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Autore: drisinil    29/05/2023    2 recensioni
Questa è una raccolta di oneshot dedicate alle ship UshiOi/IwaOi che seguono il mio personale headcanon. L'ordine delle storie non è cronologico, sono tutte indipendenti e autoconclusive, ma anche legate fra loro, come i tre protagonisti. Il finale per me è uno solo, ma è molto più interessante il percorso per arrivarci.
***
Il primo capitolo di questa storia è stato scritto in forma di one shot epistolare per il Concorso San Valentino 2022 WattpadFanficionIT.
Il secondo capitolo è in qualche modo un seguito e nasce come omaggio per il compleanno di Oikawa 2022.
Il terzo capitolo nasce con la challenge "comeasyouarenot2023" del gruppo fb "Non solo Sherlock"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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QUATTRO TOVAGLIOLI (più uno)
 


Sono qui.
Te lo scrivo su un tovagliolo del bar, perché ho scoperto che non sono capace di farlo sul telefono. Che non so più qual è il tuo numero.
Che non so niente, Tooru, se non che ho capito che ero nel posto giusto quando ho visto la maglietta stesa ad asciugare davanti all’oceano, l’ombrello violetto che pende dalla maniglia della portafinestra sulla spiaggia, e un’altra cosa, che una volta era mia, e davvero non sapevo avessi tu.
Però so con certezza quando l’hai presa.
Di quella notte al ritiro dei primini, quando avevamo sedici anni, ho un ricordo che si è depositato sul fondo della memoria e il tempo che ci si accumula sopra è trasparente, così lo vedo come fosse sotto un cubo di ghiaccio, con i contorni deformati ma i colori ancora vividi.
Credo che tu abbia sempre saputo che nella mia stanza, sul letto a castello sopra il mio, non c’eri finito per caso. Tendou aveva deciso di ammalarsi proprio quella settimana e io dissi al coach Washio che volevo studiarti. Non era una vera bugia.
Che mia madre mi avesse negato il permesso di andare al raduno della nazionale giovanile a Tokyo, ecco, quella era una vera bugia. Grossa.
Ed erano bugie ancora più grosse la mia indifferenza e la tua ostilità.
Ho scritto anche sul retro. Forse mi servono tutti e due i tovaglioli.
 
*
 
La tua vicinanza mi confondeva fino alle ossa, mi smarriva, mi eccitava. Steso sul letto, fissavo a occhi sbarrati il rigonfiamento del materasso sopra la mia testa e ascoltavo il fruscio dei tuoi movimenti fra le lenzuola.
Mi addormentavo ascoltandoti respirare e sperando che mi parlassi.
Una sola parola, pensavo. Di’ una parola, di’ una parola.
Ma tu tacevi e tacevo anch’io.
Avevo deciso che l’ultima notte avrei parlato. Non ero sicuro di cosa ti avrei detto; sapevo quali parole avrei voluto usare, ma non ero certo che mi uscissero come le avevo pensate. Volevo solo dirti la verità. Ma penso che tu già la sapessi.
Mi dispiace.
Lo dicesti in un soffio, ma io ti sento sempre, Tooru. Ti ascolto così forte che nessun bisbiglio potrebbe mai sfuggirmi. Quel bisbiglio mi si piantò nello stomaco.
Di cosa?
Di un po’ di cose.
Quali?
Per esempio, di aver ritirato la mia domanda qui.
Hai sempre giocato a stupirmi. Ci riesci ogni volta.
Avevi fatto domanda? mi tremava la voce.
Sì, te l’ho appena detto.
Perché?
Perché l’ho ritirata?
Il bar è ancora aperto. Vado a prendere un altro tovagliolo.
 
*
 
Perché l’avevi fatta?
Non è la scuola migliore di Miyagi?
Lo è.
Sei uno stupido, Ushiwaka. Avevo fatto domanda per te.
Era un altro bisbiglio, ma detonò fra le pareti del mio cuore come una bomba.
Ero sicuro che potessi sentirne il battito, era impossibile che non lo sentissi, sicuramente lo sentivano anche nelle camere di fianco.
E poi? mi tremava ancora la voce, più di prima.
E poi niente. Ho ritirato la domanda. Non ci sto a farmi mettere in ombra, a stare a guardare mentre ti prendi tutto lo stadio, la partita e anche la maglia con il numero uno. La voglio io.
Anch’io la voglio, dissi.
Me la cederesti se venissi a scuola qui?
Certo, non dissi. Me la strapperei di dosso, non dissi. Ti cederei l’aria che respiro, non dissi.
Forse avrei detto una di queste cose, se tu avessi avuto la pazienza di aspettare che riprendessi a connettere. Ma non sei paziente, lo sappiamo.
Sono troppo piccoli, questi tovaglioli.
 
*
 
Lo vedi, Toshi? Non può funzionare.
Il mio nome, in quella versione inedita fra le tue labbra mi ridusse al silenzio. Scoprii che Toshi era muto.
Ehi? Non ti addormentare mentre parlo con te. Fra noi, dicevo. Non può funzionare. In campo, intendo.
E invece fuori?
Era un momento mistico. Parlavo col cuore rivolto alle stelle e le tue parole gocciolavano su di me dall’alto. Per questo avevo la faccia bagnata.
Fuori non esiste, per noi due, è sempre dentro.
Avevi ragione. Lo capii subito. E lo dissi.
Quindi da domani è guerra, rispondesti in un sussurro.
Perché guerra?
Perché con te se non è guerra… lo sai anche tu perché.
Non lo sapevo; speravo, volevo, ma non sapevo un bel niente.
Credevo di aver perso quel teru teru bozo che tenevo allora alla finestra. E’ proprio lui, riconosco l'henohenomoheji tutto storto e sbaffato: l’ho dipinto io alle elementari.
Credevo che il vento l’avesse portato via e forse è andata proprio così.
Oggi ho scoperto dove il vento l’ha portato, dall'altra parte del mondo, nello stesso posto in cui ha portato anche me.
Ci sono due parole che non c’entrano sul quarto tovagliolo.
Già le sai, ma io sono venuto a dirtele lo stesso.



***
Questa storia nasce all'interno della challenge  #mayIwrite del bellissimo gruppo fb Non solo Sherlock, fonte di ispirazione, divertimento e splendida condivisione.
   
 
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