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Autore: Saekki    02/05/2023    2 recensioni
"...Qualcosa di antico aveva deciso di muoversi, strisciare tra le ombre per reclamare il compiersi di un'antica vendetta. I tempi erano maturi, i venti di tempesta soffiavano forti, il grande disegno si sarebbe compiuto." Calatevi insieme ad Ilyria, la protagonista di questa storia, nel selvaggio mondo di Ophiria. Tra misteri ed antichi rancori, un passato da svelare ed un mondo che scivola sempre più verso il nero abisso, riuscirà la ragazza dai capelli corvini a trovare la propria strada?
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Cap.9- Il ragazzo della foresta.

 

Il primo respiro di quell’aria gelida le bruciò i polmoni, sembrava di aver inspirato migliaia di piccoli aghi che le trapassavano i polmoni senza pietà, si piegò in due Ilyria, tossendo rumorosamente mentre il respiro si faceva più superficiale quasi istintivamente, come se il proprio organismo tentasse da solo di limitare il dolore. Si alzò lentamente, gli stivali che si puntellarono contro quell’unica zona solo marginalmente lambita dal letale gelo che aveva cristallizzato tutto il resto. Il paesaggio le sembrava sempre più surreale di secondo in secondo, quel freddo innaturale aveva macchiato la terra irrimediabilmente, lasciando che tutto si congelasse così com’era in quei rocamboleschi istanti.
Rabbrividì non solo per la temperatura ma al solo pensiero di quello che la terribile magia della Venatores era stata in grado di scatenare, una potenza tanto letale quanto stupenda nella sua esecuzione. 

 

Stando attenta a non scivolare sulla neve e sentendo questa crepitare sotto le proprie suole scese dal carro incastonato in quel velo di ghiaccio. Lentamente si mosse verso la parte anteriore di questo, lo sguardo sconvolto della giovane che scivolò sui cavalli che trainavano il carro. L’espressione di terrore sul volto delle bestie non poteva neppure essere descrivibile a parole, l’indicibile paura che dovevano aver provato nel sentire il loro corpo congelarsi in pochi istanti, il manto che prima era di un delicato e caldo color ruggine adesso era più chiaro, tentando di allungare una mano Ilyria sfiorò quei crini che si sgretolarono come polvere al tatto, ritraendola di colpo e portandola al petto. 

Girando attorno alle bestie immobilizzate in quell’eterna posa la ragazza fece scivolare i propri occhi sulla sagoma ricoperta da uno strato di neve che ricordava un uomo. Accovacciandosi e smuovendo lo strato superficiale per poco non trasalì nel ritrovarsi il volto del soldato colpito alla testa davanti a sé. Portando una mano alla bocca tentò di non rimettere alla vista del cadavere, anche questo totalmente congelato, prima di spostarsi oltre, scendendo verso la cintura di quest’ultimo. Seppure la carne e la pelle si sgretolasse dopo un congelamento tanto rapido, lo stesso non si poteva dire dell’acciaio, il cinturone al quale era assicurata la spada del Venatores si spezzò di netto, liberando il fodero in metallo della spada che adesso Ilyria stringeva tra le mani. Facendo un po’ di forza riuscì ad estrarre anche quest’ultima, constatando come il freddo non avesse leso l’integrità della lama. Non aveva mai usato un’arma, non le era mai servito e non vi aveva mai neppure pensato. Certo tutti i bambini del villaggio fantasticavano sul voler diventare soldati, guerrieri od eroi e spesso si era ritrovata ad incrociare bastoni di legno che con il potere della fantasia erano diventate armi leggendarie insieme agli altri bambini del villaggio. Ma tenere tra le mani una lama vera era tutt’altra cosa. 

Deglutì poco convinta della propria scelta, ma conscia del fatto che non avrebbe avuto altro modo di proteggersi se non provare ad usarla. 

Un pensiero tuttavia le attraversò la mente quando, intenta ad osservare la scena, le iridi violette scivolarono su quelle statue di ghiaccio che altro non erano se non i corpi cristallizzati dei mezzi-uomini sul crinale della collina che fiancheggiava la strada e da dove questi avevano teso la loro imboscata.

 

< Come ho fatto a sopravvivere? >

 

Si ritrovò a sussurrare tra sé e sé. L’incantesimo scagliato da Angelise di certo non aveva risparmiato nulla e nessuno, un’ondata di energia arcana tanto pura e fragorosa che era impossibile avesse fatto distinzioni tra nemici ed amici. Portando lo sguardo verso il basso e facendo scorrere una mano in quel soffice tessuto del mantello che indossava lo sollevò, come per studiarlo meglio, stringendolo tra le proprie dita. Possibile che quell’oggetto non fosse un semplice mantello? E se così era, perché Sylvia possedeva un tale oggetto? E soprattutto perché lo aveva donato a lei e come ne era entrata in possesso?

Una tempesta di domande affollarono la mente di Ilyria mentre tentava di trovare una spiegazione senza tuttavia giungere a nulla. 

 

Risalendo il crinale da dove la principessa aveva sprigionato il proprio potere poté anche lei finalmente vedere la devastazione che aveva afflitto il villaggio che solo poche settimane prima aveva abitato. L’ennesimo nodo le attanagliò la gola mentre discendeva il crinale osservando quella terra macchiata di nero, come se la terra stessa si fosse putrefatta dopo essere stata lambita dal fuoco che aveva distrutto tutto il resto. Ogni passo sembrava essere più pesante del precedente, mentre si avvicinava alle rovine del villaggio ed irrimediabilmente al confine di quelle strie nere che come inchiostro macchiavano il terreno era sempre più titubante, sentiva ogni cellula del proprio corpo fremere mentre il cuore in petto batteva sempre più velocemente. Si accovacciò lentamente, osservando quella terra che ai propri occhi sembrava carbonizzata, allungando titubante una mano ne afferrò una manciata, osservandola sgretolarsi e scivolare come sabbia tra le dita, stranamente tiepida. 

Un brivido le percorse la spina dorsale mente voltandosi si sentì come osservata, gli occhi che tentarono di scrutare tra gli alberi di un boschetto poco distante, una delle tante propaggini del Grande Verde disabitato dai mezzi-uomini e che, al tempo, fungeva da fonte di legna per il villaggio stesso. 

Inoltrandosi tra le rovine il senso di disorientamento crebbe, tutti i punti di riferimento che ricordava non esistevano più, le case rese totalmente irriconoscibili dal fuoco che le aveva dilaniate, solo a tentoni riuscì a raggiungere quella che era stata la propria abitazione per anni. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime mentre osservava quella costruzione ridotta ad un cumulo di travi bruciate, gli occhi che si fecero lucidi prima che una manica strusciasse contro questi ultimi, ricacciando indietro l’amarezza per poi chinarsi ed oltrepassare una trave abbattuta per entrare in quel rettangolo di macerie che solo vagamente ricordava un’abitazione. 

Nulla era più distinguibile, i mobili in legno erano totalmente bruciati insieme alla cucina, senza contare la piccola camera da letto poco distante, l’unico arredo che aveva retto alla terribile distruzione era la base di un camino in pietra. Accovacciandosi davanti a quest’ultimo come aveva fatto centinaia di volte negli anni a venire le sembrò di sentire il fuoco scoppiettare ancora, il dolce calore che la riscaldava nelle fredde sere d’inverno mentre la vecchia Elowen le raccontava storie di eroi e cavalieri. 

Un mesto sorriso le affiorò sulle labbra prima di alzarsi e voltarsi, abbandonando quel luogo nel tentativo di lasciarsi alle spalle quanto più possibile il passato, un modo per proteggersi dalla sofferenza che il semplice ricordare le causava. 

Ma adesso qualcosa premeva più del resto, ossia trovare un modo per tornare ad Acque Grigie. Grazie all’incantesimo di Angelise non aveva modo di spostarsi se non a piedi, le vettovaglie e le provviste presenti sul carro erano state congelate a tal punto che il semplice sfiorarle consisteva nel mandarle in frantumi. Era senza cibo o acqua, in una terra ostile popolata da mezz’uomini e a diversi giorni di cammino dal primo insediamento sicuro. 

Usando un masso crollato dagli edifici circostanti per sedersi si mise a pensare, avrebbe dovuto aspettare i soccorsi? Probabilmente la Venatores la considerava morta insieme ai mostri e di certo una legione non era in marcia per venire a salvare una popolana, senza contare che…

Ilyria rabbrividì al pensiero, cosa avrebbe detto se l’avessero trovata viva? Che era sopravvissuta per pura fortuna? Nessun essere vivente sarebbe uscito indenne da un incantesimo del genere, non di certo una semplice ragazza come lei, l’unica spiegazione plausibile era che avesse usato la magia, ma appartenere alla classe della plebe ed usare le arti arcane corrispondeva ad una condanna a morte. Non era di certo un’esperta di leggi ma sapeva che quella era uno dei pilastri fondamentali della società dell’Imperium, il diritto di usare le arti magiche apparteneva ai nobili e nessun altro. Tutti coloro che ne nascevano in possesso ma non erano altrettanto fortunati da appartenere alla classe nobiliare, andavano incontro ad un destino infausto. Si diceva tuttavia che vi fosse una comunità di maghi nel Grande Verde, umani sfuggiti al controllo imperiale che avevano trovato rifugio in quelle lande popolate da orrori. Ovviamente erano solo voci che mai erano state confermate ed anzi sempre con forza smentite, non era possibile che dei semplici uomini potessero vivere nelle profondità di quella foresta popolata da bestie indicibili.

La ragazza scosse la testa nuovamente, doveva concentrarsi sull’immediato, trovare un modo per sopravvivere e alla svelta. Sollevò gli occhi violetti verso l’alto, il Sole non aveva ancora percorso neppure un quarto del proprio tragitto ad arco nel cielo, questo le dava almeno un vantaggio temporale. 

Osservò la borraccia che era riuscita a recuperare dal carro, quella dalla quale aveva bevuto quando Martius gliel’aveva prestata. Deglutì ripensando alle parole che aveva riservato al ragazzo, si era lasciata guidare troppo dalle emozioni e troppo poco dalla razionalità, nonostante l’apparente gentilezza dell’altro, seppure fosse in definitiva colpa sua se adesso si trovava lei stessa in quella situazione. Scuotendola leggermente si rese conto di come fosse quasi vuota, dandosi un primo obiettivo, riempirla

Mentre si muoveva tra le stradine distrutte del villaggio annerito gli stivali della ragazza affondavano leggermente nella terra che sembrava sabbia color onice, il suono ovattato dei propri passi unico segno di vita in quella landa devastata. Giunta alla struttura in pietra del vecchio pozzo a carrucola posto al centro dell’abitato quasi sorrise notando come la corda, miracolosamente, fosse rimasta intatta. Ilyria si risistemò il vestito ed il mantello, puntellando poi un piede contro il terreno e tirando con forza con entrambe le mani. La carrucola emise un suono atroce che quasi le fece venir voglia di smettere di tirare, il metallo strideva con forza ad ogni strattone ma quando infine il secchio giunse oltre l’orlo del pozzo non fù l’acqua cristallina che decine di volte aveva sollevato ad accoglierla. Afferrando il manico e poggiandolo sul terreno davanti a sé le sopracciglia si corrugarono nel notare come fosse ripieno di sabbia, la stessa sabbia nera che ricopriva il terreno del villaggio. Accovacciandosi allungò una mano per afferrarne una manciata, osservandola scorrere tra le proprie dita, tiepida come la precedente.

Ma un rumore la fece voltare di scatto, come un cerbiatto nella foresta spaventato dal suono di rami che si spezzano, quegli occhioni viola si aprirono al massimo per meglio scrutare il circondario, ogni muscolo era stato teso mentre il respiro era improvvisamente accelerato, sentiva il cuore nel proprio petto battere con una rapidità tale che credeva sarebbe scoppiato. Un brivido le percorse la schiena quando un secondo rumore attirò la propria attenzione, sempre proveniente dalla medesima direzione, le sembrò di vedere delle ombre muoversi rapide tra le casupole diroccate. 

Lentamente la ragazza dai capelli corvini tentò di mettersi nuovamente in piedi, arretrando mentre una mano tremante venne portata all’elsa di quella lama infoderata, deglutendo con forza nel tentativo di guadagnare controllo su sé stessa. 

Lo sguardo della giovane sgranò tuttavia quando, oltre l’angolo di un’abitazione distrutta vide scorgere una figura umanoide, la creatura del tutto simile a quelle che avevano teso l’imboscata al proprio convoglio qualche ora prima, l’unica differenza in questo caso era l’assenza di tatuaggi sulla parte superiore del corpo che sembrava più minuto, meno allenato seppure dai muscoli ugualmente definiti, le corna solamente abbozzate e non ritorte, il volto apparentemente più giovane mentre i capelli corti e corvini coprivano il capo in una zazzera disordinata. Il satiro imbracciava un arco, la freccia già tesa in direzione di Ilyria che seppure paralizzata dal terrore tentò di muovere un passo all’indietro, come a voler frapporre una distanza maggiore tra lei e il mezz’umano. 

 

< Ostanavlivat'sya! >

 

La voce della creatura era insospettabilmente più umana di quanto credesse, cosa che le fece raggelare ulteriormente il sangue. Mentre il satiro si muoveva zoppicando oltre l’angolo del rudere sempre tenendo quella freccia puntata in direzione della ragazza, questa potè vedere il motivo di tale affanno, il pelo della gamba destra sembrava intriso di sangue, che, dopo aver inzuppato il vello, gocciolava a terra. 

 

< Ostavaytes' na meste! >

 

Inutile dire che Ilyria non comprendeva neppure mezza parola di cosa stesse dicendo l’altro eppure, in qualche modo quelle parole le sembravano familiari, il suono di quella lingua aveva una qualche nota nostalgica non ben identificata. Il volto dell’uomo bestia o meglio, del ragazzo, era madido di sudore, lentamente la presa su quella freccia si allentò, lasciando che la corda dell’arco scaricasse la propria tensione mentre il satiro si accasciava in ginocchio, il volto riverso contro il terreno, privo di forze. 

Ilyria colse l’occasione per sfoderare la spada e stringerla tra le mani che non smettevano di tremare, serrando con forza i denti si costrinse ad avvicinarsi alla creatura inerme, tenendo la lama puntata in direzione di questo. Il respiro dell’altro era affannoso, il volto madido e pallido mentre gli occhi dalle iridi gialle e la pupilla rettangolare erano solo parzialmente dischiusi, come se fosse assente. 

La ragazza dagli occhi viola soppesò l’idea di eliminare quella minaccia prima che l’altro, in qualche modo, potesse riprendersi, l’acciaio scintillante puntato in direzione di quel volto che, da vicino, sembrava ancora più umano di quanto non avesse mai immaginato. Serrando la mandibola maledì sé stessa infoderando rapidamente l’arma, le mani che vennero portate alla propria veste, strappandone un lembo sufficientemente grande da poter essere avvolto attorno alla ferita del mezz’uomo. Non era eccessivamente profonda eppure sembrava aver perso una discreta quantità di sangue, per lo meno sufficiente a fargli perdere i sensi. Con un gesto secco e repentino legò ed assicurò quella garza improvvisata così da arrestare la perdita di sangue, per poi trasalire quando sentì stringere, seppur debolmente, il proprio braccio. Voltandosi di scatto vide la creatura osservarla per lunghi istanti senza proferire parola, gli occhi che sembravano emanare un misto di paura e rabbia allo stesso tempo mentre quella mano che l’aveva afferrata lentamente stava perdendo la propria presa, scivolando via insieme alla testa del satiro che tornò riverso contro il nero terreno. 

Ilyria poteva sentire il proprio cuore martellare con forza contro il proprio petto, il ritmo accelerato dopo quel fugace contatto. Nuovamente si chiese cosa stesse facendo, perché si fosse prodigata per aiutare quella che era poco più che una bestia ostile. 

Cosa certa era che non potevano rimanere così all’aperto, almeno lei doveva trovare un riparo ma lasciare il mezz’umano inerme ed indifeso non le sembrò la scelta più etica da fare. 

 

< Fanculo. > 

 

Imprecò la ragazza a denti stretti, si alzò dalla posizione accovacciata che aveva assunto per introdursi in una di quelle abitazioni diroccate. Dopo aver trovato un’asse di legno sufficientemente larga ed averla assicurata alla corda di quel pozzo oramai a secco con uno sforzo fece scivolare il corpo inerme del satiro sulla barella improvvisata, la creatura esalò un gemito di dolore per poi acquietarsi nuovamente non appena Ilyria smise di sospingerla, per poi afferrare la corda ed iniziare a trascinare il satiro ferito fuori dai confini del villaggio. 

 

Lì dove la terra tornava normale e sul limitare della foresta che faceva da confine a Sud rispetto alle rovine di Cohen la ragazza madida di sudore si lasciò cadere all’ombra di un grande albero, espandendo i polmoni al massimo per recuperare quanto più ossigeno possibile. La creatura ancora incosciente ma viva dato il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente seppure in maniera debole. Non poteva fare altro se non aspettare, dopotutto non era di certo una guaritrice, anzi, le poche nozioni che era riuscita ad apprendere da Sylvia erano appena sufficienti per mettere insieme un unguento che potesse alleviare il dolore di una contusione, non di certo curare una ferita, senza contare che con sé non aveva nessun equipaggiamento utile. 

Gli occhi violetti della ragazza si posarono nuovamente sulla figura dell’uomo bestia, risalendo da quelle gambe caprine munite di zoccoli fino al volto di quest’ultimo, dove una leggera peluria accennata annunciava la crescita di una rada barba. Usando la corda la che aveva sfruttato per trainare quella barella improvvisata e tagliandola in due parti legò i polsi e le caviglie della creatura, tentando di stringere il più possibile affinché, nel caso si fosse svegliato, di certo non sarebbe riuscito a fuggire. 

Dopo quella breve operazione osservò il cielo, esalando un sospiro nel constatare come fosse già arrivata a mezza giornata e non avesse né acqua né cibo a propria disposizione, senza contare l’assenza totale di un riparo. 

Esplorando il circondario riuscì a raccogliere il necessario per un campo improvvisato, un cumulo di legna secca per accendere un fuoco da campo, qualche erba commestibile ed inaspettatamente perfino dei funghi.

Mentre il sole scorreva rapido nel suo tragitto ad arco lungo la volta azzurra fin quasi a gettarsi nuovamente oltre l’orizzonte opposto dal quale era sorto ecco che un sorriso apparve sulle labbra di Ilyria che, davanti a sé, era riuscita ad accendere un tenue fuocherello che aspettava solamente di essere alimentato. 

Ed alla luce di quelle fiammelle danzanti, che andavano a rischiarare il buio che l’astro oramai stanco si lasciava alle spalle, che la giovane sentì un gemito provenire dalla creatura che aveva assicurato al tronco di un albero qualche ora prima. Gli occhi viola della ragazza risaltavano alla luce di quelle fiamme che gettavano lunghe ombre, le iridi che scrutavano la penombra per scorgere i movimenti dell mezz’umano il quale, sollevando il capo, portò il proprio sguardo stanco su Ilyria. Le mani di lei si prodigarono rapide per afferrare la spada poggiata poco distante, stringendo frettolosamente l’elsa pur non estraendola mentre il respiro si faceva rapido, pronta a scattare. Sicuramente era più sicura quando sapeva la creatura tramortita, ora che si era svegliata non aveva idea del come comportarsi. Scosse la testa cercando di scacciare quei pensieri che la affollavano, maledicendo la propria stupidità per essersi cacciata in quella situazione. Era stato come incontrare un animale ferito ed inerme, aiutare era la prima ovvia risposta, ma poi? Ora che si trovava lì, alla luce di quel falò nel buio del bosco davanti ad una creatura selvatica, del tutto imprevedibile, non aveva idea di come avrebbe potuto reagire. 

Dal canto suo il satiro si dimenò per qualche istante, constatando come sia le zampe che le mani fossero legate, assicurato poi attorno al tronco di quell’albero non aveva molte opzioni a sua disposizione. Aggrottando le sopracciglia si chiese perché fosse ancora vivo, che l’umana fosse tanto stupida da sottovalutarlo? O che per qualche oscura ragione non avesse paura di lui? Di certo non appariva come una combattente, quel vestito strappato il cui lembo mancante era stato usato per fermare la sua emorragia e le mani tremanti che tenevano quella lama davano l’idea di una popolana in fuga, non di certo di un’avventuriera. 

Ma questi erano altri pensieri, con uno sbuffo ragazzo in parte bestia si lasciò andare, incapace di rimanere per troppo tempo con tutti i muscoli contratti, si sentiva ancora estremamente debole, sicuramente troppo per provare a liberarsi da quelle corde. 

Le iridi color miele dalle pupille rettangolari scivolarono prima sul falò, poi sulla ragazza ed infine sulla sacca in pelle che questa teneva alla cintura. La bocca arsa e la lingua impastata erano il fastidio preminente e, se l’altra non aveva ancora deciso di togliergli la vita, tanto valeva chiedere un ultimo sorso. 

 

< V-voda… > 

 

La voce del mezz’umano era debole, mentre con un cenno del capo provò ad indicare la borraccia che Ilyria teneva al fianco. Dal canto suo la ragazza trasalì, la mano che si strinse con più forza attorno all'elsa della spada mentre un brivido le correva lungo la schiena. Era come sentir parlare un cervo, od un cinghiale, un animale che Ilyria pensava potesse solo emettere versi adesso stava articolando parole in una lingua sconosciuta davanti a lei. Le ci volle qualche secondo per notare lo sguardo dell’altro che puntava alla propria, seppur poca, acqua. Deglutendo nervosamente mise da parte l’arma mentre sganciava la sacca in pelle, svitandone il tappo. 

 

< Acqua? > 

 

Disse lei, la voce vagamente tremula mentre sollevava di poco l’oggetto in direzione del satiro, il tono interrogativo, come se volesse chiedere conferma alla creatura. 

 

< Acqua. > 

 

La voce di questo era sorprendentemente umana seppur macchiata da un accento esotico, come uno straniero che tenta di ripetere una parola appena appresa storpiandola senza pietà. Allungando un braccio mentre l’altro teneva la bocca semi dischiusa Ilyria versò un rivolo d’acqua tra le labbra di questo, che avidamente bevve il liquido fresco e cristallino, una goccia che scintillando alla luce del fuoco cadde sul petto glabro del satiro, rotolando verso il basso e lasciando una scia bagnata sulla pelle del mezz’uomo, prima che la ragazza ritirasse la mano, sedendosi sul terreno davanti a lui, portando lei la borraccia alle labbra e trangugiando le ultime gocce che prosciugarono quel contenitore. Con un sospiro portò una mano al petto, indicando sé stessa, prima di parlare. 

 

< Io sono Ilyria, qual'é il tuo nome? > 

 

Lunghi istanti di silenzio seguirono le parole di lei, lasciando che fosse solamente il vento a frusciare tra le chiome degli alberi e la legna a scoppiettare tra le fiamme del falò di fortuna, melodie accompagnate in modo incostante dalle serenate dei grilli.
Il mezz’uomo sembrò sbuffare, per poi sollevare le proprie iridi gialle e puntarle in quelle violette dell’altra, di parlare. 

 

< Lesnoy. >

 


-- Bentornati in questa fiera della follia! Vi sono mancata eh? Lo so, il capitolo è arrivato in ritardo questa settimana, ma sono stata super impegnata, ero indietro con roba da fare ed indietro con il capitolo, mi sono costretta a finirlo oggi, quell'anticipo di settimana scorsa mi ha sconvolto la tabella di marcia ma volevo farlo(?) anyway come al solito conmmenti, consigli et similia sono super ben accetti, fatemi sapere cosa ne pensate, si apre un nuovo capitolo per Ily o finirà malissimo? Solo il tempo potrà dircelo, alla prossima, bye! <3 <3

   
 
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