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Autore: Chevalier1    12/05/2023    4 recensioni
Nata quasi per caso come una raccolta di one shot, iniziata con i turbamenti di una piccola Oscar alle prese con la scoperta di essere una bambina, è diventata di fatto una serie di notti agitate lungo la cronologia dell'anime.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nel varcare l’elegante facciata dell’imponente, moderno, edificio dell’école militaire progettato da Ange-Jacques Gabriel,Oscar Francois de Jarjayes provò un vago quanto anacronistico senso di soggezione. Salì l’elegante scalone d’onore protetto da un mancorrente in ferro battuto con la sensazione di essere di nuovo sotto esame, anche se non c’erano, non più da tempo, prove formali ad attenderla. Eppure sentiva di esserlo, eccome, in quel momento della vita, forse come mai prima. Mancavano solo due giorni all’esordio nel suo nuovo incarico e il viaggio in Normandia, che pure aveva chiarito cose importanti dentro di lei, non aveva stemperato il timore che accettare quel reggimento periferico e preceduto da una fama non proprio specchiata fosse stato un azzardo. Sapeva benissimo di essere alla vigilia di un salto verso l'ignoto e lo affrontava con inquietudine, cosa che non poteva ammettere con altri che con sé stessa.

Si fece annunciare e sedette nell’attesa su una scomoda poltroncina rivestita di un broccato di raso oro e blu, davanti a lei due bianchi battenti chiusi di legno laccato decorato in oro, lo stesso luogo in cui aveva atteso anni prima l’esame più impegnativo della sua carriera militare: quello che avrebbe sancito la sua idoneità a ricoprire l’incarico di Comandante delle guardie reali, il ruolo che era stato di suo padre. L’aveva vissuto con ansia, con il bisogno di dimostrare a sé stessa di essere all’altezza della situazione al di là del blasone, dello stemma di famiglia e del suo titolo d’antica nobiltà di spada. Voleva con tutta sé stessa meritare, per sé sola, quella spada al fianco e quel grado. Al ricordo di quel momento, sentì lo stomaco sussultare come allora. Simulò calma con sé stessa, accavallò con finta noncuranza le lunghe gambe fasciate nei calzoni chiari, fissando la punta degli stivali lucidi. Ritrovarsi lì, benché al posto della giubba militare in attesa del nuovo incarico vestisse una corta marsina di velluto carta da zucchero, le diede l’effetto di un dejà vu anzi di un dejà veçu.

Il cuore le diede un tuffo come se si trovasse ancora al centro di quell’incubo ricorrente che la riportava di tanto in tanto alle tre prove di quell’esame: un’ora di tempo per predisporre un’intera missione di scorta alla famiglia reale in un Paese straniero, da esporre poi in ogni minimo dettaglio davanti a una commissione pronta alla parte dell’avvocato del diavolo. Poi una seconda prova con le armi da fuoco: 100 bersagli fissi e mobili senza preavviso e, infine, un duello con la spada. Ogni volta sognava che un dettaglio andasse storto e che mancasse nelle prove sempre qualcosa che le impediva di giungere al termine e di prendersi il suo titolo e la menzione d’onore che in realtà aveva avuto. Sempre minuscoli, eppure decisivi, impedimenti: un bottone mancante nella divisa, un baffo di fango sugli stivali che non andava via, la spada che non usciva dal fodero, la biblioteca in cui cercare le mappe della destinazione della missione che all’improvviso diventava un labirinto da cui non sapeva uscire. Si svegliava ogni volta fradicia e angosciata, persa tra quei volumi dalla costa rossa tutti uguali, per scoprire con sollievo nel buio che quell’esame era stato passato con successo tanti anni prima.

Mentre aspettava, invece, quel giorno Oscar si chiedeva se quel sogno non fosse più realistico di quanto le fosse mai parso fin lì, se il suo vero momento della verità non fosse sul punto di arrivare proprio di lì a due giorni, senza rete, in un posto dove il suo blasone poteva essere un orpello malsopportato, anziché la corazza di sicurezza che era stato fin lì. Si chiese se sarebbe stata all’altezza di quella Compagnia di guardia metropolitana cui nessuno ambiva.

Un rumore dall’interno la distolse dai suoi pensieri, trasalì quando l’attendente del Generale Jean Claude de Chateaubriand uscì a dirle che il generale l’attendeva.

Era questi un uomo di pochi anni maggiore di lei, che conservava un’aria da ragazzo: mai, a dispetto del fatto che discendeva da un’antica famiglia bretone, noblesse d’épée che si era fatta onore per secoli, si era rassegnato a portare la parrucca che sostituiva con una zazzera bionda incolta che legava con finta noncuranza con un nastro cui sfuggivano più riccioli di quelli che tratteneva. Era l’unico dettaglio poco meno che impeccabile nella sua uniforme bianca altrimenti perfetta sulla figura longilinea. Oscar, rivedendolo dopo molto tempo, notò che non era cambiato granché e che per quanto si somigliavano nei colori e nelle strutture fisiche avrebbero potuto essere fratelli. Si erano conosciuti molti anni prima, quando Oscar era diventata capitano delle guardie reali e da quel giovane nobile aveva ricevuto complimenti sinceri, privi di quella posa galante che il più delle volte serviva a nascondere un misto di invidia e di senso di superiorità da parte dei colleghi maschi. Lui no, la sapeva donna da sempre e la trattava alla pari. E proprio quell’esame sostenuto in quella scuola, voluta da Luigi XV per l’addestramento per giovani gentiluomini con poche sostanze ma che all’occorrenza ospitava anche prove di idoneità per tutti gli altri, aveva finito per sancire definitivamente la loro reciproca stima.

Noto per essere uno dei migliori schermidori dell’intera cavalleria leggera francese se non il migliore, al momento di passare al grado di Colonnello e di dimostrare di essere all’altezza di assumere il Comando della Guardia delle Loro Maestà, Oscar François de Jarjayes se l’era trovato come avversario-esaminatore alla prova con la spada. Aveva capito da tempo del resto che il padre, che la voleva all’altezza della situazione per la sua sicurezza, faceva da sempre in modo che si trovasse valutata soltanto dalle commissioni più severe, il contrario di quello che in genere accadeva ai figli dei generali che brigavano da ogni parte per spianare la strada ai loro rampolli. Ricordava di aver faticato a tener testa a quell’avversario alto eppure agilissimo, ma di averlo alla fine addirittura sconfitto, pur trovandosi ormai spalle al muro, con il guizzo di una parata seguita da una risposta velocissima che era giunta a tagliare la stoffa dell’uniforme di lui all’altezza del costato, lasciandogli – per fortuna ­– nulla più che un graffio sulla pelle.

Un po’ a disagio per quella pur minima ferita che non avrebbe voluto provocare, Oscar François de Jarjayes ricordava con orgoglio la stretta di mano finale: «Colonnello de Jarjayes, debbo ringraziare credo il fatto che, nonostante siate stata più veloce e abile di me, abbiate un controllo delle vostre azioni tale da portare il colpo senza affondarlo, diversamente avrei rischiato qualcosa. Per quanto mi riguarda questo controllo dice della vostra abilità ancor più del colpo andato a segno: la Guardia reale non potrebbe chiedere Comandante migliore, buon lavoro!».

«Colonnello de Jarjayes, buonasera, è un vero piacere rivedervi, a che debbo l’onore di questa vostra visita?»

Il sorriso franco e la vigorosa stretta di mano dicevano che non si trattava di convenevoli di circostanza e allentarono la tensione.

«Lo è anche per me Generale, avete fatto tanta meritata strada in questi anni e so che vi siete fatto onore in America. Io, come forse saprete, tra due giorni assumerò l’incarico di comandante della Compagnia B della guardia metropolitana di Parigi. So che anni fa siete stato in quel ruolo e mi sono permessa di venirvi a chiedere qualche consiglio, per farmi trovare pronta a un contesto riguardo al quale non conosco che dicerie di terza mano: come sapete a Versailles tutti sanno tutto di tutti ma nulla di serio riguardo a quello che succede fuori. Per la verità, poco di serio anche dentro».

De Chateaubriand non si chiese da che cosa stesse fuggendo la donna che aveva davanti e che stimava moltissimo professionalmente, quello che aveva detto di Versailles gli bastava per capire che quel mondo non le apparteneva come non era mai appartenuto a lui ed era sufficientemente esperto di padri autoritari per sapere che cosa significasse uscire dalla loro ombra.

«Sarei disonesto se non vi dicessi che vi siete scelta, o almeno trovata, una strada impervia, Oscar François, ma lo sapete benissimo da voi e non credo che siate sprovveduta. Non è un reggimento facile. Ma anche se certo non sono dei raffinati e spesso vestono la divisa con una trasandatezza inimmaginabile per chi ha assistito vent’anni quotidianamente all’impeccabile liturgia del cambio della Guardia reale, il problema non è che siano uomini del popolo ma il fatto che siano malamente addestrati e ancor peggio pagati. E certo non aiuta il fatto che siano da sempre in balia di comandanti nella migliore delle ipotesi inesperti – era il mio caso – e nella peggiore impreparati e inadeguati, messi lì solo per il requisito dei quarti di nobiltà. È questa purtroppo la situazione che si è verificata più spesso e di certo non avrà migliorato la loro condizione negli ultimi 15 anni. Essere considerati periferia dell’impero, lasciati in un luogo malsano e maltenuto, malnutriti, cui poco si chiede e poco si dà, non favorisce né l’abnegazione né la disciplina. Immagino che vi troverete a fronteggiare come minimo la diffidenza: siete nobile e...»

«...Donna...». Concluse Oscar decisa a togliere entrambi dall’imbarazzo, mentre dentro di sé lo ringraziava per la discrezione di non averle chiesto il perché di quel cambiamento imprevisto e imprevedibile.

«Purtroppo sì, anche questo vi faranno scontare... ma siete l’uomo migliore su piazza, e vi assicuro che dico sul serio, lungi da me giocare con le parole. Io penso che se chi governa questo Paese avesse messo più spesso le sue persone migliori nei posti più difficili e complessi, forse non saremmo al punto in cui siamo. Se ci si fosse preoccupati di risolvere qualche problema invece di lasciarli covare sotto la cenere forse non sarebbe oggi tutto così difficile».

«Già, ma non sembra che le vostre riflessioni abbiano molto seguito tra i nobili».

«Purtroppo no. E infatti sono molto preoccupato, ho una giovane moglie sposata per amore, a costo di rinunciare a una cospicua parte di patrimonio, e un bimbo piccolo che mi piacerebbe crescesse in un mondo più armonico di quello che i nostri padri gli stanno lasciando. Non sono un giacobino, non fraintendetemi Oscar – se mi permettete di chiamarvi così senza titoli né gradi - , ma mi rendo conto che se non si favorirà un po’ più di equilibrio la tensione sociale esploderà: preferirei che il mio bambino crescesse in una stagione di riforme che di guerra civile. Tornando a voi, Oscar, avrete momenti forse difficili, ma io sono convinto che ce la farete: non c’è niente di speciale che dovete fare, siete molto più esperta di me allora. Siate l’ufficiale che avete dimostrato di essere fin qui: leale, autorevole, capace e coraggioso. Magari ci metterete un po’ ma i risultati verranno. Questa non è Versailles, Oscar, ma le voci girano. E tutti sanno di che pasta siete fatta: benché l’invidia non sia il più nobile dei sentimenti, gli aristocratici ne trasudano e quindi ne troverete più d’uno a gioire delle vostre possibili difficoltà. Ma non lasciatevi condizionare, siete sopravvissuta quasi vent’anni a Versailles, non credo che vi manchi l’allenamento in fatto di rospi da ingoiare, tra le cose che si dicono di voi non c’è l’inclinazione ad arrendersi alle prime difficoltà».

«E che altro si dice di me?».

«Niente di che, hanno poca fantasia: una donna con le palle, presumo che lo giudichino un invidioso complimento... Una vergine di ghiaccio, ma solo perché non date confidenza a nessuno e fate bene, servirebbe soltanto ad alimentare maldicenze peggiori. La verità è che i vostri pari grado e superiori vi temono: la vostra impeccabilità e la vostra professionalità sono per troppi un metro di paragone che mette a nudo le loro mancanze. Siete una spina nel loro sedere, scusate l’espressione da caserma, Oscar, perché siete più brava di loro, non lo sopportano dagli uomini, figuriamoci da una donna che non possono immaginare di sottomettere... Tutte sciocchezze, Oscar, non lo ammetterebbero neanche sotto tortura ma tutti sanno che ci sono in giro ben pochi ufficiali alla vostra altezza», rise di gusto.

«Pensate che siano voci giunte anche ai miei futuri soldati?».

«Non credo proprio, Oscar, non hanno niente a che spartire con gli ufficiali, credo che non ce ne sia mai stato uno che abbia condiviso una birra con loro per non contaminarsi. Nemmeno io, sbagliando, all’epoca lo avrei fatto: ero più giovane delle mie reclute e ho ascoltato chi a torto mi ha consigliato di tenere le distanze perché non mi considerassero un amico e non mi prendessero sottogamba. Ho capito con l’esperienza che se sei serio e capace non hai bisogno di fare l’altezzoso per dare ordini, ma devi essere credibile, quello che in genere non sono i comandanti che arrivano in quei reggimenti cui mandano solo scarti presuntuosi. Se mi fossi mescolato di più a loro, avrei scoraggiato qualcuno a passare la misura e avrei avuto qualche grattacapo disciplinare in meno e avrei capito meglio le loro vere difficoltà, di cui il servizio non è la parte preponderante. Voi siete un militare esperto, Oscar, sapete come fare. L’unica cosa che vi consiglio è di tenere gli occhi aperti, perché là dentro c’è qualche avanzo di galera, ma avete tanto di quel mestiere che li misurerete in due giorni».

«Sapete qualcosa del vice, qualcosa che possiate dirmi senza metterlo in difficoltà? Diversamente tacete pure, mi arrangerò da me, non voglio mettervi nella posizione del delatore e non mi piace l’idea che uno faccia il delatore con me, anche se mi dovesse tornare utile».

«Questa preoccupazione vi fa onore, Colonnello, non è da tutti, anzi quasi da nessuno, ma non è necessaria, D’Agoult è una persona apparentemente spigolosa, molto formale e piuttosto sulle sue, ma capace e molto leale, tra l’altro gran lavoratore, sono sicuro che avrete in lui un alleato attento e discreto. In questo siete capitata bene, se è ancora lì è solo perché fa comodo uno come lui nel disarmo generale e perché, non ho mai capito per quali ragioni, non si decide a chiedere un posto migliore che meriterebbe eccome».

«È una notizia che mi rinfranca, ma io temo che mi stiate sopravvalutando, io non sono così sicura che sarò in grado di governare la situazione, se dovessi trovarmi in difficoltà: in fondo fin qui è stato tutto semplice almeno a livello disciplinare, era più difficile gestire le intemperanze della regina che quelle dei soldati.

«Lo chiamate, poco, Oscar? Sapete solo voi quanta diplomazia e quanto carattere richieda dire dei no alla Regina di Francia che tutti accontentano. Quanto alla sopravvalutazione, Oscar, permettemi di avere la presunzione di saper valutare un ufficiale, non ho dubbi riguardo a voi, solo una cosa non vi perdono».

«Quella ferita?»

«Scherzate? Era solo un graffio e mi faceste bene, stavo diventando supponente. Vi dirò di più, credo che quella lezione presa da voi in America mi abbia salvato la vita: in un corpo a corpo mi sono trovato in una situazione simile e se non l’avessi già vissuta con voi, illuso di aver già vinto, avrei subito quel contrattacco. Quello che non vi perdono è di non avere fatto abbastanza male a quel losco figuro di de Germaine avendone avuta l’opportunità».

«Anche questo sapete?»

«Oscar, suvvia, ne parlò tutta la nobiltà, dicevano tutti che fosse stato un azzardo da parte vostra scegliere l’arma a voi meno favorevole. Anch’io sapevo che quel verme spara bene e che con la spada lo avreste infilzato come uno pollo allo spiedo in un solo colpo, ma io vi ho vista sparare 100 colpi su 100 sotto pressione. Speravo solo che lo feriste un po’ di più».

«A caldo l’avrei ucciso volentieri dopo quello che gli ho visto fare, per fortuna la mia impulsività è stata frenata – mentre lo diceva Chateaubriand ebbe l’impressione di aver visto il suo sguardo tremare - . Ma, a freddo, non so e non voglio uccidere, neanche il peggiore degli uomini».

«Anche questo vi fa onore, Oscar, stavo scherzando riguardo al verme. Verme lo considero davvero e se qualcuno lo levasse di mezzo brinderei, ma sono felice per voi che il suo sangue non sia sulle vostre mani, anche se vi confesso di aver goduto quando mi hanno detto che lo avete lasciato per tre mesi con una mano fuori uso. Quanto al resto non ho dubbi sul fatto che sappiate il fatto vostro».

«Che volete che vi dica, Generale, posso solo andare avanti, perderei la faccia a tornare indietro e dunque da dopodomani sarò il Comandante della Guardia metropolitana e dovrò cavarmela. Non posso sbagliare una mossa, questo lo so».

«Rispondetemi solo se volete e potete: come l’ha presa vostro padre?»

«Male, ovviamente. Ma come ogni padre deve rassegnarsi al pensiero che i figli crescono. Però è ovvio che se fallissi, il fallimento come sempre nella mia vita ricadrebbe anche su di lui. Forse è la cosa che più mi pesa».

«Vi capisco, Oscar, almeno credo. In questo avete avuto la vita più difficile di tutti noi, ma io conosco vostro padre, l’ho visto in azione tante volte, è un uomo serio davvero, se si fosse accorto di vostri limiti vi avrebbe fermata, non si sarebbe mai abbassato come fanno altri a mendicare raccomandazioni per la progenie! Capisco che per voi questo significhi una pressione enorme, ma il vostro onore in questo modo non è stato in questione per un solo istante».

«Vi sembrerà strano, ma io di questo lo ringrazio». E intanto pensava che rimpiangeva il fatto di non potersi confrontare con lui riguardo ai dubbi sul nuovo incarico, sapeva che suo padre avrebbe saputo suggerirle la strada da seguire, ma avrebbe dovuto almeno dirgli la ragione di quel cambiamento e non poteva. Il peso della solitudine gravava su di lei come un macigno.

«Siete seria come lui, Oscar, e questo fa onore a lui e a voi. Posso offrirvi qualcosa da bere prima di salutarvi?»

«No, grazie. Meglio di no. Nell’ultimo periodo mi sono concessa più di uno strappo ed è ora che torni nei ranghi. Vi ringrazio, Generale».

«Dovere, Colonnello. Tornate a trovarmi e ditemi come va». Una stretta di mano, più calda della precedente, segnò il congedo. Oscar uscì frastornata, senza capire se le attestazioni di stima rendessero la sua salita più accessibile o ancora più impervia.

Mentre cavalcava verso casa Oscar si chiese come sarebbe stata la sua nuova vita. E non trovò risposta. Si chiese dove fosse andato a finire André, una frazione di secondo prima di ricordarsi che non aveva più motivo di farlo. Una sensazione di freddo, immotivata dalla temperatura esterna di quel tiepido aprile, calò dentro di lei e non se ne andò per il resto della sera consegnandola all’ennesima notte per troppi motivi senza pace.

Il Generale de Chateaubriand si portò da quell’incontro da un lato il rimpianto che la nobiltà non avesse più persone aperte e rette come Oscar François de Jarjayes su cui contare e maledisse il pregiudizio di una società che in quanto donna le impediva di essere lì a insegnare ai giovani le tante cose che sapeva, dall’altro non riusciva a levarsi dalla mente l’ombra che velava lo sguardo determinato di quella donna da ammirare, si chiese quale dolore nascondesse il suo riserbo.

*È stata una scelta non inserire “notti normanne”, altri stanno coprendo con un’autorevole “Normandia” quel difficile momento mancante, non pareva il caso di sovrapporsi, semmai di scegliere un percorso complementare

   
 
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