“Le occasioni non si cercano,
si creano!”
CAPITOLO 2
LA YETI
«Ehi, Daemon. È una mia impressione, o negli
ultimi mesi ti stai applicando anche più di prima?»
«Dò
questa idea?»
«Non sei
scappato neanche durante la lezione di storia, il che è tutto un dire. È
successo qualcosa?»
E che
cosa dovrei dirti? Che ho letteralmente supplicato Drufo
di insegnarmi qualcosa di caccia, e lui in cambio ha preteso che dedicassi allo
studio tutto il resto del mio tempo?
«Per te
deve essere una specie di tortura.»
«Sono
cresciuto nei boschi, mi piace stare all’aria aperta. Però
ammetto che studiare ha i suoi vantaggi.»
La facevo
tragica per apparire credibile, ma in verità andare a scuola non era certamente
un peso.
Per
fortuna che dal vecchio me avevo ereditato anche la propensione allo studio e
all’apprendimento.
«Lo
sapevi? Se mescoli della radice di perinzia
grattugiata a della polvere d’oro, porti tutto ad
ebollizione e ci aggiungi all’ultimo della malvasia,
ottieni un infuso che se bevuto ti protegge dagli incantesimi di fuoco.»
Sembravo
proprio un piccolo saputello presuntuoso che amava mettersi in mostra, ma che
potevo farci? Ero fatto così.
«Ora
scusa, ma devo andare. A quest’ora il negozio è sempre
pieno di clienti.»
Septimus,
che amavo vedere così verde di invidia per come noi due andassimo tanto d’accordo, attese che fosse uscita dall’aula
prima di avvicinarsi al mio banco.
«Che cosa
ci trovi in te non lo capirò mai.»
«Invidioso?»
«Ma
scherzi. È solo una quattrocchi innamorata dei numeri. Non è certo il mio
tipo.»
Mentiva
sapendo di mentire, e la cosa mi faceva morire dal ridere.
«Ad ogni
modo, lo sai quello che si dice in giro riguardo a Mary? Dicono che suo padre
la picchi, e che spenda tutti i soldi del negozio in vino e carte.»
Era una
storia vecchia che tutti conoscevano al villaggio. Da quando Doug Wallace era
rimasto vedovo era annegato sempre più nella bottiglia, e ora non passava quasi
giorno senza che scatenasse risse nella locanda del padre di Giselle o alzasse
le mani su Mary.
Purtroppo
come tutti i luoghi di frontiera anche Dundee era quel genere di posto dove
ognuno si faceva i fatti propri, e complice il fatto che Mary era troppo
testarda o troppo spaventata per chiedere aiuto a qualcuno la situazione
rimaneva immutata.
Per ora
non potevo farci niente, ma anche quella era una cosa a cui avrei potuto
provare a porre rimedio se fossi diventato abbastanza forte o importante.
«Ora
vado. Sono in ritardo per la mia lezione di caccia.»
Se volevo dare vita alla mia visione dovevo
migliorare lì dove ero sempre stato carente, o dove ora mi rendevo conto di
avere sbagliato.
Ma prima
di tutto dovevo fortificarmi, e imparare un mestiere che potesse essermi utile
e nel contempo aprirmi le porte giuste. E visto che nelle legioni un orfano non
avrebbe avuto possibilità reali di carriera e che la milizia era solo una
manica di illetterati bifolchi, la professione di cacciatore mi era sembrata l’unica opzione percorribile.
E poi
almeno in quest’ambito non partivo sicuramente da zero.
Per mia
fortuna tirare l’arco non era molto diverso dallo sparare
con un cannone o un moschetto; bastavano un po’ di
inventiva, qualche nozione di fisica, e la freccia puntava dritta al suo
obiettivo, senza mancarlo e soprattutto senza fare rumore.
In poche
settimane avevo imparato a costruire, incordare e mantenere un arco, a
fabbricare e piazzare trappole, a seguire le tracce e a muovermi per la foresta
silenzioso come un lupo. Sapevo distinguere le prede ambite da quelle di scarsa
qualità o individuare a colpo d’occhio il bersaglio giusto
in mezzo ad un’intera mandria.
E poi
tirare con l’arco, scuoiare e trasportare le prede,
muoversi nei boschi e arrampicarsi sugli alberi erano modi molto efficaci per
fare muscoli e migliorare la mia già considerevole agilità.
Giustificavo
le lunghe assenze da casa dicendo che passavo il tempo alla baita a studiare e
fare i compiti, ma ero abbastanza sicuro che Scalia e Zorech
sospettassero qualcosa.
Quello
era il giorno del mio esame finale. Se fossi tornato entro il tramonto con
quattro lepri o due volpi, d’ora in poi avrei potuto
andare a caccia da solo e gestire da me i proventi del mio lavoro.
A metà
pomeriggio avevo già portato a termine il compito affidatomi, ma incapace di
contenere il mio brutto vizio di volermi sempre mettere in mostra avevo scelto
di restare nei paraggi e accrescere il mio bottino di prede.
Uno degli
allarmi sonori che avevo piazzato in giro per aiutarmi a individuare le prede
si mise a tintinnare mentre me ne stavo appollaiato su di un ramo, seguito
subito dopo da un gran fracasso ed ingiurie irripetibili.
Incuriosito
andai a vedere, ritrovandomi di fronte ad una scena a metà tra il comico e il
grottesco. Ai piedi dell’albero su cui mi ero arrampicato
stava una grossa lucertola in abito scuro completamente avvolta dal filo della
trappola, che più tentava di liberarsi e più rimaneva avvinghiata.
«Luda, brutto imbecille!» lo rimproverò il coboldo suo amico
tagliando lo spago. «Ti pare il caso di fare tanto chiasso?»
«Non è
colpa mia, Rust.» replicò la lucertola. «Vorrei tanto
sapere chi si diverte a mettere fili e campane in mezzo alla foresta.»
«Sono
trappole da cacciatori, idiota. Deve essercene uno nei dintorni.»
Al che
entrambi si guardarono attorno, ignari del fatto che mi trovassi proprio sopra
le loro teste.
«Ma il
capo non ha detto che gli umani non si spingono fin quassù?» disse ancora Luda
«Di
sicuro si tratta di quel caprone.» quindi Rust passò
il pugnale al suo compare. «Trovalo e fallo tacere. Io vado al nascondiglio.»
«Il capo
vuole mettere le mani sull’affare della caccia. Sicuro
possiamo permetterci di farlo?»
«È chiaro
che il vecchio drago non vuole collaborare. Lo avremmo fatto comunque. E poi,
questo affare è mille volte più redditizio. Vuoi spiegarlo tu al capo che il
nascondiglio potrebbe essere compromesso?»
Al che i
due si separarono, con la lucertola che si allontanò in una direzione e il
coboldo che, sistematosi meglio in spalla la sacca che aveva appresso, proseguì
nell’altra.
Quanto a
me, l’istinto mi diceva di girare i tacchi e andarmene per
la mia strada.
Ma ormai,
devo ammetterlo, il mio giudizio stava iniziando a risentire delle esperienze
che avevo vissuto fino a quel momento come Daemon Haselworth, e alla fine spinto
dalla curiosità che solo un bambino incosciente e troppo sicuro di sé poteva
avere mi misi alle calcagna di Rust.
Seguii le
sue tracce fin dentro ad una grotta nel cuore della foresta, con l’ingresso ben nascosto da alcune frasche e rami tagliati.
Non
dovetti che fare pochi passi all’interno per capire che si
trattava del magazzino segreto del maiale, una specie di stanza del tesoro
traboccante di merci esotiche di ogni genere, dalle spezie ai tessuti, fino
alle armi e a tutte le monete e valute conosciute.
L’interno era più grande di quanto mi sarei aspettato, e a causa
dell’eco quando udii la voce di Rust
mi rimbombò così vicina che per poco non mi venne un infarto.
«Anche
stavolta non hai mangiato? Sarà meglio per te che la prossima volta che ritorno
tu abbia finito tutto, o farai i conti con il capo.»
Commisi l’imprudenza di seguire il suono della voce in una camera
secondaria, scorgendo Rust rivolto di spalle e
intento a parlare con qualcuno ai propri piedi che non riuscivo a distinguere.
Ero così
preso ad osservare ciò che avevo davanti da dimenticare di guardarmi le spalle;
e nello stesso momento in cui riuscivo a percepire una presenza dietro di me
qualcosa mi colpì con violenza alla base del collo spedendomi dritto nel mondo
dei sogni.
Non so quanto tempo rimasi svenuto.
So solo
che quando ripresi i sensi ero a terra, legato come un salame nella stessa
stanza in cui avevo sbirciato.
Dall’altro lato rispetto a me, raggomitolata su sé stessa e incatenata
alla parete, c’era una bimba forse della mia stessa età, o
anche più piccola, i capelli candidi come la neve, il naso piccolo e rotondo,
orecchie ursine e una folta pelliccia su gambe e braccia.
Nei suoi
occhi, grandi e azzurri, solo paura.
«Sei uno
yeti. Come ti chiami? Cosa è successo?»
Lei non
rispose, restando a fissarmi tutta tremante.
«Dobbiamo
andarcene di qui.»
Tentai di
liberarmi, ma quei maledetti ci avevano messo davvero impegno a fare quei nodi,
e come se non bastasse un improvviso eco di passi mi costrinse a calarmi
nuovamente nei panni della vittima inerme.
«Io l’avevo capito subito.» disse Borg. «Avevo capito subito che
saresti stato una bella seccatura, ragazzino.»
«Cosa
avete fatto a Drufo?»
«A
differenza tua, sa rendersi invisibile. Ma non può restarlo per sempre. I miei
uomini stanno battendo la foresta, e altri sorvegliano la sua casa. Prima o
dopo salterà fuori.»
Borg
quindi si avvicinò afferrandomi per il mento e fissandomi dritto in volto;
difficile dire se trovassi più nauseante il suo puzzo da maiale o i profumi che
usava per nasconderlo.
«Ora che
ti guardo bene, sei piuttosto in forma. Nessuno penserebbe che sei cresciuto in
mezzo a un mucchio di mostri lerciosi.»
«Di
sicuro sono infinitamente migliori di te, lurido maiale!»
Mi pentii
subito di quell’affermazione. A quel porco bastarono due
dita per serrarmi la gola, stringendo quel tanto che fosse necessario per
rendere ogni mio respiro un rantolo agonizzante.
«La
senti? Quella sensazione che stai provando? Si chiama paura. Mi basterebbe un
gesto del pollice per spezzarti questo piccolo, fragile collo.»
Avevo
passato tutta la mia precedente vita a cercare di mascherare le mie debolezze,
e anche se dentro di me sapevo che il suo scopo non era quello di uccidermi non
posso negare che in quell’occasione ebbi davvero paura.
«Considerala
una lezione. Una molto importante. Prima di parlare, pensa sempre a chi hai
davanti.»
Per tutto
il tempo la piccola yeti dall’altro lato della stanza era
rimasta immobile, in silenzio e raggomitolata in una nicchia, incapace di
distogliere lo sguardo.
«Cosa
facciamo ora, capo?» domandò Rust. «Usiamo il
moccioso per costringere il drago a collaborare?»
«Ci sono
modi migliori per far fruttare merce inaspettata. Specie se è di prima
qualità.»
«Io non
sono merce. E non lo è neanche lei.»
«Se un
cliente richiede qualcosa, quella cosa diventa automaticamente merce da vendere
e comprare. Che si tratti di cibo, armi, o di un piccolo yeti delle montagne di
Khoral, che per inciso può valere una fortuna per i
collezionisti di mostri esotici. Che si tratti anche di un ragazzino umano. Tu
piccolo non hai neanche idea di quante famiglie nobili della Volkova senza eredi siano disposte a pagare cifre
spropositate per un bambino sotto i dieci anni, in salute e di bell’aspetto.»
A quel
punto il maiale si infilò in bocca il mozzicone estinto, masticandolo
rumorosamente.
«Dovresti
ringraziarmi. Di sicuro il posto in cui andrai a finire sarà infinitamente
meglio di questo letamaio.» quindi si girò verso i suoi uomini. «Luda, tu resta qui e sorveglia il magazzino, e tu Rust unisciti agli altri cacciatori. Voglio la testa di
quel caprone su un vassoio entro domattina.»
Pensava
di avermi domato, ma si sbagliava di grosso. Appena se ne furono andati mi
rimisi al lavoro, e anche se mi ci vollero parecchie ore di tentativi con il
rischio di slogarmi i polsi alla fine riuscii ad allentare i nodi e a
liberarmi.
Mentirei
se dicessi di non aver considerato per un attimo l’idea di
lasciare Borg libero di fare quello che voleva con me; di sicuro come figlio di
una famiglia nobile avrei avuto molte più possibilità di portare a termine la
mia missione. Il problema è che c’erano troppe variabili
da tenere in conto, dal prestigio e possibilità della mia eventuale famiglia d’adozione al tempo che sarebbe occorso per raggiungerla, e vista
la situazione non era il caso di affidarsi alla mia proverbiale fortuna.
«Ecco
fatto.»
Provai a
cercare le chiavi del collare della yeti, ma non trovandole non ebbi altra
scelta che rimediare uno scalpello e improvvisarmi scassinatore.
Quella
poveretta mi guardava come se ritenesse impossibile che un umano potesse fare
qualcosa di buono per lei, e probabilmente aveva ragione.
Nella mia
vecchia vita quasi mai avevo fatto qualcosa che non prevedesse un guadagno
personale, e non avevo alcuna intenzione di venire meno a questo fondamentale
del buon governante.
Ma la
cosa più indispensabile per chi aspira a percorrere la scala del potere è da
sempre la lealtà, e la lealtà di uno yeti, per quanto giovane, poteva diventare
un ottimo investimento per il futuro.
«Sapi.»
«Come?»
«Il mio
nome. Sapi.»
Almeno
stava iniziando a fidarsi, dando un senso a tutti i rischi che stavo correndo
per cercare di aiutarla.
Alla fine
bastarono pochi colpi per rompere quella vecchia serratura.
«E ora
andiamocene da qui!»
Il
problema restava Luda che montava la guardia alla
caverna, ma quella lucertola era così stupida da fare un giro di controllo a
intervalli regolari di trenta minuti, cosicché fu facilissimo sgusciargli
accanto senza che se ne accorgesse.
Una volta
fuori, e sempre tenendo per mano Sapi, corsi il più
velocemente possibile verso la baita di Drufo,
trovandola però come mi aspettavo sorvegliata dagli sgherri di Borg.
«Maledizione,
così non possiamo neanche usare i tunnel per raggiungere il ghetto.»
Occorreva
trovare un’altra soluzione.
Prima
ancora di diventare imperatore di mezza Europa avevo fatto tutto il possibile
per non contare sugli altri, convinto com’ero di poter
risolvere anche le situazioni più impossibili confidando unicamente in me
stesso e nelle mie capacità.
Ma quando
ti ritrovi in situazioni di quel genere, per di più nel corpo di un bambino,
arrivi a riconsiderare l’importanza di avere qualcuno fidato
a cui rivolgersi, realizzando nel contempo quanto sia stupido ostinarsi a voler
fare da soli per eccessiva confidenza o per senso d’orgoglio.
«C’è solo una persona che può aiutarci.»
In tutta la mia vita non avevo conosciuto
altro che sofferenza.
Non ho
mai saputo chi fosse mia madre, forse una schiava o la discendente di alcuni
degli umani che avevano seguito il Signore Oscuro.
Come
quasi tutti gli schiavi ero nata in una riserva, lì dove i mostri venivano
selezionati e accoppiati come animali da riproduzione, ed era stato solo per un
caso se ancora piccola –almeno per i miei standard– ero stata destinata allo stesso ghetto in cui era rinchiuso
mio padre.
Anche se
sei un drago sanguemisto che invecchia dieci volte più lentamente di un uomo
nei ghetti sei obbligato a crescere in fretta.
«Sei solo
una schiava!» mi aveva gridato la prima guardia che mi aveva punita «E tale
resterai per tutta la vita!»
Ma io non
ero come gli altri. Io lottavo.
Non ricordo
più tutte le volte che sono stata punita, e anche se le pietre del servo non
lasciano segni fisici il dolore e le ferite nell’animo non
scompaiono mai.
La prima
volta che mio padre mi aveva sorpresa a cercare di imparare a usare una spada
mi aveva rimproverata severamente. Lui diceva che l’odio
degli umani nei nostri confronti non era del tutto ingiustificato, visto quello
che avevano subito per causa nostra.
Io però
non ero d’accordo. Che colpa avevamo noi, che il Signore
Oscuro non l’avevamo neanche mai visto, per ciò che
avevano fatto i nostri antenati cinquecento anni prima?
Tutti i
giorni andavo alla segheria, o nei boschi a tagliare alberi, alla sera tornavo
a casa stanca morta, e il giorno dopo si ricominciava.
Era così
da centosessant’anni, e dentro di me mi stavo convincendo
che non sarebbe mai cambiato.
Poi, all’improvviso, un raggio di sole.
Papà e
gli altri mi avevano quasi mangiata quella sera vedendomi arrivare al ghetto
con Daemon tra le braccia –un nome che avrei scelto io
stessa– ed era stata dura convincerli a tenerlo.
Mi sono
domandata spesso perché una come me, che odiava gli umani con tutto il cuore,
si fosse dannata tanto per salvarne uno. Semplicemente di fronte a quel
fagottino abbandonato nella foresta non avevo capito più niente, come se avessi
avuto una voce invisibile a sussurrarmi nell’orecchio.
Inutile
dire che Lori era stata la prima a darmi manforte convincendo tutti ad
adottarlo, tanto quella muccona bruciava di istinto
materno represso, e le nostre litigate per accaparrarci le sue attenzioni
quando era piccolo erano diventate quasi uno spettacolo comico per i nostri
compagni.
Ma non
era stato facile, per niente.
Era già
difficile riuscire a badare a noi stessi, figuriamoci dover crescere un bambino
umano tenendolo nel mentre nascosto al resto del mondo.
L’idea di creare l’alias del signor
Haselworth era stata del vecchio Passe, un coboldo che ne sapeva sempre una più
di tutti, mentre quella di ricavare soldi e provviste dalla caccia della
lucertola Bombi, che ogni tanto non mancava di rubare qualcosa dalle cucine dei
minatori per nutrire il suo adorato nipotino.
In tutto
ciò mio padre, che non sembrava mai essersi del tutto convinto della decisione
che io e gli altri avevamo preso, aveva sempre supervisionato ogni cosa con
zelo intransigente, e anche se era troppo austero ed orgoglioso per ammetterlo
era chiaro che anche lui ben presto si era affezionato a Daemon.
Purtroppo
devo ammettere che all’inizio Daemon non aveva fatto
niente per dimostrare di meritare i sacrifici che stavamo facendo per lui.
Forse lo
avevamo viziato troppo, forse era semplicemente il suo carattere, fatto sta che
per lungo tempo l’idea di impegnarsi e dare un senso alle
nostre fatiche non l’aveva mai neanche sfiorato, e passava
tutto il suo tempo a marinare la scuola, fare il matto nei boschi o combinare
guai al villaggio coi suoi compagni.
Poi
improvvisamente, quattro mesi prima, un cambio radicale, e da un momento all’altro ci era quasi sembrato di avere a che fare con un’altra persona, perfino troppo matura e responsabile per un
bambino di dieci anni.
Un po’ mi dispiaceva non dovermi sempre preoccupare per i colpi di
testa del mio fratellino umano, così come mi aveva un po’
intristito che di punto in bianco Daemon avesse iniziato a prediligere lo studio
all’allenamento con la spada, che ormai praticava solo per
una manciata di ore alla settimana ma nella quale, per quale motivo, stava
diventando inspiegabilmente sempre più bravo.
Sapevo
per certo che mi stava nascondendo qualcosa, e questo mi rendeva pensierosa ed
irritabile; e non era quello il genere di preoccupazione che volevo avere per
lui.
A volte
speravo che combinasse di nuovo qualche guaio, o facesse qualche marachella
propria della sua età, per poterlo rimproverare e mettere in castigo come un
tempo.
Non
avessi mai avuto simili pensieri!
Era un
pomeriggio come tanti altri, passato a spaccarmi la schiena alla segheria. La
luce riflessa di uno specchietto mi arrivò in faccia sbucando dagli alberi, e
da come si muoveva capii subito che doveva trattarsi di qualcosa di grave.
Con la
solita scusa di andare a riempire gli orci al torrente mi mossi in quella
direzione, convinta di dover rimediare alla prima mattata del mio adorabile
fratellino dopo tanto tempo. E invece, Daemon mi si presentò davanti in
compagnia di una piccola yeti, entrambi coperti di sporco, raccontandomi la più
assurda e paradossale delle storie.
«Ma si
può sapere che hai combinato razza d’incosciente? E poi
cos’è questa storia che Drufo ti
sta insegnando a cacciare? Aspetta solo che papà ti metta le mani addosso!»
«Alla
punizione di nostro padre ci penserò dopo. Ora l’importante
è mettere Sapi al sicuro.»
In
effetti avevo notato che dopo la pausa per il pranzo quasi tutte le guardie di
Borg erano sparite costringendo chi era rimasto a sgobbare il doppio di prima;
quel maiale era così ricco e potente da poter comprare dalle guardie persino l’esenzione dal lavoro per chiunque volesse, e dal suo arrivo
erano stati in tanti di noi a vendersi a lui come faccendieri in cambio di una
vita un po’ meno miserabile.
L’unica cosa da fare era chiedere aiuto alla sola altra persona
capace di mettere insieme un gruppo abbastanza numeroso con la stessa facilità,
ma prima era necessario trovare un nascondiglio per quelle due piccole pesti.
«Ti
ricordi il nostro castello?»
«Certamente.»
«Andate
lì, restate nascosti e non fiatate, intanto io cercherò un modo per avvisare
nostro padre. Verremo a prendervi e vi porteremo al ghetto.»
«Grazie
Scalia. Ti devo un favore.»
«Aspetta
a ringraziarmi. Fossi in te mi preparerei fin d’ora per
una punizione coi fiocchi.»
Tornai
quindi al mio posto, spendendo la mezz’ora successiva
rimuginando in cerca di una soluzione.
Anche se
quel giorno avevano messo quel vecchio fossile di Oldrick
a sorvegliarci non potevo certo dire semplicemente che stavo male e volevo
tornarmene a casa.
Mentre
aiutavo Tarto a segare un grosso tronco ebbi l’idea giusta, e ringraziando gli dei per la mia natura di drago
al momento opportuno misi fulminea il braccio lungo il tragitto della lama.
Vorrei
dire che quello che feci dopo fu tutta scena, ma anche se il mio potere di
guarigione accelerata mi permetteva di riprendermi anche da una ferita come
quella il dolore che provai fu qualcosa di atroce, e le grida che lanciai per
attirare l’attenzione tutto fuorché finte.
«Ma sei
impazzita? Perché hai messo la mano in quel modo?»
«Te lo
spiego dopo, tu reggimi il gioco.»
Oldrick arrivò quasi subito con un paio di altre
guardie.
«Che è
successo?»
«Un
incidente Capitano.» disse Tarto, che poveretto era
così cotto di me che avrebbe fatto qualunque cosa gli avessi chiesto. «Ha messo
la mano nel punto sbagliato e…»
Chiamarono
il cerusico, che a parte applicarmi una fasciatura non poté fare altro che
riconoscere l’inevitabile.
«Visto
che è un drago non rischia la vita, e presto la ferita inizierà a rimarginarsi.
Per oggi però non può più lavorare.»
«Allora
non c’è niente da fare. Qualcuno di voi la prenda e la
porti al ghetto.»
«No
Capitano, non ce n’è bisogno. Posso tornare da sola.»
«Non fare
scherzi. Se vengo a sapere che sei andata altrove passerai un brutto quarto d’ora. Quanto a voi rimettetevi al lavoro. Dovrete lavorare anche
per lei.»
Per
quando riuscii a rimettermi in piedi e avviarmi verso il ghetto avevo già perso
talmente tanto sangue che la testa mi girava come una trottola, e a stento
riuscivo a camminare dritta.
Daemon,
accidenti a te. Giuro che questa te la faccio pagare.
Non avevo
fatto neanche metà strada che all’improvviso un’orda di energumeni sbucò fuori dal nulla, circondandomi mentre
percorrevo una zona di foresta poco battuta.
«Buongiorno
signorina Scalia.» grugnì una insopportabile voce di porcello alle mie spalle
«Di ritorno presto dal lavoro?»
«Buondì,
Mastro Zorech. Mi sembrava di riconoscere una puzza familiare.»
Sapevo
che provocarlo era pericoloso, specialmente nelle mie attuali condizioni, ma
mio padre lo diceva sempre che avevo la lingua più velenosa di quella di una
serpe.
«Sto
cercando il vostro bastardino umano. E sono sicuro che voi sappiate dove posso
trovarlo.»
«Perché,
di grazia?»
«Si è
impossessato indebitamente di una mia proprietà. Merce preziosa,
commissionatami direttamente da un funzionario molto vicino alla famiglia reale
di Patria. E ora, gradirei riaverla indietro.»
«Ti sei
fatto rubare la merce da un bambino? Complimenti, bel trafficante che sei.»
In altri
tempi quel maiale avrebbe raccolto la provocazione senza scomporsi, ma stavolta
si vedeva che non aveva nessuna voglia di scherzare.
«Beh, mi
spiace per te, ma non ho idea di dove sia Daemon.»
«Ne siete
proprio sicura?»
«Assolutamente.
E comunque, al tuo posto non mi preoccuperei troppo per quell’affare.
Di umani pazzi che amano collezionare mostri ce ne sono quanti ne vuoi là
fuori.»
Mi
accorsi di avere detto più di quello che avrei dovuto prima ancora di veder
comparire quell’insopportabile sorriso sdentato, e avrei
tanto voluto staccarmi la lingua a morsi.
«Strano.
Non ricordo di aver mai detto che la merce in questione fosse un mostro.»
Ad un suo
cenno i suoi uomini mi saltarono addosso tutti insieme; se fossi stata nel
pieno delle mie forze ne avrei fatto scempio in pochi secondi, ma mezza
dissanguata com’ero riuscii a stenderne solo due prima che
tutti gli altri riuscissero a bloccarmi a terra a pancia in giù.
«Lasciatemi,
maledetti!»
«Mi
dispiace che sia andata a finire così signorina Scalia. Ho grande rispetto per
voi e vostro padre.»
«Va all’inferno, sporco maiale!»
Il
pollice che uno dei suoi sgherri mi infilò nella ferita per poco non mi fece
perdere i sensi dal dolore, ma ero più determinata che mai a non dargliela
vinta.
«Nel
commercio gli accordi sono sacri. Non posso venire meno ad un accordo, o la mia
reputazione ne soffrirebbe enormemente. E la reputazione di un mercante è tutto
per lui. Quindi, ora mi direte dove si trovano quei due mocciosi.»
«Fai del
tuo peggio, maledetto. Ce ne vorrà prima che tu riesca a farmi parlare, e per
allora mio padre ti avrà già staccato la testa.»
«Ne
dubito. I miei ragazzi sanno essere molto creativi quando si tratta di spezzare
la resistenza anche dei più testardi. Ma sfortunatamente, non abbiamo tempo da
perdere con le finezze estetiche.»
Un attimo
dopo un fazzoletto impregnato di uno strano olio profumato mi venne ficcato con
forza sulla faccia, e nel giro di pochi secondi mi sentii sopraffare da una
tremenda stanchezza, mentre una voce impossibile da ignorare mi rimbombava
direttamente nella testa.
«La
verità è che ci sono metodi molto più efficaci per costringere qualcuno a
collaborare.»
Il castello non era altro che un rudere di
pietra perso nel cuore della foresta, divorato dai rampicanti e con il tetto
sfondato, introvabile per chiunque non sapesse dove cercarlo.
Scalia lo
aveva scoperto quando da piccola le permettevano ancora di girare liberamente
attorno al ghetto, ed era anche il posto in cui mi aveva trovato appena nato
una sera al rientro dal lavoro.
Da bravo
maschietto avevo voluto trasformarlo in una fortezza vera e propria, coprendo
di sassi e rocce porte e finestre e costruendo una scala di liane per entrare o
uscire passando sopra il muro. Vi portavo anche delle provviste, lasciate a
penzolare da una rete a due metri da terra al sicuro dagli animali.
Durante
le due ore che passammo lì Sapi non disse una parola,
restandosene seduta in un angolo con gli occhi bassi e rigirandosi tra le mani
i biscotti che le avevo offerto per calmare i morsi della fame, mentre io
ammazzavo il tempo esercitandomi a colpire al volo le foglie cadenti con un
coltello da lancio che avevo rimediato nella grotta.
Io la
osservavo restando a distanza, indeciso sul da farsi.
Da una
parte ero consapevole che ormai non era più possibile tornare indietro; anche
se mi ripetevo di averla salvata al solo scopo di conquistarmi la sua fiducia e
poter così contare su di lei al momento opportuno, era chiaro che il bambino
che era in me mi aveva spinto ad agire in maniera impulsiva, e ora non avevo
idea di come venire fuori da quella situazione.
Se volevo
portare a termine il mio compito non potevo più permettermi simili colpi di
testa. Ma ormai la frittata era fatta, quindi tanto valeva sfruttare la
situazione e cavarne fuori qualcosa di buono.
«Tranquilla,
siamo al sicuro. A parte io e Scalia, nessun altro conosce questo posto.»
La
piccola yeti sembrava ancor più confusa e spaventata di quando si trovava
incatenata in quella caverna, e mi guardava come se non avesse ancora ben
chiaro chi aveva davanti.
«Tu sei… un umano?»
«Beh,
suppongo di sì.» risposi con finta modestia
«Però… la tua amica… lei è una di noi…»
«Scalia è
più di un’amica. Lei e Zorech
sono la mia famiglia. Mi ha trovato lei quando ero appena nato, sai? Proprio
qui, davanti a questa casa. Mi ha portato a Ende, e
lì sono cresciuto. Ma mi raccomando, tu non dirlo a nessuno. È un segreto.»
«Ma gli
umani ci odiano. Hanno distrutto il mio villaggio. Ucciso tutti i miei amici. I
miei genitori. E hanno preso me.»
Era una
storia che conoscevo bene.
Anche se
quasi ovunque i mostri erano stati completamente sottomessi già dopo la fine
delle Guerre Sacre esistevano ancora comunità e piccoli villaggi che
sopravvivevano nelle zone più impervie e inospitali di Erthea, e i cacciatori
di schiavi ci andavano a nozze.
«Ce l’hanno spiegato a scuola. Le Guerre Sacre. I mostri che hanno
combattuto per il Signore Oscuro. Mio padre dice che i mostri hanno fatto molte
cose terribili allora, e che è naturale che oggi gli umani siano arrabbiati.
Però, secondo me non è giusto.»
Sapi pareva non riuscire a credere alle proprie
orecchie; sicuramente i suoi genitori le avevano raccontato chissà quali cose
sul conto degli umani, quindi doveva sembrarle impossibile che ora uno di loro
si stesse preoccupando tanto per lei.
«Quasi
tutti i mostri che vivono a Ende non erano nemmeno
nati quando è finita la guerra. Quindi, che colpa ne hanno loro? Così mi sono
promesso che un giorno, quando sarò grande, farò qualcosa per far sì che tutto
questo finisca.»
Qualcuno
avrebbe trovato poco etico servirsi di parole melliflue per circuire una
bambina spaventata; per quanto mi riguardava si trattava di prendere un’anima smarrita e senza più niente e nessuno su cui contare e
darle qualcosa di nuovo in cui credere.
D’altronde chi meglio di qualcuno alla disperata ricerca di un
amico può dimostrarsi, se opportunamente stimolato, il più affidabile dei
seguaci?
E io non
avevo né tempo né voglia di perdermi dietro a dilemmi morali.
Un rumore
di foglie calpestate ci fece entrambi scattare sull’attenti.
«Daemon,
sono io.»
«Scalia.»
«Va tutto
bene. Ora sono qui. Ma ho una mano ferita.»
«Non c’è problema, adesso esco io.»
Quindi,
dopo aver istruito Sapi ad aspettarmi, uscii all’esterno.
Scalia mi
aspettava poco distante, ai piedi di una grande quercia.
«Cominciavo
a preoccuparmi. Cosa è successo al tuo braccio?»
Purtroppo
fu solo quando le fui vicino, troppo vicino, che mi accorsi della sua
espressione assente e dell’assenza di luce nei suoi occhi,
vuoti come quelli di una bambola, ma ancora capaci di piangere.
«Mi
dispiace, Daemon.»
Gli
sgherri di Borg saltarono fuori come lupi in agguato tra gli alberi, e mentre Rust afferrava Scalia tenendola immobile tutti gli altri mi
circondarono, pronti a saltarmi addosso.
Il maiale
apparve per ultimo, tronfio e sorridente come mai prima.
«Bell’inseguimento, moccioso. Ma ora siamo giunti alla resa dei
conti.»
Stupido!
Stupido!
Come
potevo aver commesso una leggerezza simile?
«Che cos’avete fatto a mia sorella?»
«Era poco
collaborativa, così le abbiamo dato un piccolo incentivo.»
Interessante.
Quindi anche in questo mondo esistono droghe e sieri in grado di annullare il
raziocinio e spingere all’obbedienza.
Mi facevo
quasi paura da solo: anche in una situazione del genere il mio cervello non
smetteva di recepire e catalogare ogni informazione potenzialmente utile.
«Lo sai, sono
parecchio arrabbiato. Mi hai fatto correre per questa dannata foresta più di
quanto sia disposto a fare, e io ormai non ho più l’età
per certe cose.»
Nel
mentre un altro dei suoi uomini si era aperto la strada nel rudere ed aveva
messo le mani su Sapi, e le sue grida non facevano
altro che rendere la situazione ancor più tesa e insopportabile.
Mi ero
ripromesso solo pochi minuti prima di non agire mai più d’impulso,
ma feci l’unica cosa che mi venne in mente in quel
momento.
Alzai il
coltello puntandolo verso Borg, ritrovandomi quasi subito almeno cinque
balestre rivolte contro.
«Nessuno
deve farsi male ragazzino.»
«Sono d’accordo. Quindi ora lascia andare Sapi
e mia sorella, e tutto finisce qui.»
«Che cosa
vorresti fare? Colpirmi?»
«Se sarà
necessario.»
«Saresti
morto prima ancora di poter lanciare quel coltello.»
«Forse.
Sei disposto a correre il rischio?»
Con tipi
del genere l’importante è mostrarsi determinati, ma la
verità era che ci trovavamo in una situazione di stallo dalla quale non avevo
alcuna idea di come uscire.
Ma
evidentemente la buona sorte non aveva mai smesso di camminarmi accanto.
Una
freccia sbucata dal nulla centrò Rust alla mano
liberando Scalia, che ritornata in sé al momento giusto si liberò con una
tallonata alle parti basse del coboldo e corse verso di me dopo avergli
sottratto l’ascia.
Drufo aveva calcolato che prendersi una lavata di
capo per avermi addestrato in segreto era sicuramente meglio di dover rendere
conto della mia morte, quindi appena accortosi della situazione era
immediatamente tornato al ghetto per chiedere aiuto.
E l’aiuto era arrivato.
Solo
quando vidi sbucare da dietro il colle Zorech, Passe,
la tartaruga Taren, il garuda
Eilon e tutti gli altri, armati con quello che
avevano trovato, mi resi conto di quanto dovessero tenere a me e alla mia
sicurezza.
E, lo
ammetto, la cosa mi colpì.
Contemporaneamente,
il gorilla che teneva prigioniera Sapi si sentì
picchettare su di una spalla.
«Non ti
ha mai detto nessuno che i bambini non si toccano?» disse Lori prima di
stenderlo con un singolo pugno.
Alla
vista della sua preziosa merce che gli scivolava via dalle mani, Borg
semplicemente perse il controllo.
«Uccideteli
tutti!»
Quella
che scoppiò ad alcuni sarebbe potuta sembrare una battaglia, ma ai miei occhi
non era altro che una rissa tra primati.
Ma c’era del potenziale.
Un mostro
nella peggiore delle ipotesi valeva una volta e mezza un soldato di buona
costituzione, e anche se i loro corpi portavano i segni di una vita di
privazioni la forza non faceva difetto a nessuno di loro.
Oltretutto,
a distanza di cinquecento anni molti di loro sapevano ancora menare le mani, e
con un buon addestramento e la giusta disciplina potevano rivelarsi ottimi
soldati.
Non avevo
mai assistito prima d’ora ad uno scontro tra mostri,
perciò mi presi un paio di minuti per osservarli bene e farmi qualche appunto
mentale. Quindi, decisi che era meglio intervenire; in fin dei conti era il mio
futuro esercito quello che ora si stava scannando senza ragione in quel campo.
«Smettetela
subito!» urlai, venendo immediatamente obbedito.
Certe
cose non cambiano mai, non importa in quale mondo ci si trovi. Usa il giusto
tono e la giusta autorità nel parlare, e anche un bambino potrà farsi obbedire
da un adulto.
E io
avevo speso tutta una vita ad affinare l’arte del discorso
e della parola; farmi ascoltare e domare le coscienze con le parole ormai mi
veniva naturale come respirare.
Ma un
conto era farsi ascoltare, un altro farsi obbedire o fare accettare le proprie
idee.
Tutto sta
a cominciare con la giusta enfasi, e una frase ad effetto è sempre il miglior
modo per aprire una conversazione.
«Non
bastano gli umani che vi uccidono e vi schiavizzano da secoli? Ora vi ammazzate
pure tra di voi?»
Facevo
finta di dimenticarmi che era soprattutto per colpa mia se si era arrivati a
quella carneficina, ma d’altronde saper portare la
conversazione sui binari giusti è virtù del bravo oratore.
Nel
frattempo poi mi era venuta in mente l’idea giusta per
cavarci tutti d’impaccio senza dover versare altro sangue.
Ostentando sicurezza, e augurandomi di aver inquadrato bene il tipo, mi
avvicinai a Borg.
«Hai
detto che per te Sapi non è altro che merce da
vendere, giusto? Quand’è così, la compro io!»
Dire che
tutti, incluso Borg, saltarono sul posto nel sentire quelle parole, e il tono
con cui le pronunciai, non renderebbe l’idea.
«Parlo
seriamente. Se intendi venderla, allora vendila a me.»
«E con
quali soldi pensi di pagarla?» replicò il maiale, in parte ironicamente, in
parte incuriosito dalla piega che stava prendendo tutta quella situazione
«Ho del
denaro. Soldi che mio padre e i miei amici hanno messo da parte per me. Posso
pagarti con quelli.»
«Daemon,
aspetta. Quei soldi servono a te.»
«Se
possono evitare questo stupido spargimento di sangue, sono ben felice di
spenderli adesso Scalia.»
Borg
prese fuori l’ennesimo sigaro, rigirandoselo a lungo tra
le mani, quindi alzò gli occhi in direzione di Zorech.
«E di
quanto denaro stiamo parlando?»
«Capo…» esclamò Rust, incapace di credere
che il suo boss potesse prestarsi a tutto quel gioco.
Zorech mugugnò e strinse forte il suo piccone,
incapace di sostenere il mio sguardo che bramava una risposta tanto quanto il
maiale.
«Fino ad
ora… Abbiamo raccolto all’incirca
cinquemila goldie imperiali.»
Però, che
cifra. Onestamente mi sarei aspettato molto meno.
Sfortunatamente,
per il genere di clientela che Borg poteva vantare erano solo spiccioli.
«Il mio
cliente mi ha fatto un’offerta di venticinquemila goldie
per quello yeti.»
Mentiva,
e forse sospettava che io ne fossi consapevole. Nessun mostro valeva tanto,
nemmeno uno yeti. Ma non era quello il momento di giocare al ribasso.
«Te ne
offro trenta. Quello che manca, ce lo metterò io. Tu volevi entrare nell’affare della caccia, giusto? Allora, sarò io il tuo
cacciatore!»
E
stavolta, persino il maiale si ritrovò senza parole.
«Drufo mi sta insegnando a cacciare. Ti prometto che entro
sei mesi sarò diventato un cacciatore bravo quanto lui. Caccerò per te, ti darò
i quattro quinti di tutto quello che guadagnerò, fino a quando non ti avrò
ripagato l’intera cifra.»
«Daemon,
basta così! Non penserai davvero di lavorare per questo porco!»
«Scalia,
smettila!» la rimproverò Zorech, consapevole di
quanto sua figlia potesse diventare imprevedibile quando si trattava di
proteggermi. «Daemon, cerca di riflettere. Sei solo un bambino. Ti ho già
spiegato tante volte che il tuo compito è studiare.»
«Farò
anche quello, padre. Hai la mia parola. Studierò e andrò a scuola, e nel tempo
che rimane mi dedicherò alla caccia. Non dovrete neanche più lavorare tanto per
me, perché d’ora in poi guadagnerò da me i soldi che mi
serviranno un domani per vivere. Così, i proventi della caccia di Drufo potranno essere usati interamente per aiutare gli
abitanti di Ende.»
Borg
aveva un rituale tutto suo quando si trattava di discutere e concludere un
affare, e il solo fatto che si fosse ormai messo il sigaro in bocca fu
sufficiente a lasciare i tirapiedi che lo conoscevano meglio con la bocca
socchiusa e la pelliccia tutta rizzata.
«Forse
potremmo discuterne.»
«Aspetta,
non ho finito. C’è un’altra cosa.»
«Davvero?
E sarebbe?»
«Tu sei
un mercante onesto, giusto? Che onora sempre i suoi accordi.»
«Per chi
mi hai preso? La parola di un mercante è sacra. Una volta che stringo la mano
ad un cliente il contratto è indissolubile, a prescindere da tutto il resto.»
«In
questo caso, voglio che porti Sapi al sicuro a
Connelly.»
Il fatto
che Borg per primo non si mostrò capace di nascondere il proprio stupore di
fronte ad una tale richiesta è abbastanza per rendere l’idea
del tipo di reazione che suscitò in tutti gli altri presenti, a cominciare
dalla stessa Sapi.
«Nel
Principato i mostri semiumani come lei possono integrarsi facilmente, e sono
sicuro che tu conosci sia il modo di farla passare attraverso i corridoi di
accesso, sia persone che possano prendersi cura di lei.»
«Questo
aumenterà di molto il tuo debito ragazzo, lo sai vero?»
«Non
importa. Voglio che possa crescere libera. E se per riuscirci dovrò lavorare
per te per più tempo, non importa. Ma voglio essere chiaro fin da ora, non farò
nulla per te che non sia cacciare. Non sperare di usarmi per il contrabbando o
cose del genere.»
Borg
prese un fiammifero dalla tasca, lo accese sfregandolo sull’apposito
braccialetto, e aspirò piacevolmente una generosa quantità di fumo.
«Abbiamo
un accordo.» disse mettendo in mostra i suoi denti luccicanti, con un sorriso
che sapeva di sconfitta indolore.
Forse
avevo davvero stretto un patto col diavolo, dissi tra me e me stringendo quella
mano, ma almeno l’avevo fatto alle mie condizioni.
Mi ero ripromesso non incensarmi mai più
come troppo spesso avevo fatto nella mia precedente vita, ma sono costretto ad
ammettere che in quell’occasione ero riuscito a compiere
un autentico capolavoro diplomatico.
Avevo
preso una situazione senza via di scampo scaturita da una mattata e ne ero
uscito con tutto ciò che avrei potuto desiderare.
In primo
luogo avevo risolto una volta per tutte il problema del mio addestramento; ora
che avevo un debito da onorare Scalia e Zorech non
avrebbero più potuto interferire, per non rischiare di inimicarsi Borg.
Lo stesso
Borg era convinto di avermi in suo potere, ma era troppo stupido e sicuro di sé
per capire che ero io in realtà che mi accingevo ad usarlo. Grazie alle sue
conoscenze, molto presto mi si sarebbero aperte le porte del fitto e
sicuramente ricco sottobosco degli affari leciti e illeciti di tutta l’Erthea Occidentale, che sarebbero state le fondamenta sulle
quali avrei edificato e fatto prosperare la mia nazione.
Non mi
dispiaceva essermi legato a lui per un lungo periodo: più tempo avessi
trascorso alle sue dipendenze, maggiore sarebbero state la reputazione e i
vantaggi che avrei potuto conquistare tra chi frequentava quegli ambienti.
Ma
soprattutto, avevo fatto un importante investimento per il futuro.
Non mi
illudevo certamente che tutti avrebbero accolto a braccia aperte la rivoluzione
che presto o tardi avrei scatenato in tutto il continente.
Al
contrario, sapevo fin troppo bene che avrei finito per versare molto sangue e
inimicarmi gente potente e pronta a tutto per proteggere il mondo marcio e
decadente in cui vivevano, come maiali che si godono il fango del porcile
mentre il macellaio affila i coltelli.
Sapi era ancora piccola, ma l’opera
di condizionamento che avevo messo in atto con lei stava già iniziando a dare i
suoi frutti.
Quando
andai a salutarla il giorno che partì con una carovana di contrabbandieri
diretta a Connelly, mi promise che un giorno sarebbe tornata per ripagare il
suo debito e permettermi di realizzare i miei sogni.
Sarebbe
stata una perfetta guardia del corpo.
Assolutamente
fedele, e pronta a morire pur di proteggermi da ogni pericolo.
Non
potevo chiedere di meglio.
Sapevo
che quelli che mi si prospettavano non erano tempi facili e che avrei dovuto
faticare, ma la cosa non mi spaventava.
Avrei
salvato Erthea dal suo destino. E l’avrei fatto a
qualsiasi costo.
Era la
mia missione.
Il mio
scopo.
La mia
vittoria.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Come promesso, due settimane dopo eccomi di
nuovo con il secondo (lunghissimo) capitolo di questa mia light novel con protagonista Napoleone Bonaparte.
Spero che la nuova impaginazione sia di
vostro gradimento, realizzarla è stata una bella impresa perché dopo così tanti
anni che mancavo da EFP mi ero del tutto dimenticato
come ci si arrabatta con i font.
Ringrazio Tubo Belmont
per la sua recensione, Valethebest92, Bindaz e il
Sergente Salvucci per averla inserita tra le preferite/seguite/ricordate.
Mi raccomando, fatemi sapere le vostre
opinioni, e se volete chiedermi qualunque cosa io sono qui!^^
Ci vediamo l’11 giugno
per il Capitolo 3!