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Autore: Milly_Sunshine    10/05/2023    0 recensioni
Non importa se siamo bambini, adolescenti, adulti, persone tranquille oppure tormentate, angeli della morte, aspiranti killer, creazioni di laboratorio, animali domestici, fenomeni atmosferici o addirittura automobili: abbiamo il sacrosanto diritto di vedere le cose dalla nostra prospettiva e di narrare la nostra storia. /// Una raccolta disomogenea di racconti scritti a vent'anni e dintorni (o anche poco venti e molto dintorni), alcuni pubblicati nella loro forma originale, altri a seguito di una piccola revisione. La maggior parte risalgono all'epoca dei forum, qualcuno ha partecipato a contest di scrittura sul forum Scrittori della Notte o su altri forum simili. I rating variano dal verde all'arancione e la maggior parte dei racconti hanno lunghezza da one-shot, alcuni tuttavia secondo EFP sarebbero da considerarsi flashfic.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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SCONTRO TRA CULTURE IN UNA CAMERA A ORE

Gli elementi da fiaba a lieto fine c’erano tutti: la stanza con le sue mezze luci, le lenzuola di tessuto pregiato, una bottiglia ormai vuota sul tavolo... e infine lui, il punto di partenza. Nulla sarebbe accaduto, senza di lui. A distinguere la realtà dalle fiabe era soltanto una questione di status: lui non era un principe, ma soltanto un manager che veniva da lontano e che, dopo anni passati a gestire la filiale locale di una multinazionale, aveva acquisito uno straordinario gusto in fatto di donne del posto; lei non sarebbe mai diventata una principessa, ma avrebbe continuato a trascorrere ogni notte in una stanza diversa, almeno finché ci fossero stati milionari stranieri disposti a pagare per i suoi servizi... o almeno era quello che aveva sempre pensato: era ancora giovane, ma né la sua carriera né la sua vita erano destinate a durare a lungo.
Tuttavia l’uomo che si ritrovava davanti in quell’occasione era diverso.
Si erano già visti.
Si erano già visti, ma lui non si ricordava di lei.
Non poteva ricordarsene: all’epoca era soltanto una bambina e la sua presenza era molto diversa, al punto che, se anche si fosse rammentato della sua esistenza, non sarebbe certo stato in grado di riconoscerla. O forse sì?
La fissava.
La fissava come se ci fosse qualcosa di più, così attese.
La domanda che lui le pose interruppe quella ridicola speranza.
«Ordino un’altra bottiglia?»
«Come vuoi.»
Era lui che pagava, spettava a lui decidere.
Lui sorrise, con quel sorriso falso e ipocrita di chi non si rende conto di essere falso e ipocrita.
«L’ho chiesto a te.»
«E io» replicò lei, «Ti ho detto che non è una decisione mia.»
Non aveva mai preso decisioni, fino a quel momento, se non dettate dalla necessità, e non aveva intenzione di iniziare quella notte.
«Niente bottiglia» decretò lui. «Piuttosto, parlami un po’ di te.»
Lei abbassò lo sguardo.
«Non c’è niente da dire, su di me.»
«Tutti» insisté lui, «Hanno una storia da raccontare.»
Era abituato a ottenere tutto ciò che voleva, lo si capiva dalla fermezza del tono della sua voce.
«Potrebbe non essere molto interessante.»
«Potrebbe non essere molto interessante, ma a me importa.»
Ma davvero? Aveva così a cuore i fatti personali delle donne che pagava non per alleviare la propria solitudine ma per dimostrare a se stesso che il suo status sociale gli permetteva tutto?
No, la verità era che non gliene importava nulla, qualunque fosse la versione dei fatti che raccontava a se stesso quando aveva bisogno di sentirsi addosso la romantica aura del benefattore.
Lui si fece insistente.
«Parlami di te. Pago anche per questo.»
Era vero: pagava anche per chiederle ciò che desiderava. Se si fosse trattato di un altro, avrebbe addirittura potuto esserne felice.
Con lui non poteva.
Con lui continuava a chiedersi cosa sarebbe accaduto se le loro strade non si fossero mai incrociate, quando era ancora una bambina.
Poteva mentire.
Desiderava mentire, ma non lo fece.
«Ho ventidue anni, ma forse ne dimostro il doppio.»
«È già un inizio.»
«Quando ero piccola avevo tanti sogni, che non si sono mai realizzati.»
«Ah, no?»
Il suo tono era indifferente e lasciava intendere che per lui fosse completa novità il fatto che per lei quella vita non fosse il coronamento di un desiderio.
«Le bambine, di solito, hanno altri sogni» ci tenne a puntualizzare.
«E tu» le chiese lui, «Cosa sognavi?»
«Non me lo ricordo. Avevo undici anni quando rimasi orfana. Il mio unico sogno, a quel punto, rimase quello di sopravvivere, e che potesse sopravvivere anche mio fratello.»
«E come andò a finire?»
«Male.»
«Mi dispiace. È anche per questo che ho cercato di tutelare i bambini di questo paese.»
Lei annuì, guardandolo finalmente negli occhi.
«Lo so.»
«Niente più sfruttamento, da parte dell’azienda che ho portato a diventare quello che è ora. Non l’ho fatto per stare al centro dell’attenzione, anche se ho ottenuto quell’effetto. L’ho fatto perché desideravo fare qualcosa di concreto.»
«Lo so.» Era tempo di rivelazioni. «Io c’ero quando decidesti che anche alla filiale locale dovevano essere applicati gli standard del tuo paese natale. Sei tu che non c’eri, quando avevo tredici anni e sia io sia mio fratello perdemmo le nostre uniche fonti di reddito, solo perché secondo te meritavamo un futuro migliore. Non c’eri nemmeno quando mio fratello prese una strada sbagliata. Tu non c’eri il giorno in cui fu ammazzato.»
«Però ci sono adesso» concluse lui, «Che possiedi bei vestiti e che trascorri il tuo tempo in alberghi di lusso.»
Quella, per lui, doveva essere l’unica “soluzione concreta”.
Chissà, rifletté lei, forse non c’era bisogno di commuoversi più di tanto, nel probabile caso in cui gli avesse contagiato il virus che un giorno l’avrebbe condotta alla morte.
   
 
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