io lo sia con te: conosco la persona di cui stiamo parlando, da prima che maldicenze di dubbio gusto e certo prive di qualsivoglia fondamento facessero sapere al mondo che la Guardia reale stava agli ordini di una donna».

L’uomo che lo ascoltava nella penombra trasalì, senza avere il tempo di interromperlo: «Una sera di sei o sette anni fa vidi arrivare quello che alla prima impressione giudicai un giovanissimo graduato: con un’asciutta cortesia nei modi e il fare pragmatico di chi sapendo il fatto suo chiedeva soccorso per un soldato ferito che si reggeva a stento alla spezieria del convento. Mentre il soldato che sosteneva il ferito assisteva il frate infermiere, rimasi a parlare con l’ufficiale rimasto fuori ad attendere e non ci misi molto a capire che m’ero ingannato riguardo a quell’aria imberbe: non era indice di giovanissima età, come avevo pensato sulle prime, ma di qualcosa di molto diverso che mi stupì e mi incuriosì anche. Senza dar vista di aver compreso le chiesi qualcosa del suo lavoro, ho capito allora che quella vita dev’esserle costata ma che non le dispiaceva, non sembrava per niente a disagio nel ruolo e si capiva che aveva il rispetto degli uomini che erano con lei e che non era un rispetto di pura facciata: solo chi sa fare il suo lavoro può permettersi di dare ordini in queste condizioni».

«Vi intendete di vita militare?».

«No, amico mio, predico solo pace e bene, ma un convento è una struttura gerarchica».

«L’avete mai più incontrata?».

«Sì, un’altra volta, ed è la volta in cui abbiamo parlato più apertamente. Diverso tempo dopo quella prima sera è tornata al convento, da sola, e ha chiesto di me: mi ha affidato una madre di famiglia, che aveva perso non lontano da qui un bambino in circostanze violente e tragiche, per le quali la vostra amica si sentiva responsabile, in quanto nobile, benché nessuna possibilità avesse avuto di intervenire a impedire che quel delitto si compisse. Quella volta mi parlò più apertamente, conservava la distanza cui dovevano averla abituata da sempre, ma in quel momento non riusciva a nascondere un certo turbamento: mi disse di come a volte si sentiva fuori posto, non nel suo ruolo ma nel suo rango, mi domandò con una franchezza brutale, ma profondamente onesta: “Perché dite che Dio ha creato gli uomini uguali se poi succede questo, come può permetterlo?”. «Le ricordai che non possiamo imputare a Dio le malefatte degli uomini, ma che come uomini e, anche come donne, possiamo sempre fare qualcosa per rendere il mondo che abitiamo meno ingiusto. Sì, precisai uomini e donne, benché fossi ben conscio che alle donne è concesso un margine di manovra assai inferiore: volevo che sapesse che avevo capito. Ovviamente afferrò al volo: “Come donne molto meno, ma avete ragione, io sono a mio modo una donna fortunata: qualcosa posso fare, ho spazi di libertà, che valgono molto, anche se costano molto: il prezzo per me è non poter essere me stessa quasi davanti a nessuno”. Ecco, vedi André, mentre raccontavi io ripensavo a queste parole. Se quello che mi hai detto è la verità, e non ho motivo di dubitarne, probabilmente con quel gesto fuori controllo le hai tolto la fiducia in una delle poche persone, se non l’unica, davanti alla quale poteva essere libera di esprimersi. Se ora la tua solitudine è grande, la sua è probabilmente ancora maggiore. So che saperlo non ti faciliterà il rapporto con la tua coscienza anzi, ma ti darà la misura del dovere che hai di impegnarti a provare a riparare al tuo torto: ti serviranno pazienza, discrezione, delicatezza e umiltà. Dovrai impegnarti senza essere certo del risultato e hai davanti una salita impervia, perché è possibile anzi probabile che quello strappo non possa essere ricucito. Ieri notte mi hai detto: «Frate, sono troppo vigliacco per rinchiudermi in convento”. Eri sulla strada sbagliata, nel tuo caso serve più coraggio a restare fuori ad affrontare i tuoi errori e a cercare una via per riparare, sapendo che potrai fallire e che il prezzo di quel che hai compiuto potrebbe significare allontanarti per sempre da lei. Il convento sarebbe, per te, solo una disonorevole fuga: perdonami la franchezza, ma non sono queste le vocazioni di cui abbiamo bisogno. Non posso indicarti, quale sia la strada, non conosco abbastanza né te né lei, ma a dispetto di un gesto che ti è sfuggito di mano, capisco che sei un uomo capace della delicatezza necessaria, un uomo di raffinata educazione cui non mancano le sfumature nelle parole, troverai nel tuo bagaglio la giusta distanza, solo non illuderti, metti in conto, ti prego, anche di sprecare la tua fatica. E abbi l’accortezza di non tradirti mai se non vuoi che ti costringano a fare fagotto per sempre».

Dopodiché il frate offrì all’uomo una frugale colazione a base di pane e latte e si congedò: «Va' in pace e sta' lontano dai ponti».

André lo ringraziò, avendo ricavato dall’uomo la percezione di una sincera fede e di una grande attitudine all’ascolto, promettendo di tornare a trovarlo, gli lasciò una moneta d’oro per i suoi poveri, e montato a cavallo si incamminò, riflettendo sulle parole intercorse. Gli tornò in mente la descrizione che il frate aveva fatto di Oscar: Che idiota sono, Oscar, come ho fatto a non capire che il tuo “voler vivere come un uomo” era solo l’unico modo che conosci per poter dire il “mai più” che ripete a sé stessa ogni persona ferita dai sentimenti? Come ho potuto non capirlo proprio io che ti conosco come nessuno? Troverò un modo, Oscar, te lo giuro, non permetterò che tutto quello che abbiamo condiviso finisca in questo modo.

(1) L'espressione è ovviamente manzoniana, piccolo omaggio al Maestro nell'anno del 150° della morte
   
 
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