Cap. 7: Moth to a flame
How can I free myself from hiding behind blurry eyes
It’s like a circle, you’re the reason I’m spinning so blind
I’m bound to catch fire on my way to transcend
Let this be the end of my cries
You’re the cure for this lonely heart
Lying underneath, you keep on hiding
And like a moth to a candle
I run within the flames of your dangerous mind,
burning bright!
(“Moth to a flame” –
Delain)
Il giorno seguente era una luminosa giornata
di inizio ottobre, fredda ma bella e soleggiata e ad Upham venne in mente di
portare Saltzmann a fare lezione di inglese in giardino. Il bel sole e l’aria
frizzante, insieme alla meraviglia dei fiori e dei cespugli lussureggianti,
resero meno tediosa la lezione che, quel giorno, Upham aveva dedicato allo
studio dei primi articoli della Costituzione Americana, con le conseguenti
difficoltà causate dai termini tecnici e legali, più complessi da imparare per
il tedesco. Tuttavia, siccome quel giorno l’uomo si era mostrato
particolarmente diligente e attento, Upham decise che, alla fine, avrebbero
potuto fare esercizio di inglese facendo conversazione e parlando di argomenti
che interessavano Saltzmann.
Devo proprio dirlo? Naturalmente Saltzmann
volle parlare di Mellish, del fatto che si erano riconciliati e che ora lui
sperava davvero di poter vivere per sempre con lui.
“Io lavorare come operaio meccanico in
America e avere casa con Stan” annunciò tutto soddisfatto. “Io so che non
potere dire di noi come coppia, ma non dire, per mondo noi essere solo amici.
Questo capita in tante parti, sì?”
“Certo, ci sono delle persone che hanno
questo tipo di relazione, non c’è niente di male almeno per me, ma si sa com’è
la gente, in America c’è più libertà, ma alla fine i pregiudizi rimangono”
rispose Upham, con un sorriso incoraggiante. “Il fatto che siate un tedesco e
un ebreo non aiuta, anche se per me rende ancora più prezioso il vostro legame.
Ma allora Mellish è d’accordo con te? Vi siete riconciliati fino a questo punto
e anche lui vuole vivere con te?”
“Stan tanto giovane, lui non deciso ancora,
ma io sto con lui, proteggo lui, faccio felice lui e penso che alla fine lui mi
può volere bene” rispose Saltzmann, molto determinato. “Penso che una notte
anche posso andare in letto di Stan, lui dice ci pensa…”
Se il povero Mellish avesse saputo…!
“Ah, va bene, non preoccupatevi per me, io
farò finta di non esserci neanche e di non sapere niente, anzi, magari chiederò
a Wade dei tappi di cera per le orecchie per non sentirvi nemmeno!” disse il
giovane caporale, ridendo. Da una parte scherzava, ma dall’altra era contento
che il suo nuovo amico tedesco si stesse davvero integrando, che si potesse
costruire una nuova vita in America e che potesse rendere felice Mellish. Upham
si sentiva ancora in colpa, a volte, per non aver avuto il coraggio di salire a
salvare il suo compagno e, quando ci pensava, si rasserenava solo ricordando
che era stato Saltzmann, poi, a aiutare Mellish, che il giovane soldato stava
bene grazie a lui e che, anzi, adesso il tedesco si sarebbe preso cura di lui
per tutta la vita. Erano due persone alle quali si era affezionato molto e
saperle insieme per lui era una bella soddisfazione.
Magari il problema era che Mellish non
pensava ancora di stare insieme al
tedesco in quel senso, ma tant’è…
“Anzi, sai che ti dico? Chiederò a Wade di
poter restare con lui in infermeria, questa notte e magari anche qualcuna delle
prossime, per aiutarlo con i feriti” si offrì Upham, “così tu e Mellish potrete
stare in pace senza che nessuno vi disturbi.”
“Io ringrazio tanto te, Upham, grazie
davvero!” esclamò Saltzmann con un sorriso che gli andava da un orecchio
all’altro, entusiasta come un bambino davanti a un albero di Natale pieno di
regali.
E così quella sera, dopo cena, Mellish si
ritrovò in camera da solo con Saltzmann!
“Upham stanotte con Wade, aiuta lui con
feriti, noi nessuno disturba” disse soddisfatto il tedesco, mentre Mellish si
guardava attorno piuttosto perplesso.
“Ma non ci eravamo già chiariti? Mi pareva
che avessimo fatto pace e anch’io mi ero scusato con te, non c’era bisogno che
Upham dormisse altrove” obiettò.
“Questo vero, ma così nessuno disturba o
interrompe noi” spiegò contento Saltzmann.
Disturba o interrompe dal fare che cosa?, si domandò il giovane americano, poi decise che forse,
in realtà, era meglio non saperne troppo.
Il tedesco sedette sul letto accanto a
Mellish.
“A me dispiace io ridato scatola che tu
regalato a me, io arrabbiato, brutto mio gesto e io non scusato con te” disse l’uomo.
“Ora io chiedo scusa a te e chiedo ridare me tuo regalo, a me piace scatola, a
me piace regalo da te. Vuoi ridare?”
Mellish fece spallucce.
“Ah, quella scatola, dicevi? Beh, io pensavo
che a te non interessasse e allora l’ho spedita alla famiglia di Caparzo, il
mio amico morto in missione. Ci ho messo dentro foto, ricordi e lettere che lui
aveva lasciato e l’ho fatta spedire ai suoi genitori dal capitano Miller. La
scatola è in viaggio per l’America, adesso. Figurati, non ci pensavo neanche
più” tagliò corto.
Saltzmann sulle prime rimase allibito sia per
la risposta sbrigativa di Mellish sia per la repentina partenza della scatola
che, in teoria, sarebbe stata destinata a lui, poi però guardò bene in volto il
ragazzo, che aveva l’aria di chi lo ha fatto proprio apposta per fare un
dispetto e togliersi un sassolino dalla scarpa… e così si mise a ridere di
gusto.
“Tu proprio buffo, Stan!” esclamò, divertito
e intenerito. “Tu bella mossa, io meritato, a me piace tanto tuo carattere, tuo
modo di fare. A me piaci tu come sei, proprio come sei, Stan, piaci tanto!”
E, tanto per dimostrarlo concretamente, prese
tra le braccia il giovane americano e iniziò a baciarlo prima delicatamente e
teneramente, poi sempre più intensamente, accarezzandogli le guance e i
capelli, scivolando sul letto con lui, sotto le coperte (tanto questa volta
sapeva che nessuno li avrebbe interrotti!). Si sistemò su di lui e fece
scivolare via la sua maglietta e i pantaloni, badando a fare tutto lentamente e
delicatamente per non fargli male e non spaventarlo; qualsiasi minima
esitazione o protesta da parte di Mellish lo avrebbe fermato, nonostante il
desiderio fosse diventato ormai urgente… ma non ci furono proteste, il ragazzo
era completamente travolto da quella nuova situazione e riusciva a malapena a
ricordare come si facesse a respirare. I loro corpi si adattarono l’uno all’altro
quasi con naturalezza, pelle contro pelle, i respiri diventati uno mentre Saltzmann
iniziava, lentamente, a farsi strada dentro di lui, pronto a fermarsi se solo a
Mellish fosse sfuggito il più lieve lamento di dolore, continuando a baciarlo
profondamente, senza riuscire a staccarsi dal suo sapore, dal calore e dalla
tenerezza delle sue labbra morbide. Desiderava godersi ogni istante di
quell’atto tanto sognato, ogni minimo contatto con il ragazzo che amava,
avrebbe voluto farlo durare un’eternità. Si mosse lentamente, sempre con la
massima delicatezza, lasciando che il giovane imparasse ad accoglierlo e ad
assecondarlo. I sospiri e i gemiti increduli e sperduti di Mellish lo
eccitavano ancora di più e lo portarono a spingersi in lui più profondamente,
ma con lentezza e dolcezza e senza smettere di baciarlo e accarezzarlo. E
Mellish? Lui era totalmente fuori dal mondo e dal raziocinio, sentiva solo che
voleva che l’uomo continuasse, che non smettesse mai, che non lo lasciasse
andare mai più, come se fosse integro e completo soltanto unito a lui e tutto
il resto rischiasse di distruggerlo. Incollato in quel modo a Saltzmann non
esistevano più incubi, angosce, preoccupazioni, brutti ricordi, c’era solo il
sangue che gli si incendiava nelle vene e il calore e la tempesta che
imperversavano nel suo ventre e che pian piano si scioglievano in un languore
meraviglioso e spaventoso insieme, incredibile e immenso, che non aveva mai
lontanamente immaginato. Sembrava tutto perfetto come se fossero da sempre
destinati a quello, a essere l’uno la parte mancante dell’altro, a completarsi
a vicenda. Quando entrambi giunsero a esplodere insieme nell’apice dell’estasi,
il giovane americano si sentì quasi defraudato di qualcosa, come se avesse
voluto che la cosa non finisse così, che non finisse più, che non ci fosse un
domani, e rimase languido e stremato nell’abbraccio protettivo e affettuoso di
Saltzmann.
“Ora tu mio
Stan” mormorò teneramente il tedesco, e in effetti non faceva una grinza,
in poche parole aveva riassunto perfettamente il quadro della situazione!
A Mellish ci volle un po’ per tornare a un
livello di coscienza più o meno normale e solo a quel punto si rese conto
davvero di cosa fosse successo e di quanto si fosse lasciato travolgere e
dominare in tutto e per tutto da quell’uomo! Non che fosse pentito, pure nel
suo obnubilamento si era reso conto di averlo voluto quanto Saltzmann, però ora
riusciva a pensare un po’ più razionalmente e ritenne di dover dire qualcosa,
qualsiasi cosa, per dimostrare un minimo di ritegno e decenza.
“Senti” esordì, prendendo un grosso respiro e
cercando di darsi una sorta di contegno, “ora che siamo più… beh, ecco… insomma…
in confidenza, ecco, mi vuoi togliere
una curiosità? Non c’è niente di male o di polemico, solo ci tengo a saperlo,
non per darti la colpa o cose del genere. Quando ci siamo incontrati la prima
volta e noi abbiamo distrutto il nido di mitragliatrice e ti abbiamo catturato,
eri stato tu a colpire Wade, sì o no? Adesso me lo puoi dire, non credi?”
Il tedesco trasecolò. Ma come? Aveva appena
fatto l’amore con il suo Stan come
desiderava da tantissimo tempo, era stata una cosa bella per entrambi (sì, lui
si era accorto che anche a Mellish era piaciuto e non poco…), erano finalmente
una coppia e tutto quello che il giovane americano voleva era rivangare quel
fatto di tre mesi prima, quello per il quale per poco non lo avevano fucilato?
Ma perché?
“Io non capire” mormorò deluso Saltzmann, “io
non sapere perché tu ora, proprio ora, chiedi questo a me. Quello brutto
momento, noi nemici, ma ora tutto diverso e poi tuo amico salvo, sta bene.
Perché chiedi questo ora?”
“Ma niente, te l’ho detto, non voglio
incolparti di niente e lo so che è finito tutto bene, ma proprio perché è
andato tutto bene adesso voglio la verità. Me la puoi dire o no?” insisté
Mellish.
A dirla tutta, non era proprio quella la
ragione per cui il ragazzo la faceva tanto lunga, anche per lui in realtà l’episodio
era lontano e, per fortuna, era finito bene. Ma voleva a tutti i costi cambiare
argomento e non pensare più a quanto si era sentito bene tra le braccia di
quell’uomo, a quanto era stato travolto da lui totalmente fino a smarrirsi, a
quanto era stato meraviglioso sentirsi finalmente protetto, accolto, amato e
sicuro…
“Stan, io non posso dire perché io non so”
rispose Saltzmann, tristemente. “Tu vedere quel posto allora, era nido per
mitragliatrici, io con altri soldati fare attacchi a americani. Non so se io
sparare a tuo amico oppure no, io sparato, certo, sparato contro voi e ora
penso a quanto fortunato che non colpire te. Ma non avere bersagli, sparare
contro soldati, non sapere davvero se tuo amico dottore colpito da me o da
altro mio compagno. Io non sapere, non posso dire, mi dispiace se tu… se tu
ancora pensare questo e non fidare di me…”
E, ancora una volta, Mellish si sentì davvero
uno schifo, un qualcosa di disgustoso appiccicato allo stivale: Saltzmann era
stato così buono con lui, così tenero, affettuoso e premuroso e lo aveva fatto
sentire bene e lui… lui era stato solo capace di ferirlo di nuovo!
“No, no, dispiace a me, io… sì, volevo
sapere, proprio perché adesso siamo più… insomma, legati, ecco, e quindi sono contento che non sei stato tu, che non
hai colpito tu Wade o che, se per caso sei stato tu, nella confusione non ti
sei accorto di aver ferito proprio un ufficiale medico” disse in fretta,
afferrando l’uomo per le braccia come se avesse paura che si offendesse e
andasse via. “Io ti credo, ora, so che non mi mentiresti mai e sono contento
che ci sia questa… beh, fiducia tra
noi. E anzi ti chiedo scusa, perché allora ero uno dei più stronzi e cercavo un
pretesto per ammazzarti e ora mi rendo conto che sbagliavo, che tu avevi fatto
solo quello che ti era stato ordinato, così come avevamo fatto noi. Mi
dispiace, volevo solo chiarire una volta per tutte questa storia e finirla qui.
Scusa se… se ti ho ferito.”
Mellish era davvero pentito e mortificato,
aveva uno sguardo talmente triste e sperduto che Saltzmann si sentì ancora più
intenerito e attratto da lui, ogni amarezza improvvisamente scomparsa dal suo
cuore. Lo strinse forte tra le braccia e lo baciò con tutta la dolcezza e la
lentezza del mondo e solo alla fine si staccò da lui, accarezzandogli i capelli
e guardandolo con un sorriso.
“No, va bene questo, tu giusto sapere, ma non
sapere nemmeno io. Ora noi insieme per sempre, tu mio Stan e va bene che non avere segreti” disse. “Io ti amo, Stan,
sto sempre con te, proteggo te, difendo te da tutto male e faccio tutto per
fare te felice. Ti amo, mio Stan.”
Lo abbracciò e baciò di nuovo e poi lo
strinse al petto per farlo addormentare tra le sue braccia, per farlo sentire
sicuro, amato e tranquillo. Per lui qualsiasi problema o dissidio era già
dimenticato, l’unica cosa che contava era avere Mellish con sé per tutta la
vita e occuparsi di lui, non voleva altro.
Intimidito e confuso, visto che tra l’altro
aveva anche preso il sedativo e quindi iniziava ad addormentarsi, il giovane
americano si affidò totalmente a Saltzmann proprio come aveva fatto prima e
lasciò che il sonno portasse via tutti i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.
Già, perché Saltzmann la faceva facile, ma
lui sapeva benissimo che la sua famiglia, e soprattutto suo padre, non
avrebbero mai accettato neanche il pensiero che lui potesse aiutare un tedesco,
anche se questo gli aveva salvato la vita. Figuriamoci se poi quello si fosse
lasciato scappare qualche parola di troppo e, peggio di tutto, quell’espressione
mio Stan che pareva piacergli tanto.
Mai più e mai poi, sarebbe stata una tragedia!
Ma a tutto questo ci avrebbe pensato una
volta in America…
Fine capitolo settimo