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Autore: Red_Coat    01/05/2023    0 recensioni
"Per tutto questo tempo ho passato ogni singolo giorno della mia vita cercando un modo per riunirmi alla mia famiglia. Per riavere mia madre e mio padre, e dire loro quanto mi siano mancati. Ho speso tutto quello che avevo ... pur di poterli salutare un'ultima volta.
Se sono arrabbiata?? Si. Decisamente. Mi fa rabbia che anche il più grande potere del mondo non sia in grado di far nulla per aiutarmi!"
Emilie Gold è l'unica figlia femmina del Signore Oscuro e della sua amata Belle. Cresciuta nell'amore, curiosa come sua madre e abile nella magia come suo padre, ben presto si renderà conto di quanto il tempo possa essere paziente medico e al contempo spietato nemico. E nel tentativo di rendere possibile l'impossibile, scoprirà quanto il prezzo della magia possa essere alto, e quanto il Maestro tempo possa realmente cambiare anche il più oscuro dei cuori.
(coppie: SwanFire; RumBelle. Questa storia è una rivisitazione degli eventi della serie, potrebbero esserci spoiler così come potrebbero esserci coppie canon mai nate o fatti importanti della trama mai accaduti. Il punto di partenza dalla fine della terza stagione.)
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Baelfire, Belle, Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Episodio XIV – Sotto la cenere


 
Romperò le tue catene / prigioni delle tenebre e della lunga notte /
dalle quali sei impedito / affinché tu non sia condannato
 insieme con questo mondo

 
Raimondo di Sangro - "il disinganno"
 


Passato,
Foresta incantata,
Qualche giorno prima del secondo sortilegio oscuro.
 
La foresta era piena della calda e accogliente, confortante luce del pomeriggio, che riusciva a illuminare il sottobosco penetrando attraverso le folte fronde degli alberi, proiettando splendidi giochi di luce sul pavimento di foglie secche.
La ventenne Emilie camminava quasi saltellando, lasciando andare i suoi occhi su quello spettacolo e cercando in quelle ombre forme conosciute, come faceva con le nuvole. Un passo dietro a suo padre, che invece proseguiva spedito verso la prossima meta.
Da qualche settimana, il Coccodrillo era tornato a impossessarsi quasi del tutto del suo volto, lasciando poco spazio all'uomo che era stato assieme a Belle. Nonostante qualche nota fosse diversa però, nella sua voce e nei suoi discorsi quell'uomo rimaneva presente, ma ormai era più un'ombra dietro al Signore Oscuro, e non viceversa.
Mostrarsi a lei in quel modo era stato difficile. Nonostante ciò, la sua reazione lo aveva sorpreso, e anche un po' preoccupato. Perché, sebbene il cambiamento l'avesse all'inizio un po' sorpresa, Emilie sembrava averlo accolto con allegria, sciogliendosi in un sorriso radioso e abbracciandolo forte. La sua mano destra aveva sfiorato le squame che ricoprivano la pelle della sua guancia e dolcemente aveva sussurrato, gli occhi lucidi
 
«Bentornato, papa
 
Da quel momento, Tremotino non era più riuscito a non pensarci, come se la peggiore delle sue profezie si fosse avverata davanti ai suoi occhi.
Aveva sognato sé stesso, quella notte. Il demone che viveva dentro di lui e stava lentamente tornando a riappropriarsi del suo presente. Lo stesso demone tentatore che aveva incontrato prima che Gideon rinascesse.
Quella volta era riuscito a sconfiggerlo, ma ora, con Emilie, le cose erano tornate a complicarsi.
 
«Di cosa hai paura, Signore Oscuro?» gli aveva la peggiore versione di sé «Non hai visto il suo sorriso? Non hai visto come ti ha guardato? Lei non ha paura dell'oscurità, perché dovresti averne tu? Coraggio, lei ti vuole così. La faresti felice, molto felice. Lascia andare il passato, proprio come hai sempre voluto. Il Signore Oscuro e sua figlia, insieme, possono scrivere una nuova pagina di storia, e magari stavolta puoi davvero vincere. Non è questo che voleva, la tua Belle? Che tu e tua figlia foste felici? Non vorrai mica abbandonarla a sé stessa? Spezzarle il cuore …» il Coccodrillo aveva riso di nuovo, divertito «Oppure fallo. In ogni modo, il male vincerà.»
 
Al solo sentirlo accennare a Belle, il suo cuore aveva tremato e lui era riuscito a rinsavire, ma non era riuscito a provare completo disgusto né per quella risata, né per il piano di quel Tremotino.
Aveva ragione. Lo aveva già fatto altre volte, più o meno volontariamente. A tentarlo adesso però non era più il potere, ma … sua figlia.
 
«Papa!» la voce della ragazza alle sue spalle lo risvegliò dai suoi pensieri «Papa, aspetta!» esclamò, ma la sua voce era allegra.
 
Come sempre, negli ultimi tempi. Si voltò a guardarla, celando la preoccupazione dietro una maschera non proprio perfetta. La vide tagliare la distanza tra di loro prendendo tra le mani i lembi del vestito appartenuto prima di lei a sua madre, con un'espressione eccitata in volto che assomigliava fin troppo alla sua, i capelli spettinati lungo le spalle, gli occhi grigi pieni di luce.
 
«Non mi hai detto dove stiamo andando.» disse, prendendolo sottobraccio.
 
Tremotino sorrise, ma tristemente.
 
«Non manca molto, ormai.» le disse, quindi ripresero a camminare insieme, e lui tornò a chiudersi in un silenzio fin troppo assorto che Emilie riuscì a rompere solo un paio di volte.
 
La prima quando gli chiese, divertita da tutto quel mistero.
 
«Non puoi darmi un indizio? Sono troppo curiosa» ridacchiando di nuovo, come faceva sempre.
 
Di nuovo, suo padre aveva sorriso.
 
«È solo …» disse, ma si bloccò per cercare le parole giuste ed evitare che la sua voce tradisse le sue emozioni.
 
Era diventato sempre più difficile riuscire a frenarsi. E lui non era più abituato a doverlo fare, era stato troppi anni lontano dall'oscurità, aveva perso attimi preziosi per fortificarsi cercando di far felice la sua famiglia. Chiuse gli occhi, quando la voce del Coccodrillo tornò a farsi udire. "L'amore è una debolezza, e tu ne sei caduto vittima. Guarda come ti sei ridotto. Non riesci neanche più a pensare con lucidità. Ti ricordi com'eri, quando ci incontrammo la prima volta? Ricordi come fu facile 'fare squadra'? Sei tornato il Tremotino debole di un tempo, non negarlo."
Sospirò, scacciando quel pensiero con un cenno del capo e concentrandosi sullo sguardo all'improvviso preoccupato di sua figlia.
 
«È un posto in cui non sei mai stata.» le rispose, facendo finta di nulla e scambiando di nuovo il suo tono di voce normale con quello canzonatorio del Coccodrillo, più per strapparle un altro sorriso che per dar ragione alla sua cattiva coscienza «Un promemoria per me … e una lezione per te.» concluse, scoccandole un occhiolino che sortì l'effetto sperato.
 
Tornarono a camminare in silenzio, o meglio lui lo fece, mentre Emilie, incapace di trattenere la gioia e l'impazienza continuò a notare ogni minimo cambiamento "magico" nella luce e nei colori, lanciandogli ogni tanto appigli che lui però non colse mai. Non fino a quando lei non si fermò, e lo guardò negli occhi prendendogli una mano.
 
«Papa, guardami.»
 
Gli occhi di Tremotino guizzarono su di lei. Sospirò, un nodo in gola e gli occhi lucidi all'improvviso preoccupati.
 
«È colpa mia, vero?»
 
Quella domanda lo colpì allo stomaco con una violenza tale da mozzargli quasi il fiato. Era rimasto così tanto invischiato nei suoi dilemmi interiori da dimenticarsi del tutto di lei, ma non avrebbe mai creduto che riuscisse ad accorgersene. Invece lo aveva fatto, e adesso lo fissava con gli occhi gonfi, come colta in flagrante dopo una birichinata quasi degenerata in tragedia.
L'istinto di fingere di cadere dalle nuvole fu forte, così come la voce del Coccodrillo nella sua testa: "Perspicace, la ragazza." ridacchiò "Bene, mio caro, è il momento. Coraggio, respingila!"
Ma non riuscì a fare né l'una, né l'altra cosa. Rimase fermo a guardarla stringere forte la sua mano, e mormorare affranta.
 
«Ho fatto qualcosa di sbagliato. È per questo che sei in pensiero, non è così?»
 
Sotto le squame e il raso delle maniche a sbuffo, la sentì tremare, e fu lo strattone che gli serviva per tornare in sé. Si commosse guardandola prendersi la colpa per una cosa che riguardava solo lui. Non sarebbe dovuto accadere.
Le sue labbra si deformarono in una smorfia di dolore, scosse il capo e la trasse a sé, stringendola in un forte abbraccio.
 
«No, Emilie. Non è colpa tua. È mia …» mormorò, accarezzandole i capelli «Solo colpa mia.»
 
Lei si sciolse in un pianto liberatorio, stringendolo a sua volta. Come a volerlo salvare.
Restarono così per un breve istante, il tempo necessario a far sì che i loro gesti parlassero dell'affetto che li legava, e che esprimere a parole sarebbe stato molto difficile. Poi, avvolgendole le fragili spalle con un braccio come sotto la sua ala protettiva, Tremotino scostò alcuni cespugli che sbarravano loro la strada e le mostrò cosa li attendeva: Una landa desolata, la terra riarsa costellata solo da piccoli arbusti inceneriti. Sullo sfondo, un castello ormai diroccato.
Proprio come il sole dietro le nuvole, il Signore Oscuro guardò il sorriso di sua figlia riaccendersi scacciando rapidamente la tristezza che l'aveva turbata.
 
«Malefica!» esclamò a fil di labbra, staccandosi da lui e avanzando nel sole pieno.
 
Il cielo era azzurro, la luce quasi accecante, e quel paesaggio così impervio da spaventare. Ma lei non aveva paura, ansiosa di ascoltare la prossima lezione che il suo papa aveva preparato per lei e già dimentica del rimorso e della tristezza provata poco prima.
 
«Vedi quell'albero laggiù?» le chiese, puntando l'indice destro contro l'orizzonte, verso la sagoma scheletrita di quello che un tempo era stato l'albero più grande della radura.
 
Emilie annuì, illuminandosi. Conosceva la storia: Malefica aveva perso il suo fioco, e per ritrovarlo Regina l'aveva portata fin lì, dove la strega era riuscita a recuperarlo e ritornare la regina dei draghi.
 
«È lì che ritrovò sé stessa.» replicò, tornando a guardarlo.
 
Tremotino sorrise e annuì, con un cenno della mano trasportò entrambi a pochi passi da esso, in una nuvola di fumo viola. Ora che gli era più vicina, Emilie riuscì a distinguere i dettagli di quel vecchio tronco, dalle possenti radici che bucavano il terreno, alla sommità dei suoi rami più alti, neri come la fuliggine che li ricopriva.
 
«Vedi …» iniziò allora Tremotino, compiendo un passo in avanti e guardandola «Noi, tutti noi, siamo come questo albero. Tizzoni spenti. Innocui, all'apparenza, ma basta un gesto …» e con un movimento rapido della mano accese di colpo le fiamme, facendola sobbalzare per lo spavento.
 
Solo per un attimo, però. Perché subito dopo, la luce ardente delle fiamme negli occhi, tornò a guardarlo e gli sorrise divertita.
 
«E tutto ciò che era sepolto in noi torna a bruciare, più forte di quando credevamo di averlo spento.» concluse lui, sorridendole a sua volta.
 
Emilie si fece attenta, e addolci la sua espressione inclinando di lato il capo e rivolgendogli un sorriso intenerito. Bastò quel gesto, e Tremotino seppe ch'era riuscita a cogliere il punto.
 
«Questa, Principessa, è la lezione più importante di tutte. In ognuno di noi c'è una parte di luce e una di oscurità. Ma, mentre la luce nasce e cresce a poco a poco, come un'alba, l'oscurità è più violenta, più … letale. E subdola.
Può restare sepolta sotto la cenere per anni e anni, silente, come un mostro in attesa. Magari non emergere per tutta la durata della nostra vita. Ma basta la miccia giusta per farla esplodere all'improvviso. E c'è un solo modo per evitare che faccia danni: essere pronti, conoscendola e cercando di alimentarla il meno possibile.» sorrise, sfiorandole con una carezza la guancia, e asciugando con il pollice l'unica lacrima che era riuscita a sfuggire dagli occhi lucidi della sua bambina cresciuta troppo in fretta «Io l'ho capito troppo tardi. È stata tua madre a insegnarmelo.» le disse, paterno «Ma tu … tu sei ancora all'inizio del tuo cammino, hai tutto il tempo per imparare come si fa.»
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo VII


La Foresta era calma e silente, addormentata come tutto il resto del paesaggio. Un passo dopo l'altro, Ruby scivolava nella notte sicura e rapida, guidata dalla pallida luce lunare.
Mentre la seguiva, osservandola in silenzio, Gideon sentì un brivido percorrere la sua spina dorsale, e se ne vergognò. Tra tutti, Cappuccetto Rosso era il personaggio che più lo aveva affascinato, sin da bambino, e non solo per la sua dualità, per il suo legame con la Foresta e quello stile di vita libero a cui i continui viaggi dei suoi genitori lo avevano abituato, facendo sì che all'età di soli sette anni conoscesse già a memoria tutti i posti più belli del cosiddetto mondo reale. C'era qualcosa in Ruby Lucas che lo affascinava, quel riuscire a restare in bilico tra le sue due realtà, il lupo e l'umana, senza mai vacillare. C'era voluto del tempo, lo sapeva benissimo.
E adesso rimaneva il fascino di un essere a metà tra natura selvaggia e umanità, qualcuno nato per riuscire a domare entrambi.
Non si stupì che sua sorella Emilie la trovasse interessante.
Quel pensiero lo riportò al presente, al nocciolo del problema.
 
«Dove stiamo andando?» chiese, stringendosi nel mantello quando realizzò di star tremando per il freddo «Mia sorella è con te?» domandò.
 
Cappuccetto Rosso sorrise, rivolgendogli uno sguardo quasi compassionevole.
Scosse il capo.
 
«Lei è lì» gli rispose, indicando con un cenno del capo la gigantesca e spettrale sagoma del castello che si stagliava con le sue guglie contro il cielo nero.
 
Era visibile perfino dalla fitta foresta, talmente grande che Gideon si stupì quando la sentì aggiungere.
 
«Ma non puoi arrivarci adesso, soprattutto non di notte. Sei ancora troppo lontano.»
 
Si corrucciò.
 
«Lontano?» chiese, tornando a guardare il mostro all'orizzonte «Non sembra così distante, a vedersi.»
 
Ruby tornò a guardarlo, annuendo ma stavolta con più serietà.
 
«È per via del maleficio.» disse, facendogli poi una domanda che lo lasciò basito «Hai letto il libro prima di venire, giusto?»
 
Gideon si fermò, sgranando gli occhi e trattenendo il fiato. A Cappuccetto bastò questo per capire, più di mille parole.
 
«T-tu...» mormorò allora il giovane uomo, esitando un'ultima volta prima di porre la fatidica domanda «Tu sei sveglia? Ricordi chi sei?»
 
La vide annuire, aprendosi in un sorriso.
 
«Sei stato tu a risvegliarmi.» gli rispose «E ora che sei arrivato, presto lo faranno tutti.»
 
Avrebbe dovuto esserne almeno compiaciuto, invece quella notizia non fece che innervosirlo. Perché era la conferma che Emilie avesse architettato ogni cosa fin nei minimi dettagli.
Sospirò, tirando fuori l'aria dal naso come un drago.
 
«Allora forse saprai rispondermi.» le disse, tornando a guardarla «E ti prego di farlo con la massima sincerità.» fece una pausa, gli occhi di Ruby scintillarono nell'oscurità «Tu...» mormorò, stringendo i pugni «Diresti che mia sorella è un'eroina o una cattiva?»
 
Ruby Lucas sorrise, mostrando i canini affilati in un modo che però non risultò affatto minaccioso, anzi. Era innocente, come un cucciolo, un'anima pura.
 
«Mi hai chiesto di risponderti con sincerità...» disse «Lo farò seguendo il mio istinto. Emilie Gold è un'anima libera, come un lupo. Lei non ha pregiudizi, non ama le gabbie. Il potere, la ricchezza, il dominio sugli altri, non le interessano. Lei vuole una sola cosa: che il suo branco sia felice e al sicuro.»
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo X
 
Era l'alba quando Killian Jones riaprì gli occhi. Il fuoco era spento, gli uccelli, nascosti tra le chiome verdi degli alberi sopra la sua testa, cinguettavano allegri salutando il giorno.
Il castello, pur sempre imponente, era tornato a splendere d'Avorio e oro, lontano all'orizzonte in mezzo ad un cielo azzurro e terso, come un cavaliere nobile e coraggioso scintillante nella sua armatura.
Era stata una nottata difficile, la prima in cui era riuscito ad addormentarsi, ma non senza incubi. L'incontro con quello strano duo, il lupo e il mago, lo aveva turbato e la faccia di quel ragazzo era rimasta a fissarlo tra le fiamme fino a che gli occhi, pesanti e arrossati, non si erano chiusi da sè, sprofondandolo in un sonno che per la maggior parte del tempo era stato solo un buio pozzo senza fondo.
Proprio pochi minuti prima del risveglio, però, un sogno strano, assurdo quasi, lo aveva turbato.
Aveva sognato Milah divorata dallo stesso coccodrillo che gli aveva staccato la mano, le sue urla strazianti lo avevano indotto a sudare e tremare ma ancora i suoi occhi non si erano aperti. Lo stava ancora facendo, quando una visione celestiale aveva spazzato via tutto.
Il sangue, le urla, il freddo mortifero. D'improvviso due occhi verdi e una cascata di capelli dorati invasero il suo spazio, e lui restò a fissarlo per un’infinità indecifrabile prima di riaprire gli occhi, confuso dalla luce del sole.
La luce... Era quella che aveva visto? Se così era stato, perché quegli occhi gli erano sembrati per un momento l'unica cosa reale in un mondo fatto di illusioni? Quella sensazione rimase per un po', mentre la vita riprendeva pigramente.
Bevve un po' del rhum nella fiaschetta che aveva portato con sé, lavò il volto stanco con l'acqua fresca di un ruscello vicino e si chiese, specchiandosi sulla sua superficie cristallina, cosa fosse quella confusione che aveva invaso la sua mente.
Ma a differenza di Tremotino e di sua figlia, lui non aveva nessuno a cui confidare quei pensieri, nessuna voce amica che lo aiutasse ad aggrapparsi a quei ricordi.
Così, dopo appena dieci minuti di cammino e a mezz'ora dal risveglio, la potente magia illusoria che permeava quel regno tornò ad offuscare la sua mente e quei ricordi svanirono, risucchiati e sepolti sotto la maschera che Emilie gli aveva affidato: quella dello sfortunato protagonista travolto e ucciso dagli eventi.
Si ritrovò a fissare il cielo azzurro, i pensieri che vagavano stanchi e annoiati da una nube dalla forma strana al volo rapido di un uccello.
Erano trascorse quasi tre ore quando uno scalpiccio di zoccoli lo indusse a voltarsi, e nel farlo vide un carretto carico di tronchi d'abete, trainato da un vecchio calesse con un paio di purosangue, avanzare verso di lui.
Alla guida vi era un uomo anziano dalla faccia barbuta e sincera, accanto a lui sedeva un ragazzetto dal viso angelico con un cappellino rosso a punta sui capelli rossicci, vestito con un abito a bretelle dello stesso colore del cappello e sotto una camicia bianca.
La cosa più strana di tutte fu notare che il vecchio stesse parlando con un grillo seduto proprio sulla sua spalla, vestito di tutto punto con frac, cilindro e perfino con un piccolo ombrellino stretto tra le zampe, a mo' di bastone da passeggio.
Lì per lì non era neanche riuscito a notarlo, lo fece solo quando furono abbastanza vicini da potersi guardare negli occhi.
Nel vederlo sul ciglio della strada, il vecchio fermò i cavalli e gli rivolse un sorriso gentile.
 
«Oh, salve!» lo accolse.
 
Jones alzò la mano buona in segno di saluto e sorrise.
 
«Heya.» replicò.
 
Il bambino e il grillo si acquietarono, ma l'insetto nel fissarlo sembrò scurire la sua espressione, e notandolo il marinaio pensò che fosse per via dei suoi abiti, effettivamente un po' troppo loschi.
 
«Siete un pirata?» chiese il ragazzetto, venendo subito bonariamente rimproverato dall'uomo anziano, in evidente imbarazzo.
«Suvvia, Pinocchio. Non sono domande da fare queste, a uno sconosciuto.»
 
Tuttavia, per niente offeso e neanche tanto sorpreso in realtà, Killian Jones si limitò a sorridere scuotendo il capo.
 
«Nessun problema, il ragazzino ha ragione.» disse, affrettandosi quindi ad aggiungere «Dev’essere per via dei miei abiti. Ma non sono un pirata, no. Mi chiamo Killian Jones, sono un pescatore. Sono in viaggio per richiedere un'udienza con la Principessa.»
 
Ancora una volta, mentre il vecchio e il ragazzo sorrisero rassicurati, il grillo lo fissò impensierito.
 
«Oh, se è così puoi unirti a noi» fece l'uomo alla guida del carro «Io sono Geppetto, e questo è mio figlio, Pinocchio. Sono il falegname di corte, e sto andando proprio al Castello.»
 
Ma a quel punto l'insetto si intromise, volando verso l'orecchio del falegname per sussurrargli qualcosa che Killian non riuscì a sentire.
 
«Oh, sciocchezze!» esclamò però Geppetto, facendo quindi segno a lui di avvicinarsi «Coraggio, salta su. Ti ci vorranno molto meno tempo e fatica.»
 
Sinceramente grato, Killian annuì e si accomodò vicino al bambino, che gli lasciò un po' di spazio sulla panca e per tutto il tempo non fece che osservare la sua mano mozza con un misto di curiosità e inquietudine. Avrebbe tanto voluto chiedergli come si fosse fatto quella ferita, ma Jones capì che voleva evitare di essere rimproverato di nuovo, e a lui di certo non andava di parlarne, quindi preferì far finta di nulla.
Parlarono del più e del meno, mentre i cavalli proseguivano a passo veloce il cammino. Per tutto il resto del viaggio, il grillo non fece che fissarlo in silenzio, facendo ogni tanto qualche osservazione saggia o qualche domanda arguta, ma mai perdendolo di vista.
Fino a che, finalmente, a mezzogiorno e mezza il lungo sentiero non li condusse proprio sotto le mura del castello, che da vicino risultò essere molto più splendente ed imponente di ogni più rosea immaginazione.
 
«Dite, siete già stato a corte?» chiese curioso Geppetto, mentre attendeva che il ponte levatoio fosse del tutto abbassato.
 
Per rispondergli, Killian dovette lottare contro la quasi ipnotica sensazione che lo spingeva a restare con la bocca spalancata e il naso all'insù, a fissare le mura solite e bianche stagliarsi contro il cielo azzurro.
Non c'erano guardie nei bastioni, o meglio lui non ne scorse. Niente arcieri, né sentinelle armate.
Le uniche erano poste all'ingresso, due nelle torrette che sostenevano il cancello e quattro ai lati di esso. Le prime indossavano solo una cotta di maglia con un leone rampante rosso su sfondo bianco, e brandivano arco e frecce. Le seconde invece indossavano un'armatura senza elmo e come unica arma avevano una grossa e affilata alabarda. Erano quattro uomini alti, spalle larghe e visi truci. Le loro armi e le loro armature erano talmente lucide da scintillare sotto il sole di mezzogiorno.
Quando il carro si accostò loro, bastò un cenno e un saluto amichevole da parte di Geppetto perché le loro espressioni diventassero meno dure. Lo salutarono come se si conoscessero da sempre, poi squadrarono lui.
 
«E questo pirata? Chi è?» domandò quello che doveva essere il capitano, un uomo pelato con una brutta cicatrice a sostituire l'occhio destro.
«Oh, lui è con noi.» disse allora il falegname «Gli abbiamo dato un passaggio.»
 
Killian si affrettò ad annuire.
 
«Mi chiamo Killian Jones.» si presentò, cercando di mostrarsi più cordiale possibile «Sono un pescatore, provengo dal villaggio a sud della baia dei pirati. Sono venuto per incontrare la Principessa.»
 
A quella notizia, tutte le guardie sembrarono irrigidirsi. Il capitano lo squadrò da capo a piedi, facendo un passo indietro e sostenendo il suo sguardo.
 
«La Principessa, eh...» mormorò, e anche se talmente accennato da risultare quasi invisibile, Jones fu sicuro di scorgere un sogghigno beffardo sulle labbra sottili.
 
Lo fissò ancora per un istante in silenzio, poi annuì, e gli ordinò di scendere.
 
«Vieni con me, tu.» gli disse, poi salutò con un sorriso affabile Geppetto e suo figlio «Voi potete andare. Lunga vita al Re!»
«Per i secoli dei secoli!» rispose Geppetto, salutandolo con un cenno della mano «Buona fortuna, Killian Jones!»
 
Questi sorrise, restituendo il gesto di saluto e guardandoli scomparire tra la folla.
 
«Bene, ora veniamo a noi.» fece a quel punto la guarda, quindi lo prese per un braccio e lo condusse dentro al piccolo abitacolo al piano terra della torretta est, che fungeva da armeria e ufficio doganale.
Richiuse la porta, quindi estrasse una pergamena da una grossa bisaccia di cuoio e la srotolò sull'unico tavolo presente, intingendo una lunga piuma nera dentro al calamaio e porgendoglielo.
 
«Firma qui!» ordinò, fissandolo.
 
Killian si corrucciò, avvicinandosi e dando un'occhiata al testo. Sembrava un contratto, sigillato con il sigilo reale. Ma la scrittura era così rapida e arzigogolata che non riuscì a comprendere nulla del testo, con una prima occhiata veloce.
 
«Cos'è?- chiese quindi.
 
La guardia sbruffò, seccata, seguitando a fissarlo.
 
«Vuoi incontrare la Principessa? Sarai responsabile di ogni tua azione che possa nuocere a lei e alla famiglia reale.» gli spiegò, sommariamente e con poca voglia «Se dovessi tentare di far del male a uno dei membri della famiglia reale verrai giustiziato. Se sei un mago oscuro o un sovversivo, verrai condannato a morte senza subire un processo.» a quel punto si fermò, e gli rivolse un lungo, famelico sorriso «Vuoi incontrare la Principessa? Se le tue intenzioni sono malvagie, non avrai scampo. Se non firmi, verrai arrestato e processato.»
 
Killian Jones rabbrividì, il fiato gli si gelò nei polmoni e il sangue gli si ghiacciò nelle vene. Nessuno gli aveva mai parlato di contratti, condanne a morte o processi per tradimento. Ogni giorno al Castello arrivavano centinaia di pellegrini da ogni parte del regno per chiedere udienza alla famiglia reale. Nessuno di loro, una volta tornato a casa, aveva mai fatto cenno alla firma di un contratto o alla possibilità di essere condannato a morte per direttissima. Perché? Mentre la sua mente si agitava alla ricerca di una spiegazione, fu tentato di fare un passo indietro ma la guardia lo stava ancora scrutando, molto attentamente, in attesa. Lo stava mettendo alla prova?
Tremò, di nuovo, fissando il pennino tra le dita di ferro dell'uomo che continuava a mostrargli i denti in una smorfia malignamente divertita.
Poi però si ricordò del vero motivo per cui era lì. L'unico motivo. Gli occhi di Milah, il suo sorriso, la prospettiva di crescere un figlio insieme.
Questo bastò a restituirgli il coraggio. Riprese il controllo del proprio corpo, afferrò il pennino nero e senza più esitazione firmò, sbottando deciso.
 
«Al diavolo! Non sarà uno stupido contratto a fermarmi.»
 
La Principessa. Lei era l'unica in tutto il Regno in grado di restituirgli speranza. Avrebbe venduto anche l'anima pur di poterla incontrare solo per un breve istante.
 
***
 
La notte per Gideon era trascorsa tranquillamente.
Ruby lo aveva accompagnato a casa sua, dove Granny l'aveva accolta con un abbraccio commosso e l'aveva tempestata di domande grazie alle quali il giovane uomo aveva capito che anche lei si era svegliata dal sonno dei ricordi, nel momento stesso in cui Ruby era entrata in casa.
Subito dopo, la lupa li aveva presentati, e se sulle prime lui era stato soggiogato dal silenzio indagatorio della donna, si era rilassato quando l'aveva sentita chiedergli
 
«Emilie viene dal futuro, quindi immagino che anche tu lo abbia fatto. Hai fame? Il viaggio deve essere stato faticoso.»
 
Gideon si era sciolto in un sorriso, annuendo.
 
«È stato complicato, si. E ho un po' di fame, in effetti.» aveva risposto toccandosi lo stomaco.
 
Aveva usato un eufemismo, in realtà. Lo stomaco doleva, si contorceva, e la nausea gli attanagliava la gola. Non riusciva più a distinguere se fosse per colpa del salto compiuto o del tempo trascorso. Non aveva toccato cibo praticamente dal suo arrivo a Storybrooke.
La nonna a quel punto aveva annuito, gli occhi illuminati da un impercettibile sorriso.
 
«Bene.» aveva decretato.
 
Gli aveva offerto un piatto abbondante di stufato di cinghiale, acqua fresca di sorgente per placare la sete e un letto comodo in cui sprofondare le stanche membra. Mentre cercava di addormentarsi, il pensiero corse a sua sorella e il cervello esaminò fino all'ultima sillaba le parole di Granny su di lei.
 
«Non mi fido ancora di lei.» aveva detto «È colpa sua se siamo qui, e non so cosa abbia in mente. Ma mi fido dell'istinto di un lupo...» aveva aggiunto, guardando sua nipote «E del fatto che neanche io, per quanto mi sforzi, riesco a sentire puzza di carogna quando la incontro. Neanche tu lo sei.» aveva concluso tornando a scrutarlo con attenzione.
 
L'istinto del lupo. Si era addormentato cercando di decidere se quelle parole fossero una dolce ninna nanna o un funesto canto funebre, e nel sogno i ricordi si erano mescolati. Non ricordava suo padre come il Coccodrillo, non lo aveva mai visto come tale. Eppure nel sogno sentì una risata simile a quella, vide sua sorella danzare attorno a un fuoco vestita come lui, la pelle del completo da Coccodrillo che si confondeva con le squame che le ricoprivano il volto da bambina e le mani affusolate. Avrebbe dovuto non sembrare più lei. Avrebbero dovuto, come nella maggior parte dei sogni che la gente faceva, essere diversa, distante dalla reale immagine. Invece si paralizzò inorridito nell'osservarla voltarsi verso di lui e sorridergli con una smorfia larga e cattiva, gli occhi grigi scintillanti di una luce opaca, scoprendola identica alla Emilie che ricordava. Allora un pensiero aveva attraversato la sua mente, fugace, ma troppo forte per essere ignorato.
Quello non era un sogno, era lei, la sua piccola, dolce e letale sorellina Emilie, proprio come aveva detto Isaac. E proprio in quel momento Emilie si era lasciata andare ad un'altra risata ossessiva, frenetica, ricominciando a danzare.
Una mano di donna, raffinata ma forte, aveva afferrato la sua spalla. Si era voltato, e due occhi neri pieni di una luce malefica avevano incrociato i suoi: Sua nonna. La fata nera.
Non li ricordava, non avrebbe dovuto farlo, eppure di nuovo lo fece.
E nel momento stesso in cui la sua coscienza era stata risvegliata la donna rise, carezzandogli la guancia con la punta fuligginosa delle dita.
Avrebbe voluto arretrare, divincolarsi, scacciarla. Invece tutto quello che riuscì a fare fu restare immobile a godersi quella carezza, accettando con cuore pateticamente grato le sue false parole.
 
«Bravo bambino.» gli disse, con una dolcezza materna che non le apparteneva e stonava così tanto coi suoi occhi cattivi e i suoi abiti neri da angelo della morte «Va’ a divertirti con tua sorella.»
 
E all'improvviso la repulsione svanì è un desiderio insano di obbedirle si impadronì di lui. Provò ad opporsi, in tutti i modi e con tutte le sue forze, e lei dovette capirlo perché tornò a ridere beffarda, alzò una mano e gli mostrò qualcosa che stavolta lo terrorizzò così tanto da indurlo davvero a svegliarsi: il suo cuore, pulsante e vivo, stretto tra quelle dita macchiate di fuliggine. Incatenato a oscuri propositi.
Si ridestò di colpo, sbarrando gli occhi verso il soffitto ed inalando aria come se avessero appena tentato di soffocarlo, ma per fortuna l'alba era sorta da un'ora e sia Granny che sua nipote erano uscite a raccogliere legna e acqua.
Si mise a sedere, prendendosi la testa tra le mani e sentendo il cuore balzargli in gola. Per lo meno quello era il segno che nessuno aveva provato a strapparglielo dal petto.
Sospirò profondamente, appoggiando una mano sul petto e reggendosi con l'altra al materasso imbottito di paglia.
La testa gli doleva da impazzire, e girava forte, come se lo avessero appena colpito sulla nuca, tanto da costringerlo a rimettersi sdraiato e fissare il soffitto, senza alcun pensiero in mente.
Non ne volle nessuno. Neanche quello per cui era lì, in quel mondo fatto d'illusioni. Richiamò alla mente l'ultimo esame sostenuto e ripassò quelle informazioni banali, come l'ultimo appiglio a cui aggrapparsi, ma ben presto si rese conto di non riuscire a pensare senza che il mal di testa lo tormentasse, quindi alla fine si arrese e rimase a fissare il soffitto fino a quando, mezz'ora dopo la porta non si spalancò e Ruby fece ritorno.
Come un tarlo, quell'incubo lo tormentò durante la breve colazione, fatta di latte fresco e torta di mirtilli selvatici, che consumò distrattamente.
Era quasi mezzogiorno e loro erano in viaggio da più di tre ore, ma lui continuava a combattere contro quei ricordi bruscamente riemersi e la sensazione spiacevole che gli davano, passo dopo passo, respiro dopo respiro.
Ruby se ne accorse, ma non disse fino a che non furono arrivati di fronte all'entrata di una caverna inserita in una gigantesca parete rocciosa.
 
«Siamo arrivati.» fece, e lui si riscosse bruscamente come dopo un pesante tonfo.
 
Si guardò intorno, e per la prima volta i suoi occhi videro ciò che lo circondava.
Una fitta foresta di pini alle spalle, un ampio spiazzo erboso e poi una montagna che si estendeva in alto, fino a scomparire oltre una fitta coltre di nuvole.
 
«Mh?» bofonchiò, e la fissò sbattendo le palpebre, corrucciandosi «Una grotta?» chiese spostando lo sguardo da lei all'entrata buia.
 
Ruby annuì seria.
 
«Da qui in poi dovrai proseguire da solo.» gli spiegò «Questa è la via più sicura per entrare al castello. Ti condurrà direttamente nei sotterranei. Una volta lì, cerca una guardia reale con un pennacchio rosso sull'elmo e un cuore sulla gorgiera.»
 
L'istinto si mosse prima della mente.
 
«Il fante di cuori.» bofonchiò Gideon, e Ruby sorrise annuendo.
«Lui sa chi sei, ti condurrà da Emilie.» confermò.
 
A questo punto avrebbe potuto salutarla e riprendere il cammino, ma non riuscì a evitarsi di porre quell'altra, fatidica domanda.
 
«Hai detto … che questa è la via più sicura. Perché?»
 
La vide scurirsi di nuovo, guardandosi intorno come se stesse prendendo tempo cercando di decidere se svelargli quel mistero o no. Alla fine decise di farlo.
 
«Ogni giorno, persone da ogni angolo del regno decidono, per un motivo o per un altro, di chiedere udienza alla Principessa. Ma … la magia ha sempre un prezzo. E così anche i suoi favori.» narrò, come se stesse leggendo un passo del racconto in cui era intrappolata.
 
Gideon rabbrividì di nuovo, stavolta più visibilmente. Certo. Avrebbe dovuto aspettarselo. Ma … una parte di lui continuava a non voler né vedere, né pensare. Anche se il canto della Emilie del sogno riecheggiava sempre più forte nella sua mente, assieme alla risata della Fata Nera.
Il lupo lasciò cadere gli occhi sulla spada che il giovane uomo portava al fianco, indicandola con un cenno del capo.
 
«La sai usare?» domandò.
 
Gideon si aggrappò all'elsa, annuendo fin troppo frettolosamente. La ragazza lupo sospirò.
 
«Sfoderala allora. Ti servirà.» regalandogli un ultimo consiglio prezioso prima di ritrasformarsi e sparire nel folto del bosco «E non fermarti a riposare, l'ossigeno non è molto e la strada lunga e tortuosa. Buona fortuna, figlio di Tremotino.»
 
***
 
Quando Killian Jones arrivò al castello, Emilie stava duellando con suo nipote Henry con spade di legno e una corona di corteccia d'albero sulla testa. Era un gioco fin troppo familiare: la regina cattiva contro il cavaliere senza paura. Ridevano e si scambiavano battute audaci mentre Emma Swan, che in quel mondo si chiamava solo Emma, li osservava stretta al suo principe: Baelfire.
Erano seduti entrambi su un gigantesco masso nel mezzo del giardino, vestiti di bianco e oro. Al fianco Bae portava la spada che nella realtà era stata del Principe Azzurro, e sui riccioli castani era posato diadema d'oro zecchino, che scintillava ai raggi del sole. Era un serpente attorcigliato attorno ad un filo d'oro, simbolo dell'esercito di sua Maestà, ma non solo. Anche se non se lo ricordava, era il simbolo della famiglia alla quale apparteneva. Un serpente, per rappresentare il Signore Oscuro, e l'oro che richiamava il cognome che Egli aveva assunto a Storybrooke.
Tra tutti i membri della famiglia reale, solo lui ed Emilie indossavano un simbolo simile. Per lui era quel diadema, per Emilie un anello con una lucertola che portava sempre sul dito medio della mano sinistra, simbolo della sua volontà di essere "l'ombrello per i giorni di pioggia" per suo padre, ma anche della sua carica come consigliera reale.
Emma non lo aveva, perché oltre a non appartenere alla loro famiglia era figlia delle uniche due persone che non aveva mai, neanche minimamente, mostrato gratitudine per quello che Tremotino aveva donato loro, e la lista era infinita. Belle indossava, quasi sempre, una spilla a forma di geco, che simboleggiava affetto, benevolenza e fedeltà, e non c'era bisogno di spiegare il perché.
Il regalo per Henry era stato molto più speciale: quale nipote del re, lui portava un bracciale sul polso sinistro. Quale futuro autore che sia Emilie che Mr. Gold stavano tenendo d'occhio, quel bracciale aveva la forma di un serpente che stringeva quel polso più forte che poteva, senza la minima intenzione di lasciarlo andare.
Il quadretto famigliare era perfetto e idilliaco, e il duello si stava svolgendo bene. Con una mossa rapida il giovane principe affondò un colpo che sembrò andare a vuoto, ma poi la spada volò via dalle mani di Emilie e lei rise, alzandole al cielo e dichiarandosi sconfitta.
Risero assieme a lei tutti gli altri.
 
«Sei migliorato.» commentò Baelfire rivolto a suo figlio, applaudendo e battendo una pacca sulla spalla del ragazzo.
 
Questi arrossì ringraziandolo, e anche Emma stava per aggiungere qualcosa, ma una voce li distrasse.
 
«Vostra Altezza. Siete richiesta con urgenza nella sala delle udienze.»
 
Emilie si voltò, riconoscendo subito quel tono. Di fronte a lei si stagliava la sagoma alta di Will Scarlet, in una lucente corazza argento. Portava il suo elmo col pennacchio rosso sotto braccio, e non appena i loro occhi s'incrociarono, lo vide sorriderle con un guizzo fin troppo riconoscibile. Era sveglio.
Questo poteva solo voler dire che …
 
«Killian …» sillabò soltanto il suo nome, senza dar voce alle lettere, in modo che solo lui potesse capire.
 
Lo vide annuire appena, impercettibilmente. E sul suo volto di bambina comparve un ghigno fin troppo eccitato, che si sforzò di spegnere subito.
"Finalmente. È iniziata".
Si scusò con il resto della sua famiglia, poi si avviò con lui e non appena furono abbastanza lontani cambiò i suoi abiti con l'uso della magia oscura. In una nuvola di fumo viola gli abiti da giorno della principessa scomparvero, per lasciar posto a una pomposa veste porpora coi bordi ricamati d'oro e tempestati di rubini e conchiglie.
 
«Come sto?» ridacchiò, mostrando il pezzo forte della sua collezione.
 
Will la osservò con la coda dell'occhio, senza smettere di camminare. Scosse il capo, con un sorriso divertito, scorgendo la punta degli stivali da Coccodrillo.
 
«Li hai portati anche qui?» domandò con una punta di finto rimprovero nella voce.
 
Emilie ridacchiò di nuovo, stavolta in maniera fin troppo simile a quella di suo padre, battendo le mani un paio di volte.
 
«Oh, si!» mormorò tra i denti, con quella vocetta stridula, emettendo poi un'altra risatina, stavolta però più gutturale e inquietante «L'hai visto? Come ti è sembrato?» tornò a chiedere, aggrappandosi al suo braccio come una bambina curiosa.
 
Will Scarlet se la scrollò di dosso, sbruffando seccato ma senza riuscire a levarsela da torno. In realtà la giovane non fu neanche sicura lo volesse davvero, per questo tornò ad aggrapparsi a lui con più forza e gli bloccò il cammino, guardandolo negli occhi.
 
«Allora? Allora?» insistette «Era disperato? Ti pare abbia ricordato qualcosa?»
 
Will sospirò di nuovo, fermandosi e fissandola.
 
«Era disperato, si.» le disse, guardandola illuminarsi di una sadica gioia «Ma tutto quello che ho fatto è stato scortarlo verso la sala delle udienze, in silenzio. Quindi non chiedermi altro, perché non lo so.»
 
Quella risata gutturale si ripeté.
Finalmente Emilie lo lasciò andare e riprese a camminare, allungandosi sulla punta degli stivali e saltellando allegra. Fecero qualche altro passo, lei volteggiando e fischiettando come un uccellino in festa, lui standole dietro svogliatamente, scuotendo il capo e fissandola con un'espressione annoiata.
La osservò con quell'aria indolente fino a che non raggiunsero la porta che conduceva all'interno delle mura, nascosta sotto un romantico pergolato tra due colonne bianche ricoperte d'edera. Emilie afferrò la maniglia, quindi spense la sua esuberanza e si voltò a guardarlo, con un sorriso famelico.
 
«Vai a chiamare, papa. Voglio che assista anche lui.» gli ordinò.
 
Come se sè lo aspettasse, il fante dei cuori sorrise mordendosi le labbra, e annuì, alzando gli occhi al cielo e infilandosi di nuovo l'elmo.
 
«Non temi possa ricordare?»  chiese, prima di lasciarla.
 
Emilie emise un rumore secco sbattendo la lingua contro il palato.
 
«Non saprà neppure della sua esistenza. Digli di restare nascosto dietro il paravento.» disse, poi gli schioccò un occhiolino «Tu invece resterai con me.»
 
L'ennesimo sospiro.
 
«Ovviamente.» disse il Fante, e alla Principessa sembrò che stesse sorridendo.
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo XI
 
«In ginocchio, e aspetta qui.» 
 
Queste erano state le uniche parole che il cavaliere dal pennacchio rosso gli aveva rivolto dopo averlo preso in consegna dal capitano delle guardie, e ancora una volta Killian si era ritrovato ad obbedire senza fiatare, chiedendosi nel frattempo perché, se era vero che ogni giorno pellegrini da tutto il regno giungevano al castello, non ne avesse visto nemmeno uno, né nel cortile interno del castello, né nei corridoi. Aveva continuato a chiederselo per i cinque minuti successivi, mentre in ginocchio e a capo chino era stato costretto a fissare la punta dei suoi stivali contro la pietra dura.
Cinque interminabili minuti, i più lenti della sua vita. Poi d'improvviso la grande porta d'oro in cui era scolpito lo stemma reale si spalancò, e di fronte ai suoi occhi apparve la Principessa, vestita di porpora e oro, seduta sul trono delle udienze, un ampio scranno d'oro zecchino e diamanti sormontato da un baldacchino fatto di legno pregiato e veli di seta azzurra, che lasciavano intravedere un soffitto empito di affreschi dai colori brillanti, rappresentazioni della storia del Cavaliere di Luce. In nessuno di essi il Re era visibile, il suo volto era spesso coperto da un elmo o da una maschera bianca a mezzo volto, ma a Killian Jones non venne neanche minimamente la voglia di chiedersi perché.
La sua attenzione fu calamitata dalla dolcissima Sovrana, che lo fissava con un sorriso benevolo. Sembrava una bambina, il suo aspetto era quello di un angelo protettore e la sua aura era chiara, limpida come la luce del sole.
Alzò una mano verso di lui e lo invitò ad avanzare.
 
«Tu devi essere Killian Jones.» gli disse «Vieni avanti, non aver timore.»
 
Rassicurato da quel tono morbido e premuroso, il marinaio si fece forza e riuscì a rialzarsi, camminando fino ai piedi del trono ma tornando subito a inginocchiarsi di fronte a lei, abbassando di nuovo il capo e appoggiando i palmi delle mani contro il tappeto di velluto rosso che ricopriva il legno del pavimento.
Il Fante di cuori continuava a fissarlo in silenzio dietro la sua armatura, in piedi alla destra del trono. Si impose d’ignorarlo e concentrarsi solo sulla sua richiesta, ma anche così il disagio seguitò ad attanagliarlo. Era strano, come se mille occhi sconosciuti lo fissassero da ogni parte della stanza.
Perfino gli affreschi sembrarono rivolgergli attenzione, i sorrisi trasformati in ghigni.
Probabilmente era semplice suggestione.
 
«Vostra Altezza.» iniziò, cercando di non pensarci e di concentrarsi sul presente «Vi sono grato per avermi concesso udienza e vi sarò eternamente debitore per la vostra magnanimità.»
 
La Principessa seguitò a sorridere, inclinando il capo.
 
«Oh, lo so che lo sarai.» disse, godendosi quell'attimo fino all'ultimo istante.
 
Averlo in pugno a Storybrooke era stato divertente. Ma vederlo ridotto così, a mera ombra di sé stesso, mansueto e devoto come il cagnolino che era sempre stato, le riempì il cuore di orgoglioso giubilo, che crebbe ancor di più quando scorse, con la coda dell'occhio, suo padre osservare la scena da dietro il paravento nero alle spalle di Will. Sorrideva. Divertito e fiero.
 
«Parla dunque.» riprese, tornando a porre la sua attenzione al suo ospite «Cosa ti ha portato al mio cospetto?»
 
Suo padre non sapeva di Milah, della messa in scena che aveva architettato per il Pirata. Sarebbe stato un regalo da parte sua, perciò mentre si apprestava ad ascoltare la risposta voltò il viso verso il suo nascondiglio, facendo finta di osservare il suo fante di cuori.
Ignaro di tutto, Uncino continuò, il volto basso e i pugni stretti.
 
«Vengo per chiedere un'intercessione, Vostra luminosissima Altezza.» disse, ed Emilie per poco non esplose a ridergli in faccia «Mia moglie Milah è stata rapita, la nostra casa è stata bruciata e non so dove possa essere. Ho solo questo indizio.» disse, porgendogli una pergamena bruciacchiata.
 
Dietro il paravento, Tremotino si scurì per un momento, sorpreso. Emilie gli sorrise, poi tornò seria e si rivolse nuovamente al suo interlocutore, raccogliendo dalle sue mani quel pezzo di carta e scorrendolo con falso interesse. Non aveva bisogno di leggerlo, sapeva già a mena dito cosa ci fosse scritto, aveva scelte lei stessa, con cura, ogni singola parola, e l'aveva dettata ad Isaac.
Attese qualche istante, strategicamente in silenzio, poi abbassò la pergamena e assunse un'aria affranta, guardandolo. Era ancora inginocchiato, la testa bassa, gli occhi chiusi.
 
«La prego, Vostra Altezza. La prego, mi aiuti a trovarla. È incinta.» si agitò, affondando le mani nelle tasche del soprabito nero alla ricerca di qualcosa «Ho incontrato una persona, durante il mio viaggio. La Contessa Cruella, lei...» estrasse un piccolo plico e glielo porse, le mani giunte come a pregarla «Lei mi ha dato questo per voi.»
 
Emilie alzò gli occhi su di lui, squadrandolo da capo a piedi, poi fissò il plico e fece una smorfia che poteva facilmente essere scambiata per un sorriso. Si chinò a raccoglierlo, lo srotolò senza perdere di vista il suo interlocutore, e lesse avida il contenuto.
La scrittura di zietta era chiara e sofisticata, con inchiostro nero aveva scritto in mezzo al foglio queste poche, semplici parole.
 
"Ciao Lucertolina,
Devo ammetterlo, hai stile.
Povero tesoro, non maltrattarlo troppo.
Non sono sicura che abbia ricordato, ma qualcosa è successo.
Non trovi anche tu che quei vestiti gli donino?"
 
Una risata perfida, una risata da coccodrillo. Le salì dallo stomaco fino alla gola, ma dovette di nuovo trattenersi, mentre sentiva lo sguardo di suo padre su di sé e anche quello del Fante, che si era voltato a guardarla, senza riuscire a resistere alla tentazione di godersi la scena.
Piuttosto, indosso la sua maschera preferita ed entrò in scena con la migliore delle sue performance.
 
«Oh, Killian Jones …» mormorò affranta «Oh, io …» gli occhi le divennero lucidi, la voce s'incrinò «Io sono affranta, davvero.» scosse la testa, quindi si alzò e lentamente, un passo dopo l'altro come avvicinandosi a un animale ferito, si portò proprio di fronte a lui e s'inginocchiò alla sua altezza, accarezzandogli una guancia umida con la punta delle dita «Io ti chiedo scusa, con tutto il mio cuore. Ma non credo di poterti aiutare, perché vedi … se la regina Ursula ha decretato l'arresto di tua moglie, un motivo deve esserci.»
 
Quale meraviglia! Quale... paradisiaca sensazione di appagamento la invase. Non era quello il Killian Jones che stava cercando di ferire, ma era comunque uno dei tanti che avevano rovinato la vita di suo padre, il responsabile della maggior parte dei suoi guai, e infrangere con quelle parole fu quanto di più vicino alla parola "magico" potesse esserci.
Confuso, stordito, incredulo, il pirata la fissò sbattendo le palpebre. Aveva appena parlato come una mamma che consola il suo bambino, lo stava accarezzando come se fosse un cucciolo ferito, ma le sue parole erano state crude e crudeli. Scosse il capo, senza nemmeno accorgersene.
 
«No, no Vostra altezza, ve lo giuro. Deve esserci stato un equivoco, ne sono certo. Milah non farebbe mai male a nessuno, come potrebbe avere a che fare con questo. Lei non ha mai solcato il mare, non è mai stata con i Pirati ne ha mai incontrato una sirena. La prego!» disse, aggrappandosi alle sue mani e iniziando a singhiozzare «La prego, mi aiuti a ritrovarla! Farei qualsiasi cosa per riaverla con me. Per veder crescere nostro figlio!» stava piangendo come un bambino, quando pronunciò quell'ultima frase.
 
Emilie, gli occhi pieni di una soddisfazione estatica, guardò quello spettacolo pietoso e sorrise. Attese, per lasciare che quella sensazione di atroce dolore gli entrasse nella mente e nelle ossa. Quindi tornò seria e sospirò, alzandosi in piedi e voltandogli le spalle.
Mise un piede sul primo dei tre scalini che conducevano al trono, alzò i lembi della gonna con le mani mettendo in mostra la pelle di serpente degli stivali, e guardò suo padre, che le rivolse un sorriso interessato. Glielo restituì, scoccandogli un occhiolino.
 
«Va bene …» decretò, e i singhiozzi cessarono «Proverò ad aiutarti, mio caro.»
 
Si voltò, per bearsi del sollievo e della profonda gratitudine che apparirono sul volto del pirata.
 
«Ma bada bene» soggiunse alzando l'indice destro «Posso fornirti il denaro e i mezzi necessari per raggiungere la corte della Regina del Mare, ma non potrò far nulla se la condanna sarà già stata emessa.» s'incupì di nuovo, con una strana espressione in volto.
 
Ritornò da lui, si inginocchio e gli appoggiò una mano sul petto, all'altezza del cuore, sollevando le dita come fossero artigli.
 
«Perché vedi, Killian Jones …» mormorò, guardandolo negli occhi con voracità «Le sirene sono creature crudeli. E a un traditore come tua moglie riservano spesso una sola punizione.» un'altra pausa, un sorriso malevolo comparve sulle sue labbra «Gli strappano il cuore dal petto …» sussurrò, mimando quel gesto e osservandolo tremare «E lo divorano, senza alcuna pietà. Fino all'ultima, insignificante goccia di sangue.» concluse, portandosi il pugno semichiuso alle labbra e mordendo selvaggiamente il cuore invisibile stretto tra le dita.
 
La violenza di quel gesto sembrò risvegliare l'uomo, che l'aveva ascoltata fino ad allora come ipnotizzato. Si ridestò scuotendo il capo, e schizzò in piedi, stringendo i pugni.
 
«Non lo permetterò!» esclamò «Io farò in modo che non accada. Arriverò prima che accada, la riporterò a casa, da me.»
 
La Principessa lo fissò con sguardo fiero, quella strana luce cattiva ancora negli occhi.
 
«Allora torna a casa, e aspetta. Avrai ciò che chiedi nel minor tempo possibile.» decretò, guardandolo aprirsi in un sorriso sollevato e pieno di riconoscenza.
 
S'inchinò a lei, e fu solo allora che la vide. La mano mozza. Il suo segno distintivo.
 
«Grazie, Vostra Altezza. Grazie davvero dal profondo del mio cuore.» le disse, appoggiando il braccio menomato sul ginocchio e portandosi la mano buona all'altezza del cuore.
 
Lo congedò, e attese che fosse a un passo dalla porta già spalancata prima di richiamarlo. Il Pirata si voltò a guardarla, attento, e allora lei si aprì di nuovo in un sorriso. Bastò un gesto della mano, e l'uncino tornò al suo posto. Killian Jones lo fissò dapprima sorpreso, poi però una strana espressione colorò il suo volto. Stava cercando di ricordare. La guardò, confuso, e a quel punto la vide sorridergli.
 
«Questo …» disse «è un simbolo del nostro patto. Un regalo da parte della tua magnanima Sovrana.»
 
E Killian Jones, come un povero agnello al macello, sorrise inchinandosi di nuovo a lei.
 
***
 
«Sei una bugiarda coi controfiocchi, lo sai?»
 
Il Pirata era appena uscito dalla stanza quando le parole di Will Scarlett la colpirono. Lo guardò, lasciandosi andare a un ghigno liberatorio.
 
«Lo so…» annuì, gli rispose guardandolo togliersi di nuovo il suo elmo.
 
Si fissarono, una luce complice negli occhi, e finalmente lei poté esplodere nella risata ch'era stata costretta a trattenere.
Aveva il suono del cristallo che si infrange, il Fante di cuore la vide aprire le braccia, fare una piccola piroetta e poi tornare a reggersi lo stomaco.
 
«Ora va! Assicurati che quell'idiota abbia quello che gli serve.» gli disse, riprendendo poi a ridere, mentre finalmente Tremotino usciva dal suo nascondiglio.
 
La osservò compiaciuto.
 
«Il tuo compare ha ragione.» disse, riportandola alla realtà «È stata una recita ammirevole.»
 
Emilie smise di sghignazzare e si voltò a guardarlo, alzando fiera il mento.
 
«Trovi?» gli fece eco, inorgoglita.
«Ah!» fece il Fante di cuori, scuotendo il capo con un sorriso e salutando entrambi con un breve inchino «Eccola che torna a montarsi la testa. Meglio che vada, ho altro di meglio da fare.» concluse ricacciandosi l'elmo in testa e lasciando la stanza da un ingresso secondario posto dietro al paravento.
 
«Si, bravo. Torna al tuo dovere, Fante di Cuori.» lo salutò con la stessa boria lei, ma non ebbe tempo per aggiungere altro, perché suo padre la riportò alla realtà.
«Lascia che ti chieda una cosa.» le chiese tornando a stringerle le spalle con entrambi le mani, invadendo totalmente il suo campo visivo e fissandola dritta negli occhi «Tu come sapevi di Milah. Sono stato io a dirtelo?»
 
La vide farsi seria, ma solo per qualche attimo. Lo guardò negli occhi a sua volta, colse della preoccupazione, e allora sorrise tranquilla scuotendo il capo.
 
«Semplicemente...» disse «Viaggio molto. E durante i miei viaggi...» fece una pausa, allargando un poco il suo sorriso e ammiccando «Come posso dire... mi sono imbattuta in alcune reminescenze.»
 
Oscillò il capo, tornando ad imitarlo. Ma Tremotino non si fece ingannare, non da quel trucco che conosceva fin troppo bene. Piuttosto seguitò a fissarla, mentre la sua mente rovistava nel baule del tempo alla ricerca di quella foto ancora fin troppo nitida.
E finalmente ricordò, quel dettaglio insignificante ma strano, quella voce fuoricampo, quell'ombra appena fuori inquadratura.
Milah non era l'unica donna a bordo della Jolly Roger, quel giorno. Arrampicata su uno degli alberi maestri, mescolata tra la folla disomogenea della ciurma, c'era una ragazza dagli occhi grigi e i capelli castani arruffati dal vento. Indossava una giubba a scacchi nera e oro, stivali in pelle e un pantalone nero con una lunga fusciacca di seta color oro.
Emilie. L'aveva vista solo per un'istante, alla locanda, sul molo e poi di nuovo sulla nave. Quando aveva ridotto in cenere il cuore di Milah, lei era rimasta ad osservare in silenzio da quella cima, e quando lui se n'era andato era sparita anche lei.
Non ci aveva fatto caso, quel giorno. Troppo coinvolto. Troppo concentrato sulla sua missione per badare a un'ombra sullo sfondo.
Ma ora... tornò a guardarla, e quel sorriso malevolo lo colpì in pieno petto, facendogli tremare il cuore.
Sua figlia...
 
«Tu eri lì, quel giorno...» mormorò, e la vide annuire mordendosi il labbro, come faceva sua madre ogni volta che qualcosa accendeva il suo interesse.
 
Ancora una volta, l'immagine di Lacey si frappose alla sua. Sapeva ciò che si aspettava da lui, quella ragazza. Ma tutto ciò che riuscì a mostrarle fu uno sguardo appesantito dalle lacrime. Era una storia già vista. Con Baelfire, con Belle. L'oscurità in lui che sfiorava cuori puri trasformandoli in carbone.
E, per la prima volta da che l'aveva incontrata, ebbe paura per lei.
 
«Oh, Emilie...» mormorò, la voce già incrinata dal pianto.
 
Ma lei lo fermò, appoggiando l'indice destro sulle sue labbra e prendendolo per mano.
 
«No, papa...» mormorò, dolce, come fosse un bambino da far addormentare «No, non devi. Lo so. So già tutto, e non farò un solo passo avanti, o indietro.»
 
Lo fissò, sorridendogli teneramente. Infine, tornando ad accarezzare i suoi capelli, si allungò sulla punta dei piedi e gli lasciò un tenero bacio sulla fronte.
 
«Non piangere.» lo implorò, seguitando a sorridere con l'innocenza di una bambina «Sorridi, ti prego. Io sono esattamente dove vorrei essere. Lasciami essere il tuo ombrello nei giorni di pioggia, in tutti gli uragani della tua vita.»
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo XIX
 
Sebbene non fosse sua abitudine sottovalutare gli avvertimenti, quando era entrato nella grotta Gideon aveva teso a sottovalutare quello di Ruby, per un buon tratto di strada. Non sembrava un'ambiente tanto pericoloso. Certo, era pieno di vicoli ciechi e un po' cupo, ma tutto sommato non diverso da altre grotte che aveva avuto occasione di visitare. Passeggiò tranquillamente guardando col naso all'insù le stalattiti dalle forme assurde che pendevano dall'alto soffitto, ma d'un tratto fu costretto a fermarsi, perché dopo un piccolo arco che lo costrinse ad abbassarsi per passare, la strada s'interruppe bruscamente in un profondo e nero strapiombo e la volta si alzò fino a scomparire nell'oscurità.
Si ritrovò in una gigantesca stanza dominata da fitte tenebre, e per un interminabile istante rimase immobile, incapace di pensare ad una soluzione.
I suoi pugni si chiusero, frementi. "E adesso?" si chiese. "Mi pareva fosse così facile."
Proprio allora, una voce lo chiamò, ma non proveniva dall'esterno, bensì dalla sua mente, da quel sogno che stava a tutti i costi cercando di dimenticare.
 
«Gideon...» cantilenò la fata nera, e con la coda dell'occhio vide un'ombra levarsi ad afferrargli la spalla.
 
Rabbrividì, scattò per scacciarla ma per poco non precipitò dentro quell'abisso, ritrovandosi appeso come un salame ad una corda di canapa consumata.
Guardò in basso seguendo un istinto quasi primordiale, e vide, molti metri sotto di sé, un lungo sentiero male illuminato da una serie di piccole fiammelle azzurre. Fuochi fatui.
Vide anche che la corda a cui era appeso non era altro che una scala a pioli che conduceva fino in fondo alla parete, proprio all'inizio del sentiero.
Il cuore iniziò a battergli forte, strinse i denti e imprecò, sottovoce, dimenticando per un attimo la buona educazione.
Quindi appoggiò i piedi sullo scalino più vicino e iniziò a scendere, lentamente e con cautela, in mezzo al buio e ai crepacci, le mani tremanti e sudate che stringevano forte la corda.
Impiegò molto più tempo del previsto ad arrivare, e quando lo fece, toccare di nuovo terra gli sembrò un miracolo. Sospirò, ma il sollievo durò poco.
Con un mormorio sinistro, il fuoco fatuo che gli stava davanti sparì, riapparendo poco più in là. Guardando meglio, vide che il sentiero su cui si ritrovava era una stretta striscia rocciosa praticamente sospesa nel vuoto. Inoltre, si accorse che il mal di testa era tornato, insieme ad una sensazione opprimente che gli attanagliava il petto e stringeva un cerchio attorno alla testa. Una lieve vertigine lo fece vacillare, costringendolo a cercare di mantenere l'equilibrio allargando le braccia. "Quando in profondità sono sceso?" si domandò, voltandosi a guardare la parete di roccia. Era identica a quella dell'entrata, solo … sottoterra.
Sospirò di nuovo, una leggera palpitazione lo seguì, ricordandogli le parole di Ruby: "Fa in fretta, e non fermarti a riposare. L'ossigeno non è molto, e la strada è lunga e tortuosa."
 
«Beh.» disse scuotendo le spalle «Non credo di avere altra scelta, ormai. Giusto, Emilie?»
 
Infastidito, come se lei potesse rispondergli.
Un passo dopo l'altro, la spada sguainata e gli occhi sempre più ciechi persi nel buio, l'aitante eroe seguì i fuochi fatui che continuarono a tracciare per lui la strada, mentre tutto attorno le ombre sembravano animarsi, sussurrare parole incomprensibili e sogghignare fameliche. Il cammino fu davvero lungo, più di quanto si sarebbe aspettato. Mentre l'ossigeno continuava a calare, lo spettro che l'aveva tormentato in sogno tornò a perseguitarlo, facendosi forte dell'oscurità in cui erano immersi, e a lui sembrò di essere caduto dritto nella pancia di una bestia mostruosa.
Più volte quell'essere strisciante tentò di ucciderlo, di fargli perdere il senno e l'equilibrio. Una risata sommessa, una voce che chiamava il suo nome, che cantava un'inquietante ninna nanna rimasta fino a quel momento nascosta dentro ai cubicoli del suo subconscio. Mani nere che prendevano forma e gli afferravano il braccio, dita che si allungavano a sfiorare la stoffa nera del mantello.
 
«Va' via …» prese a mormorare, sempre più pallido, sempre più perso «Vattene. Tu non esisti. Non sei reale.»
 
Ma lei rideva, in quel modo dolce e al contempo malevolo e terrificante che le apparteneva.
 
«Si che lo sono, figliolo. Sono qui, per te. Vieni dalla mamma …»
 
Mancava appena una manciata di passi quando esplose.
 
«Basta!» sbottò, contro il nulla «Tu non sei mia madre, non lo sarai mai! MAI!»
 
Allora, la risata della fata nera si fece udire più forte e gli parve come se qualcuno gli afferrasse i capelli, strattonandolo e tirandolo fino a farlo urlare di dolore. La vide. Di colpo, lei si materializzò davanti ai suoi occhi e le sembrò fin troppo reale per essere solo un'allucinazione. Gli occhi neri bramosi e ambigui, le labbra rosee, il ghigno prepotente e una corona di piume nere a circondare il viso dolce.
 
«Stupido bambino irriconoscente.» sussurrò, avvicinando il viso al suo «È così che mi ringrazi? Se io non sono tua madre, allora dimmi, dov'è la donna che dice di esserlo? Dov'è ora?»
 
Era un copione già scritto, uno scherzo della memoria, un brutto incubo reso reale dal potere effimero di quel luogo. Ma, pur sapendolo, lui dovette lottare contro sé stesso per reagire e non lasciarsi travolgere, e anche così non fu affatto la vittoria che si aspettava.
 
«Lei è morta!» urlò, colpendola allo stomaco con l'elsa della spada con tutta la forza rimasta e allontanandosi da lei.
 
La vide contorcersi, il volto deformato da una smorfia di dolore, le mani sul grembo. Ma sapeva. Lui sapeva che non era sufficiente, e quando la guardò tornare a ergersi altera e sentì la sua risata sadicamente divertita il terrore si impossessò totalmente di ogni singola fibra del suo corpo, assieme alla consapevolezza.
 
«Lei …» mormorò, mentre lacrime cocenti iniziavano a rigargli le guance pallide e i ricordi tornavano prepotenti ad offuscare la ragione «Lei è morta … dopo avermi amato tanto. E aver vissuto una vita lunga al fianco di …» non ce la fece a finire la frase, perché proprio mentre lo faceva si rese conto dell'inganno.
 
Stava … lui stava giocando davvero a quel gioco?
La fata nera tornò a ridere, perfidamente soddisfatta.
 
«Si, esatto mio caro. Loro sono morti, e ti hanno lasciato qui. Da solo. Con me.»
 
Sbigottito, le braccia abbandonate lungo i fianchi e la punta della spada che sfiorava la nuda roccia sotto la suola dei suoi stivali. D'un tratto, anche l'ultimo frammento di memoria tornò e nulla fu più come prima. La solitudine, la disperazione, la rabbia. Il vecchio Gideon prese il sopravvento su quello che era diventato, e ogni sua certezza andò in frantumi con un fracasso assordante. Fiona tornò a cantare, raggiungendolo e prendendogli il viso tra le mani. Quella ninna nanna … era la stessa che aveva cantato a suo padre, appena neonato.
Incapace di muoversi, totalmente privo di ogni altro istinto, completamente arreso a lei, lasciò che le sue dita sfiorassero i suoi zigomi e lo spingessero a incrociare i suoi occhi
 
«Bambino cattivo. Vuoi fare l'eroe? Credi davvero di esserlo? O sei soltanto un rifiuto, qualcosa che qualcuno ha gettato via?» gli chiese, dolce come una mela avvelenata.
 
Ma proprio allora, quando stava per arrendersi, un altro frammento di memoria lo colpì.
 
«Farei qualsiasi cosa per te, figlio mio.»
 
Suo padre. La sua voce tenera, rotta da un pianto di commozione.
Ancora una volta fu grazie a lui che Gideon riuscì a tornare, perché vi si aggrappò come aveva fatto con le sue mani quando aveva cercato il suo aiuto per sconfiggerla, ed era stato proprio Tremotino a trovare il modo per riuscirci.
Perché era suo figlio, e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarlo dall'Oscurità. Esattamente come allora, suo padre tornò in suo soccorso, a quel ricordo ne seguirono altri e tutta la sua vita tornò, assieme alla ragione. No, loro non lo avevano abbandonato, anzi.
Avevano ricominciato, insieme, e lo avevano cresciuto con amore, come i migliori genitori che avesse mai potuto desiderare di avere. Fino all'ultimo giorno, e anche adesso.
Le lacrime sparirono dal suo volto, proprio nel momento in cui la fata nera stava per agguantare il suo cuore. Le afferrò la mano, stringendola forte fino a farle male, e con coraggio sostenne il suo sguardo iroso.
 
«Ti sbagli.» le disse «Tu hai gettato via tuo figlio. Mio padre e mia madre … loro non l'hanno mai fatto, con nessuno di noi.» sorrise, incontrando la paura in quel volto fino a pochi attimi prima sicuro della vittoria «Ed io non so se sono o sarò mai un eroe. Ma di sicuro non sono un codardo, né il tuo burattino.»
 
Quindi, senza che lei riuscisse a impedirglielo, affondò la lama nel suo ventre e la vide sgranare gli occhi, la bocca spalancata in un urlo muto. Scomparve, dissolvendosi in una manciata di polvere che cadde al suolo, raccogliendosi in un mucchietto di sabbia scura come il carbone. E finalmente Gideon poté concedersi di tremare.
Abbassò il capo, si passò una mano sugli occhi lucidi e asciugò le ultime lacrime intrappolate tra le ciglia.
 
«Questa me la pagherai, Emilie.» mormorò sciogliendosi in un pianto liberatorio che tuttavia durò davvero fin troppo poco, tramutandosi presto in un sorriso bonario.
 
Alzò gli occhi al cielo, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi ci rinunciò, scuotendo il capo. Non ne valeva neanche la pena. Piuttosto, si chinò e raccolse tra le dita una manciata di quella polvere, esaminandola e accorgendosi solo allora della reale entità di quel nemico.
 
«Polvere di fata …» mormorò, facendo una smorfia «Davvero, Milly?»
 
Un luccichio lo distrasse, spingendolo a spostare la propria attenzione verso una strana luminescenza che aveva preso a circondarlo. Sembrava … come se l'aria avesse preso a luccicare, tutto intorno. Ma guardando meglio, vide che tutto il pavimento era cosparso da uno strato sottile di quel pulviscolo. Alzò di nuovo gli occhi al cielo, e solo allora li vide. Centinaia di cristalli, anneriti eppure lucidi, che andavano via via disgregandosi.
Erano loro i responsabili di quelle illusioni, non Emilie. Qualcosa li stava spingendo a disgregarsi, probabilmente la natura effimera di quel luogo, di tutto quel gigantesco sogno ad occhi aperti che era la storia contenuta in quel libro, e la loro polvere, penetrando attraverso i polmoni, era come la peggiore delle droghe allucinogene mai inventate, capace di sfruttare la magia presente in quel posto per rendere vivo qualsiasi sogno o incubo.
Sorrise di nuovo, scuotendo il capo.
 
«Maledetta Principessa pestifera …» sussurrò, asciugandosi di nuovo gli occhi bagnati da altre lacrime, stavolta di stanchezza e sollievo «Ora basta mettermi alla prova.» sibilò deciso, rinfoderando la spada e riprendendo il proprio cammino «Ora verrò da te, e sarà meglio che tu abbia una buona spiegazione per tutto questo.»
 
Ma c'era ancora un ostacola da superare, il più pericoloso di tutti. L'unico che gli avrebbe permesso davvero di trasformare sé stesso in un eroe, o in un cadavere.
 
***
 
Un enorme drago sputafuoco, le squame nere come la pece, gli occhi verdi come due smeraldi fiammeggianti.
Lo attaccò non appena mise piede nell'ultima stanza dell'enorme grotta, trovandolo già esausto dal combattimento con la Fata Nera e dai sintomi dell'atassia, eppure riuscì comunque ad evitare il getto di fuoco che gli scagliò contro, rotolando alle sue spalle appena in tempo per non finire incenerito.
"Ah, dannazione!" sbottò dentro di sé, mentre cercava di decidere se il fiato corto dipendesse dalla carenza di ossigeno o dal fatto che tutto il tempo trascorso sui libri li avesse reso fisicamente incapace di sostenere uno scontro simile.
Tuttavia, mentre cercava di riprendersi un dettaglio del drago lo attirò.
Gli era familiare. C'era qualcosa in quella mostruosa figura che aveva già visto, proprio come era accaduto con Ruby. Furono i bagliori verdastri degli occhi fissi su di lui a suggerirgli la risposta, spingendolo a sorridere, ma non ebbe altro tempo.
Il bestione tornò all'attacco, dispiegando le enormi ali e cercando di agguantarlo con le forti zampe. Riuscì a impedirglielo abbassandosi nuovamente e rotolando, ma un forte dolore alla gamba lo costrinse a terra. Strinse i denti, soffocando un urlo, e abbassò gli occhi sull'arto, trovando il pantalone incenerito all'altezza del polpaccio, e la carne arsa e sanguinolenta.
Di nuovo, imprecò ringhiando tra i denti.
 
«Maleficent!!» urlò, rivolgendosi al drago, che stava per tornare a sputare fuoco contro di lui e stavolta lo avrebbe preso in pieno «Lo so che puoi sentirmi! Maleficent!! Svegliati!!»
 
Di colpo l'imponente bestia si bloccò, con la zampa a mezz'aria e le fauci ancora spalancate. Lo guardò e il bagliore nei suoi occhi si spense, acquistando luce umana. Gideon sospirò, quindi si schiarì la voce e tornò a ripetere.
 
«Non ho intenzione di ucciderti, Maleficent! Ma non voglio neanche morire qui, non è per questo che sono venuto!»
 
Sorrise amaro, guardando la ferita e ripensando a quella frase. Era venuto per Emilie, e il debito che lei aveva nei suoi confronti cresceva di minuto in minuto. Una luce limpida esplose in silenzio, costringendolo a chiudere gli occhi per non rimanerne accecato. Poi una voce si fece udire
 
«Allora non morirai, ragazzo.»
 
Spalancò le palpebre, il cuore in gola, ritrovandosi di fronte la regina dei draghi nella sua forma umana. A parte le corna, la lunga veste nera e lo scettro, non aveva un'aria minacciosa. Anzi, sembrava guardarlo con amore materno, quello vero stavolta.
Sospirò, sorridendo.
 
«Grazie per avermi risvegliata.» gli disse la strega, poi avanzò di qualche passo, afferrò la piccola chiave che portava legata al collo per mezzo di un filo d'argento «Prendi. Questa chiave ti permetterà di accedere all'ingresso delle segrete.»
 
Sembrava tutto così assurdo, ora. Una patetica messa in scena appositamente studiata per farlo uscire di testa. Ma il freddo era reale, e anche il dolore atroce che lo avvolgeva stringendogli la gamba in una morsa lo era. Allungò una mano verso la chiave, la afferrò, quindi annuì con un sorriso e stava per chiederle un aiuto con la ferita, visto che in fondo era stata lei ad infliggerla, quando la vide scomparire in una nuvola di fumo nero e denso.
Sospiro, scuotendo il capo e stendendosi a terra. Chiuse di nuovo gli occhi, appoggiando il palmo della mano destra sulla fronte. Era calda, e sudata.
Lo sapeva che non poteva stare lì a lungo, sapeva che non poteva addormentarsi proprio adesso. La chiave era nelle sue mani, doveva muoversi, in fretta.
Ma la gamba pulsava, il suo corpo era così pesante e i suoi occhi a poco a poco si chiusero. Non seppe dire per quanto tempo restò così, incosciente e abbandonato, ma quando si svegliò, di soprassalto, come se il suo subconscio fosse invece rimasto vigile e lo avesse costretto a farlo, si ritrovò pieno di dolori, col fiato ormai così corto da costringerlo ad annaspare, e con un freddo così pungente ad avvolgerlo da non riuscire a smettere di tremare neanche volendo.
Si mise a sedere, con un movimento un po' troppo avventato. La testa gli girò vorticosamente e il mondo per un attimo finì sottosopra. Chiuse gli occhi, reggendosi le tempie con entrambi le mani. Quando ebbe ritrovato il controllo tornò a guardare la ferita e la trovò ancora lì, macilenta e gonfia.
Doveva curarsi se voleva uscire da li. Ma come? Non aveva portato niente con sé utile allo scopo, una manciata di erbe mediche e qualche benda non avrebbero funzionato. Gli sarebbe servita una soluzione più rapida, come una pozione, o … un incantesimo di guarigione.
Sbatté un paio di volte le palpebre, cercando di ritornare lucido. Certo, ecco la prova regina. Ecco perché Ruby lo aveva chiamato con quello strano nomignolo, "Figlio di Tremotino". Strinse i denti, allungandosi verso la ferita, ma all'improvviso si arrese allo sconforto, scoppiando in un pianto dirotto.
 
«Io non so usare la magia!» mormorò, rabbia mescolata a rammarico, delusione.
 
Emilie, era lei quella brava negli incantesimi, era lei la degna figlia di suo padre. Lui aveva solo la buona memoria di sua madre e il suo spirito perseverante, la passione per i libri. Si ricordò di aver letto un incantesimo utile allo scopo, ma farla funzionare richiedeva un livello maggiore di conoscenza, che lui non aveva. Si abbandonò di nuovo a terra, le braccia spalancate, aspettando la morte. Gli sembrò quasi di sentirla, sua sorella.
 
«Sei un'idiota. Avevi il Signore Oscuro a tua disposizione e non gli hai neanche chiesto di insegnarti qualche trucchetto basilare.»
 
Scosse il capo, il sale delle lacrime bagnò le sue labbra secche. Aprì la bocca per parlare, ma d'un tratto un ricordo attraversò la sua mente. Emilie … lei aveva iniziato a imparare la magia a sette anni, e a una di quelle lezioni aveva partecipato anche lui. Tremotino aveva colto l'occasione di una passeggiata nei boschi per insegnarle proprio un trucco simile. Sua sorella era caduta, scivolando su un masso ricoperto di muschio e seminascosto sotto il terreno. Si era fatto appena un graffio, ma invece di piangere aveva guardato suo padre e gli aveva chiesto, a brucia pelo.
 
«Voglio curarmi da sola. Insegnami.»
 
La richiesta non lo aveva sorpreso, anche se aveva letto un po' di preoccupazione nello sguardo di sua moglie Belle. La bambina però aveva insistito, e allora lui l'aveva accontentata.
 
«Chiudi gli occhi.» aveva detto calmo, prendendole una mano e invitandola a porre il palmo aperto sulla ferita.
 
Sicura e fiduciosa, la bambina aveva obbedito senza esitazione, con un sorriso. A quel punto Tremotino l'aveva lasciata andare, e le aveva suggerito.
 
«Ora smetti di pensare, e ascolta solo con il cuore. Senti l'energia che scorre dentro di te, attraverso te. Ci riesci?»
 
La piccola Emilie aveva seguitato a sorridere, annuendo.
 
«Bene.» le aveva detto suo padre, sorridendo a sua volta «Ora devi soltanto darle una piccola spinta, risvegliarla. Ricorda, la magia vive di sensazioni, è qualcosa che va oltre la logica, si nutre delle tue emozioni. Con lei non puoi fingere. Dalle ciò che vuole, e avrai qualcosa in cambio.»
 
L'aveva vista annuire di nuovo, prendere un grande respiro profondo e distendere i nervi. Solo qualche istante ancora, poi una luce limpida, calda e dorata come quella del sole del mattino si era irradiata dal suo piccolo palmo, e in men che non si dica la ferita era scomparsa e il dolore passato.
Belle era rimasta ad osservare in silenzio alle spalle del marito, un sorriso sottile dietro labbra che non riusciva a concretizzarsi, mentre Tremotino aveva sorriso e lodato sua figlia per la notevole impresa compiuta, lasciandosi abbracciare forte e ascoltandola ridere felice.
Gideon aveva ricordato sempre e solo quel dettaglio, di quell'avvenimento. La paura di sua madre, e aveva fatto di tutto per non inquietarla ulteriormente. Forse per questo si era dedicato ai libri, che erano la cosa che più affascinava Belle. Per farla felice, o per non rischiare che i fantasmi di quel passato che non era mai riuscito a ricorda tornassero.
Per Emilie e suo padre invece la magia non era mai stato un problema, ma la soluzione, anche quando era stata la magia stessa a togliere loro il lieto fine che avrebbero voluto. Sospirò, rimettendosi seduto e tornando ad allungarsi col palmo aperto verso la ferita.
Scacciò le lacrime, schiarì i pensieri e tornò a chiudere gli occhi, richiamando a sé la voce di Tremotino.
 
«Va bene …» mormorò, poi seguì l'esempio della sua sorellina.
 
Rilassò i muscoli, si diede tutto il tempo per sentire l'energia di quel luogo e dentro di sé. Un lento pulsare, appena sotto quello del proprio cuore. Un canto limpido oltre le ombre. Ci volle forse un'istante di troppo, perché non era mai stato abituato a questo, ma alla fine riuscì a canalizzarla e a mormorare speranzoso.
 
«La sento …»
 
Qual era il prossimo passo? Ah, giusto. Sensazioni…
A cosa pensava Tremotino quando la usava? A cosa aveva pensato Emilie quel giorno? Sapeva di non poter contare sui loro ricordi o desideri. No, se voleva farlo funzionare doveva darle un pezzo di sé, qualcosa di potente. Un … pensiero felice.
Felice come l'abbraccio caldo e avvolgente di sua madre, il suo sorriso, le risate innocenti di sua sorella, l'amore premuroso di suo padre, il tramonto alla fine di una lunga giornata, il verde delle gemme sui rami degli alberi in primavera. La sua famiglia unita, prima che tutto quel dolore la travolgesse.
Tutti e quattro attorno a un tavolo consumando un pasto frugale e parlando del più e del meno, sereni, come se non dovesse finire mai.
Fu proprio quell'immagine, l'ultima e la più preziosa che aveva, ad accendere la magia in lui. Proteggere, curare, amare.
Tre parole che il suo inconscio gli suggerì e che innescarono il miracolo. Un calore tenue irradiò il suo palmo, poi una tenue luce chiara illuminò l'oscurità e le sue labbra si mossero quasi senza che lo volesse, recitando l'incantesimo necessario.
Quando riaprì gli occhi, la magia aveva funzionato e la ferita era sparita assieme al dolore. Un largo e commosso sorriso apparve sul suo volto pallido e stanco.
 
«Ce l'ho fatta …» mormorò incredulo, guardando il palmo aperto della sua mano «Ce l'ho fatta!» ripeté, schizzando in piedi e scagliandolo al cielo.
 
Si fermò, osservando la volta scura, quindi trasse a se quel pugno e sorrise portandoselo al petto, mentre lacrime commosse tornavano a bagnare i suoi occhi.
 
«Grazie, papà.» mormorò, riacquistando consapevolezza di sé.
 
"Per non esserti arreso. Per non averci lasciati andare. Per averci amati più di quanto amassi te stesso."
 
Quindi riprese la sua bisaccia e strinse la chiave appesa al petto, ritrovando determinazione.
 
«Ti ho fatto una promessa, e la manterrò. Mi prenderò cura di Emilie, quindi riposa in pace. Tocca a me, ora.»
 
***
 
Le segrete del castello erano un luogo se possibile ancora più tenebroso di quella grotta, ma non appena riemerse dalla piccola porticina in legno una ventata di aria nuova lo avvolse e riuscire a tornare a respirare regolarmente fu bellissimo. Quella parte di castello era stata adibita ad armeria, perciò puzzava di polvere da sparo, zolfo, umidità e olio di ricino, ma ciò non gli impedì di ispirarne profonde bloccate, la schiena appoggiata alla parete fatta di dura pietra e le gambe ancora tremanti.
Si concesse un istante, guardandosi intorno. La stanza era piccola e semivuota, fatta eccezione che per qualche armatura e delle casse piene di armi di ogni tipo.
La porta d'ingresso era socchiusa, fuori non c'era nessuno a guardia del prezioso bottino, se non un soldato addormentato che ronfava alla grande.
Sorrise, abbandonando la chiave su una delle casse e calando il cappuccio del mantello nero sul volto. Uscì in punta di piedi, stringendo l'elsa della spada e stando ben attendo a non fare alcun tipo di rumore. Si mosse come un'ombra, cercando di capire come uscire da quel labirinto. "Trova il Fante di cuori, ti condurrà da lei" gli aveva detto Cappuccetto Rosso.
Cosa sapeva di Will Scarlett? Le favole tradizionali parlavano poco di lui, sua madre che lo aveva incontrato a Storybrooke lo aveva descritto una volta come un uomo spiritoso e romantico, un buono di cuore con una leggera dipendenza da alcol e una paura patologica di finire annegato. Era stato un arciere di Robin Hood, quindi quasi sicuramente amava tutto ciò che sollevano fare gli uomini di quella risma. A ben pensarci, che ci faceva il Fante di cuori con sua sorella? Si erano conosciuti a Storybrooke o ...?
Si fermò a riflettere, nascosto dietro una pila di grosse casse di legno sigillate, ma mentre lo faceva un pennacchio rosso attirò la sua attenzione. Apparteneva a un giovane uomo che al momento stringeva il suo elmo sottobraccio e attraversava svogliatamente il corridoio pieno di guardie, diretto proprio verso di lui.
Gideon trattenne il respiro, prendendo ad osservarlo con più attenzione. Non era affatto come se lo era immaginato, ma forse era meglio così.
Non appena gli fu abbastanza vicino si protese ad afferrargli un braccio, guardandolo negli occhi e aspettandosi di ricevere un rimprovero, o un colpo di spada. Invece l'uomo si limitò a guardarlo, scrutandolo con attenzione dalla testa ai piedi.
 
«Sei Will Scarlett, vero? Il Fante di Cuori.» gli chiese, quando il silenzio iniziò a durare troppo.
 
Finalmente questi si sciolse in un sorriso che più che felice sembrò sollevato.
 
«E tu devi essere Gideon. Dimmi che lo sei, ti prego. Così potrò smetterla di indossare questa ridicola divisa.» disse, laconico, guardandosi con commiserazione.
 
L'aitante eroe annuì, e stavolta lo vide davvero sorridere.
 
«Dov'è mia sorella?» domandò, quasi ordinandoglielo «Che le è successo? La conosci?»
 
Il sorriso si trasformò in una smorfia.
 
«Sfortunatamente, si. Fin troppo bene.» gli rispose il Fante, ma c'era una luce particolarmente affettuosa nei suoi occhi che contraddisse le sue parole «La prossima volta invece di startene sempre sui libri dai un'occhiata a quello che combina la tua sorellina, non immagini che fatica sia stata starle continuamente dietro. Le ci vorrebbe un guinzaglio.» suggerì.
 
Quindi ridacchiò, divertito della sua espressione spaesata e sorpresa.
Gli battè una pacca sulla spalla e gli fece cenno di seguirlo.
 
«Guarda come ti ha ridotto, poveraccio.» commentò facendo strada «Vieni, ti porto da lei e chiudiamo questa storia. Per tutti i diavoli, perché ci hai messo così tanto?»
 
***
 
Quando Malefica aveva riacquistato le sue vere sembianze e i suoi ricordi, Emilie l'aveva visto dalla sfera di cristallo, nel privato della sua stanza. La prima cosa che la regina dei draghi aveva fatto dopo essersi congedato da Gideon era stata raggiungerla e chiederle di sua figlia.
 
«Non si è ancora svegliata, ma non dovrebbe volerci molto ora che mio fratello è tra noi. Puoi aspettarla nel tuo castello, o rimanere qui con noi. A te la scelta» le aveva detto.
 
Dopo un attimo di esitazione la Regina dei Draghi aveva preferito tornare al suo luogo, per riassaporare quelle atmosfere famigliari, lasciandola ai suoi impegni, più urgenti che mai.
Ancora seduta di fronte alla sua sfera di cristallo, Emilie aveva guardato emozionata suo fratello imparare l'arte della magia e un sorriso commosso e felice era sorto sul suo viso quando lo aveva sentito mormorare quel sincero
 
«Grazie papà.»
 
Eppure, quando mezz'ora più tardi lui giunse finalmente al suo cospetto, accompagnato da Will Scarlett che subito si congedò lasciandoli ai loro affari, una miriade di emozioni diverse le zampillarono in petto, lasciandola quasi senza fiato.
Lo scrutò con occhi lucidi, come se non riuscisse a credere a ciò che vedeva. Gideon le rivolse una lunga occhiata seria, che voleva essere di rimprovero, ma la gioia era troppa perché lei ne venisse colpita.
Invece, scorse gli abiti neri logori e impolverati e sorrise contenta
 
«Benvenuto nel mio piccolo antro, fratellone.» lo accolse, scoccandogli un occhiolino «Il nero ti dona.»
 
Lo guardò reprimere un impeto di rabbia. Strinse i pugni e i denti, chiudendo gli occhi e inspirando.
Si diede tempo, e lei glielo concesse.
 
«Emilie...» esordì infine, una nota nervosa nella voce di solito sempre sicura e pacata «Cosa significa tutto questo?»
 
Era l'unica domanda che riuscì a porre. L'unica che non risultasse troppo cattiva e offensiva. Ma per tutta risposta lei inclinò di lato il capo e lo scrutò con genuina curiosità.
 
«Questo cosa?» domandò.
 
E stavolta lui non riuscì più a impedirsi di sbottare.
 
«Questo! Tutto questo!» esclamò con veemenza, allargando le braccia «E quello che hai lasciato indietro. Che cosa stai facendo, Emilie? Cos'hai fatto? Perché hai voluto che venissi, che ricordassi?!»
 
Se fino ad allora lei era rimasta ad ascoltarlo impassibile, quasi distratta, nell'udire quelle parole i suoi occhi si accese di una luce sinistra che conosceva fin troppo bene. Si alzò in piedi, lo raggiunse e lo guardò dritto negli occhi.
 
«Ricordare?» gli fece eco «Quindi hai ricordato? Della fata nera, e di tutto il resto? Quanto?»
 
A nulla servì cercare di evitare il suo sguardo, ogni tentativo di fuggire fu vano alla fine lui fu costretto ad ammettere, sbottando di nuovo.
 
«Tutto, Milly! Ho ricordato... tutto.» mormorò chinando il capo, gli occhi lucidi «Perché hai voluto farmi questo?» le domandò, ma la vide scuotere il capo e allora l'affrontò «Non dirmi che non lo sapevi.»
 
La sentì ridacchiare.
 
«Lo immaginavo, lo speravo ardentemente, certo.» ammise «ma non ne ero completamente sicura.»
 
Rise di nuovo, contenta, battendo le mani.
 
«E dimmi, quando è successo? È stata la polvere di fata, vero?» domandò, più curiosa che mai.
 
Ma Gideon non aveva alcuna intenzione di ricordare. Era stato già sufficiente farlo una volta.
 
«Emilie, basta!» sbottò, con più veemenza del necessario.
 
Se ne accorse guardandola sgranare gli occhi e scrutarlo prima sorpresa, poi affascinata. Mai, in tutta la sua vita, si era ritrovato perdere la pazienza a quel modo. Prese un respiro e cercò di calmarsi.
 
«Ti prego...» mormorò, ricacciando in dentro le lacrime «Ti prego, dimmi che non hai infranto il patto. Dimmi che non hai dimenticato la promessa.»
 
Per la prima volta da che quella conversazione era iniziata, la vide farsi seria, quasi offesa da quell'affermazione.
 
«Io non ho dimenticato un bel niente» rispose «Ricordo tutto di papà, ogni singola parola. Ogni gesto, ogni sorriso e ogni lacrima.»
«Allora, spiegami perché da quando sei partita tutto continua a raccontare il contrario. Prima Killian e Alice, ora questo. Come sei riuscita a salvare Bae, cosa hai fatto per renderlo possibile?»
 
Incrociando le braccia sul petto e facendo un passo indietro, Emilie lo fissò con aria ostile.
 
«Tu cosa credi?» gli chiese, algida.
 
Una semplice domanda, un altro tranello.
Gideon sospirò sconfitto e scosse il capo, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
 
«Io voglio soltanto riavere indietro la mia sorellina.» mormorò, rivolgendole un lungo sorriso tenero «Ma dal tuo ritorno dopo il viaggio con papà non riesco più a trovarla, e mi spaventa l'idea che tu possa essere diventata...»
«Una cattiva?» lo interruppe bruscamente lei, ancora ostile, rivolgendogli un lungo sguardo di fuoco «E se io sono una cattiva tu cosa saresti, un eroe?» poi sorrise, scuotendo il capo «Non cadere in quel tranello, Gideon. Tu sei molto di più di questo. Noi... siamo molto più che questo.»
 
Poi si addolcì di nuovo, si avvicinò e gli prese il viso tra le mani. Dita calde, affusolate, morbide come seta.
 
«Vuoi tua sorella?» gli chiese, come parlando ad un bambino «Eccomi, sono qui. Sono sempre stata qui, non me ne sono mai andata veramente.»
 
E finalmente, per la prima volta da che era arrivato, riuscì davvero a vederla e riconoscerla. Le prese la mano, la strinse contro il suo petto.
 
«Allora torna a casa con me. Metti fine a questa follia, libera Alice e Killian e torna indietro. Sei ancora in tempo, Emilie.»
 
Ma lei scosse il capo, lasciandogli la mano e tornando a porre le distanze tra di loro.
 
«Non posso. Non ancora.» replicò «Fino a che Killian Jones non avrà completato il suo viaggio all'interno di questa storia nessuno di noi potrà tornare indietro.»
 
Lo vide battere spaesato le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di dare un senso a quelle parole.
 
«Killian Jones?» domandò, ricordando il suo incontro con quell’uomo spaesato e così diverso dal pirata che conosceva.
 
La giovane Gold annuì.
 
«Quando ho preso l'occhio di Cronos, ho scoperto le sue regole.» spiegò «Ci sono cose che non posso modificare, eventi che devono necessariamente avvenire e il libro era uno di questi. Tutto ciò che ho potuto fare è stato piegare questo tempo a favore di papà e della nostra famiglia. Killian Jones aveva un debito con noi, più di uno in realtà...»
 
Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra sottili di Gideon.
 
«Quindi hai usato lui come capro espiatorio.»
 
Emilie tornò a ridacchiare.
 
«Non posso dire che non sia stato divertente. Almeno ho potuto prendermi qualche soddisfazione.»
«Ma... io non posso restare... tu hai maledetto Alice, devi salvarla.» le disse, cercando di riportarla a più miti consigli.
 
La vide fermarsi di nuovo a guardarlo, una strana luce malevola negli occhi.
 
«Come sta?» chiese soltanto.
«Come pensi che stia?» le fece eco lui, in tono di rimprovero ma senza riuscire ad essere aspro «Emilie, hai usato la magia nera su di lei!»
 
La sentì ridere.
 
«Certo! In che altro modo avrai potuto attirarti qui, sennò.» gli rispose divertita.
 
Si fermò a guardarla, senza più niente da aggiungere. Era come vederla camminare sul filo del rasoio, ma ogni tentativo di salvarla cadeva nel vuoto.
 
«Comunque non preoccuparti» lo rassicurò, cogliendo l'opportunità di riempire quel silenzio «Quando torneremo a Storybrooke li lascerò andare, promesso.»
 
La fissò, quel guizzo nei suoi occhi gli confermò la verità. Promesse da marinaio.
Forse però c'era ancora speranza per lei. Glielo dicevano i suoi occhi, i suoi gesti, le parole che nascondeva. O forse era soltanto lui che voleva continuare a illudersi.
 
«Vuoi davvero salvarmi, fratellone?»
 
Quella domanda lo raggiunse cogliendolo di sorpresa. Si riscosse, e la guardò.
 
«Allora, ora che sei arrivato, resta un po' con noi.» gli domandò, implorante come quella bambina curiosa ch'era sempre stata «Oppure vai in soccorso del pirata e aiutalo a tornare presto a casa. A te la scelta.» gli rivolse un lungo sguardo affettuoso «Io preferirei che restassi.» gli suggerì «Mi sei mancato. E qui in fondo si sta bene…»
 
Infine sollevò dal tavolo vicino alla finestra, lo stesso su cui era poggiata la sfera di cristallo, una campanella di bronzo e la fece suonare a lungo, fino a che un paio di servitori non entrarono inchinandosi nella stanza.
 
«Scortate il nostro ospite fino alla sua stanza, e preparategli un pasto e un bagno caldo in modo che possa riprendersi dalle fatiche del viaggio.»
 
Gli lasciò un bacio sulla fronte, quindi gli voltò le spalle e uscì dalla stessa porta da cui erano entrati i servi, lasciandolo con un'ultima promessa.
 
«Prenditi tutto il tempo che ti serve. Quando vorrai rivedermi, ora sai dove trovarmi.»

 
 (Continua …)
 
#ouatedit from May the Pasta be with you

Gideon ed Emilie Gold
   
 
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