Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: coldcatepf98    03/05/2023    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 34 – Tirare le somme

 
Shawn Garret si definiva un uomo abbastanza semplice, molto ligio al dovere, una vita dedicata alla medicina e all’insegnamento. Aveva conosciuto Diya Church quando ormai era un dottore formato nell’ospedale di Trost da qualche anno, prima di allora l’aveva solo incrociata ogni mattina per anni: mentre lui usciva dagli spogliatoi dei medici, lei entrava nella cabina poco distante che tutti chiamavano “delle scartoffie” insieme ad una bambina, uno scricciolo dai lunghi capelli marroni e grossi occhi che schizzavano da una parte e dall’altra curiosi. Vedeva l’infermiera scambiare qualche parola con i colleghi di turno per poi sgattaiolare via, lasciando la bambina a giocherellare in quello stanzino.
Adesso, nel suo studio, aveva tra le mani i documenti che attestavano la sua morte, per la seconda volta nella sua vita. Di certo, quando la bambina si era scontrata per la prima volta contro le sue gambe non avrebbe mai pensato dove quello scontro casuale l’avrebbe portato, neanche avrebbe mai immaginato di riconoscerla tra tanti inservienti anni dopo, né tantomeno che sarebbe stato l’unico suo “parente” in vita. Sospirò e infilò i documenti in una cartella, che poi depose in cima a quelli da trasmettere agli organi centrali e archiviare per sempre.
Passò le mani sulla scrivania, seguendo assorto le venature del legno, quando qualcuno bussò alla porta, riscuotendolo dal senso di nostalgia che l’aveva colto.
- Avanti.
Kerstin aprì cauta la porta e si affacciò all’interno solo con la testa: - Puoi andare.
Shawn annuì mentre l’infermiera richiudeva la porta dietro di sé. Fece un respiro profondo e aprì un cassetto della scrivania da cui tirò fuori una boccetta contenente un liquido trasparente. Con la precisione quasi maniacale che lo contraddistingueva, prese la giusta quantità con una siringa, rimosse l’ago e lo buttò nel cestino mentre infilava il cilindro di vetro nel taschino del camice.
Quante altre volte come allora si era ritrovato a svolgere uno dei favori che Siri gli aveva chiesto? Fin troppe, si disse tra sé e sé. Era grato quello fosse finalmente l’ultimo, almeno, a detta della ragazza.
Non appena uscì dallo studio si voltò da una parte e dall’altra del corridoio per accertarsi che non ci fosse nessuno, soprattutto uno dei suoi allievi che erano sempre alle sue calcagna. Col passare del tempo aveva preso sempre meno allievi sotto la sua ala nonostante adorasse insegnare, eppure, si ritrovava sempre con più studenti a seguirlo di quanti ne avesse approvati, questo gli faceva molto piacere ma oramai era prossimo al pensionamento, la donna che segretamente amava era morta, la sua figlioccia era un’assassina certificata (morta, per di più) e non riusciva più a leggere bene come prima. Decisamente, era arrivato il momento di ritirarsi.
Quando avanzò indisturbato lungo il percorso che gli aveva indicato Siri era quasi arrabbiato che tutto stesse procedendo alla perfezione, aveva quasi sperato si fosse sbagliata in qualche calcolo di orario e che quindi avrebbe incontrato qualcuno lungo il percorso. Invece proseguì senza intoppi, fermandosi qui e lì secondo le indicazioni che gli aveva dato e in men che non si dica si ritrovò davanti alla porta che dava ai sotterranei.
Perché nonostante fosse contro tutte quelle macchinazioni finiva sempre a coprirla, ad assecondare i suoi piani folli e sanguinolenti, era possibile dare una risposta logica?
Tirò fuori la chiave dei sotterranei dalla tasca e rimase ad osservarla mesto, prima di inserirla nella toppa.
Arrivò alla conclusione che non c’era una risposta coerente, motivazioni etiche o moralmente giuste. Il fatto era che l’amava più di quando riuscisse a descrivere a parole. Per lui era rimasta sempre quella bambina curiosa che l’aveva quasi fatto cadere quella prima volta che l’aveva conosciuta.
Si guardò un’ultima volta alle spalle, quindi girò la chiave nella serratura.
 
Erano passate più di tre settimane dall’attacco a Liberio e se all’inizio c’era stato solo qualche sporadico scontro tra corpo militare e civili, adesso nelle strade si poteva assistere a vere e proprie guerriglie, complice anche il fatto che gli Yeageristi si erano uniti alla lotta armando i cittadini. Man mano che sempre più soldati del corpo di ricerca si univano ai rivoltosi, i più alti in grado dell’esercito avevano alla fine convocato Hange per pretendere da lei chiarimenti e soluzioni che il comandante non era stata capace di dare. La seconda volta che poi fu convocata c’era stata un’esplosione al distretto di Shiganshina, in un magazzino delle derrate alimentari destinate all’esercito: con l’intero corpo di ricerca spezzato in due, solo Mikasa, Armin, Jean e Connie erano rimasti col superiore come scorta e unici soldati di cui il superiore poteva fidarsi.
Nonostante fosse un gruppo ristretto di persone, avevano trovato non poche difficoltà a comunicare tra loro a causa di varie vicissitudini che gli avevano tenuti impegnati, oltre che ad essere costantemente sottocchio, infatti, quando salirono in carrozza, si sentirono sollevati di poter finalmente bisbigliare tra loro comodamente. Mikasa fu l’ultima a salire, si guardò attorno e chiuse forte la portiera, segnale che bastò al cocchiere per partire e lasciare alle loro spalle il quartier generale all’interno del Wall Rose.
- Uff, finalmente… - sfuggì a Connie con un sollievo, mentre anche gli altri si allungavano sui sedili, ad eccezione di Hange che guardava furtiva oltre le tende di un finestrino, mentre le altre dall’altro lato furono chiuse strettamente da Mikasa.
- Ben detto Connie. Ma vi ricordo che non possiamo parlare del tutto liberamente. – Hange fece cenno col pollice all’indietro, per indicare il cocchiere oltre la parete alle sue spalle.
Armin annuì compito: - Adesso che facciamo comandante? Era da un po’ che non ci aggiornavamo.
L’altra si schiarì la voce: - Jean, notizie su Bernard?
Jean scosse la testa, l’espressione del viso a dir poco preoccupata: - Ufficialmente disperso. Mi creda, a parte Siri, solo io sarei stato capace di trovarlo. Non credo sia passato dalla parte degli Yeageristi, altrimenti a questo punto avrebbero trovato Levi e Zeke. Non credo neanche sia scappato, ho controllato i contatti di cui si sarebbe servito per farlo, me li aveva lasciati Siri, e anche loro confermano di non sapere assolutamente nulla.
Pyxis? – chiese Hange.
Anche lui non lo sente da più di due settimane, dall’evasione di Eren.
Ci fu un breve silenzio scomodo, segno che tutti stessero pensando alla stessa ipotesi.
Jean sospirò: - Comandante, penso che se Bernard avesse parlato l’avremmo già trovato. Forse sperano ceda o aspettano il momento giusto per fare la prossima mossa.
Mikasa strinse i pugni e disse ferma: - Jean, devi rimanere sempre al nostro fianco. Finché ci sono io sarete al sicuro, se pensano di torturare anche te si sbagliano di grosso.
Jean di fronte a lei assentì confuso mentre Armin ed Hange facevano cenno a Mikasa di tornare ad abbassare la voce poiché nel pronunciare quelle parole aveva alzato i toni.
Hange prese quindi di nuovo la parola: - Spero solo il segnale arrivi il prima possibile. State all’erta, potrebbe arrivare in qualsiasi momento, dovrete essere bravi a captarlo dai miei gesti. Ad ogni modo… Jean, Mikasa ha ragione: camminerai davanti a me e Connie, con Armin. Mikasa chiuderà il gruppo. Farete finta di essere la mia scorta, ma in realtà staremo proteggendo te.
Dei rumori e grida provenienti dall’esterno iniziarono a sentirsi sempre più forti all’interno del veicolo, man mano che si avvicinavano al quartier generale dell’esercito all’interno di Trost.
Mi dispiace essere ripetitiva, ma… - il comandante si voltò col busto verso la soldatessa che sedeva accanto a lei – Mikasa. Non so se Siri sia stata diretta con te o condiscendente, ma voglio accertarmi personalmente che tu sia sicura di farlo.
I ragazzi spostarono lo sguardo sulla compagna che se era in difficoltà da quanto il superiore le aveva appena detto, non lo diede a vedere. I rumori dall’esterno coprivano in parte il silenzio ed erano sempre più forti, mentre la carrozza si avvicinava all’origine del fracasso barcollando di tanto in tanto.
Comandante, per quanto le scelte di Eren possano essere state discutibili fino ad ora, io voglio che sia chiaro che sono sicura lui stia agendo per proteggere tutti gli abitanti dell’isola. Detto ciò… - deglutì – Io credo nel piano.
I suoi amici pensarono che la sua fermezza fosse ammirevole, per quanto tra loro ci fosse qualcuno non proprio fiducioso sul fatto che avrebbe rispettato la parola, e, a giudicare dalle parole seguenti di Hange, non era il solo.
Me lo auguro. Perché qualora dovessi cambiare idea, i sacrifici dei nostri compagni sarebbero vani. Beh, inutile dire che anche le nostre vite sarebbero appese a un filo, se non totalmente finite.
La carrozza si fermò.
- Mikasa. – la ragazza si voltò verso Connie, i piccoli occhi ambra sembravano inchiodarla al sedile – Io conto su di te.
L’amica rimase più colpita dalle parole del ragazzo che da quelle del superiore, sentì il peso della responsabilità più concretamente ma senza sentirsi per questo oppressa.
- Dai, diamoci un taglio, la situazione è già drastica così com’è, non credo che farle venire l’ansia adesso sia opportuno. – disse Jean per smorzare la tensione, poco prima che Hange aprisse lo sportello.
Non appena misero piede all’esterno, il brusio, prima smorzato, crepitò nelle loro orecchie fino a prorompere in un vero e proprio baccano. Attorno al perimetro del quartier generale, i soldati del corpo di gendarmeria avevano alzato una barriera di legno e sacchi di sabbia per contenere i rivoltosi. Ciò che però attirò la loro attenzione fu l’enorme cratere nero e fumante nel bel mezzo dell’edificio, un buco nel bel mezzo della struttura sfregiata da quella che doveva essere stata una violenta esplosione.
- Comandante Zoe. – un soldato a capo di una piccola squadra di gendarmi aveva richiamato l’attenzione di Hange, sul cui volto era dipinta un’espressione scioccata.
Jean, seguito da Armin, si mise davanti al gruppo e sfilarono in silenzio poco distanti gli uni dagli altri, cercando di tenere lo sguardo dritto davanti a loro per non incrociarlo con i soldati degli altri due reggimenti, che invece li fissavano risentiti.
Vennero condotti nella sala dei processi, sul cui banco al posto del comandante supremo era seduto Dot Pyxis, che scoprirono subito avrebbe mediato la discussione tra i corpi militari. Non appena arrivarono di fronte a lui, Jean ed Armin si sistemarono un passo dietro Hange, mentre Connie e Mikasa erano rimasti in disparte vicino le panche dove erano anche gli altri soldati.
- Comandante Zoe, mi dispiace non aver scelto un luogo più informale per il nostro incontro, ma, come avete potuto notare venendo qui, non avevamo a disposizione lo studio del comandante supremo Zachary. In attesa di una nomina ufficiale, farò io le veci del nostro comandante.
- Comandante Pyxis, mi pare di capire…
- Ebbene sì Hange, credo tu abbia compreso perfettamente, ma permettimi di illustrarti i particolari: gli Yeageristi hanno piazzato un ordigno nello studio del comandante supremo Zachary che è rimasto vittima dell’esplosione. Ne eri al corrente?
- Chiaramente no. Sono totalmente estranea alle azioni degli Yeageristi, a cui ci opponiamo fermamente. 
- Non ho motivo di dubitare delle tue parole, ma dato che i soldati che hanno disertato sono quasi tutti del corpo di ricerca, sono tua diretta responsabilità.
- Me ne rendo perfettamente conto. Ma come ho già detto in precedenza, la situazione mi è sfuggita di mano, non ho potuto prevedere le azioni di Eren Yeager né tantomeno dei suoi seguaci.
Si levò un forte vociferare tra i soldati e Pyxis fu costretto a richiamare l’ordine con un martello di legno. Uno tra gli ufficiali del corpo di gendarmeria si alzò in piedi e levò una protesta probabilmente condivisa dalla maggior parte dei presenti nell’aula: - Come sarebbe a dire che non ne avevi idea?! Sei il comandante del tuo corpo o no? Prenditi le tue responsabilità!
Mikasa lo guardò in cagnesco, era davvero coraggioso da parte di una persona come lui esprimersi in quel modo.
Hange si voltò verso di lui impassibile: - Non era mia intenzione affermare nulla del genere. Potrei dimettermi se preferite, ma quella sarebbe una mossa da irresponsabile. Sarebbe il mio successore ad occuparsene, ossia Armin Arlert, che, pur essendo un ottimo soldato, non credo sia ancora pronto a gestire una situazione del genere. – si rivolse quindi a Pyxis – Sarebbe troppo comodo per me lasciare che se occupi qualcun altro, ma credo di avere solo io la competenza e la giusta visione delle cose che mi permetterebbero di affrontare la situazione. Potete scegliere anche un soldato più esperto per sostituirmi, ma sono convinta che nessuno in questa stanza voglia rovinarsi la carriera portando sulle spalle la responsabilità di gestire tutto ciò con una probabilità di fallimento molto alta.
Improvvisamente le voci si acquietarono, il comandante supremo sorrise serafico: - Non credo ci sia altro da aggiungere. Per quanto mi riguarda, il comandante Zoe ha il mio lasciapassare, se non ci sono altre obiezioni, contiamo sulla vostra collaborazione. Per quanto riguarda i volontari invece? Yelena è rimasta confinata qui in città negli alloggi dove è detenuta, ma ce ne sono diversi che mancano all’appello. Era compito del vostro corpo occuparsi di loro.
- Il volontario Onyankopon e un gruppo di altri dodici volontari sono rimasti sul continente, il resto sono a nord delle mura, presumo al sicuro, da quanto sapevo dalle ultime notizie.
Pyxis rivolse il suo sguardo ad un punto poco lontano alle spalle di Hange, che volse di poco il viso per vedere meglio chi si stesse alzando tra la folla per prendere parola: Nile Dok la guardò a sua volta con uno sguardo quasi minaccioso prima di parlare.
- A nord è rimasto l’ultimo baluardo dell’esercito per come lo conosciamo. È già stata eretta una muraglia che divide le due zone all’interno delle mura, la zona a nord di questa comprende fortunatamente anche la capitale e tutto il terreno compreso nel muro Sina. Quello che però preme al corpo di gendarmeria, signore, è che il comandante Zoe faccia chiarezza sui soldati Sigrid Myhre, Jean Kirschstein e Bernard… – Nile si bloccò, non proprio sicuro di aver letto bene – Doe? 
Jean e Armin trasalirono, ma non si voltarono a guardarlo, temendo di apparire colpevoli di qualsiasi peccato volessero attribuirgli.
- Ebbene? – disse Hange, a voce alta e risoluta.
- La soldatessa Myhre, deceduta, risulta fosse l’unica ad essere a conoscenza dell’esatta ubicazione della regina Historia, è corretto?
- Sì, corretto.
- Bene… Secondo le nostre fonti, Myhre era molto vicina ai soldati Kirschstein, con cui condivideva la squadra, e Doe, conferma?
Hange non diede segno di spazientirsi, ma il suo tono era poco condiscendente quando gli rispose: - Per quanto ne possa sapere, è probabile di sì. Lavoriamo tutti a stretto contatto Nile, non vedo come questo possa essere rilevante.
- Credo invece lo sia, visto che il soldato Doe è scomparso e per quanto ne sappiamo potrebbe benissimo star fornendo informazioni agli Yeageristi mentre parliamo, in questo esatto momento.
Quali fossero le fonti di Nile Dok, Hange avrebbe voluto tanto saperlo. Il suo cervello calcolò attentamente cosa dire per cavarsi via da quell’impiccio mentre tutt’attorno a lei si era di nuovo scatenato un fortissimo chiacchiericcio.
- Silenzio! – chiese a gran voce Pyxis – Nile ti prego di spiegarti meglio.
Il gendarme fece per aprire bocca, ma Hange prese subito la parola prima di lui: - Mi pare abbastanza evidente, comandante Pyxis. Ciò che sta insinuando il nostro collega è che Sigrid Myhre abbia condiviso l’informazione con i suoi colleghi. Ma posso personalmente assicurare la lealtà di Myhre al reggimento.
- L’integrità del soldato Myhre non è… non era da dubitare, – decretò Pyxis – Nile ti ringrazio per averlo portato alla luce, ma l’affidabilità di quel soldato è stata già discussa e, se non sbaglio, anche in tua presenza.
Quando il gendarme tentò nuovamente di parlare, Pyxis lo interruppe nuovamente prevedendo dove volesse andare a parare: - Per quanto riguarda la scomparsa del soldato Doe, ammetto di avere dei dubbi anch’io. Quali sarebbero i rischi di un eventuale tradimento anche da parte sua?
Hange inghiottì il groppo che aveva in gola. Incalcolabili. Levi sarebbe in grave pericolo, Jean verrebbe rapito subito dopo. Maledizione, sbrigati.
- Non così gravi da non poter essere gestiti.
Pyxis rimase ad osservare Hange attento, quasi come se stessero avendo una muta conversazione tra loro, gli altri soldati erano rimasti ammutoliti, in attesa che l’uomo decidesse come procedere.
- COMANDANTE!
Una voce affannosa cercava di stagliarsi dal corridoio gremito di soldati, che adesso si addossavano ai muri confusi per lasciare passare un soldato del corpo di ricerca che incedeva verso l’aula.
- Comandante supremo Pyxis! – finalmente il ragazzo riuscì a spuntare all’interno, era tutto trafelato e sudato – Gli Yeageristi… sono diretti alla città! Vengono da sud!
In pochi secondi esplose il caos tra tutti i presenti, Hange lanciò un’occhiata ad Armin che si portò vicino al soldato: - Come hanno fatto a superare l’avanguardia?!
- A quanto pare sono state le reclute del corpo di ricerca…
- Sì, lo confermiamo! – due soldati del corpo di guarnigione emersero dal corridoio altrettanto trafelati, i fucili tra le mani come se fossero il loro tesoro più inestimabile – Hanno eluso i controlli che poi sono stati neutralizzati. Il corpo di guarnigione ha chiuso i cancelli, ma sembra essere solo questione di tempo perché i cittadini scoprano che sono qui, a quel punto…
- A quel punto saremo pronti! – tuonò Pyxis alzandosi – Chiudiamo qui questo teatrino, è chiaro che il capitano Zoe e gli ultimi baluardi del corpo di ricerca collaboreranno con noi, l’alternativa sarà la forca, anche per il sottoscritto che ha garantito per loro. Preparate gli armamenti! E che venga allestito un corridoio umanitario per civili e feriti! Useremo lo stesso per scappare a nord.
La prospettiva della resa non aveva entusiasmato la maggior parte dei presenti, ma dopo che Shiganshina era caduta sotto il controllo degli Yeageristi, il loro movimento si stava spandendo come un’epidemia e tutti si sentivano terribilmente in trappola. Per cui accettarono, seppur controvoglia, gli ordini, ritenendoli i più giusti. L’idea di uscire il prima possibile da Trost e trovare la manforte del nord era materialmente la scelta migliore e che avrebbe evitato sanguinose battaglie, che tutti volevano evitare ad ogni costo, data la questione di Marley ancora in sospeso.
Nella mescolanza di soldati che avevano iniziato a correre da una parte e dall’altra per armarsi il prima possibile, Mikasa approfittò della confusione per sgattaiolare via inosservata. Si tolse il cappotto con gli stemmi del corpo e lo gettò via mentre scivolava tra i soldati accalcati nei corridoi per portarsi il più lontano possibile di lì. Finalmente sbucò in un corridoio vuoto, lo percorse fino in fondo fino a che non svoltò subito dietro l’angolo. Sedendosi, schiacciò la schiena al muro e si sporse di poco per controllare che nessuno l’avesse seguita, il rumore metallico dell’equipaggiamento legato ai pantaloni dell’uniforme da combattimento non le donava molta silenziosità nei movimenti.
Si alzò ma rimase piegata col busto in avanti a mezz’aria: una tremenda emicrania le trapassò il cervello come la punta di un trapano, dietro l’occhio le faceva così male che pensava stesse per scoppiare. Digrignò i denti per il dolore, mentre cercava di alzare il busto. Non poteva rimanere lì ancora a lungo.
Fece un respiro profondo e si prese la testa fra le mani. Quando chiuse gli occhi due grosse lacrime bagnarono il pavimento e quando mise il primo passo verso la direzione giusta da prendere, piano piano il dolore iniziò ad allentare la presa. Ancora con una mano che premeva sulla tempia, con l’altra strinse la sciarpa attorno alla gola, mentre si mordeva le labbra per non singhiozzare.
Continuò a camminare, convincendosi che quello che stava facendo non avrebbe necessariamente portato a qualcosa di male per sé stessa o Eren, ma quel terribile presentimento dentro di lei era talmente remoto che sentiva quasi di essere stata ingannata. E il peggio era che non sapeva spiegarsi il perché.
Arrivò finalmente all’uscita posteriore dell’edificio, prima di buttarsi fuori dal perimetro dell’edificio attese paziente il momento giusto e, con una piccola rincorsa, riuscì a scavalcare il cancello alto tre metri senza particolari sforzi in un unico tentativo. Percorse i vicoli vuoti correndo, la maggior parte della gente era nelle vie principali, chi coi rivoltosi, chi invece nei corridoi umanitari dell’esercito. Quando arrivò finalmente ai cancelli sbarrati a sud, sparò i rampini sulle mura e risalì a tutta velocità, ignorando le urla dei soldati di guarnigione che le intimavano di scendere e andare via di lì. Non appena scese dall’altra parte, dovette affrontare suo malgrado gli stessi soldati che l’avevano seguita e altri che facevano la guardia fuori dai cancelli: non aveva molto tempo per combattere, quindi, come un serpente, s’insinuò tra i soldati sferrando gomitate sulle tempie e calci alla nuca a chiunque gli sbarrasse la strada verso i cavalli, legati ad un palo poco distante. Dopo che un soldato aveva cercato di atterrarla con un pugno che lei aveva afferrato e tirato verso il basso, un’altra soldatessa le venne incontro per fermarla: strinse tra indice e pollice la nuca del soldato sotto di lei facendolo cadere privo di sensi, poi afferrò le braccia della soldatessa e la spinse con tutta la forza dietro di sé, addosso agli altri soldati che cercavano di raggiungerla. Con uno scatto, si gettò verso i cavalli, liberandone uno, salì con un salto sul dorso dell’animale e scappò via verso sud il più velocemente possibile.
S’inoltrò nella foresta davanti i cancelli, ma non fece molta strada perché il suo cavallo venne raggiunto alle zampe da una freccia, che lo fece capitolare in avanti. Mikasa cadde assieme a lui, rotolando nell’erba, per poco non venne investita dall’animale il cui peso l’aveva fatto frenare molto prima di lei, che adesso giaceva dolorante al suolo. Tentò di alzarsi, ma non appena si sedette, un proiettile la sfiorò conficcandosi al suolo.
Mikasa alzò le braccia di scatto a mo’ di resa: - FERMI! Non sparate! Sono dalla vostra parte! – il cecchino fece un passo avanti, venendo allo scoperto – Vi prego! Fatemi parlare con Eren, ditegli che sono Mikasa.
- Non servirà che qualcuno me lo riferisca.
La ragazza si voltò di lato, da dove proveniva la voce: dietro degli alberi emerse proprio il suo amico d’infanzia, scortato da una decina di soldati del corpo di ricerca armati fino ai denti.
- Eren… – si alzò, l’espressione in viso sollevata, ma non appena tentò di fare un passo verso di lui, questo le fece segno di fermarsi.
- Resta dove sei. Perché sei qui, Mikasa?
Improvvisamente le mancò il respiro. Il mal di testa tornò ad affacciarsi pericoloso, ma, fortunatamente, rimase solo un lieve dolore dietro la testa, come un’eco lontano.
- Eren… Io… – socchiuse gli occhi – Sono qui perché non credo che tu sia una minaccia. Non sono d’accordo su come ti ha trattato l’esercito, né tantomeno da come il comandante… Da come Hange sta gestendo le cose. È tutto in disordine, il corpo di ricerca è sull’orlo del baratro e io… io credo in te Eren, l’ho sempre fatto, e non credo tu faresti mai qualcosa che possa danneggiare Paradise.
L’amico rimase a fissarla in silenzio.
- Non crederle, Eren. – esordì Floch al suo fianco – Potrebbe essere una spia mandata per farti fallire.
- Cosa?! – Mikasa si sporse verso di loro incredula, ma si bloccò all’istante non appena i soldati alle loro spalle alzarono i fucili e li puntarono verso di lei.
Il ragazzo gigante sospirò: - Floch ha ragione. Cosa mi garantisce che tu…
- So dov’è Zeke. – a quelle parole i due sgranarono gli occhi – Posso portarvi da lui.
L’espressione di Eren sembrò per un momento quasi delusa dalle parole di Mikasa, durò la frazione di un secondo, subito dopo le chiese di liberarsi di tutte le lame nello scomparto del dispositivo di manovra e, sotto la guida di Mikasa, partirono alla volta di Zeke.
 
Era passato molto tempo da quegli anni miserabili, dal lerciume, dalla lotta per la sopravvivenza. Il suo titolo tutt’altro che modesto era la sua armatura, la sua apparente apatia il posto in cui si rifugiava per non sentirsi miserabile. La morte era sempre stata come un parassita fastidioso, una sorta di verme solitario a cui ci si era abituato negli anni, lo faceva stare male, vivere una vita al fianco della tristezza ma con tanti piccoli, meravigliosi, momenti felici. Sopportava quel dolore in silenzio, accettandolo quasi con consapevole rammarico, ma quando Levi aveva visto Siri collassare sulla barella, all’improvviso era tornato ad essere quel bambino dei bassifondi, solo e spaventato. Si era sentito come se un’onda d’acqua imponente avesse soffocato qualsiasi barlume di fermezza, facendolo sballottolare in balia delle emozioni: era quello il vuoto da cui si era sentito risucchiato, l’impotenza che aveva cercato di colmare con la rabbia, da cui si era sentito sopraffatto.
Era di nuovo il bambino sperduto di un tempo quando, dopo giorni e giorni, era arrivato il primo carro di approvvigionamenti con la notizia della morte di Siri. Avrebbe potuto iniziare a tremare impaurito per quanto si era sentito solo in quel momento. 
Il pensiero di raggiungerla l’aveva quasi sfiorato nell’istante in cui era rimasto immobile davanti al soldato, si era visto dall’esterno prendere il cavallo e tornare a Trost, lasciare Zeke nella foresta come se non fosse stato un problema suo. Ma alla fine era rimasto impassibile alla notizia, aveva aiutato i suoi commilitoni a scaricare la roba, aveva fatto il suo turno di guardia e poi si era coricato nella sua amaca sugli alberi. Al riparo dagli occhi indiscreti di Zeke, si era concesso di fissare il vuoto per ore e ore, stringersi le mani al petto e rannicchiarsi per cercare un po’ di conforto. Ma non era valso a nulla. Certo, adesso che sapeva, era più semplice per lui avere a che fare con l’irremovibile certezza della morte, sapeva già come affrontare la perdita. Questa era la sua unica consolazione, oltre quella di nutrirsi dell’odio più profondo verso Zeke: ogni giorno gli faceva ripetere sempre la stessa storia, era diventata quasi una recita che aveva imparato a memoria e tutte le volte che sentiva dal mutaforma la storia di come avevano sterminato il villaggio di Ragako e non notava il minimo rimorso, la rabbia cresceva e, per assurdo, diventava sempre più calmo. Guardandolo era come se nulla fosse cambiato, ma la sua presenza, che prima incuteva timore, adesso era diventata mostruosa. C’era qualcosa di spaventoso in quella calma.
- Non trovi strano che le altre nazioni non ci abbiano ancora attaccato?
Gli occhi glaciali di Levi lo fecero sentire a disagio: - Ciò che trovo strano è che la tua testa sia ancora attaccata al collo.
Zeke rise: - Forse dovresti smetterla di farmi raccontare sempre quella storia, lo capisco sai, così diventa una tentazione troppo forte. Hai molta forza d’animo, te lo riconosco.
Magari avesse avuto la forza d’animo che Zeke pensava. Ma Levi non aveva neanche la metà della forza di Siri, che aveva lasciato in vita Michel, forse avrebbe dovuto imparare da lei. Ma aveva già deciso che era troppo tardi e troppo grande per imparare. 
- Capitano.
Levi alzò lo sguardo verso le fronde degli alberi, uno dei soldati nella guardiania teneva il binocolo puntato sulla strada.
- Cosa c’è Varys?
- Approvvigionamenti. C’è un carro in arrivo.
Il capitano aggrottò le sopracciglia: - Come? Che significa? Li abbiamo avuti solo qualche giorno fa.
Varys balbettò qualcosa e scosse la testa: - Venga, venga a vedere.
Nel binocolo appariva un carro abbastanza spoglio, nessun carico che sembrasse abbastanza consistente, guidato da un occhiere minuto e incappucciato.
- Forse sono comunicazioni da Hange. Magari è arrivata l’ora che ammazzi il barbone là sotto.
Il soldato accanto a lui era d’accordo, per avere un altro carico in arrivo nel giro di così poco tempo doveva essere successo qualcosa. Gli ultimi carri che avevano ricevuto erano da contadini, ingaggiati per catena di montaggio: ancora una volta era stata Siri ad ideare quel metodo per impedire che fossero raggiunti dalla qualunque. Una persona aveva il compito di fare un gesto specifico, come tre mele infilzate da una freccia sul davanzale di una finestra, che potesse essere notata solo da un’altra persona che sapesse dove cercare il segnale, una volta recepito l’altra persona procedeva a farne un altro e così via fino a quando non arrivava all’ultima persona incaricata di portare gli approvvigionamenti. Era un sistema complicato con cui avevano ovviato al problema del messaggero diretto, il tutto con l’unico scopo di nascondere l’identità di chi doveva portarli, che quindi poteva star certo di non essere seguito.
Levi scese dall’albero e intimò a Zeke di rimanere lì dov’era a leggere.
- Certo, boss. – gli rispose.
Il capitano si bloccò.
- Ti avverto. Chiamami di nuovo in quel modo e ti staccherò la lingua ogni volta che ti ricrescerà.
- Scusa Levi, non lo faccio più. – il capitano ignorò la punta di sarcasmo dell’uomo e si allontanò, per aspettare il carro dove la strada continuava nella foresta. Il conducente faceva procedere il cavallo lentamente, se fosse una comunicazione importante sicuramente avrebbe avuto molta più fretta.
Aspetta un attimo.
Strizzò gli occhi per vedere meglio. Sopra il rimorchio sembrava ci fosse qualcuno, riusciva a distinguere una testa, anzi, forse più di una.
- Tch. – Levi portò le mani ai manici del dispositivo.
- Capitano. – Varys atterò alle sue spalle assieme ad altri due soldati – Crediamo che sul rimorchio ci siano…
- Sì, l’ho notato anch’io. Non fatelo capire al barbone.
Quando il carro si fermò a pochi passi da loro, Levi rimase rigido e all’erta, una leggera pioggerellina aveva iniziato a scendere leggera e gradevole. Quando il cocchiere incontrò il suo sguardo da sotto il cappuccio lo riconobbe subito, ma non poteva dire di esserne sollevato, soprattutto perché la sua era una visita inaspettata e quella non poteva di certo dirsi una persona di cui fidarsi. Poi, uno degli individui sul rimorchio, ancora col cappuccio, si alzò.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: coldcatepf98