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Autore: Ariisu    22/05/2023    0 recensioni
Vampire! Shōto Todoroki x Reader
 
𝐅𝐚𝐧𝐭𝐚𝐬𝐲 𝐀𝐔
 
Pensavo trattarsi frutto della mia immaginazione. Che la sensazione di essere continuamente osservata, anche nel sonno, fosse dovuta al repentino cambio di luogo.
Invece, dovetti ricredermi.
 
Aggiornamenti lenti.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Scarpe in pista.

Come previsto, la casa era un tutt'uno con la polvere. Seppur rimasta per mesi con tutte le serrande chiuse, quella maledetta polverina riusciva ad infiltrarsi ovunque.
Accolsi Eijirō all'interno dell'abitazione allungando la mano a lato della porta per cercare il vecchio interruttore a scatto della luce, la quale si accese traballante, illuminando di un giallo soffuso la stanza. Avrebbe resistito qualche giorno, dopodiché sarei salita su una sedia per sostituire la lampadina.
Dalle imposte accostate trafilava una pallida lama nebulosa, la quale oltrepassava di netto la tenda polverosa come un coltello. Per il resto, tutto era rimasto come io e i miei genitori lo avevamo lasciato. Mobili e televisore coperti da lunghi e pesanti lenzuoli ormai troppo datati da avere il coraggio di usarli per un'ultima volta. Il frigo riempito con qualche peluches e cibo dalla lunga data di scadenza. Nel freezer, invece, giaceva dimenticata una confezione di ghiaccioli alla menta, limone e arancia. Ad essere onesti, quasi tutta l'abitazione era stata ricoperta da teli di colori e dimensioni ognuno differente dall'altro. Soltanto il bagno e la cucina erano rimasti scoperti.
Tutto sommato non era male, almeno per me, pensai io. Una piccola casetta circondata da pini e piccola selvaggina. Il paradiso terrestre per gli amanti della natura e della solitudine. Certo, ci sarebbe voluto non più di qualche giorno per rimetterla in sesto, ma con un po' di musica e buona volontà il grosso del lavoro si sarebbe svolto il primo giorno. O perlomeno la mattina seguente. Al momento le mie prestanze fisiche equivalevano a quelle di un bradipo abbracciato al suo ramo preferito mentre si rigira tra i denti un pezzo di corteccia per noia. Fino al termine della giornata avrei semplicemente svolto il minimo indispensabile prima di crogiolare sotto le lenzuola – di cui dovevo ancora tirare fuori dall'armadio e rivestire il materasso di quella che un tempo era la mia cameretta, trasformata negli anni in una stanza adolescenziale ricoperta di poster e mai più mutata fino al mio imminente arrivo. –
Cominciai con il togliere i teli in salotto, passando poi a quelli nelle due camere da letto. Eijirō si era preso nuovamente la briga di aiutarmi, per cui gli dissi che per il momento bastava appallottolare i lenzuoli e buttarli sul pavimento. Più tardi li avrei messi in lavatrice insieme alle tende, ammesso che avrei avuto le forze di toglierle.
Io ed Eijirō lavorammo in perfetta armonia, tant'è che ci ritrovammo con un ammasso di teli nel piccolo salotto dai muri verdi e una nube di polvere che non voleva saperne di uscire dalle finestre aperte. Avevo persino alzato le zanzariere sperando vivamente che tutta la flora volante del bosco non entrasse in casa. A quel punto mi sarei sigillata la porta di casa alle spalle e sarei scappata nel mediocre hotel poco lontano dall'ingresso della città. Non che fosse tanto meglio di una casa pensionistica; ma almeno il nome, Hotel Ranch, camuffava alla perfezione quel drastico rinnovo che propinavano ogni primo dell'anno come unico buon proposito da non so quanto tempo.
Tutto di questo posto mi era mancato, a cominciare dai profumi e i colori. L'aroma inconfondibile di pino, l'aria frizzantina dopo una magnifica giornata di pioggia e quella lievissima fragranza di legno intagliato e appena muschiato. Il profumo invitante delle caldarroste e del forno a legna della panetteria. Il verde scuro degli alberi, l'erba imperlata dalla rugiada e il continuo susseguirsi delle stagioni. Ero emozionata come non mai. Tornare nella piccola casa vacanze mi faceva brulicare di vitalità.
La sera calò in fretta e una leggera brezza faceva danzare i rami degli alberi sopra il tetto. Mi sentii in dovere di offrire la cena ad Eijirō, infondo aveva sacrificato la sua giornata per aiutarmi e il minimo che potessi fare era almeno offrirgli il pasto. Scesi da camera mia, quasi inciampando su un gradino, e per poco non ritrovai un muro di muscoli a sbattermi sul viso. Si era fatto incredibilmente robusto e questo dettaglio si appuntò in un angolino della mia mente con un bel puntello rosso molto affilato. Evitai di proposito il contatto visivo e, come se niente fosse, mi diressi all'ingresso nascondendo alla bell'è meglio il mio viso mentre calzavo le scarpe. Infilai di fretta e furia il cappotto – incastrandomi in ciascuna manica – maledicendo il mio essere così goffa e maldestra. Soltanto una volta mi era capitato di arrossire e balbettare davanti ad Eijirō e da quell'episodio mi finsi malata per non andare a scuola per ben tre giorni. Dopodiché tutto ripartì alla normalità. Non ne parlammo mai, anzi. Più di una volta si era presentata l'occasione ma la scansavamo mettendoci a ridere su come Denki si fosse tinto la saetta nera sui suoi bei capelli biondi più storta dell'ultima volta.
Lo invitai a fare lo stesso con un fil di voce. Improvvisamente sentii di poter vincere una maratona ad occhi bendati. Spensi le luci, chiusi le finestre e la serratura scattò con un sonoro clunk.
«Quella tavola calda accanto al negozio di CD è ancora aperta?» Chiesi, osservando con blando interesse le punte infangate delle mie povere scarpe. Le fissavo, passo dopo passo, senza realmente guardarle. La testa immersa in un altro universo. Probabilmente sarebbe stato meglio ringraziarlo e dedicare la serata esclusivamente per me, raccontandogli una bugia bianca e promettendo che ci saremmo sicuramente rivisti a breve con gli altri. Ma ad Eijirō non riuscivo a mentire. Così bello e spensierato, che quasi faceva male a guardarlo per il timore di vedere un'espressione che non fosse felicità sul suo volto incorniciato di rosso.
Chissà se questi strani sentimenti provati nei suoi confronti fossero dovuti dalla felicità di rivederlo o nascessero da un qualcosa di più profondo e mai scavato.
Spensi il cervello.
Eijirō e amore non potevano stare in una sola frase.
«[T/N] mi stai ascoltando?»
«Cosa?»
«Il fango ti ha ipnotizzato?» Ed ecco un'altra delle sue risate cristalline.
Finsi di essere sorpresa e abbozzai un sorriso. Sentivo il cuore picchiare sulla gabbia toracica.
«Dipende da quanti di quei catorci a diesel sono passati di qui.» Strizzai gli occhi e saltellai poco più avanti di lui, le mani che sprofondavano nelle tasche del cappotto. Mi costrinsi a dei respiri lunghi e profondi, permettendo al freddo di ghiacciarmi il cervello senza ribellarmi. Avevo vent'anni, non quindici. Le storielle da liceo erano finite da un pezzo.
«Dicevo,» susseguì una breve pausa «che un sandwich bar ha preso il posto di Ducks&Friends. Ancora non l'ho provato, ti andrebbe?»
«Ducks&Friends e un sandwich bar? Quante cose mi sono persa? E che fine ha fatto HotDog ColdCat?» Non che potessi aspettarmi molto dalla fantasia di gente di paese, tuttavia certe volte faticavo a credere che dietro quegli strambi nomi non ci fosse altro che mero marketing. Perlomeno fruttavano loro soldi per i primi anni. Dopodiché la novità scemava così come l'interesse degli abitanti. Soltanto un nome aveva regnato a lungo in questo lato di periferia, talmente tanto che al volgere dei suoi tempi venne addirittura organizzato un corteo in memoria dei due anziani che lo gestivano. Fu una bella batosta anche per me.
«A dire la verità non in pochi hanno fatto a gara per accaparrarsi quell'immobile. Che tristezza, i due nonnini avevano davvero un cuore d'oro, per questo i loro piatti erano i più buoni di tutto il mondo!» Eijirō sospirò talmente forte da finire col strozzarsi. Poi riprese come se avesse fiato da vendere.
«Ricordo come se fosse ieri quella deliziosa minestra al tartufo.» I suoi occhi brillarono dall'emozione. Apprezzavo tanto questa sua sensibilità, lo sentivo vicino. «Il sapore leggero ma deciso, il profumo delicato e quella bellissima sensazione di calore ad ogni boccone. Quanto vorrei riavvolgere il tempo per assaggiarla un'ultima volta.» I suoi occhi si spensero e rimanemmo in silenzio. Poche volte avevo avuto l'occasione di andarci. Da quel che avevo sentito dire valevano molto dei piatti semplici ma notevolmente elaborati, non il genere di cose che farebbero gola ad un adolescente amante di merendine per colazione, pranzo e cena. L'empatia nei confronti del mio amico crebbe a dismisura. Mi riavvicinai a lui, permettendomi di sfiorare la sua spalla con la mia. Sapevo quanto ci teneva ad onorare i due anziani, aveva migrato su di loro l'ideale di nonni che non aveva fatto in tempo a conoscere.
Camminammo in silenzio, ricordavo alla perfezione il tragitto da casa mia alla piazza. L'unica cosa a preoccuparmi era l'avanzare del buio sulle nostre teste. Eppure con Eijirō accanto ogni timore spariva. Probabilmente nel mio ideale lo vedevo come un cavaliere, coraggioso e tenace da spaventare persino un leone. Ma troppo buono per sfiorare una mosca. Sentivo di impazzire.
«Eijirō, posso farti una domanda?» Parlai senza pensare. Aspettai però una sua risposta, che arrivò con un notevole ritardo.
«No, niente. Lascia stare.» Il silenzio ci avvolse di nuovo. Non sapevo esattamente cosa dire. Cercavo un modo per distrarlo ma la mia mente non suggeriva nulla. Per cui mi lasciai cullare dal vento. Le fronde alpine frusciavano sopra di noi come una ninna nanna. Soave e pacata, il genere di melodia che ti fa perdere all'istante la cognizione del tempo.
Sbucammo al terzo palo che determinava la fermata dell'autobus. Un tempo giallo, adesso aveva acquistato lo stesso colore del mio cappotto. Lo superammo, sempre nel nostro silenzio tomba. Mancavano altre due fermate di autobus per raggiungere la piazza, il che, secondo un mio veloce calcolo, sarebbero serviti più del doppio dei minuti usufruiti dal pullman per arrivarci. Sbuffai tra me e me, rimuginando su quanto fosse stata una buona idea.
Una leggera pioggerellina ci investì all'improvviso. Molto leggera ma pungente. Accelerai il passo, sperando che il mio amico facesse lo stesso. Avevo dimenticato l'ombrello dentro la valigia e non mi azzardai nemmeno ad inchiodare per fare retro marcia e correre sotto la veranda di casa. Una corsa sotto agli alberi non avrebbe di certo fatto male, sempre sperando che la lieve precipitazione non si trasformasse in un temporale con tanto di tifone. A quel punto ero pronta a farmi tirare sotto da un tronco.
Correvamo con le mani sopra la testa, Kirishima si era leggermente ingobbito e ciò non poté che procurarmi una risata.
Dopo una decina di minuti, finalmente, eravamo arrivati alla piazza. Io senza fiato, annaspante e con le mani sulle ginocchia, Eijirō più in forma che mai. Salimmo su un autobus in partenza e dopo tre fermate ci ritrovammo di fronte a quella che diedi essere una tavola fredda. Da quel che riuscivo a vedere attraverso la vetrata, offrivano una buona varietà di panini, sandwich, piadine e qualche dolce.
«Scusa» disse all'improvviso, «mi era venuta voglia di un panino con lo speck.»
Lo guardai interdetta, indecisa se mostrargli risentimento o ridergli in faccia per come se ne era uscito. Scossi la testa, oltrepassandolo con una lieve spinta per entrare al riparo. Nel frattempo la pioggia si era fatta più intensa.
«Fermi lì!» Una seconda voce mi raggiunse, calda e tuonante. Mi voltai di scatto, già pronta a tornare sotto la pioggia battente per non allagare il locale. In effetti avevo il cappotto che sgorgava acqua dalle estremità. Eijirō mi coprì gli occhi, spingendomi con il corpo per farmi entrare. Rimasi in silenzio con la bocca spalancata. Probabilmente assomigliavo ad un pesce, mancavano solo le squame a rivestirmi. Tuttavia non potei lamentarmi, soprattutto per le visioni di Kirishima a petto nudo che mi affiorarono in mente.
Facemmo qualche passo, poi d'un tratto Eijirō si arrestò. E per inerzia, anche io.
«Pronta, [T/N]?» Sussurrò lui al mio orecchio. Un brivido mi corse lungo la schiena. Speravo non si fosse accorto della pelle d'oca che era affiorata sul collo.
Cosa dovevo aspettarmi, stripper palestrati in divisa da poliziotto o pompiere? Repressi il sorriso da ebete che mi stava increspando le labbra.
Forse avrei dovuto pensare più razionalmente. Però non sarebbe stato affatto male.
Magari un evento di drag queen. In più di un'occasione il benzinaio mi aveva dato quell'impressione. Ero già pronta a lanciare le banconote. Peccato che avessi solo la carta di credito con me.
Sconsolata dal mio pessimo inventario intellettuale, annuii lievemente.
Stavo iniziando a tendermi e un piccolissimo nodo allo stomaco aveva preso a stringersi dall'emozione.
«Al mio tre.» Soffiò lui contro la mia guancia.

 

 

 

Nota Autrice

Ebbene sì, un po' di suspense per sfogare i gridolini da dodicenne al concerto di Justin Bieber.
Anche qui, mi ripeto, per Todoroki c'è da pazientare un altro po', ma prometto che non ve ne pentirete ;)

Ci vediamo al capitolo 3, buona lettura!

   
 
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