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Autore: Dreamer47    30/04/2023    1 recensioni
È il 2005.
Sam e Dean sono ancora all'oscuro dei piani di Azazel.
Le loro giornate sono intrise di mostri e di streghe, vogliono ancora trovare John ed uccidere l'assassino di Mary, quando una ragazza incontrata per caso entrerà a far parte della loro vita.
Hunters' legacies non è solamente la storia dei fratelli Winchester, ma anche quella di Abby Harrison, una giovane ragazza dal cuore spezzato e dal destino turbolento il cui unico scopo è la vendetta.
Insieme, riusciranno ad ottenere ciò che vogliono più di ogni altra cosa.
Genere: Erotico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: AU, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Hunters' Legacies
Capitolo 65


Spense il motore della sua auto nel garage del posto che chiamava casa ma che si fosse ritrovato ad odiare più di qualsiasi cosa al mondo, rimanendo per qualche istante al buio all'interno di quell'ampio vano pieno di auto e di moto di uomini morti già da tempo, e Dean non dovette faticare molto a capire come ci si sentisse, perché anche lui si sentiva morto dentro: aveva continuato la sua vita come se nulla fosse, arrivando inevitabilmente ad indurirsi come una pietra fino a trattare la sua famiglia in maniera più aspra e mano a mano che il tempo passasse, Dean non riuscì a far altro che capire totalmente suo padre. 
Adesso sapeva perché John fosse saltato su quella stessa auto in cui adesso Dean si trovasse e fosse andato in cerca della bestia che avesse ucciso sua moglie, trascinando i suoi due bambini in giro per il paese senza neanche preoccuparsi del modo in cui sarebbero cresciuti.
Capiva perché suo padre fosse stato così duro e chiuso con loro, così severo per prepararli ad un mondo crudele che non facesse sconti proprio a nessuno. 
Adesso Dean capiva cosa avesse sentito John quando aveva perso sua moglie e si ritrovò con due figli piccoli da crescere e il cuore pieno di dolore che reclamava vendetta. 
Lo capiva solamente adesso dopo più di trent'anni, perché anche lui si trovava nella sua stessa situazione: sarebbe sicuramente partito e avrebbe dato la caccia al mostro che gli avesse portato via la sua Abby, se solo ci fosse stato qualcuno da incolpare. 
Ma Dean sapeva che ciò che fosse accaduto alla sua Abby fosse stato solamente colpa della vita che l'avesse costretta a condurre. 
"Andiamo: Abbadon è morta, Sam se la caverà, Mary vive con noi. Perché non andiamo da qualche parte, solamente noi tre?". 
Dean le aveva sorriso mentre la teneva stretta sui sedili posteriori della sua stessa auto, guardandola e non riuscendo a fare a meno di sentire il suo cuore battere più forte perché l'amava più di ogni altra cosa al mondo, e avrebbe fatto di tutto per lei; aveva spostato di più la coperta sulla ragazza per non farle sentire freddo e le aveva sfiorato la guancia con delicatezza. "Vuoi andare via dal bunker?"
Abby gli aveva sorriso e aveva fatto spallucce, nascondendo il viso sul suo petto nudo con una risata imbarazzata perché non amava farsi vedere così fragile. "Potremmo tornare a Louisville nella casa dei miei genitori e riprendere la nostra vita da dove l'abbiamo lasciata. L'unica differenza è che questa volta saremmo in tre".
Dean aveva accorciato la distanza fra i loro volti e l'aveva baciata nuovamente, ma presto la passione nacque dentro di loro ancora una volta e Abby si era mossa su di lui per baciarlo di più e far aderire i loro bacini, provocandogli un gemito di piacere. "Sai che vuol dire questo affare sul mio braccio, giusto ragazzina? Non posso scappare dal Marchio". 
"Ma potremmo trovare una soluzione, nella nostra casa, stare insieme e vivere come una famiglia normale. Ci sarà sempre qualcosa che ci terrà legati a questa vita, dobbiamo solamente iniziare dando un taglio netto" aveva risposto Abby aggrottando le sopracciglia e guardandolo con aria di disappunto, tirandosi un po' più su per guardarlo meglio. 
Dean aveva scosso la testa e aveva sospirato rumorosamente, facendo spallucce e guardandola con aria dispiaciuta per non poterle dare ciò di cui avesse bisogno e cercò di non dare troppo peso alla delusione e alla tristezza che lesse nello sguardo della ragazza. "Non posso, Abby. Non adesso". 
Sbatté le palpebre e tornò al presente, distogliendo lo sguardo dai sedili posteriori su cui insieme alla ragazza avesse vissuto quel momento, così come tanti altri, e Dean strinse forte le mani attorno al volante mentre sentiva gli occhi pizzicare e la rabbia crescere dentro di lui; scese dalla sua auto e sbatté in maniera molto forte lo sportello perché era arrabbiato, furioso, accecato dal dolore, perché ovunque guardasse, qualunque cosa toccasse all'interno del bunker e dell'Impala stessa tutto ciò che vedeva era sempre e solo Abby. 
Salí le scale del garage fino a raggiungere la sala centrale, avvicinandosi al mobile bar e mandando giù due grossi bicchieri di Whisky uno dopo l'altro senza darsi neanche il tempo di respirare, ottenendo unicamente come effetto quello di sentirsi peggio, e lanciò con tutta la sua forza la bottiglia contro il muro, concludendo così la sua routine di ogni sera.
Quando era stato costretto a bruciare il corpo di Abby, Dean aveva lasciato che Isobel, Silver ed Anael si occupassero di pulire via tutto quel sangue che non avrebbe mai dimenticato, preparandola per il funerale da cacciatori.
Sam e Dan si erano occupati di tagliare la legna e preparare la grande pila da ardere, mentre Castiel era stato promosso a babysitter e provava in tutti i modi a consolare Mary che piangesse incessantemente per la morte della madre.
L'unico momento di sollievo che provò Dean in quella triste storia, fu quando il grosso pugno di Edward si scontrò contro la sua mascella facendolo cadere rovinosamente a terra. 
Inizialmente non aveva reagito e aveva lasciato che Edward sfogasse il suo dolore contro di lui afferrandolo dalla giacca con una mano mentre con l'altra continuava a colpirlo imbrattandosi di sangue.
Ma presto Dean era stato posseduto da una rabbia mai provata prima, e aveva iniziato a restituire il favore. 
Neanche Sam, che avesse dato la brutta notizia a Edward solamente qualche ora prima, era riuscito a separare i due uomini che continuarono a picchiarsi selvaggiamente nel bosco, poiché estremamente disperati. 
"È colpa tua. L'hai uccisa tu: saresti dovuto rimanere accanto a lei, avresti dovuto proteggerla! Invece Abby è morta mentre tu eri in un altro maledetto mondo, e questo rimorso ti tormenterà per tutta la vita" aveva detto Edward alzandosi dal terreno polverone del bosco in cui si fossero tutti radunati per dare l'ultimo saluto a Abby. 
Si era alzato e aveva lasciato Dean a terra con il volto pieno di sangue mentre guardava il cielo azzurro, ancora disteso fra le foglie bagnate. 
Edward si era avvicinato al corpo di Abby sdraiato fra i cumuli di legna che i Winchester avessero preparato per accendere il fuoco. 
La guardava stesa dentro a quel vestito bianco che Edward conosceva bene e gli sembrò che niente fosse reale.
Abby non poteva essere davvero morta.
Eppure le sue guance erano così bianche da somigliare fin troppo al suo vestito.
Aveva allungato una mano con titubanza per sfiorarle la pelle, l'aveva scossa leggermente perché sperava ancora che aprisse gli occhi ma Abby rimase immobile.
Edward si lasciò andare in un pianto doloroso, mentre si chinava su di lei e respirava per l'ultima volta il suo profumo direttamente dal suo collo, sfiorando i suoi capelli mogano che spiccassero adesso più che mai sulla sua pelle diafana. 
Le prese il volto fra le mani e le scoccò un bacio sulle labbra per dirle addio, mentre tremava perché il dolore era troppo grande per lui.
Quella sensazione, Edward non l'avrebbe mai dimenticata. 
Toccare Abby e sentire il freddo scottante.
Aveva visto le fiamme bruciare il legno ed avvolgere il corpo della persona che amava ed ebbe la convinzione che mai si sarebbe ripreso da quel momento.
I giorni passarono lentamente e Dean cercava di dimenticare ciò che fosse accaduto, di dimenticare il modo in cui Abby avesse dato la sua vita pur di far nascere il suo secondo figlio, e quando Dean credeva di essere quasi riuscito a trovare un solo momento di pace sentiva il pianto di Mary che reclamasse la madre o quello del piccolo che avesse fame, e tornava nuovamente dentro il circolo. 
Il dolore fu talmente grande che gli tagliò le gambe, iniziando a farlo fallire anche sotto tanti altri punti di vista: Dean non era più un padre, non si prendeva più cura della bambina che adorava e che amava dal primo momento in cui avesse saputo della sua esistenza, e non aveva più neanche preso in braccio il piccolo a cui non aveva neanche dato un nome. 
"Andrew?". 
"Non mi piace". 
"Anthony". 
"Peggio". 
"Jasper". 
"Sii seria". 

Abby aveva sbuffato seduta sul suo letto con le gambe sopra quelle del ragazzo accanto a lei, mentre teneva fra le mani il libro dei nomi che Isobel le avesse regalato qualche tempo prima. "Perché non ne proponi qualcuno tu, invece di bocciare tutti i miei nomi?". 
Dean aveva riso di gusto, toccandole le gambe fino a risalire ed arrivare al pancione, sentendo il suo bambino muoversi dentro di lei. "Robert?"
"Robert? Robert come Bobby?". Abby lo aveva guardando con un sorriso divertito sul viso, facendo spallucce e annuendo. "Sai che non mi dispiacerebbe? Mary e Robert, suona bene". 
"Oppure potremmo provare con il nome di tuo padre"
Abby lo guardò con aria sorpresa, rimanendo per qualche istante interdetta perché non aveva voluto toccare quell'argomento per non metterlo in difficoltà, e Dean la vide sorridere e tentare di nascondere quanto in realtà le sarebbe piaciuto. "Abbiamo già un Jack nel bunker, non vorrai averne due?". 
Ma Dean aveva sorriso e scosso la testa, sollevando un sopracciglio e guardandola con aria incredula. "Credi che io non sappia il vero nome di tuo padre e che Jack sia solamente il secondo?".
"E tu come..".
"Mi è capitato di sbirciare fra le cose di tuo padre quando stavamo a Louisville. Richard Winchester, suona bene, no?".
 
Abby non ebbe il tempo di dire quanto fosse sorpresa che lui lo sapesse, ne di quanto ne fosse entusiasta, quando il bambino scalciò forte dentro di lei facendola sussultare e sgranare gli occhi. "Credo che gli piaccia, ma per sicurezza non dirlo più o mi prenderà a calci per tutto il giorno". 
Entrambi avevano riso e Dean si era subito chinato su di lei per baciarla con dolcezza, perché era proprio quello che aveva sempre sognato in segreto dentro di lui: una famiglia che fosse sua, Abby al suo fianco da ormai tanti anni. 
Dean tornò al presente dopo aver attraversato nella sua mente un ricordo dopo l'altro e bevve l'ultimo sorso di Whisky che fosse rimasto nel bicchiere prima che avesse infranto la bottiglia contro la parete, e strinse forte le nocche perché non riusciva più a sopportare tutto quel dolore dentro di lui; era passato già un mese dalla morte di Abby e la vita gli iniziò a sembrare sempre più pesante e inutile. 
Poco gli importava ormai che di Gabriel non ci fossero più notizie, che Mary o Jack fossero ancora bloccati nell'altro mondo, o che Rowena fosse passata dalla loro parte. 
Il dolore era troppo forte da paralizzarlo. 
Nella sua lunga vita piena di perdite e dolore, Dean aveva sempre incassato il colpo ed era andato avanti facendo il suo lavoro perché era quello che faceva sempre, perché c'era sempre Abby al suo fianco pronta ad assorbire le nuvole nere del suo malumore per trasformarle in un cielo azzurro con un solo sguardo; averla persa lo dilaniava a tal punto che non poteva andare avanti. 
Non voleva. Non più. 
Aveva deciso. 
Probabilmente sarebbe andato solamente a caccia e avrebbe sperato fino all'ultimo di morire, sapendo che comunque i suoi figli sarebbero stati al sicuro e che avrebbero avuto tutto l'amore che lui non poteva più dargli, perché il suo cuore era rotto e non era più capace di amare.
Prese un'altra bottiglia dal mobile bar e iniziò a bere direttamente della bottiglia, ritrovandosi a pensare che la sua vita gli avesse sempre e solo portato dolore, sofferenza e morte e che forse finirla lì sarebbe stata la cosa più saggia da fare per non portare giù nel baratro anche i suoi figli. 



La forte pioggia le picchettò sul viso infastidendola a tal punto da farle aprire gli occhi, svegliandola dal suo sonno ed osservando come le grosse gocce si infrangessero contro il suo corpo. 
Si alzò dal prato all'inglese sul quale fosse distesa e aggrottò le sopracciglia, guardandosi attorno con confusione ed iniziando a pensare che conoscesse fin troppo bene quel posto, specialmente la casa che sorgesse al centro del terreno: Abby accennò un sorriso ed iniziò a correre verso la veranda quando un forte tuono seguito da un fulmine squarciarono il cielo, mentre sentiva il temporale diventare sempre più violento e la pioggia diventare grandine, colpendole il corpo fino a farle male. 
Aprí la porta di quella casa che era proprio la sua casa, la stessa in cui fosse cresciuta insieme ai suoi fratelli e ai suoi genitori, nonostante non avesse la più pallida idea di come fosse arrivata lì; rimase per qualche istante a fissare l'intensità con la quale la grandine colpisse la casa insieme ad un forte vento e aggrottò le sopracciglia mentre pensava che non avesse mai visto un'ondata così violenta.  
"Il temporale è normale. Potrebbe durare per anni o per pochi mesi, dipende dall'intensità con cui le persone ti piangono" disse una voce fin troppo familiare alle spalle di Abby, che si voltò in direzione del salone ed osservò con aria incredula l'uomo davanti a sé, intento a fissarla con un grosso sorriso e a pulirsi le mani sporche di grasso con una vecchia pezza. "Il mio temporale è durato molto tempo, finché un giorno sei stata guarita dal dolore della mia perdita, dalla stessa persona che adesso sta causando quel nubifragio lì fuori".
Abby si ritrovò a ridere divertita senza neanche ascoltare le sue parole, correndo nella sua direzione mentre gli gettava le braccia al collo e si sentí sollevare dall'uomo sulla sessantina, che rise insieme a lei e la strinse forte. 
Entrambi sentirono il cuore scoppiare di felicità nell'essersi nuovamente ritrovati e l'uomo la fece ruotare con forza, sollevandola di peso ed iniziando a baciarle le guance con dolcezza. "Ciao piccola mia!". 
Sciolse l'abbraccio e tornò a guardarlo con dolcezza, stringendogli forte le mani ancora sporche di grasso di motore, non riuscendo a trattenere la felicità. "Papà, sono così felice di poterti finalmente vedere! Ti ho sentito nella mia casa quando mi spostavi gli oggetti, quando mi hai fatto capire di andare a Sioux Falls per cercare la mamma, quando parlavi con Mary!".
"Si, ho visto la possibilità di scendere sulla terra e sono venuto a trovarvi: ho osservato Mary ed è una bambina davvero dolce" rispose il padre accennando un sorriso e sfiorandole il viso con delicatezza e dolcezza. "Ti ho sentito tutte le volte che mi hai parlato, ero sempre vicino a te e ai tuoi fratelli". 
Abby sorrise e si sporse nuovamente per stringerlo in un forte abbraccio, non riuscendo a credere che fosse davvero tutto vero e che non stesse sognando. "Aspetta, come faccio a poterti vedere e toccare? Sei diventato un fantasma bravo fino a questo punto?". 
Jack si staccò appena dall'abbraccio per guardarla in viso e divenne più serio, facendo spallucce e sospirando rumorosamente; le fece segno di seguirlo e si mosse nel salotto insieme a lei, giungendo alla porta sul retro fino ad arrivare al garage, dove Jack stesse precedentemente lavorando alla sua auto. 
Abby osservò la sua Hyundai azzurra con il cofano aperto e degli attrezzi uno vicino all'altro appoggiati sulla scatola del motore, e vide suo padre tornare a lavorare e sporcarsi di nuovo le mani. 
"Ho insistito per essere io il primo ad accoglierti, il primo a parlarti e aiutarti a ricordare ed a realizzare ciò che è successo, perché ti conosco meglio di chiunque altro, tesoro" disse Jack avvitando di più un perno all'interno di qualcosa che Abby non avesse la minima idea di come si chiamasse ma che fosse sicura che appartenesse al motore, accennando un sorriso amaro e facendo spallucce. "Stavo aspettando che ti risvegliassi sul quel prato da tantissimo tempo, così tanto che sarei venuto io stesso a prenderti a schiaffi se non l'avessi fatto da sola entro una settimana". 
Abby aggrottò le sopracciglia senza capire cosa stesse dicendo suo padre, aggrottando le sopracciglia per poi sentire il suo sguardo più serio del solito su di sé facendola quasi tremare per la paura. "Papà, io non capisco di che cosa stai parlando..". 
Jack sospirò e la guardò in viso con aria molto seria, abbassando il cofano della sua auto e tornando a pulirsi le mani con la vecchia pezza che poi lanciò in un angolo. "Puoi vedermi e toccarmi, parlarmi e ridere con me tesoro mio, perché sei morta anche tu. Il tuo spirito ha lasciato il tuo corpo da ormai un mese terreno, ma qui il tempo è diverso ed è già passato un decennio".



Si piegò sulle ginocchia e si pulí il sangue sulle mani direttamente sulla giacca del tizio sdraiato a terra del tutto incosciente dopo che Dean lo avesse pestato a sangue solamente per averlo guardato storto, e scosse la testa alzandosi con aria fin troppo seria, muovendosi fino a raggiungere l'uscita di quel vicolo in cui quell'uomo lo avesse costretto; si mise in tasca le mani piene di escoriazioni per i pugni che avesse sferrato, stringendosi appena nel giubbotto per via dell'aria gelida della notte e sospirò mentre raggiungeva di nuovo la sua auto. 
Salí in macchina che era ancora abbastanza sbronzo e si diede un momento per sospirare e realizzare che neanche quella sera fosse stata proficua: aveva invocato un altro demone degli incroci, aveva provato a convincerli a stringere un accordo e riportare Abby indietro da ovunque si trovasse, ma la risposta era sempre la stessa. 
No. Un gigantesco no. 
E Dean aveva perso la testa, piantandogli la sua lama angelica dritta nel petto, osservando il demone contorcersi dal dolore fino a morire.
Aveva provato di tutto: demoni, divinità, sciamani, miti e vecchie leggende, aveva persino provato ad evocare Morte per supplicarla di riportare indietro Abby, ma nessuno lo ascoltava. 
Nemmeno Chuck o Amara. 
Era solo, nessuno gli avrebbe dato ciò che desiderava ardentemente con tutto il cuore, ed in preda alla rabbia colpí il volante con tutta la forza che avesse in corpo, sfogando la sua rabbia e la sua frustrazione per non avere trovato assolutamente nessun modo di mettere a posto le cose. 



Quando quella mattina aveva bussato alla porta del bunker presentandosi senza preavviso, aveva sperato così tanto che Abby non lo avrebbe cacciato via perché ancora troppo arrabbiata con lui.
Ma in fondo era stata proprio lei a chiamarlo il due mesi prima, chiedendogli di non sparire.
Ed Edward non aveva mai chiamato, non aveva mai scritto un messaggio.
Riceveva tutte le notizie da Sam, che lo avesse informato del modo in cui Abby fosse tornata in forma dopo l'ospedale.
La porta si aprí e Edward incrociò lo sguardo confuso di Isobel, che aggrottò le sopracciglia e accennò un sorriso nella sua direzione. 
Non voleva intromettersi negli affari di sua figlia, ma Isobel aveva un forte debole per Edward e vedeva in lui la persona che sarebbe dovuta stare al fianco di Abby.
Gli fece l'occhiolino come a dire che non avrebbe fatto parola con nessuno della sua presenza lì e si avviò verso la porta, superandolo perché stava andando via per raggiungere Silver. "Abby è in cucina; sai dov'è, non è vero?".
Edward aggrottò le sopracciglia ed annuí mentre la osservava fargli un cenno di saluto e andarsene, lasciandolo in cima alle scale completamente solo senza neanche palesare la sua presenza.
Così sospirò e decise di fare da sé, scendendo le scale in ferro battuto ed incamminandosi lungo il corridoio per giungere nella cucina del bunker.
Si avvicinò alla soglia ed osservò Abby guardare uno dei soliti programmi di cucina che tanto adorasse, seduta al tavolo mentre allontanava il piatto di uova cucinate probabilmente da Isobel, che ancora fosse del tutto integro.
Edward aggrottò le sopracciglia chiedendosi perché non mangiasse, ma poi vide il modo in cui Abby splendesse ed il suo cuore perse qualche battito davanti alla sua bellezza.
Si schiarì la gola per annunciare la sua presenza e quando Abby finalmente scollò gli occhi dal televisore per incrociare i suoi nocciola, sgranò gli occhi per qualche istante.
"Edward!".
Si alzò di scatto e fece per fare un balzo e raggiungerlo, ma lui fu più veloce e si avvicinò repentinamente all'interno della cucina.
Abby si sporse per abbracciarlo stretto e Edward fece lo stesso, chinandosi per godersi quel momento chiudendo gli occhi e respirando il suo profumo.
Presto si sedettero vicini sulla panca ed iniziarono a raccontarsi di come Abby si fosse ripresa grazie a Jack e di come adesso fosse intrappolato in un'altra dimensione insieme a Mary Winchester, ed Edward le raccontò del modo in cui fosse tornato a lavoro al bar, dei continui incontri con il gruppo di supporto per veterani. 
Abby rimase ad ascoltare i suoi racconti, sentendolo parlare di come quelle sedute lo stessero davvero aiutando a gestire la rabbia ed i suoi sentimenti, di come avesse finalmente iniziato a parlare di Peter e di ciò che avesse fatto per lui, salvandolo.
Stava per dirgli quanto fosse felice che finalmente Edward avesse trovato un equilibrio e che potesse sentirsi meglio, quando fu costretta ad appoggiare le mani sul tavolo per via di un crampo al ventre che la colse e la fece gemere di dolore.
Subito Edward le si avvicinò di più e la guardò con occhi sgranati, notando come progressivamente Abby tornasse lentamente in sé e lo guardava con un sorriso sereno sul volto.
Ma Edward scosse la testa per restituirle uno sguardo più serio e meno comprensivo. "Corri un grande pericolo a portare avanti questa gravidanza". 
"Non preoccuparti". Abby sorrise tranquilla e gli fece l'occhiolino, guardandolo con serenità. "I dottori dicono che è stato un miracolo e che non c'è più alcuna traccia del distacco placentare. Io ed il piccolo stiamo bene".
Ma Edward si rese sordo alle sue parole, scuotendo la testa e sospirando mentre la guardava con aria scocciata ed anche un po' arrabbiata perché non condivideva quella sua scelta terribilmente masochista.
Ad Edward importava solamente che Abby stesse bene, che sopravvivesse. 
La ragazza lo guardò e lasciò scivolare i lunghi capelli mogano su una spalla, stava per aprire la bocca per dire qualcosa, quando tutto ciò che uscì fu un altro gemito e si portò le mani al ventre. 
"Ok rossa, questo non può essere normale!".
Edward la guardò preoccupato ed allarmato, sgranando gli occhi e preparandosi a caricarsela in braccio per giungere alla macchina per portarla in ospedale, ma Abby lo guardò ridendo e sul suo viso non vi era alcuna traccia di dolore. 
"Il bambino.. sta scalciando. Ma è diverso questa volta, non l'ho mai sentito agitarsi in questo modo".
Edward aggrottò le sopracciglia mentre la guardava in modo serio e preoccupato. "Che vuol dire?".
Abby guardò nei suoi occhi nocciola e sorrise dolcemente, avvicinandosi a lui ed ignorando le sue proteste quando afferrò la sua grande mano destra per portarsela sul grembo. 
Edward non era mai riuscito a capire come i genitori si emozionassero nel sentire il battito del cuore del proprio bambino o che impazzissero di felicità nel sentirlo muovere nel ventre materno, ma adesso che Abby gli premeva la mano sul suo pancione e riusciva a sentire il bambino reagire e seguire con la manina i suoi movimenti, Edward sentì il cuore battere più forte ed una grande emozione nascere dentro di lui.
Sgranò gli occhi e guardò Abby con aria sconvolta, mentre ancora pressava sulla sua pelle per poi sentire come il piccolo rispondesse.
"Penso che tu gli piaccia. E anche tanto. Non reagisce così neanche con Dean".
Edward sollevò ancora una volta lo sguardo fino ad Abby e sorrise ampiamente udendo quelle parole, mentre sentiva il bambino scalciare contro il ventre di Abby.
Risero divertiti mentre Edward intrecciava la sua mano a quella di Abby e continuava a sfiorare la pelle.
Ed ancora una volta Edward capí che il suo più grande rimpianto sarebbe sempre stata la notte di più di nove mesi prima quando se ne fosse andato da quel bunker, lasciando Abby da sola.
E si rese conto di avere davanti tutto ciò che avesse sempre voluto: Abby, il bambino, l'amore.
Adesso che si trovava più vicino al suo viso, Edward era in grado di vedere la sua espressione stanca e provata da quella gravidanza.
Ed in più Dean non era neanche molto presente in quell'ultimo periodo, dato il modo in cui si stesse concentrando per riportare Mary e Jack nel loro mondo.
Con la mano libera le sfiorò il volto con dolcezza e si avvicinò a lei di più, mentre guardava nei suoi occhi azzurri con tutto l'amore che potesse provare. "Non potrei sopportare se ti succedesse qualcosa, rossa".  
Edward le continuava a sfiorare l'addome tenendo la sua mano intrecciata alla sua e continuava a toccarle con delicatezza una guancia, e si chinó su di lei per baciarle la fronte ma Abby si sollevò di più per abbracciarlo stretto gettandogli le braccia al collo, e lui la strinse come se non aspettasse nient'altro dalla vita. 
Finalmente si sentiva bene e si sentiva intera, e adorava la sensazione del bambino che si muovesse dentro di lei in preda alla felicità, come se avesse potuto riconoscere che quel nuovo tocco fosse proprio quello di Edward, di chi lo avesse concepito.
"Andrà tutto bene, Edward. Questa volta lo sento: staremo tutti bene e questo bambino nascerà forte e sano". 
Tiene la testa appoggiata sulla sua spalla, le braccia avvolte attorno al suo collo mentre con le mani gioca con la crocchia ordinata in cui Edward avesse racchiuso i suoi capelli.
Respirò il suo odore di sigaro mischiato a quello di Edward che sapeva di muschio, sandalo e colonia, e quando sollevò lo sguardo verso di lui, Abby lo guardò con le lacrime agli occhi. "Andrà tutto bene, bartender. Promesso".


Si tirò a sedere sul materasso con un balzo, svegliandosi di soprassalto mentre le immagini dell'ultima volta che avesse visto Abby viva al bunker lo tormentavano ogni volta che chiudesse gli occhi per riposare quel minimo di tempo per recuperare le forze.
La fronte madida di sudore, il cuore che battesse troppo forte nel petto e la sofferenza che gli ricordasse che Abby fosse morta e che non sarebbe mai più tornata.  
Si sforzò di dimenticare la sensazione del contatto con la pelle diafana e gelida di Abby, di quando le avesse baciato le labbra fredde e rigide, ma il pensiero finiva sempre lì.
Si alzò di scatto dal letto e si diresse verso il salotto, dove vi fossero tanti cartoni di pizza sparsi ovunque e vari residui di cibo disseminati per la stanza, così come le troppe bottiglie e lattine vuote di birra ed i vari bicchieri abbandonati sul pavimento.
Scese le scale per raggiungere il locale e si rese conto che fosse già pomeriggio inoltrato quando trovò Andrew intendo a sistemare il locale, preparandolo per l'apertura.
Lo sguardo che quel ragazzino gli rivolse fu molto preoccupato e dispiaciuto, sentendosi anche lui in lutto per aver perso Abby.
Andrew avrebbe voluto aiutare Edward, ma non sapeva come potesse anche solamente alleviare tutto quel dolore.
Edward gli si avvicinò sorridendo amaramente e gli scompigliò i capelli con una mano ed una carezza dolce e gentile. "Prenditi un altro giorno libero, ragazzo".
Andrew aggrottò le sopracciglia e lo guardò con aria confusa, notando come si stesse avvicinando alle bottiglie di liquore e lo osservò prenderne una in modo del tutto casuale e versarsela direttamente in bocca. "Edward! Sono tre giorni che non apriamo, i clienti cominceranno ad andare da qualche altra parte e.." 
Mandò giù il liquido che scorresse lungo la sua gola e Edward si voltò nella direzione del ragazzo con aria furiosa, alzando il tono della voce. "Ho detto che oggi non apriamo! E adesso vattene, ragazzino!".
Gli riservò un'occhiata di fuoco e lo accompagnò all'uscita, aprendo la porta del locale ed assicurando che Andrew se ne andasse, perché aveva fin troppo bisogno di rimanere da solo.
Edward iniziò a rimettere le sedie sui tavoli che Andrew avesse sceso pensando ingenuamente che quel giorno sarebbe stato in grado di affrontare tutti i clienti, di poter fingere e ridere, di poter essere il loro confidente o compagno di bevute.
Ma Edward non voleva entrare a contatto con nessuno.
Tutto quello che voleva era bere e svenire sul pavimento del suo locale per dimenticare ciò che fosse accaduto ad Abby.
Afferrò una bottiglia di Whisky e se la portò alle labbra, lasciandosi scivolare con le spalle contro il bancone fino a sedersi.
Anche il locale stesso era intriso di ricordi con lei: ricordava il jukebox e le sue canzoni preferite, il loro bacio e tutti gli altri che si fossero scambiati li dentro.
Poteva sopportare di non stare insieme a lei.
Ma non poteva sopravvivere sapendo che Abby fosse morta.
Bevve un altro sorso molto lungo ed estrasse il telefono dalla sua tasca, aprendo la galleria per osservare le foto scattate insieme ad Abby, l'unico periodo della sua vita davvero felice.
Si soffermò ad osservarne una in particolare, in cui Abby stava seduta sulle gambe di Edward e gli cingeva il collo con entrambe le braccia sorridendo felice.
Almeno poteva consolarsi dicendo a sé stesso di averla vista sempre sorridente nel periodo che Abby trascorse al bar insieme a lui.
Mentre scorreva le foto e continuava a bere qualche sorso di quella bottiglia, il tempo passava inesorabilmente.
Il locale stava iniziando a diventare buio dato come il sole fosse ormai tramontato da un pezzo e la luce proveniente dalla cucina non riusciva ad illuminare nemmeno metà della sala più piccola.
Ma a Edward andava bene così, mentre chiudeva gli occhi ed appoggiava la nuca alle sue spalle sperando di non svegliarsi più.
Due forti colpi alla porta principale ancora chiusa lo costrinsero ad aprire gli occhi e Edward si chiese cosa ci fosse di così difficile nel leggere il grande cartello che indicasse che il locale sarebbe rimasto chiuso. 
"Siamo chiusi".
Lo disse a voce così bassa che anche Edward ebbe difficoltà ad udire la sua stessa voce.
Ma altri due colpi alla porta lo fecero sobbalzare, mentre sentiva la rabbia iniziare a ribollire dentro di lui.
Decise di ignorarli: chiunque fosse prima o poi si sarebbe stufato e se ne sarebbe andato.
Ma presto udí altri colpi a quella porta di legno e Edward strinse i pugni per la rabbia.
Si alzò di scatto e posò la bottiglia di Whisky sul bancone insieme al suo telefono, decidendo di distruggere i progressi fatti con il gruppo di sostegno per i veterani che gli avessero insegnato a gestire la rabbia.
Ma Edward non voleva gestire un bel niente: aveva passato giornate intere a bere per dimenticare ciò che fosse accaduto, aveva provato a rimettersi in piedi ed a trovare un qualsiasi modo che gli avrebbe permesso di riportare Abby in vita, ma quando capì che nulla glielo avrebbe permesso si era nuovamente buttato sull'alcol.
E adesso che qualcuno stesse nuovamente bussando alla sua porta, Edward gli si avvicinò con tutta la furia che avesse in corpo pronto a colpirlo con un forte pugno sul viso. "Non c'è un altro bar dove puoi portare il tuo culo, brutto figlio di put-..". 
Edward rimase con il pugno a mezz'aria e l'espressione furiosa sul viso per qualche istante, quando si rese conto di che grande scherzo gli stesse facendo il destino.
Dean se ne stava in piedi dalla parte opposta della porta, teneva le mani all'interno delle tasche della sua giacca nera e lo guardava con un sorriso amaro sul volto. "Volevi davvero colpire un cliente?".
Edward lo guardò negli occhi con disprezzo, perché lo odiava più di quanto avrebbe mai potuto odiare qualcuno.
Gli aveva tolto Abby in tutti i modi possibili: prima l'aveva strappata da lui, poi l'aveva lasciata morire.
Lo odiava così tanto che avrebbe voluto ricominciare da dove si fossero interrotti l'ultima volta al funerale, quando se l'erano date di santa ragione.
Ma Edward non disse nulla né lo colpì, e si lasciò andare ad una leggera risata divertita probabilmente dovuta alle massicce quantità di alcol che avesse ingerito nelle ultime ore.
Lo lasciò entrare e Dean entrò per la prima volta all'interno di quel locale, guardandosi attorno ed osservando i cimeli storici della musica rock che avesse appesi alle pareti, notando le grandi casse di ottima qualità che vi fossero ad ogni angolo.
In altre circostanze, Dean sarebbe davvero andato d'accordo con Edward.
Avevano gli stessi gusti in praticamente ogni campo, soprattutto in fatto di donne.
Dean si avvicinò al bancone notando come Edward stesse bevendo da solo del Whisky e si ritrovò ad osservare una foto dallo schermo ancora acceso del telefono di Edward, in cui Abby fosse stretta a lui e sorrideva felice.
Edward si avvicinò velocemente e prese il suo telefono per sottrarlo alla vista di Dean, guardandolo come se avesse osato troppo e avesse invaso la sua privacy, e Dean si scusò con lo sguardo sedendosi al bancone quando osservò Edward fare lo stesso.
Prese due bicchieri puliti e li riempí con dell'abbondante Whisky, e quando fecero scontrare i bicchieri e si guardarono negli occhi, entrambi gli uomini sapevano che il loro cuore bruciava per la mancanza di Abby. 
Rimasero in silenzio per dei minuti che sembravano eterni, nel locale semibuio per far capire ai clienti che continuassero ad arrivare che fosse chiuso.
Per dei minuti lunghissimi i due uomini rimasero persi dietro ai propri pensieri, probabilmente chiedendosi che cosa Abby trovasse di interessante nell'uno e nell'altro.
Fin quando Dean sollevò il suo sguardo fino a quello di Edward ed incrociò i suoi occhi nocciola: lo odiava anche lui.
Detestava che fosse andato tutto a rotoli da quando Abby lo avesse conosciuto.
Detestava il modo in cui Edward la guardava.
Dean detestava proprio Edward ed il fatto che Abby lo avesse davvero amato.
Ma presto Dean fece un lungo sospiro e lo guardò con aria più tranquilla, facendo spallucce e bevendo qualche altro sorso del suo drink.
"Perché diavolo sei venuto qui?". 
"Perché non c'è nessuno al mondo che stia passando attraverso lo stesso inferno in cui mi trovo io". Dean non ci mise molto a rispondere, anzi fu proprio veloce.
Probabilmente perché si era già posto quella domanda mentre si ritrovava a guidare la sua auto verso il locale di Edward.
Perché sapeva che Edward non lo avrebbe guardato con dispiacere o con compassione, perché anche lui stava soffrendo nella sua stessa identica maniera.
Si grattò distrattamente la barba che fosse ormai troppo lunga e si portò sulle spalle i capelli lunghi e ricci, mentre scuoteva la testa con leggerezza e beveva un altro sorso del suo Whisky pensando che non avrebbe mai potuto immaginare di stare seduto nel suo locale insieme a Dean, bevendo insieme a lui. 
"Lei ti amava".
Edward udì le parole di Dean e si voltò ad osservarlo chiedendosi quanto diavolo dovesse essere forte quel Whisky per sentirlo parlare in quel modo, ma quando Dean incrociò di nuovo il suo sguardo si rese conto che fosse lucido più che mai.
Dean fece spallucce ed accennò un sorriso amaro, mentre lo guardava sentendosi in pace perché aveva ormai accettato di non essere l'unico uomo che Abby avesse davvero amato.  "Non me l'ha mai confessato, ma sono sicuro che ti amasse davvero. E so che anche tu l'amavi allo stesso modo. Tu mi avevi detto di lasciarla andare perché non me ne sapevo prendere cura, ma allora perché te ne sei andato e l'hai lasciata?".
Edward rimase ad ascoltare in silenzio lasciando che la rabbia scorresse fuori da sé mentre mandava giù altre quantità di Whisky che gli annebbiassero la mente ed alleviassero il suo dolore. 
Fece spallucce e sospirò rumorosamente. "Perché ero spaventato da quello che provavo per lei. Era così forte che.. credevo che mi avrebbe distrutto".
Dean lo ascoltò in silenzio, annuendo lentamente ed elaborando il significato delle sue parole, trovandosi a sorridere perché anche Dean c'era passato.
Guardare come Edward si fosse ridotto, gli faceva capire che anche lui stesso non avesse un aspetto tanto diverso da quello del barista che gli stesse accanto.
Sorrise appena e fece spallucce. "Ma ti sei reso conto di non poter vivere senza di lei". 
"Perché, tu ci riesci?".
Lo sguardo di fuoco che Edward gli avesse riservato gli fece intuire che forse avesse sconfinato ancora una volta nella sua zona privata, e Dean aggrottò scosse la testa iniziando a giocare con il suo bicchiere. "Abby diceva sempre che la morte non è definitiva, che prima o poi ci saremmo tutti incontrati di nuovo in un posto migliore. Come diavolo dovrebbe consolarmi, questo?". 
Edward accennò un sorriso amaro riconoscendo le sue parole, scuotendo la testa mentre ricordava quante volte avesse ascoltato i discorsi strampalati della donna. "Non chiederlo a me, amico. Non capisco queste genere di cose in cui crede Abby".
Il piccolo sorriso sul viso di Edward svanì del tutto quando si rese conto di cosa avesse detto, scuotendo la testa e tornando ad incupirsi ancora una volta. "Credeva. In cui credeva Abby". 
Dean lo osservò mandare giù l'ultimo sorso di Whisky e respirare rumorosamente neanche fosse un uomo delle caverne, e presto vide il modo in cui riempí nuovamente entrambi i bicchieri, e pensò che sarebbero stati perfetti compagni di bevuti.
Distrattamente si bagnò le labbra con quel liquido alcolico che stava iniziando a disgustarlo e scosse la testa, abbassando lo sguardo. "Ho provato di tutto, sai? Angeli, demoni, sciamani, stregoni, incantesimi di qualsiasi tipo. Ma non esiste un modo per riportarla qui. Io e Sam siamo tornati in vita così tante volte che ho perso il conto, quindi perché non riesco a trovare un modo per riportare Abby qui?".
Edward guardò nei suoi occhi così disperati e addolorati, e sentì il propri essere ricoperti da uno strato lucido perché gli faceva male sentire quelle parole.
Probabilmente non lo avrebbe ammesso, ma quando non era troppo sbronzo anche lui continuava le sue ricerche per trovare un modo per riportare Abby a casa.
Dean tirò su col naso e continuò a parlare come se fosse un fiume in piena, facendo spallucce. "Ho bisogno di vederla ancora, un'ultima volta. E poi prenderei il suo posto per smettere di sentire questo dannato vuoto nel petto".
Ed eccola, pensò Edward, ecco qual è la vera differenza fra noi due.
A Edward non importava di smettere di soffrire, non importava di non sentire più quella voragine nel petto che diventava ogni giorno più profonda, perché era la prova che l'avesse amata più della sua stessa vita.
Voleva solamente che Abby potesse tornare sulla Terra, che potesse tornare a ridere ed a stringere i suoi bambini.
Voleva trovare il modo di regalarle ciò che non aveva mai potuto avere: una casa felice, una vita normale.
Voleva restituirle la vita che le fosse stata strappata ingiustamente.
Non gli importava di averla di nuovo con sé, di strapparla a Dean o al bunker.
Voleva solamente che fosse viva e potesse vivere la sua vita.
Era un amore puro, quello di Edward.
Non c'era traccia di egoismo nelle sue azioni e non ci sarebbe mai stato.
Edward voleva solamente il meglio per Abby.
Mentre Dean voleva che Abby tornasse in vita per smettere di sentire quel bruciante dolore che lo tormentava.
E se il qualsiasi modo che avrebbe trovato per portare Abby indietro avesse richiesto un sacrificio, Dean sarebbe stato felice di scambiare la sua vita con quella di Abby perché così sarebbe stato più facile.
Non sarebbe più stato lui quello a soffrire.
E questo, Edward lo chiama proprio egoismo.
Il barista distolse lo sguardo dal suo dopo aver capito tutto ciò e scosse la testa, riscoprendosi ad odiarlo con una maggiore intensità.
Mandò giù l'ultimo sorso di Whisky e sospirò, parlando senza neanche guardarlo. "Questo giro lo offro io. Adesso alzati e torna dai tuoi figli: non delurderli. E non ti azzardare a deludere Abby: è morta per salvare il suo bambino, se scoprisse che li hai abbandonati ti prenderebbe a pugni in faccia". 
Dean rimase in silenzio a guardalo, mentre lo osservava scendere dal suo sgabello e fare il giro del bancone; Edward mise a posto la bottiglia quasi finita di Whisky e continuò a dargli le spalle fino a quando lo sentí bere l'ultimo sorso e posare il bicchiere sul bancone.
"Grazie per la bevuta".
Rimase a mordersi la lingua mentre sentiva i passi di Dean farsi sempre più vicini alla porta, segno che presto sarebbe stato di nuovo da solo.
Poteva resistere per qualche altro istante, si disse.
Poteva tenere la bocca chiusa perché era quello che Abby avrebbe voluto.
Ma Edward strinse forte i pugni e provò una forte rabbia verso di lui, voltandosi e richiamando la sua attenzione. "Dicevo sul serio prima, Dean: devi prenderti cura dei bambini".
Dean si voltò a guardarlo con aria accigliata, aggrottando le sopracciglia mentre lo osservava poggiare entrambe le mani al bancone ed allargare le braccia, ed a Dean sembrò di vedere un grosso orso che lo stesse minacciando.
"Se non ti comporterai da padre con Richard, io ti farò a pezzi anche se Abby ti amava. Sono stato chiaro?". 
L'espressione di Dean divenne molto tesa e rigida mentre guardava nei suoi occhi nocciola che gli stessero silenziosamente promettendo che l'avrebbe tenuto d'occhio e che non avesse più freni da quando Abby fosse morta.
Senza neanche rispondergli Dean si voltò ed ultimò i pochi passi che lo separassero dall'uscita per andare via da quel locale. 
Ed Edward tornò a respirare, scuotendo la testa ed abbassando la testa: era già doloroso aver perso Abby, ma Edward era quello che stesse soffrendo più di tutti.
Nello stesso giorno aveva perso la donna che amava ed il suo unico figlio.
Scosse la testa e si mosse barcollando verso il retro, attraversando la cucina che brillasse come mai avesse fatto, date le pulizie che Andrew avesse fatto negli ultimi tre giorni di chiusura.
Uscì dal retro per raggiungere il magazzino che fosse situato proprio dietro al locale, dove di solito Edward tenesse le birre confezionate ed i prodotti a lunga conversazione.
Ma ultimamente Edward stava utilizzando quel magazzino per altri scopi: diede una breve occhiata al grosso tavolo che si trovasse al centro di quel magazzino vuoto, trovandolo pieno di pergamene fatte di strani materiali ottenute a caro prezzo, su cui vi fossero scritti degli incantesimi particolari. 
Vi erano delle ciotole poggiate sulle estremità del tavolo di legno, alcune che contenessero strane ossa di animali, altre vedevano la presenza di strane erbe di cui Edward non aveva sentito parlare fino ad allora. 
Oltre a dei tomi impilati uno sull'altro sul pavimento, tutti riguardanti la magia nera.
Sospirò ed iniziò a sfogliare alcune delle pergamene su cui gli incantesimi fossero scritti in lingue troppo antiche, dovendo pazientare per poter tradurre quegli incantesimi. 
E poi guardò una foto di Abby scattata proprio da lui, che Edward tenesse cartacea su quel tavolo: la ritraeva intenta a sorridere, come sempre da quando si era trasferita al bar con lui.
Era vestita solamente della maglietta a mezze maniche dei Led Zeppelin di Edward che le arrivasse quasi alle ginocchia, stava seduta su uno sgabello del locale e teneva le mani strette attorno ad un grosso boccale di birra rossa a cui Abby non era mai riuscita a resistere. 
Edward sorrise e sfiorò la guancia di Abby attraverso la fotografia, ricordando come la notte di quell'episodio Abby ed Edward non erano riusciti a sedare la passione che ci fosse fra di loro ed erano finiti per far l'amore nel locale senza controllo; Edward poi se l'era caricata addosso e l'aveva portata nel suo appartamento, salendo le scale.
Fu quella la notte in cui Richard venne concepito, in cui Abby ed Edward si erano amati oltre ogni modo.
Asciugò le lacrime che gli fossero scivolare sul viso nel ricordare quell'episodio e scosse la testa, imponendosi di iniziare a lavorare per riportare Abby indietro molto presto. 


"Dovresti andarci piano con i drink". 
Dean sussultò e sgranò gli occhi, voltandosi nella direzione dei sedili posteriori e guardando l'angelo dentro la sua auto con aria stupita che lo avesse trovato: era stato attento a non farsi seguire, non aveva detto a nessuno dove fosse diretto e aveva lasciato a casa tutti i suoi telefoni.
Farsi trovare davanti al locale del suo rivale in amore, non era ciò che volesse.
"Che diavolo ci fai qui, Castiel?". 
L'angelo in trench fece spallucce e sospirò guardando il suo amico nel buio dell'abitacolo e accennando un sorriso amaro mentre leggeva dentro di lui la grande sofferenza che mai nessuno sarebbe stato capace di cancellare. "Sei sparito da una settimana, volevo sapere se fossi ancora vivo". 
Dean scosse la testa e tornò a guardare dritto davanti a sé, sospirando e facendo spallucce osservando la flebile luce all'interno del locale di Edward spegnersi. "Sono vivo, puoi tornare da dove sei venuto adesso". 
Castiel sospirò ed abbassò lo sguardo sulle sue ginocchia, scuotendo la testa perché riusciva a comprendere perfettamente cosa Dean stesse provando perché anche lui si era sentito così ogni volta in cui avesse creduto di aver perso Anael. "Sono stato in Paradiso: sta cadendo a pezzi perché la mia razza si sta estinguendo e non crederai mai a chi lo sta gestendo in questo momen-..". 
Appoggiò il gomito alla base del finestrino dell'auto, scuotendo la testa e grattandosi distrattamente la nuca. "Va' a raccontarlo a chi importa, perché a me non frega proprio un cazzo del tuo Paradiso".
Castiel rimase a fissare l'espressione seria e perentoria del suo amico che lo stesse fissando con rabbia dallo specchietto retrovisore e sospirò lentamente, rimanendo a guardarlo con aria seria. "Dean, devi tornare a casa. Hai due figli che hanno bisogno di te: il piccolo non ha neanche un nome e non lo hai nemmeno mai guardato da quando Abby è mort-..".
Come una molla, Dean scese dall'auto in preda alla furia cieca e aprí lo sportello posteriore afferrando l'angelo dal colletto costringendolo ad uscire con la forza; lo tenne fermo contro la portiera del guidatore, iniziando a colpirlo a tradimento al volto per avere anche solo osato dire quelle parole. 
Castiel iniziò a difendersi e ribaltò le posizioni, bloccandolo fra lui e l'auto mentre cercava di annullare tutti i suoi tentativi di colpirlo in viso e di fargli del male; ma se c'era una cosa in cui Dean fosse davvero imbattibile era decisamente il corpo a corpo, e presto fu in grado di liberarsi dalla presa ferrea dell'angelo, afferrandolo dalle braccia e scaraventandolo contro la fiancata dell'Impala.
"Il suo nome è Richard! Io ed Abby lo abbiamo scelto insieme!" esclamò Dean alzando la voce ed allargando le braccia mentre osservava l'angelo iniziare a rimettersi in piedi nonostante lo avesse colpito con molta forza. "Non devi dirlo mai più, non parlare più così di lei!".
"Perché? Altrimenti sarebbe fin troppo reale?" chiese Castiel piegandosi sulle ginocchia ed iniziando a sollevarsi con lentezza mentre lo guardava negli occhi come se potesse scrutargli l'anima. "Abby è morta e la stai disonorando non rispettando la sua ultima volontà: lei voleva che tu ti occupassi della vostra famiglia, mentre invece non li vedi da più di un mese e non ti curi di loro come se non fossero mai esistiti!".
Castiel non vide arrivare l'ennesimo pugno che lo colpí dritto in faccia, facendogli perdere l'equilibrio e sbattere sonoramente la testa contro la fiancata dell'Imapala a cui si tenne per non cadere. 
Lentamente si voltò per tornare a guardarlo mentre pensava che non avessero davvero tempo per tutto ciò e che dovesse tornare al bunker per dare una mano con l'evoluzione della situazione, ma non avrebbe potuto fare ritorno senza Dean perché lo aveva promesso e lui manteneva sempre la sua parola. "Mary ha subito un grandissimo trauma perdendo la persona che amava più al mondo, la sua mamma. Perdere anche te significa condannarla per sempre ad un dolore troppo grande da sopportare".
Dean si trattenne dal colpirlo un'altra volta e fu incapace di continuare a guardarlo, abbassando lo sguardo e scuotendo la testa mentre sentiva il cuore battere di più nel petto ed il dolore dilaniarlo insieme al senso di colpa. 
Si sentiva un grandissimo egoista per aver abbandonato i suoi figli, per averli lasciati da soli ad affrontare un dolore così grande, ma anche lui stava soffrendo in maniera smisurata. E in più ogni volta che guardava Mary, Dean non poteva far altro che vedere Abby in lei, nei suoi gesti, nella sua risata, nel suo modo di fare. 
"Se percorrerai questa strada, finirai per morire da solo e i tuoi figli ti odieranno per sempre. Devi tornare, Dean. Abby avrebbe voluto che tu continuassi a lottare per loro, per salvarli da tutto ciò che sta accadendo e se Micheal riuscirà davvero a tornare in questo mondo allora sarà la fine per tutti noi e loro moriranno: i tuoi figli moriranno. Mary morirà, anche il piccolo Richard morirà e Abby avrà perso la vita per niente. Ha avuto così poco valore per te il sacrificio della donna che amavi, Dean?".
Sollevò lo sguardo verso di lui e avrebbe tanto voluto tornare a colpirlo così forte da rompergli quella stupida mascella per evitare che potesse continuare a tormentarlo con la sua voce, e istintivamente si voltò dalla parte opposta per non mostrargli gli occhi lucidi, passandosi immediatamente indice e pollice sulle palpebre chiuse per ricacciare indietro le lacrime. 
"Non c'è nulla che vorrei di più che tornare a casa dalla mia famiglia, ma io non.. non posso farcela: abbiamo ingannato la morte così tante volte e adesso non riesco a trovare un modo per riportarla indietro. Non c'è un modo e io non posso vivere senza di lei".
Sentì i passi leggeri di Castiel farsi più vicini fino a giungere alle sue spalle, fino a quando gli diede una leggera pacca sulla spalla che lo fece voltare nuovamente verso di lui e Castiel questa volta lo guardò cercando di rassicurarlo, accennando un sorriso e stringendo la presa su di lui. "Devi solamente lasciarla andare".
Dean lo guardò negli occhi e gli sembrarono così sinceri, e pensò che fidarsi del suo amico fosse la cosa migliore da fare per cercare di non annegare in quell'immenso mare di disperazione e dolore in cui stesse annegando; la presa su di lui lo fece sentire quasi al sicuro, come se avesse davvero un posto dove tornare e che la vita non fosse finita lì.
Si lasciò condurre a casa e Castiel cercò di distrarlo per tutto il tempo del viaggio raccontandogli tutto ciò che fosse avvenuto in sua assenza, come le continue ricerche di Sam su Gabriel e su Lucifer.
Dean presto capí di dover davvero tornare in attività ed evitare che Micheal raggiungesse il loro mondo per distruggerlo come aveva fatto con il proprio. 
Parlarono tanto come probabilmente non facevano più da tanto tempo; Castiel lo fece sentire come se non si fosse mai assentato, per via dei suoi racconti così ricchi di particolari.
E Dean si sfogò totalmente, dicendogli tutto ciò che sentisse dentro di sé da quando Abby fosse morta, compresa la paura che avesse nel crescere quel due bambini da soli.
Posteggiò nel garage del bunker e Castiel lo invitò a fare una bella dormita per poi cominciare dall'indomani, e Dean accennò un sorriso amaro salendo le scale del garage per arrivare alla sala centrale e si guardò attorno. 
Era tutto così uguale, nulla era cambiato, eppure per lui il mondo era stato stravolto. 
Deglutí a fatica sentendo già l'aria mancargli e si incamminò silenziosamente nel corridoio, fino ad arrivare alla sua vecchia stanza; mise la mano sulla maniglia ed aprì la porta senza rifletterci abbastanza su, e l'immagine di Abby priva di vita stessa si quel letto tornò a rimbalzargli velocemente nella mente.
La chiuse di scatto, scuotendo la testa e sospirando, capendo di non poter più dormire dove Abby avesse perso la vita. 
Così lentamente si diresse nell'unica altra camera dove sarebbe potuto andare; fece appena due passi e aprí lentamente la porta, accennando un sorriso mentre la stanza illuminata da una leggera luce calda e soffusa e notava tutti quei glitter colorati sparsi per la stanza e osservò attentamente i numerosi fogli di carta sulla scrivania, prendendone uno fra le mani: era un disegno colorato, un sole molto grande nell'angolo sinistro e quattro figure una accanto all'altra che si tenevano per mano. 
Dean non ci mise molto a riconoscere se stesso, Abby, Mary e anche il nuovo piccolo Rich, e provò una grande tenerezza quando guardò la sua bambina che dormiva nel letto.
Si avvicinò a Mary, osservando dormire serenamente nel letto e le sfiorò il viso con dolcezza, scostandole i capelli biondi dal viso per farla respirare meglio.
"Papà? Sei tornato?". 
Mary si stropicciò gli occhi e parlò con la vocina assonnata, mentre si accertava che la figura in piedi accanto a sé fosse proprio lui.
Dean sentì il cuore battere più velocemente ed annuí, affrettandosi a farle segno di rimanere in silenzio portandosi l'indice sulle labbra e mimando un shh con un sorriso sulle labbra.
Dean si tolse la giacca e le scarpe e si apprestò ad osservare la culla che Isobel avesse piazzato proprio accanto al letto di Mary per poter controllare entrambi i bambini, e Dean si avvicinò alla donna che dormiva seduta sulla poltrona vicino al letto, con un libro ancora aperto poggiato sul grembo, che lo guardò con aria estremamente molto stanca. 
La mandò a letto con un sorriso e la ringraziò con lo sguardo per essersi presa cura della sua famiglia mentre lui non c'era, ed Isobel rispose stringendolo in un abbraccio perché anche lei faticava a stare a galla: aveva il viso scavato dalle occhiaie e dal dolore per la perdita della figlia, ma non aveva mai abbandonato la sua famiglia ed i suoi nipoti. 
Dean la osservò uscire dalla stanza per godersi probabilmente la prima notte di sonno dopo tanto tempo e silenziosamente Dean raccolse il suo coraggio e si avvicinò alla culla: osservò il piccolo Richard che dormiva sereno nella sua culla avvolto nelle coperte.
Era già cresciuto dall'ultima volta in cui lo avesse visto.
I suoi capelli erano diventati un po' più folti e scuri, e sembrava essere già un bambino di almeno tre mesi.
Dean sorrise teneramente e si chinó su di lui per sfiorargli il viso e le manine con dolcezza, osservandolo muoversi appena contro il suo tocco.
"Mi dispiace per non esserci stato, ometto. Ti prometto che farò del mio meglio da oggi in poi".
Rich continuò a dormire sornione e Dean gli sorrise con amore, voltandosi più verso Mary che ancora lo guardasse con aria assonnata e protese le braccia verso di lui; con un sorriso Dean si stese al fianco della figlia con grandi difficoltà, ma le fece segno di abbracciarlo forte, e così la piccola fece, stringendolo e appoggiando la testa sul suo petto, mentre il padre la coccolava con dolcezza per farla tornare a dormire. 
"Te ne andrai di nuovo, papà?". 
Dean respirò lentamente ed ascoltò quella domanda incerta, sapendo che non avrebbe potuto mai cancellare il dolore che la sua figlia maggiore avesse provato e che avrebbe continuato a sentire dentro di lei per il resto della vita.
Era di poco più piccolo di Mary quando aveva perso la sua mamma, quindi Dean la capiva.
Ma sapeva che avrebbe potuto provare a rimediare al suo errore di fuggire via dalla sua famiglia solamente con la sua presenza.
Spostò lo sguardo sulla piccola distesa accanto a lui, accennando un sorriso mentre guardava nei suoi grandi occhi verdi. "No, amore mio. Starò sempre con te e tuo fratello, te lo prometto". 



"Passami quella chiave". 
"Questa?". 
Jack sollevò la testa dal motore della sua Hyundai e alzò lo sguardo seccato verso la figlia, che rispose con un sorriso divertito scuotendo la testa mentre gli passava la chiave inglese giusta che il padre le avesse chiesto, conoscendo a memoria tutti i suoi attrezzi da lavoro. 
Lo osservò iniziare a stringere qualche bullone, passare il grasso in determinati connettori del motore, pulire i filtri e sostituire l'olio, ed Abby se ne stava seduta a cavallo della panca vicino alla loro auto nel garage aperto.
Doveva ammettere di sentirsi tremendamente bene come mai si fosse sentita sulla terra.
Sollevò lo sguardo verso il cielo, osservando come il tempo fosse drasticamente cambiato e le nubi stessero lentamente lasciando lo spazio per il grande cielo azzurro e per il sole molto caldo che Abby tanto amasse. 
Si ritrovò a sospirare rumorosamente e abbassò lo sguardo, rigirandosi fra le mani una delle chiavi inglesi del padre mentre pensava a quante volte fosse rimasta accanto al suo papà mentre lo osservava sistemare la sua auto quando entrambi fossero vivi, e quante volte invece Abby avesse osservato il suo nuovo meccanico di fiducia sistemarle la Hyndai al posto suo.
Abby sorrise amaramente ripensando a quante volte Dean le avesse riparato l'auto, quante volte avesse sentito un rumore di cui lei non si accorgesse neanche, quante volte si fosse presa cura di lei. 
E divenne triste mordendosi l'interno delle guance mentre pensava a lui, a quanto avrebbe voluto vederlo un'ultima volta prima di morire.
Quante cose c'erano ancora da dire, quante parole non dette per orgoglio. E pensò alla sua piccola Mary ed a quanto l'avesse amata, quanto fossero state complici nei loro giochi e nei loro dispetti verso Dean o Sam, o chiunque fosse il mal capitato di turno.
Pensò ad Edward e al dispiacere che provasse nel non avergli detto addio, a quanto avesse desiderato che ci fosse durante quegli ultimi momenti per dirgli ciò che non avesse mai trovato il coraggio di dirgli.
Pensò al piccolo Richard che avesse potuto conoscere solamente per pochi istanti, non riuscendo a tenerlo in braccio neanche una volta, limitandosi solamente ad osservarlo fra le braccia di Anael. 
"Hai visto come sta schiarendo? Probabilmente stanno già guarendo". 
Abby sollevò lo sguardo verso il padre e si distrasse dai suoi pensieri, accennando un sorriso verso di lui ed annuendo perché sapeva il significato delle sue parole e ne era contenta, ma si ritrovò a fare spallucce ed a guardare nuovamente il cielo, sigillando le labbra perché non aveva nessuna intenzione di parlare. 
Jack sospirò appena e si mise a cavalcioni sulla panca proprio davanti alla figlia, sorridendole teneramente mentre serrava le braccia al petto e si metteva più dritto con la schiena per guardarla meglio. "La parte peggiore per me è stata non riuscire a vedere i miei figli diventare quello che sono adesso. Daniel, Silver e tu, piccola mia: ogni giorno volevo scendere sulla terra per vedervi. Ma poi qualcuno mi ha detto che avremo tutta l'eternità per stare insieme, perché sareste arrivati presto dato che il tempo scorre in maniera diversa qui". 
Abby lo guardò e aggrottò leggermente le sopracciglia, accennando un sorriso amaro. "Chi ti ha detto questo, papà?". 
"Anael" rispose Jack sorridendo di più e sospirando appena ripensando all'angelo che gli fosse sempre stato accanto da quando avesse perso la moglie ed i suoi figli erano ancora molto piccoli. "Lei veniva regolarmente qui e mi ha detto tutto quello che hai passato da quando sono morto: Azazel, Lucifer, i Leviatani, il Marchio di Cain e tutto il resto. È stata dura per te".
Abby abbassò lo sguardo lacrimoso perché ripensare a tutto ciò che avesse passato negli anni le faceva venire male al cuore, pensando solamente che avesse sempre desiderato una vita normale.
Jack sospirò e le sorrise, prendendole una mano con amore fra le sue e stringendola forte. "Ma adesso puoi finalmente riposarti, Abby: niente più dolore o sofferenza, solo amore. Questo ripaga tutto il viaggio difficile per arrivare fino a qui, non è vero?". 
Sollevò lo sguardo verso suo padre ed Abby accennò un sorriso annuendo appena, voltandosi per grattarsi nervosamente il collo: capiva le parole di suo padre, aveva ragione. Aveva sperato di finire in un posto come quello almeno in un milione di occasioni, ma mai da quando aveva conosciuto la pura felicità fra le braccia di sua figlia. 
Adesso avrebbe solamente voluto trovare un modo per tornare da loro e vederli un'ultima volta, ricordargli quanto li amasse. 
Ma Abby sapeva che quella fosse stata una sua scelta: se avesse davvero interrotto la gravidanza, lei sarebbe stata ancora viva, ma non il suo piccolo Richard.
Sospirò rumorosamente e fece spallucce, tornando a guardare il padre con un sorriso un po' più sincero e acceso. "Quindi cosa faremo? Staremo qui ad aspettare?". 
"Staremo insieme, non è già abbastanza?" chiese Jack ridendo di gusto, afferrando le mani della figlia e stringendole forte per la contentezza. 
Abby annuì sorridendo felice, sentendo per la prima volta dentro di sé un forte senso di accettazione e di tranquillità, non provando più alcuna nostalgia né dolore all'idea di aver perso i suoi cari.
Sentí le lacrime bagnarle gli occhi ed Abby guardò suo padre con felicità, parlando con lui mentre la voce le tremava per l'emozione. "Veramente papà, stare qui insieme a te.. è la ricompensa migliore per tutto il viaggio". 
Senza pensarci due volte Abby affondò il viso sul petto del padre e lo abbracciò stretto, chiudendo forte gli occhi mentre sentiva il cuore battere in maniera diversa nel suo petto, come se si fosse davvero aggiustato qualcosa dentro di lei con quella semplice chiacchierata. 
Le braccia possenti di suo padre l'avvolsero stretta ed Abby si sentí grata di aver avuto proprio lui nella sua vita, pensando che lo avrebbe scelto un altro milione di volte come padre. 
Ma presto vennero entrambi accecati da un fortissimo sole che li costrinse a stringere appena gli occhi nonostante fossero sotto alla grande tettoia di lamiera del garage. 
"Ma che succede?". 
Jack sciolse l'abbraccio e si alzò, afferrandole una mano e conducendola dalla parte opposta del garage; si lasciò andare ad una grande risata fiera, facendole l'occhiolino ed annuendo mentre Abby si guardava attorno con aria confusa. "Sono così orgoglioso: io ci ho messo il doppio del tempo per capire come trovarla, ma tu sei già pronta!". 
"Non eri così criptico quando eri sulla terra: di che parli? Trovare cosa?" chiese la ragazza osservando il padre ridere mentre le apriva la portiera del guidatore e le faceva segno di entrare. 
Jack sorrise e le sfiorò i capelli con dolcezza, ricordando tutti i momenti in cui loro due fossero stati così vicini sulla terra, quante cose avessero fatto insieme, quanto si fossero voluti bene e Jack l'avesse sempre protetta. "Il temporale, il sole: non dipendevano dai cari che ti piangono, ma dipendevano da te. Hai trovato la felicità dentro di te in questo stato di morte perché lo hai accettato, abbandonando l'idea di poter un giorno tornare. E adesso possiamo andare nel luogo dove sei sempre stata destinata ad andare: andiamo a casa. In Paradiso. Insieme". 
Abby rimase a bocca aperta per qualche secondo e lo guardò con un po' di aria incerta perché era tutto nuovo per lei, ma si fidava di suo padre.
Capí che Jack avesse ragione e che guardare indietro nella speranza che qualcuno la riportasse indietro fosse davvero sbagliato; guardò il sole alto nel cielo e sentí un po' il cuore battere forte dentro di lei per l'emozione, ma poi fece spallucce e sorrise, annuendo convinta di potercela fare e di meritarsi quel riposo.
Guardò la sua auto e si morse il labbro, pregustando la sua ultima guida insieme a suo padre per poi tornare a guardarlo con un sorriso divertito sul volto. "Si papà, andiamo a casa".
 
  
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