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Autore: Losiliel    26/05/2023    1 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
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[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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23

La variante Hellë

(o quando vai a un passo dal rovinare tutto, ma proprio tutto)


 

A inizio Lairë, la stagione del raccolto, quando i pascoli si tinsero di un verde più carico e i rami si curvarono sotto il peso dei primi frutti, quando nella Piana Dorata le tiepide brezze lasciarono il posto a una soffocante aria immota e il ronzio degli insetti divenne un sottofondo incessante, Morifinwë, approfittando del fatto che le lezioni con i suoi insegnanti erano sospese, cominciò ad allenarsi anche di mattina.

Hellë, che con l’arrivo della bella stagione era ancora più impegnata nelle attività della fattoria e non poteva dedicare a Morifinwë più tempo di quanto già facesse, incaricò Tyelkormo di prendere il suo posto. Il fratello accettò con entusiasmo, dimostrando così che anche lui sentiva il bisogno di esercitarsi nel ruolo di Lanciere, nonostante non perdesse occasione per negarlo.

Anche Káino, finalmente libero dalla scuola, prese l’abitudine di frequentare il campo di mattina, forse perché aveva la possibilità di assistere alla gara così come si sarebbe svolta il giorno dell’Oscuramento, o forse perché con Tyelkormo c’erano più occasioni per scherzare e divertirsi rispetto a quando a dirigere l’allenamento era l’ex-Cacciatrice.

E così, di mattina Morifinwë provava la Corsa senza la tensione di essere sotto giudizio, in un clima rilassato e disteso, talvolta persino divertente, mentre di pomeriggio si perfezionava, senza alcuna distrazione, sotto l’occhio vigile di Hellë che, con l’avvicinarsi della gara, diventava sempre più severa ed esigente.

Per Morifinwë era la situazione ideale.

E continuò a esserlo finché non cominciò ad accorgersi che, nonostante l’intensificarsi dei suoi sforzi e l’aumento delle ore dedicate a esercitarsi, non stava più migliorando. I suoi progressi si erano fermati, era arrivato al suo massimo.

E il suo massimo non bastava.

Il giorno in cui se ne rese conto, fu quello in cui rischiò di perdere tutto.

Si avvicinava il secondo mescolarsi delle luci, e lui e Hellë si preparavano a lasciare il campo di allenamento. Era stato un pomeriggio particolarmente buono, in cui Morifinwë era riuscito diverse volte a eseguire l’intera Corsa in modo quasi perfetto. Ma questo, lungi dal rallegrarlo, l’aveva messo di fronte alla dura realtà: la sua “perfezione” poteva forse permettergli di non sfigurare tra gli altri concorrenti, ma era lontanissima da quella del campione in carica.

– Siamo realistici, non ce la farò mai! – esclamò, estraendo la lancia dal centro del bersaglio, – anche se riuscissi a eseguire tutto alla perfezione, non potrei mai farlo più velocemente di Nordacil.

Doveva guardare in faccia la realtà: sapeva saltare su Morvail in modo quasi impeccabile, sapeva afferrare la lancia al momento giusto (complice il fatto che sia Hellë che Tyelkormo erano dei lanciatori eccezionali), sapeva cavalcare speditamente tra le curve senza sbavature e riusciva, il più delle volte, a colpire il bersaglio nel centro. Si era persino allenato con un velo traforato davanti agli occhi, per simulare il fatto che avrebbe dovuto gareggiare alla fioca luce delle stelle.

Ma se ripensava alla gara di Nordacil – e non era difficile, visto che ce l’aveva impressa nella memoria come se vi avesse assistito il giorno precedente – si rendeva conto di non avere alcuna speranza. La mossa chiamata “variante Nordacil”, che permetteva al campione in carica di afferrare la lancia senza deviare dal percorso più diretto e di tirare al bersaglio appena entrato nello slargo finale, faceva guadagnare al ragazzo un vantaggio che Morifinwë non sarebbe mai riuscito a colmare.

– Credevo non ti importasse vincere – disse Hellë, incamminandosi al suo fianco verso la fattoria, – ma solo arrivare tra i finalisti per esibirti davanti a tuo padre e fare una buona impressione. Per questo risultato, ciò che sai fare è sufficiente.

Era vero. Partecipare senza fare una brutta figura era stato il suo obiettivo quando aveva cominciato ad allenarsi. Eppure, adesso che era riuscito ad arrivare fin lì, Morifinwë scoprì che non gli bastava più.

– Hai lavorato molto bene – continuò la donna, – hai un Lanciere perfetto, hai un cavallo che percepisce ogni tua minima esitazione e vi si adegua, hai un’ottima mira. Riuscirai a gareggiare con onore davanti a tuo padre.

– Lo so, lo so! – esclamò Morifinwë, al colmo dell’esasperazione. – Hai ragione. È solo che vorrei, per una volta soltanto, essere il migliore di tutti.

– Essere il migliore di tutti non è questa gran cosa – commentò lei, con voce piatta.

Forse la ex-Cacciatrice parlava per esperienza personale, ma per Morifinwë le cose stavano diversamente.

– Può darsi – ribatté, – ma mi piacerebbe scoprirlo da solo.

Hellë si fermò. Le sue labbra si tesero in una piega più severa del solito. Il suo sguardo assorto passò da Morifinwë a Morvail, percorse l’intero circuito e si arrestò su un punto lontano, forse il bersaglio, forse qualcosa di ancora più distante che vedeva lei sola. Rimase in silenzio tanto a lungo che Morifinwë cominciò a pensare che si fosse persa nei suoi antichi ricordi. Alla fine disse: – Un modo ci sarebbe.

Diede due colpetti a mano aperta sul collo di Morvail, che tornò al punto di partenza, e indicò a Morifinwë la postazione dei Lancieri.

– Vai laggiù – gli disse, senz’altre spiegazioni, – e quando ti dico tira, tira.

Poi tornò al centro del campo.

Morifinwë non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto che quella sarebbe stata la prima volta che avrebbe visto Hellë eseguire l’intero percorso. Appena la donna giunse in posizione, Morvail cominciò a galoppare verso di lei, con un’andatura molto superiore a quella che teneva quando si allenava con Morifinwë.

In un balzo Hellë gli fu in groppa.

– Tira! – gridò, e lui obbedì. Non fu un tiro molto preciso, ma lei si portò sulla traiettoria esatta per prendere al volo la lancia.

Poi successe l’incredibile.

Hellë entrò nella prima curva richiamando i piedi sotto di sé e si accucciò sul dorso del cavallo. Morvail scartò a sinistra per entrare nella seconda curva e lei, senza perdere l’equilibrio, ruotò il corpo a destra, in direzione della parte finale del circuito. Appoggiò un ginocchio sulla schiena di Morvail. caricò il braccio della lancia e tirò. Da dentro la curva.

Quando uscì nello slargo finale, la lancia aveva già colpito il bersaglio da un pezzo. Neanche a dirlo: nel centro.

Hellë proseguì per recuperare la lancia e tornò da Morifinwë. Scese da cavallo e congedò Morvail con una carezza sul collo.

Lui era rimasto senza parole davanti a quell’esibizione straordinaria.

E anche parecchio irritato, a dirla tutta. Furioso, quasi. Per quale assurdo motivo Hellë aveva voluto mandare in pezzi le poche certezze che gli rimanevano, mostrandogli una cosa che lui non sarebbe mai riuscito a fare, nemmeno se si fosse allenato cent’anni?

Ma la donna era chiaramente di un altro parere, perché cominciò a spiegagli ciò che avrebbe dovuto fare come se fosse stata una lezione normale.

– Se riesci a lanciare mentre sei ancora in curva, anche se non sarai veloce come Nordacil, potrai recuperare abbastanza tempo per tentare di batterlo – gli disse. – E l’unico modo per lanciare con sufficiente forza da così lontano, è mettersi di traverso sul cavallo, col corpo rivolto al bersaglio.

Si batté una mano sul petto e mimò il gesto di lanciare dritto davanti a sé.

– Stai scherzando, vero? – le chiese Morifinwë, trattenendosi a stento dal gridare.

– Lo so che è difficile – cominciò lei, e l’impercettibile ruga che le comparve tra le sopracciglia gli disse che la donna non capiva il motivo della sua reazione, e questo lo fece infuriare ancora di più.

– Difficile? – urlò Morifinwë, – è dannatamente impossibile!

Gettò via la lancia che lei gli aveva riconsegnato. – Non riuscirò mai a fare quello che hai fatto tu! Ma come puoi pensare che io possa… Oh, maledizione, non capisco nemmeno perché tu abbia voluto mostrarmelo.

– Perché hai detto che vuoi vincere – cominciò lei, – e questa è l’unica possibilità che hai. Non riuscirai a diventare più veloce nel poco tempo che ti rimane, ma puoi provare un metodo diverso.

Hellë gli si avvicinò e gli mise una mano su una spalla. Il contatto prese Morifinwë così di sorpresa che per un istante dimenticò la sua rabbia.

– Carnistir, non ha senso rinunciare prima ancora di aver provato.

Morifinwë chinò il capo. Nel sentirla così vicina, alta e sicura, si sentì piccolo e si vergognò del suo stupido sfogo infantile. Annuì.

– Fammelo rivedere – borbottò. – Però più piano.

Lei lo accontentò e ripeté il tutto più volte, commentando i vari passaggi ad alta voce perché lui potesse comprenderli meglio e memorizzarli. Morifinwë osservò con attenzione ogni movimento e lo ripeté nella mente come quando faceva gli esercizi di previsualizzazione. Alla fine si sentì abbastanza sicuro, o abbastanza folle, da provare.

Hellë gli fece le ultime raccomandazioni e si portò alla postazione dei Lancieri.

Morifinwë diede il via alla corsa cercando di ignorare il cuore che gli martellava contro le costole. Balzò a cavallo e mancò poco che si facesse sfuggire la lancia, aveva le mani che tremavano leggermente e i palmi sudati.

All’ingresso in curva Morvail rallentò l’andatura, come se sapesse che il suo cavaliere aveva bisogno di più stabilità. E probabilmente lo sapeva davvero, dato il profondo legame che li univa in quel momento. Morifinwë raccolse le gambe sotto di sé e si accucciò sul suo dorso. Imboccò la seconda curva. Ma nel passaggio dalla posizione accucciata a quella inginocchiata di traverso, un piede gli restò incastrato a metà della rotazione e lo fece scivolare.

Cadde da cavallo, urtò la parete di paglia che delimitava il circuito e venne sbalzato fuori dalla pista. Non ebbe la prontezza di riflessi di mollare la lancia, e quando colpì il suolo l’impugnatura dell’asta gli finì nel fianco. Con la faccia a terra, sentì il terreno tremare sotto gli zoccoli di Morvail che terminava la corsa da solo.

Cercò di tirarsi su e si accorse che qualcuno lo stava già aiutando.

Hellë si era precipitata accanto a lui. Le sue mani forti lo tirarono su di peso da terra e lo fecero sdraiare sulla schiena. – Non muoverti – gli disse. Gli sollevò la camicia e gli passò le dita sulle costole, dove era stato colpito dal legno, premendo leggermente. Lui sibilò a denti stretti.

– Niente di rotto – constatò la donna, con voce colma di apprensione, quasi irriconoscibile, – solo una botta.

Infuriato per l’insuccesso e l’umiliazione, Morifinwë si trovò con la camicia arrotolata sul petto e le mani di lei sulla pelle nuda. Il desiderio, che pensava di aver tenuto sotto controllo, riemerse come se non fosse passato un solo istante dalla sera in cui l’aveva tenuta tra le braccia, mescolato con la vergogna per l’inadeguatezza del suo fisico. E questo lo fece arrabbiare ancor più del suo fallimento.

– Non ci riuscirò mai! – gridò, e con un gesto stizzito allontanò le mani di Hellë, si rimise a posto la camicia e si tirò a sedere.

– Tutto si può imparare, Morifinwë – disse lei, con fermezza. – Sono solo movimenti del tuo corpo, e il tuo corpo lo puoi dominare con questa – aggiunse, battendosi un indice contro la fronte.

– Tu la fai facile! – gridò lui di rimando. – Tu fai sempre tutto facile, ma quanto tempo hai avuto per imparare a fare quello che sai fare?

Davanti alla sua ostinazione anche l’impassibilità di Hellë cominciò a venire meno. – Non avevo neanche la tua età quando siamo partiti per la Grande Marcia – disse, – e nel giro di pochi anni avevo imparato tutto quello che so.

– Lo vedi? – esclamò lui. – Parli di anni! Anni solo per diventare un’esperta di…

Morifinwë andò con lo sguardo al bracciale di cuoio che le copriva il polso, un bersaglio come un altro su cui dirigere la sua rabbia.

– Cos’è? – domandò, indicandolo, – è la lancia, vero? Lanci meglio di Tyelkormo, deve essere quella la tua specialità.

Hellë serrò le labbra e gli offrì il polso.

– Avanti, slega – gli disse.

Morifinwë esitò, col respiro bloccato in gola, le dita già sui lacci. Un vecchio sogno legava quel gesto a qualcosa di intimo, qualcosa che non lo avrebbe aiutato a reprimere il desiderio che era appena tornato a farsi sentire.

La curiosità lottò contro la paura.

Morifinwë conosceva bene quello stato d’animo: sentimenti contrastanti che lo laceravano tirandolo dai due lati. Era lo stato d’animo che precedeva le decisioni sbagliate.

– Slega! – ripeté lei, che non poteva sapere la direzione che avevano preso i suoi pensieri.

Non trovando una scusa per rifiutarsi di fare ciò che gli veniva ordinato, Morifinwë allentò i lacci e fece risalire il bracciale lungo l’avambraccio, scoprendole il polso.

Non c’era il suo nome, lì sotto, come c’era stato nel suo sogno.

Ma nemmeno c’era il simbolo della lancia che si era aspettato di trovare.

Sulla pelle liscia e pallida della donna spiccava una lunga fila di sottili simboli neri che le circondavano il polso come fosse un secondo bracciale, fatto d’inchiostro invece che di cuoio.

C’era la lancia. E il coltello. E l’arco. La mano aperta. E tanti, tanti altri che Morifinwë non sapeva riconoscere.

– Com’è possibile? – mormorò, con lo sguardo fisso sul polso di Hellë.

E prima che lei potesse rispondere, a Morifinwë fu chiaro il motivo che aveva spinto la donna a mostrarglieli: se in pochi anni lei aveva imparato a eccellere in tutte quelle discipline, di certo lui sarebbe stato in grado di imparare quattro banali movimenti nelle poche settimane che gli restavano prima della gara.

Ma capì anche molto di più.

Capì perché li teneva nascosti.

Tornò a quella sera, la sera del ballo, la sera in cui lei gli aveva confessato di non essere riuscita a difendere chi amava. La vide come doveva essere stata nei tempi antichi: una Cacciatrice straordinaria, e straordinariamente sicura di sé – se era vero ciò che il nonno gli aveva detto a proposito di chi si faceva tatuare – magari un po’ spaccona, come Tyelkormo, che aveva dovuto imparare nel più duro dei modi che anche lei poteva fallire.

Morifinwë non poteva immaginare in quale occasione le sue incredibili capacità l’avessero tradita, ma sapeva che, quando era successo, il disastro era stato insanabile, e la vergogna e il rimorso insostenibili. Perché la donna li provava ancora adesso, dopo centinaia di anni. Adesso che viveva un’altra vita in un mondo nuovo.

E lui riusciva a sentirli, come se li stesse provando sulla sua pelle.

Morifinwë sfiorò con il pollice la fila di simboli. C’era intimità in quel tocco. Ma non quella del suo sogno, fisica, carnale. Era qualcosa di molto più profondo. Era un’intimità di pensiero, un grado di comprensione che lui non aveva mai sperimentato con nessuno.

La sentì tremare ed ebbe il coraggio rialzare lo sguardo.

Hellë aveva gli occhi chiusi, ciglia nere macchiavano il candore della sua pelle come cicatrici mai rimarginate a dovere. Il volto immobile, non un suono usciva dalle sue labbra socchiuse. Non un respiro.

Tramite il legame di spiriti che stavano condividendo, Morifinwë percepì chiaramente quanto lei fosse stata presa alla sprovvista da ciò che stava accadendo.

Hellë gli aveva permesso di vedere i suoi tatuaggi per incoraggiarlo, per dimostrargli che ogni traguardo si può raggiungere, che ogni gesto atletico si può imparare e che non bisogna mai perdersi d’animo.

Invece si era trovata a mostrare cose di sé che non era pronta a condividere. Inadeguatezza, rimorso, senso di colpa. Disperazione.

Morifinwë voleva dirle parole di conforto. Voleva dirle che la vita andava avanti, che tutto si poteva superare, che aveva già pagato abbastanza per i suoi errori. Voleva dirle che si sarebbe preso cura lui di lei, che renderla felice sarebbe diventato il suo scopo nella vita. Fu preso dall’irresistibile impulso di portare il suo polso alle labbra, per suggellare la promessa, per dimostrarle la sua devozione.

Era un desiderio fisico, ma non solo; era un’unione di spiriti quella che bramava. C’era un canale tra le loro menti che nessuno dei due aveva avuto l’intenzione di aprire, ma che aspettava solo di essere attraversato.

– Carnistir – mormorò lei, e Morifinwë se lo sentì riverberare in ogni particella del proprio corpo.

– Carnistir. Ti prego.

Lui si sforzò di aprire la mano per lasciarle andare il polso, e allo stesso tempo di chiudere la mente. Non aveva mai dovuto fare niente di così difficile.

Ma doveva riuscirci. Hellë aveva detto soltanto “ti prego”, ma lui aveva sentito anche quello che veniva dopo: Ti prego, non costringermi ad allontanarti.

Le aveva fatto una promessa tanto tempo prima, sulla loro panchina nel frutteto. Le aveva assicurato che non l’avrebbe mai messa a disagio con i suoi sentimenti inopportuni. Le aveva giurato che se non fosse riuscito a dominarsi si sarebbe allontanato da solo.

Doveva tenervi fede, altrimenti avrebbe rovinato tutto.

Con enorme fatica rimise il bracciale sul polso e con dita malferme annodò i lacci. Poi, con uno sforzo ancora maggiore, si ritirò in sé stesso e chiuse la mente.

– Perdonami – disse. – Non accadrà più.

Si alzò in piedi. Una fitta al fianco, regalo della caduta, spezzò il movimento in due.

Lei non provò ad aiutarlo. Si alzò a sua volta e fece un passo indietro. Il viso era di nuovo una maschera di compostezza. Lo sguardo, imperscrutabile.

– Non hai niente di cui scusarti – disse, – è stata colpa mia. Volevo solo mostrarti che ce la puoi fare, così come ce l’ho fatta io molti anni fa. – Un’esitazione, poi: – Non immaginavo fino a che punto…

– Ho capito – la interruppe Morifinwë, che non voleva sentirsi dire quanto fosse patetica la sua stupida cotta adolescenziale. – E hai ragione, come sempre. Posso imparare.

Si scosse di dosso la terra, respirò a fondo per verificare lo stato delle sue costole. – A lamentarmi perdo solo tempo.

Richiamò Morvail e lo condusse all’inizio del circuito.

Non poteva rinunciare. Non dopo quello che era appena successo.

C’era un solo motivo per cui la persona più riservata di tutta Arda si era aperta a quel modo con lui, rischiando di mostrare cose di sé che teneva sepolte con cura nel profondo del cuore, ed era perché lui potesse raggiungere l’obiettivo a cui tanto teneva.

Hellë si era messa in gioco per lui, gli aveva dato tutto quello che poteva, e anche di più.

Non l’avrebbe delusa.



 

Quando, una decina di giorni dopo, Tyelkormo vide per la prima volta Morifinwë tirare al bersaglio da dentro la curva semi inginocchiato sul dorso del cavallo, per poco non si strozzò con un boccone della mela che stava mangiando. Se il piccolo Curvo si fosse messo a declamare in versi le lodi dell’ozio davanti al padre, il fratello non avrebbe avuto un’espressione più sorpresa.

– Che Mandos mi prenda! – tossì, lanciando ciò che rimaneva della sua mela in direzione di Káino e correndo incontro a Morifinwë. Káino schivò il torsolo e fece altrettanto.

I due si complimentarono con lui e con Morvail, pacche sulle spalle per il Cavaliere, carezze dietro le orecchie per il cavallo, parole d’elogio per entrambi.

– La chiameranno “Variante Moryo” – esclamò Káino, entusiasta.

– Se mi riesce – disse Morifinwë, – se no la chiameranno “Buffonata Del Secolo”.

– Hai abbastanza tempo per perfezionarti – lo incoraggiò Tyelkormo, e lo sorprese aggiungendo: – E poi ci sono qui io per aiutarti.

Non diceva tanto per dire. Da quel giorno Tyelkormo lo prese sotto la sua ala e non lo mollò più. Gli insegnò esercizi per migliorare la mira, per rinforzare i muscoli delle braccia, per affinare il suo equilibrio. Cambiò persino la sua dieta, facendogli mangiare molta più carne di quanta lui fosse abituato, e togliendogli tutti i dolci.

Káino, da parte sua, cominciò a non perdersi più neanche un allenamento al campo, né di mattina, né di pomeriggio, e a tenere statistiche quotidiane sui suoi risultati, incidendo tacche sulla staccionata dalla quale assisteva. Segni verticali se Morifinwë riusciva a portare a termine il percorso, orizzontali se cadeva durante il cambio di posizione, o colpiva il bersaglio troppo lontano dal centro.

La vigilia della gara, Káino gli comunicò che la variante Hellë gli riusciva ben nove volte su dieci, ponendo una marcata enfasi sul “ben”. Morifinwë non dubitava dei suoi conti, ma la loro interpretazione ottimistica non lo convinceva; per come la vedeva lui, “solo” nove volte su dieci suonava più corretto.

Quella notte Morifinwë dormì alla fattoria su una branda accanto al letto di Káino. L’indomani sarebbero dovuti partire al rifiorire di Laurelin, e Rowen li aveva fatti cenare prima e andare a letto presto.

Inutile dire che Morifinwë era lontano dal sonno quanto Endórë dalle sponde di Aman. Sdraiato nel letto, ascoltava i rumori della casa giungere attutiti da dietro la porta chiusa: i passi di chi si preparava per la notte, i tintinnii delle stoviglie che venivano riposte. Sentiva il respiro regolare di Káino che dormiva accanto a lui, e intanto si rigirava tra le lenzuola col pensiero che continuava a tornare a un’altra vigilia, quella in cui aveva ceduto alle sue paure ed era andato a sabotare la canoa di Angaráto. Capì di essere di nuovo alla ricerca di una scappatoia.

Questa volta, però, non era solo.

Si mise a sedere e allungò una gamba per dare un colpetto al letto dell’amico.

– Káino – chiamò, sottovoce.

– Mmh? – bofonchiò l’altro, stropicciandosi gli occhi e girandosi verso di lui.

– Come pensi che andrà? – chiese Morifinwë.

Káino si puntellò su un gomito e il suo sguardo si fece più attento.

– Onestamente? – disse. – Sei due volte meglio di Angandil anche se non fai la variante. Arriverai di sicuro tra i primi cinque.

– Non sto parlando di classifica – disse Morifinwë. La canzonetta di Tyelkormo non smetteva di risuonargli nella testa. Lo scenario che dipingeva lo terrorizzava.

– E se… – riprese, – e se mi faccio prendere dal panico e cado di fronte agli Anziani e a tutto il pubblico dell’Oscuramento, e a mio padre? Non avrei più il coraggio di farmi vedere in giro, né di tornare a casa.

– In quel caso dovremo procurarci una barca – disse Káino.

– Una barca? – esclamò Morifinwë.

– Per andarcene in Endórë – confermò l’amico con un sogghigno, – “Kainambárion e Morifinwë alla riconquista della terra perduta”, ricordi?

Morifinwë sorrise, suo malgrado.

– Ma vedrai che non succede – concluse l’altro, e si lasciò ricadere sul materasso.

Morifinwë restò a guardarlo per un lungo momento.

Il ragazzo sdraiato nel letto accanto al suo, con le palpebre chiuse dal sonno e ancora l’ombra di un sorriso sulle labbra, credeva in lui incondizionatamente. E questo era un pensiero confortante.

Ma ce n’era uno ancora più confortante, e a quello si aggrappò Morifinwë: anche se lui avesse perso la gara facendo una figura vergognosa, Káino non l’avrebbe mai abbandonato, né gli avrebbe negato la sua stima e la sua amicizia.

Con quel pensiero in testa si ridistese nella branda, si avvolse nelle lenzuola e chiuse gli occhi.

Morifinwë e Kainambárion – borbottò.

E si addormentò.

 


 


NOTE

Grazie a chi continua a seguire la mia storia, e un grazie particolare a chi me l’ha fatto sapere! ❤︎ Rispetto la riservatezza di chi legge sopra ogni cosa, ma sono anche troppo curiosa di sapere chi, al ventitreesimo capitolo, ancora non si è stancat* di Moryo e dei suoi amici ;-)

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Moryo, Carnistir = Caranthir
Tyelkormo = Celegorm
Curvo = Curufin
Angaráto = Angrod
Endórë = Terra di Mezzo

Personaggi di mia invenzione
Káino (diminutivo di Kainambárion), il migliore amico di Morifinwë
Morvail, il cavallo di Morifinwë
Nordacil, il campione in carica della Corsa del Cacciatore
Rowen, la fondatrice della fattoria, allevatrice di cavalli
Angandil, un concorrente della Corsa del Cacciatore

Nomi di mia invenzione
Piana Dorata, ampia pianura tra Tirion e Valmar

Nomi canonici usati non-canonicamente
Lairë, la stagione paragonabile alla nostra estate
 

Per chi fosse interessato, qui c’è la pianta del circuito con segnato il punto da cui lancia Morifinwë quando esegue la Variante Hellë.

 

  
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