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Autore: summers001    15/05/2023    4 recensioni
Oscar&Andrè | Missing moments | più capitoli | OOC: alcuni avvenimenti sono tratti dai fumetti, altri dall'anime, altri ancora dal film. I personaggi sono forse più vicini a quelli del manga. Li ho sicuramente un po' rivisitati, ma spero per il meglio.
Dal testo:
“Non hai sonno?” ti domando, con una voce che mi esce strana, troppo seria, troppo brusca, troppo tutto.
Guardi in alto, verso il cielo ancora pallido. Poi guardi me. “E tu?” mi domandi. Chissà cosa vuoi dire, chissà cosa nascondi. Mi siedo accanto a te stavolta. La manica della mia giubba struscia accanto alla tua. Vorrei allungare la mano, respirarti meglio. Immagino il calore del tuo corpo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oscar

Sono cambiate tante cose in realtà. E’ cambiato mio padre e la sua necessità di vedersi seguito da un erede che avesse per sempre portato il suo cognome. E’ cambiata mia madre, che è convinta di avermi dato un’occasione stravolgendo il suo pentimento. Sei cambiato tu, Andrè. Siamo cambiati entrambi.

Mi sono trovata a pensarti di recente. Te la ricordi quella volta, in quella taverna, quando facemmo a botte? Mi portasti in braccio e mi baciasti sulla via di casa. Le tue labbra erano gentili, dolci e delicate. Ancora me le ricordo. Credo di non averle mai scordate. Ci ripenso da quando Girodelle è venuto qui a casa mia, pretendendomi come merce di scambio, barattata da mio padre per la promessa di altri eredi. Come se la mia vita finora non fosse valsa a niente, come se avessi potuto cancellarla alla stregua di un errore.

Me ne stavo seduta davanti a mio padre ed accanto a Girodelle. Parlavano di un matrimonio come di una “splendida occasione” per vivere finalmente la vita che avrei sempre dovuto, senza pronunciare né “scusa”, né “grazie”. Mi infilavo le unghie nei palmi, mentre finalmente capivo che mi ero sempre illusa di contare qualcosa e di poter prendere una decisione che mi riguardasse. Capivo di essere libera solo nei confini che mi avevano disegnato. Me ne sono andata furiosamente, sbattendomi dietro la porta per fare scena. Avrei voluto raccontarti tutta la scena. Quando più tardi in giardino Girodelle mi si è avvicinato, quell’uomo che aveva preso ordini da me sin da che lo conoscevo, sapevo solo che non eri tu e che non era giusto. Inconsapevolmente stavo conservando per qualcun altro ogni cosa di me. Del suo bacio sapevo solo che non era il tuo. Ho cominciato da allora a pensare a te ossessivamente.

Ho scoperto che ti svegli presto qui in caserma, che ti metti seduto sui gradini a masticare frutta mentre aspetti il tuo compagno che torna dalla ronda della notte. Chissà forse vuoi offrirgli la colazione o dargli solo una pacca sulla spalla. Ho iniziato allora ad arrivare prima anch’io. All’alba parto di casa, corro con Cesar chiedendogli troppo. Mi faccio schiaffeggiare la faccia dal vento e dalla rugiada degli alberi e dei fili d’erba. Prendo fiato davanti alla caserma e rimango là ad ascoltare il cuore che batte forte, prima di entrare e vederti. La prima persona che vedo al mattino.
Non lo so perché lo faccio. Forse è malinconia la mia, forse voglio solo ricordarmi di quando eravamo a casa insieme e venivi a svegliarmi con le spade di legno in mano. Tu ed io, due bambini, in quella stanza che è sempre stata troppo grande per me sola.

“Non hai sonno?” ti domando quando ti raggiungo, con una voce che mi esce strana, troppo seria, troppo brusca, troppo tutto. Ti vorrei chiedere in realtà come stai, se ti danno da mangiare come fa la nonna, se hai tempo per te, se ti va di accompagnarmi o di baciarmi di nuovo. Non te lo racconto di Girodelle. Ho paura che ne soffriresti o che non ti importi. Ho paura di averci ucciso aspettando troppo.

Guardi in alto, verso il cielo ancora pallido. Poi guardi me. “E tu?” mi domandi. Chissà cosa vuoi dire, chissà cosa nascondi. Mi siedo accanto a te stavolta. La manica della mia giubba struscia accanto alla tua. Vorrei allungare la mano, respirarti meglio. Immagino il calore del tuo corpo.

Sì, che ho sonno, ti vorrei dire. Ma non voglio ammettere di privarmi del sonno per raggiungere te. Provo a pensarci e poi cambio argomento. “Hai visto ieri davanti all’assemblea?” faccio. “C’era una donna vestita da uomo.” Avrei voluto salutarla ieri, dirle che la capivo, spiegarle quello che aveva detto mia madre e che aveva tradito mio padre: quei vestiti sono una possibilità, ma rimarrai una donna comunque. Quei vestiti, persino i miei, erano la prova che l’uguaglianza urlata dal popolo erano una necessità. “Era anche molto bella.” Ti dico, ricordandomela come un inno alla femminilità. Mi manca parlare con te. Mi manca la tua prospettiva. Mi aspetto che mi dirai qualcosa sulla sua vera natura o sulla mia. Ti risponderei che finalmente lo so anch’io e che hai sempre avuto ragione.

Ti giri, mi guardi, sorridi. Mi batte forte il cuore quando sorridi. Sei cambiato, sei più bello, più maturo. Chissà perché nessuna mai ti si è proposta. “Secondo me tu sei molto più bella!” mi dici.

Prendo un respiro profondo mentre capisco il significato di quello che stai dicendo. Balbetto suoni, mentre tutta la mia finta sicurezza se ne va. “Gr…” grazie, vorrei dire o comincio a dire, ma qualcosa mi muore in gola e sto ferma e zitta. Questo non me l’avevi mai detto. Non così direttamente. Non credevo lo pensassi. Sorridi, abbassi il capo, te ne vai soddisfatto, gongolando e mi lasci sola.

Più tardi a casa nella mia camera ci ripenso. Di cosa parlavi? Come sarei bella io? Maria Antonietta è bella. Rosalie è bella. Io, invece, ero ridicola in abito lungo, imbellettata apposta. Raggiungo lo specchio e guardo la persona dall’altro lato. Vorrei non averne paura. La conosco così poco che ho bisogno di osservarla a lungo per riconoscermi. Mi chiedo se questi sono ancora i lineamenti di cui una volta eri innamorato. Mi chiedo se sono capace io di innamorarmi di nuovo, di dare qualcosa, di essere una donna, di “vivere la vita che avrei sempre dovuto”.

Una ragazzina aspra che si fa chiamare come un maschio mi guarda dall’altra parte. Vorrei cancellarla, dirle di andarsene. E’ passata troppa vita, quella non sono più io. Stringo i denti, le palpebre ed invece apro la giubba e mi tolgo la camicia. Vorrei aprire gli occhi, ma ho paura di quella ragazzina dall’altro lato che mi guarderà inorridita e sconvolta. Quella che trovo invece è una donna. E’ mutilata nelle fasce ed in una pelle piena di cicatrici. Le srotolo, mi srotolo. La libero, mi libero. Ed alla fine eccomi là. Sono fuggita così a lungo. Mi guardo con curiosità il torace che si apre e si spande, i seni che si muovono, la pelle che prende colore. Alla fine dovevamo pur incontrarci.

Hai sempre visto questa donna, Andrè? Hai sempre saputo che la ragazzina brusca nascondeva questo, nascondeva me? Hai sempre saputo che ho avuto paura, e che quando dall’altro lato ho appena scorto la donna, ho cercato la ragazzina ovunque, fin dentro la guardia cittadina?

Ti piaccio ancora?

Il pensiero che possa averla torturata troppo, persino per te, di aver distrutto la donna che hai sempre saputo che ero, mi scotta e mi allontano. Ho rovinato tutto. Una lacrima mi solletica gli occhi, mentre un colpo di tosse si rompe nella notte.

 


Angolo dell'autrice
Io ve l'avevo detto che ce l'avevo già scritta ed avrei ripostato in serata xD la prossima se riesco domani o mercoledì pomeriggio. 
Coomunque, la scena con Andrè è un rimaneggiamento (o missing moments) del manga. La seconda, Oscar da sola nella stanza, del film famoso del 1979 (giusto?). Mi è molto piaciuta, è una scena forte, che ha il suo perché. Molto reale, capisco il bisogno di guardarsi per accettarsi. 
E vabbè. 
I capitoli avranno tutti bene o male questa lunghezza, forse il prossimo qualche righetta in più.
  
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