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Autore: Sally0204    05/05/2023    13 recensioni
Spin-off della long Io non ho paura.
Durante la festa organizzata in occasione dell'amichevole tra Giappone e Italia, Taro e Naoko si incontrano, si avvicinano e ad un certo punto si allontanano soli per passeggiare nel centro di Torino. Succede qualcosa di importante, qualcosa che resta in sospeso, come si era capito dal loro successivo incontro ad Amburgo, in occasione del compleanno di Genzo.
“... uno di quei baci che capita raramente di dare nella vita: baci che non si limitano a chiamare in causa bocca e labbra, ma anche occhi, cuore, pelle e ogni piccola particella del proprio corpo. Baci che tolgono il respiro e raccontano un pezzo del nostro passato e che scrivono un pezzo del nostro futuro, baci nei quali ci si può perdere per sempre…”
Ecco il racconto di quella serata.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naoko Hyuga/Nathalie Lenders, Taro Misaki/Tom
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il colore del grano'
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“Posso offrirti un bicchiere di champagne o rischiamo che tu salga sul palco a cantare insieme all’orchestra O sole Mio? Se non ricordo male, non lo reggi benissimo l’alcool.”
Naoko scoppiò a ridere e gli fece l’occhiolino. “L’unico rischio che corri è che mio fratello te lo tiri in testa il bicchiere. Magari ci mettiamo in un angolo a bere di nascosto, così evito di caderti addosso in mezzo alla sala per colpa di questi maledetti tacchi.”
“Potrebbe non dispiacermi…” le sussurrò Taro all’orecchio sfiorandole leggermente la pelle della guancia con la punta del naso. 
Naoko lo fissò con le labbra lucide di rossetto leggermente aperte, il sorriso le si spense sul viso e inspiegabilmente avvertì il cuore accelerare il battito. Misaki le fece strada verso un angolo appartato del bancone e ordinò un bicchiere di Champagne e un Remy Martin on the rocks.
“Allora, racconta. Com'è che sei riuscita a intrufolarti alla festa? Avevo capito che eri a Torino per occuparti di Miu e permettere a Yayoi di partecipare alla festa con Genzo” indicò il portiere che ballava in mezzo alla sala insieme a Yayoi.
“Jun ha chiesto a Yayoi di passare la notte con la bambina, è rimasto solo per il tempo della cena ufficiale e poi è venuto in hotel e ci siamo dati il cambio.”
“E ti eri portata questo vestito per fare la baby sitter?” Taro sorrideva con gli occhi, occhi che non smettevano di percorrerla dall’alto al basso.
“Ma ti pare che io abbia nel mio armadio un vestito simile e un paio di scarpe del genere? Anzi, probabilmente non li metterò mai più. Mi hanno regalato tutto Yayoi e Sanae. Abbiamo fatto shopping veloce in una boutique in centro oggi dopo la partita… stai pensando anche tu come Wakashimazu che sono irriconoscibile vestita così? Ha detto irriconoscibile, ma in realtà l’ho capito benissimo che voleva dire ridicola…” 
Naoko fece una smorfia, le grandi labbra rosa protese all'infuori buffamente. Appoggiò il gomito sul bancone del bar e il viso nel palmo della mano con aria sognante. 
“Ho sbavato dietro a Ken per tutta la mia adolescenza e lui mi ha sempre guardata come una mocciosa, non mi ha mai presa in considerazione. Mai. Ti assicuro che non è molto gratificante sentirsi sempre la sfigata che aspetta il fratello all’uscita del campo di allenamento.”
"Non so cosa passi per la testa di Wakashimazu, ma dubito fortemente che possa aver pensato che tu sia ridicola stasera. Uno perché ritengo Ken troppo intelligente, due perché non lo sei ridicola. Questo vestito sembra ti sia stato cucito addosso. Poi, sai come si dice no?” 
Piegò la testa da un lato, si guardò velocemente intorno e poi si sporse piano verso di lei usando un tono basso e malizioso, lasciandosi avvolgere dal suo profumo, dolce e fresco, simile a fiori di primavera: “Quand le renard n'arrive pas à attraper le raisin sur la treille, il dit qu'il est amer.”
Naoko aprì le labbra in una palese espressione di stupore, gli occhi si fecero ancora più grandi e se possibile ancora più luminosi. Non aveva capito una parola di quello che Taro aveva detto, il suo francese necessitava di essere rispolverato. “Wow…” balbettò. “Non ho capito nulla, ma hai una pronuncia francese stupenda…”
“La volpe quando non arriva all’uva, dice che è acerba…”  le strizzò l'occhio ammiccante e Naoko si sentì andare a fuoco.
Taro le chiese se conoscesse un po’ di francese.
“Sì, l’ho studiato al liceo. E da quando sono ad Amburgo prendo lezioni super intensive di francese da un tizio che conosce Wakabayashi, devo fare entro fine gennaio la certificazione per poter poi fare l'esame di ammissione.”
“Esame di ammissione dove? “
“Attenzione, lo dico in francese ma giura che non riderai della mia pronuncia!”
Taro sorrise e si mise una mano sul cuore. “Lo giuro!”
“Voglio tentare l’esame di ammissione all'Ecole des hautes études commerciales de Paris: è un corso universitario d'eccellenza, specializzato in economia e commercio, che fa parte delle Grandes écoles”.
“Wow. Sembra una cosa difficilissima."
“Non l’ho ancora detto a mio fratello, lui è convinto che tenterò solo l’esame alla Bocconi. Perché ovviamente se sto a Milano, sono a un tiro di schioppo da Torino e lui potrà controllarmi meglio. Ma io vorrei tanto studiare a Parigi. Ovviamente se mi prendono. Cosa che non è scontata.”
“Sono pronto a scommettere che entri a occhi chiusi. Come mai economia? Se mi avessi chiesto di indovinare, avrei detto che sei più tagliata per le materie umanistiche.”
"Perché? Ti sembro una con la testa per aria, vero? Invece sono estremamente pratica e ho i piedi ben ancorati alla terra, Misaki. A casa nostra bisognava fare quadrare i conti. Ricordo mamma e Kojiro che la sera dopo cena segnavano su un quadernetto tutte le entrate e le uscite. Ero piccola, ma me la ricordo quella agendina rossa e ho sempre pensato che da grande li avrai fatti tornare io i conti per la mia famiglia. Quindi mi sono sempre dedicata con più interesse alle materie scientifiche, a quelle pratiche… Tu sei sicuramente uno che se avesse studiato, avresti optato per filosofia, letteratura o storia dell’arte. Sì, sì, ne sono sicura… Ok. Scusami. Lo so. Parlo troppo lo so. Kojiro dice sempre che stordisco le persone e le travolgo con le parole. Tu sembri molto silenzioso invece. Sei silenzioso di natura?”
“No, di solito no. Ma… mi piace farmi travolgere da te… e dalle tue parole.”
Taro la fissava incantato da quella sua assoluta determinazione che cozzava decisamente con la sua giovane età. Naoko sembrava timida, eppure non lo era. Arrossiva per uno sguardo o per un complimento inaspettato, ma parlava con una franchezza e una maturità che Taro trovava disarmanti. Le sue risposte pungenti, i suoi sorrisi furbi, le sue teorie strampalate e i suoi mille pensieri contorti… non si poteva non rimanerne folgorati.
“... Parigi o Milano?”
Completamente assorto nei suoi pensieri, non aveva capito la domanda che gli era stata posta e le chiese di ripeterla.
“Dicevo, se tu dovessi scegliere: preferiresti vivere a Parigi o Milano? Dai, non c'è paragone…"
Naoko prese il suo bicchiere e lo svuotò. Girò il busto per osservare con attenzione le coppie che in pista ballavano.
"Vorresti ballare?” le chiese Taro inseguendo il filo dei suoi pensieri.
“Oh no! Io non so ballare. Non vorrei mai farti fare brutta figura…”
“Non potresti farmi fare brutta figura nemmeno se rimanessi impalata in mezzo alla pista… “ 
“Misaki, devi smetterla di dirmi queste cose carine, perché io non ci sono abituata… potrei anche crederti.”
“Se frequenti solo ragazzi che non sanno farti un complimento, frequenti sicuramente i ragazzi sbagliati.”
Seduta sullo sgabello alto del bar con le gambe accavallate, Naoko congiunse le mani e le infilò tra le cosce. Non riusciva più a trovare una posizione in cui sentirsi a suo agio. Si sentiva inadeguata. Subito il pensiero volò ad Azumi, a come era elegantemente vestita e seduta sul divano Kartell di casa Wakabayashi e, soprattutto, elegantemente silenziosa. E si ripeté, per la milionesima volta, che doveva smetterla di parlare a ruota libera e smetterla di illudersi, che lui non stava davvero flirtando con lei. Era solo gentile ed educato.
“Come mai la tua fidanzata non è venuta?” 
Genzo glielo aveva detto, quindi non si sorprese di quella domanda che poteva suonare molto personale: qualsiasi cosa le passa per la testa, lei lo fa passare per le labbra, il portiere aveva usato esattamente quelle parole per descriverla. Schietta e sincera. Sfrontata e solare. Ma Taro non la trovò impertinente, ma deliziosamente sfacciata. Non le sembrò impicciona, ma meravigliosamente spontanea.
“Non c’è più nessuna fidanzata” le rispose finendo in un sorso l’ultimo goccio di cognac del suo bicchiere e lasciando spaziare lo sguardo sulle coppie che ballavano. Notò Tsubasa e Sanae mano nella mano ridere e allontanarsi di corsa verso gli ascensori.
“Quella non ha tutte le rotelle al posto giusto! Lo avevo già capito quella sera a casa Wakabayashi, se devo essere sincera. Come ha fatto a lasciarsi scappare uno come te?”
Taro scoppiò a ridere, ma tornò subito serio e con una voce e uno sguardo che a Naoko sembrano tutto fuorché innocenti le chiese sussurrando: “E tu piccola Hyuga? Dove lo hai lasciato il tuo ragazzo? Non posso pensare che i tuoi compagni di corso in Giappone si siano lasciati scappare una come te.” 
Naoko sentì, di nuovo, le guance andare a fuoco e non era certo per l’alcol che stava buttando in corpo. Non era abituata a questi complimenti. Non era abituata a non essere considerata solo la piccola sorellina di Kojiro. Non era abituata alle allusioni e agli sguardi audaci di un uomo adulto.
Taro colse l’imbarazzo in quegli occhi lucenti. “Ne ho abbastanza di questa festa. Che dici se andiamo a fare una passeggiata in centro? Un Tour nella Torino by night… ti va?”
Non riuscì ad articolare una risposta, si limitò ad annuire. Si defilarono senza essere visti, ritirano i cappotti al guardaroba e si fecero chiamare un taxi.
Taro afferrò la mano di Naoko e corse verso l’auto che si era fermata a pochi metri dall’ingresso dell’hotel. Aprì la portiera e le fece cenno di entrare, chiedendo all’autista di portarli al Principe di Piemonte, l’hotel dove Naoko alloggiava con Yayoi e Sanae.
Decisero di dirigersi a piedi verso il centro storico. Camminarono l’uno vicino all’altra senza sfiorarsi, anzi stando attenti a mantenere una certa distanza. 
Si sentiva frullare mentre era al suo fianco, cercava di rimanere concentrata sul suo portamento che non poteva essere elegante, ne era certa, come era certa che lui l’avrebbe notato e si maledì per aver ascoltato Yayoi e Sanae che su quei trampoli sembravano esserci nate. 
Percorsero Via Roma fino a raggiungere Piazza San Carlo, nella quale svettava un enorme abete, spoglio, ma pronto per essere addobbato. Il Natale era alle porte e Torino si preparava per vestirsi a festa. Poi proseguirono fino ai Giardini Reali. Da un locale in una via laterale proveniva musica altissima: nel cortiletto antistante un grappolo di giovani chiassosi con bottiglie di birra in mano, imbacuccati in sciarpe e berretti, chiacchieravano ridevano e ballavano. 
Il locale era troppo affollato per trovare un posto all’interno, ma Taro immaginò di non poterla portare ancora a lungo per le viuzze del centro storico su quei tacchi. Le indicò un muretto, dove poteva sedersi, e le chiese di aspettarlo. Andò nel locale e uscì con due bicchieri.
“Un cocktail analcolico per te… hai bevuto abbastanza per stasera.”
“Guarda che non è la prima volta che bevo nella mia vita… non ho mica quindici anni!” 
Naoko rispose piccata, voleva disperatamente dimostrargli che non era una bambina. Voleva disperatamente che lui la vedesse come una donna.
“Non ho detto questo. Bevo anche io la stessa cosa.” 
Le si avvicinò per allungarle il bicchiere, il suo basso ventre sfiorò le ginocchia di Naoko coperte solo da un velo di calze nere e gli occhi caddero sul pizzo delle autoreggenti che si intravedevano, nella posizione scomposta che Naoko aveva assunto, sotto la gonna cortissima. Taro sentì un brivido percorrergli la schiena e il sangue defluire improvvisamente in basso. Inspirò a fondo e si sedette ad una ragionevole distanza di sicurezza. 
Non rimasero a lungo in silenzio. Con lei era probabilmente impossibile rimanere a corto di argomenti. Gli stava raccontando della visita che aveva fatto a Torino con la madre e i fratelli a settembre dell’anno precedente, quando Yayoi era in Italia. Gli elencò uno ad uno i musei che aveva visto, i locali che aveva frequentato insieme ai compagni di squadra di Kojiro, le partite che aveva visto, la pizza al salamino piccante che adorava.
Naoko si era improvvisamente riaccesa con il suo travolgente entusiasmo. Lo aveva strattonato per la giacca e gli stava raccontando che la canzone che stavano trasmettendo in quel momento, era di una band famosissima in Italia e che Yayoi l’aveva portata allo Stadio di San Siro (“San Siro, lo stadio dove giocano Milan e Inter, hai capito Misaki?”) a vederli dal vivo l'anno precedente. Saltò giù dal muretto e iniziò a muoversi sensualmente a ritmo di musica canticchiando a bassa voce. Aveva chiuso gli occhi e si lasciava trascinare dalla melodia. 
Non lo sentì avvicinarsi, ma improvvisamente ne avvertì la presenza accanto. Spalancò gli occhi, si voltò leggermente verso di lui, alzò la testa e senza quasi rendersene conto si trovò le labbra di Taro appoggiate alle proprie. Pochi secondi di contatto, un bacio così lieve da sembrare un sussurro. Si guardarono negli occhi, senza parlare, trattenendo il respiro. 
E poteva finire così, con un bacio delicato come un alito di vento che si trasformò, invece, nell’avvisaglia di una tempesta tropicale. E il bacio divenne profondo, umido, lungo. Taro posò le mani sulle sue guance, sul mento, sul collo per annullare la distanza tra di loro, per appagare quel desiderio bruciante di toccarla.
Fu uno di quei baci che capita raramente di dare nella vita: baci che non si limitano a chiamare in causa bocca e labbra, ma anche occhi, cuore, pelle e ogni piccola particella del proprio corpo. Baci che tolgono il respiro e raccontano un pezzo del nostro passato e che scrivono un pezzo del nostro futuro, baci nei quali ci si può perdere per sempre.
L’afferrò per la vita, la alzò di peso e la riportò a sedersi su quel muretto, le gambe leggermente divaricate crearono uno spazio sufficiente per potersi posizionare in mezzo non smettendo mai, nemmeno per un secondo di baciarla. Le mani scesero piano a sfiorare le cosce, si infilarono sotto l’orlo del vestito che si era arricciato in alto e arrivarono a toccare appena il bordo in pizzo delle autoreggenti. Un ansito spezzato uscì dalle sue labbra.
Nessuno mai l’aveva baciata così, nessuno mai l’aveva accarezzata così, nessuno mai l’aveva fatta sentire così desiderata. 
Ma poi improvvisamente la magia si esaurì.
“Scusami, scusami, scusami.” 
Prese le distanze da lei sbuffando, tentando maldestramente di richiuderle per bene il bavero del cappotto. Naoko era stordita, disorientata.
“Non devi scusarti. Non voglio che ti scusi… Ho fatto qualcosa di sbagliato? “
“No, assolutamente no! Tu non hai fatto nulla di sbagliato. Sono io… Io non avrei mai dovuto. Non so cosa mi sia preso… Tu mi fai uscire matto, Naoko.”
Taro si allontanò, chiuse gli occhi e buttò la testa all’indietro, inspirando profondamente, cercando di riportare la temperatura interna del suo corpo ad un livello accettabile.
Naoko saltò giù dal muretto e ondeggiò vistosamente quando adagiò sui tacchi a spillo. Taro la sorresse per un braccio e di nuovo le si trovò appiccicato, perso in quelle iridi scurissime, nelle quali lesse la supplica di riprendere da dove si era interrotto.
“Naoko, torniamo in hotel. È tardi per te, devi rientrare. Magari ti cercano… Magari tuo fratello si si sta domandando dove sei finita.”
“Ma chissenefrega! Non mi cerca nessuno. Non trattarmi come se fossi una bambina. Tu pensi che io sia una ragazzina.” 
“No, Naoko, non penso che tu sia una ragazzina. Se lo pensassi, non avrei passato la serata con te. Sono ore che combatto con la voglia di baciarti. Ma no, non ti posso baciare ancora, non ti posso baciare più. Dobbiamo controllarci. Anzi, io mi devo controllare, dobbiamo tenere le distanze perché se mi avvicino ancora a te, se ti bacio ancora una volta, non riuscirò a fermarmi...” 
Le percorse l’ovale del viso con il dorso della mano senza smettere di fissarle le labbra sulle quali avrebbe voluto lanciarsi a capofitto.
“Sei così bella… hai fatto girare la testa a tutti gli uomini in quel salone stasera. Guardavano tutti te…”
“Non mi guardava nessuno. Proprio nessuno. E chi mi guardava avrà fatto lo stesso pensiero di Wakashimazu che probabilmente è lo stesso che stai facendo tu ora!”
Si incamminò verso l’hotel con passo deciso, non voleva voltarsi, non voleva più guardarlo, non voleva farsi vedere così sconvolta. Aveva bramato quel bacio per tutta la sera, avevano flirtato un pochino, si era sentita corteggiata, stuzzicata, ma non voleva illudersi. Quando se lo era ritrovato addosso, le era sembrato di sognare. Lui, Taro Misaki, che baciava lei, proprio lei, la piccola sorellina di Kojiro Hyuga. Ma era durato giusto un attimo… e ora si sentiva così tremendamente in imbarazzo.
Taro le lasciò qualche passo di vantaggio, ma poi la raggiunse e camminò al suo fianco in silenzio. 
Quando arrivarono nella hall dell’hotel e capì che lei sarebbe salita senza rivolgergli la parola, la afferrò per un braccio.
“Naoko, aspetta. Ci prendiamo un tè al bar? Chiacchieriamo ancora un po’... non voglio che vai via così. Parliamone un attimo. Sono stato bene con te stasera.”
“Voglio andare a dormire!”
 
Yayoi e Sanae entrarono nella hall in quel momento e se li trovarono di fronte. Misaki sostenne lo sguardo interrogativo di Sanae, mentre Naoko cercava di fuggire da quello preoccupato di Yayoi.
“Eravamo stufi della festa. Ho accompagnato Naoko qui con il taxi, siamo appena arrivati. Stavamo per prenderci un tè insieme al bar… volete qualcosa?”
Yayoi rifiutò gentilmente sostenendo che fosse già piuttosto tardi e che la mattina successiva avrebbe dovuto alzarsi presto per dare il cambio a Jun che era atteso dalla squadra per l’ultimo briefing. Naoko la seguì a ruota verso gli ascensori, senza nemmeno salutarlo.
Sanae, rimasta sola, si trovò di fronte all’amico che, mani nelle tasche dei pantaloni, sembrava molto interessato ai disegni geometrici sul pavimento di marmo.
“Vi hanno cercato per almeno quaranta minuti. Ishizaki ha perso un'altra volta le chiavi e ha detto a tutti che sei sparito nel nulla. Hyuga voleva chiamare la polizia perché non trovava sua sorella… erano tutti piuttosto su di giri quindi ritengo che, a parte io e la Aoba, nessuno abbia fatto 2+2.” 
Gli passò a fianco e, battendosi la chiave elettronica sul palmo della mano, gli rivolse uno sguardo allusivo e un sorriso malizioso.
“Vediamo di inventarci una scusa migliore domani mattina, eh Misaki? Non credo che Kojiro, a mente lucida, si beva quella della festa noiosa e del cavaliere che accompagna sua sorella in taxi per offrirle un tè alle 2 di notte… “
Taro abbassò gli occhi. "Grazie Sanae. Buona notte.”
“Buona notte, Taro.”

 

Era rimasto un grande “buco” narrativo con l’epilogo di Io non ho paura: la notte torinese di Naoko e Taro ;-)
Finalmente si scopre cosa ha causato lo “scontro” tra i due nel momento in cui sono stati sorpresi da Genzo nella sua cucina.
Oggi è il compleanno di Taro: mi è sembrato il giorno perfetto per pubblicare il racconto di quella serata.
Il seguito di questa one-shot è in lavorazione (ed è decisamente a buon punto!). E si riprenderà esattamente dal giorno dopo il compleanno di Genzo!
Grazie a tutti e a presto!

   
 
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