Serie TV > Il mondo di Patty
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Autore: Bandida    30/05/2023    0 recensioni
{Storia ambientata due anni dopo l'inizio della prima stagione, senza tenere conto degli eventi della seconda stagione che non vengono considerati canonici.}
Antonella e Giusy hanno da poco iniziato il loro ultimo anno di liceo. La prima è alle prese con il mondo della musica, il lancio della sua carriera e le responsabilità che ne derivano, la seconda vede per il suo futuro soltanto prospettive fumose e ben poche certezze. Accomunate da un senso di solitudine e spaesamento, le due scoprono lentamente di poter trovare l'una nell'altra ciò di cui in fondo hanno bisogno.
Or
La storia d'amore enemies to lovers tra Antonella e Giusy ripercorsa narrando le tappe principali della loro relazione.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Antonella Lamas Bernardi, Josefina Beltrán
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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C'erano certi giorni in cui Antonella desiderava soltanto di essere inghiottita nelle profondità della terra e rifuggire da qualsiasi contatto umano, di ogni genere e sorta. Quello era uno di quei giorni. Spossata dalla giornata impegnativa che aveva appena trascorso, tra scuola, lezioni, interminabili chiamate coi propri discografici e promesse di interviste con giornalisti tutt'altro che professionali, la giovane promessa argentina del canto e del ballo aveva anche dovuto sorbirsi a fine giornata due ore di prove con il gruppo di musical della scuola, dove per giunta ormai le toccava subire regolarmente l'umiliante condizione di corista per lasciare il riflettore a Patty. Del resto l'anno precedente le sue costanti assenze a scuola e alle prove per motivi lavorativi legati alla sua carriera da solista avevano fatto sì che non riuscisse più ad avere un ruolo di spicco nei numeri musicali, e si era dunque ritrovata suo malgrado costretta a cedere la sua posizione di leader. Insomma, non era nient'altro che un'anonima partecipante ad una coreografia che avrebbe funzionato benissimo anche senza di lei – una metafora perfetta per descrivere ciò che era diventata la sua vita nell'ultimo anno, in realtà.

Nemmeno Antonella avrebbe potuto elencare una valida ragione per la quale valeva la pena di restare all'interno del gruppo di musical con quelle premesse, a dire il vero. Ce n'erano svariate, ma nessuna aveva poi molto senso. Raccontava a sé stessa che in fondo era il suo ultimo anno di liceo, che il quinto posto che la scuola aveva ottenuto l'anno scorso nella competizione intercollegiale le bruciava ancora e parecchio, e la voglia di rifarsi e chiudere la sua carriera con una bella vittoria sarebbe stato il meritato coronamento di un percorso tanto sudato quanto soddisfacente. Ma la verità era un'altra. La verità era che il mondo della musica e della discografia non era tutto rosa e fiori come Antonella se l'era immaginato, e con la fama arrivava anche un alto prezzo da pagare. Tempo libero praticamente inesistente, l'occhio dei riflettori sempre puntato addosso, pettegolezzi disdicevoli sul proprio conto a destra e a manca, tante pressioni, tante aspettative di successo, e poi tanta rivalità e tanta competizione, roba che faceva sembrare lo scontro tra Divine e Popolari risalente a due anni prima un patetico gioco da bambini.

E la verità era che forse ad Antonella quel gioco un po' mancava. Sì perché, per quanto i conflitti con Patty, Giusy e le sue amiche le avessero spesso e volentieri fatto venire il sangue amaro, allo stesso tempo lei era consapevole del proprio posto in quel frangente. Sapeva chi era e cosa voleva, sapeva di essere la numero uno e quello che di conseguenza poteva pretendere: la vittoria, il successo, la popolarità e un bel fidanzato al suo fianco da sfoggiare come trofeo. Opponendosi alle popolari, Antonella aveva l'assoluta certezza di essere “Antonella the best” e la numero uno, e questo le dava conforto anche nei momenti di fragilità e la faceva sentire protetta, in un certo senso. Era pur sempre una delle poche certezze della sua vita a cui poteva appigliarsi.

Fuori da lì, invece, Antonella non era nessuno. Soltanto un'anonima ragazza di bella presenza che sapeva ballare e cantare. Certo era ambiziosa e aveva talento, ma come lei ce n'erano tante altre in tutto il paese, con altrettanta voglia di sfondare e disposte a tutto pur di crearsi un nome e un'etichetta. Per quanto lei fosse determinata e scaltra e amasse davvero quello che faceva, era anche molto facile sentirsi sopraffatti e surclassati, come in una lotta continua contro un mare in tempesta che ogni volta la travolgeva con un'ondata dietro l'altra. E lei da un po' di tempo aveva incominciato ad affogare.

Il musical della scuola là dentro era ormai il suo unico salvagente, a cui Antonella si aggrappava disperatamente, con le unghie e con i denti – e forse in un modo un po' patetico – anche solo per illudersi per alcune ore a settimana che tutto fosse ancora come prima, che lei fosse ancora Antonella the best, l'unica e sola regina della Pretty Land School of Arts a cui bastava appena uno sguardo o un cenno della mano per ottenere rispetto o incutere timore.

Purtroppo però la realtà era diversa. Più passava tempo alle prove di musical, più Antonella otteneva l'effetto contrario e si rendeva amaramente conto che quelli erano solo ricordi all'interno della sua testa, ricordi di un tempo che ormai era passato. Quel pomeriggio ad esempio aveva passato due ore a sentirsi come un fantasma, ignorata e completamente inutile. Tutti facevano affidamento su Patty per gli assoli, si complimentavano con lei per la voce pulita e intonata, e di ballerini e ballerine di talento ce n'erano a bizzeffe; lei era solo una dei tanti. Una dei tanti. Da star di punta al centro di ogni numero, a completamente ininfluente. Nessuno cercava più la sua approvazione, nessuno le prestava attenzione, nessuno si complimentava con lei o al contrario aveva qualcosa da ridire. Perfino le stupide e petulanti critiche di Giusy sarebbero state meglio del nulla assoluto. E questo significava solo una cosa: anche il suo ultimo, piccolo salvagente che a stento l'aveva tenuta a galla non c'era più. Era da sola.

Fu proprio questa consapevolezza la ragione per la quale quella sera, dopo le prove, Antonella si attardò nello spogliatoio del teatro della scuola, presa dalla paura, dall'angoscia e una miriade di sensazioni soffocanti. Era come un peso sul petto che purtroppo non riusciva più ad ignorare, come un macigno che non la faceva respirare e della quale doveva liberarsi il prima possibile. Una volta accertatasi di essere sola, Antonella scoppiò in lacrime. Non fu un semplice pianto silenzioso e pacato, nossignore, ma una vera e propria lagna disperata – gli occhi le si gonfiarono, le guance diventarono tutte rosse, e lei in preda alla disperazione singhiozzava e non riusciva a calmarsi. Era come se avvertisse un nodo alla gola che voleva strozzarla, e con ogni secondo che passava si faceva sempre più forte, sempre più forte, sempre più forte, stringeva e stringeva fino a non farla più respirare.

Poi la porta si aprì.

Un suono di passi che si addentravano all'interno della stanza la avvisarono di un orribile fatto: Antonella non era più sola. Esitante e spaventata, alzò suo malgrado lo sguardo per capire di chi si trattasse e soprattutto che cosa volesse. Con suo estremo disappunto, la ragazza scoprì allora che per una qualche contorta e malata ironia della sorte, l'intruso era la persona che in quel momento meno di tutte avrebbe voluto vedere: ad una distanza di sicurezza di circa un paio di metri, Josefina Beltran la osservava con un'insopportabile espressione interdetta dipinta sul viso, come se Antonella fosse stata una bambina che faceva i capricci e che gli adulti là attorno non avevano la più pallida idea di come gestire.

“Ho dimenticato la sciarpa, me ne vado subito,” Giusy si giustificò in fretta, probabilmente avendo colto quanto la sua presenza la facesse sentire a disagio.

Antonella avrebbe anche potuto esserle grata per quella piccola accortezza e per aver deciso di non renderle quel momento più mortificante di quanto già non fosse, però purtroppo Giusy non se ne andò. Proprio come aveva annunciato, recuperò la sua sciarpa blu appesa ad uno degli appendini dello spogliatoio e giunse in prossimità della porta, poi però si bloccò di colpo. Sotto lo sguardo irritato e spazientito di Antonella, la ragazza si girò e domandò con un sospiro:

“Tutto bene?”

“Una meraviglia guarda,” la prese in giro Antonella. Era davvero così necessario chiederlo? “Che cazzo di domande fai?!” sbottò, seppur ingiustamente. Non ce l'aveva con Giusy per la verità, però in quel momento era lì ed era un bersaglio facile, e questo bastava ad Antonella per sentirsi legittimata a scaricare su di lei il suo malumore.

“Lasciamo perdere, non so neanche perché te l'ho chiesto,” rispose l'altra, alzando gli occhi al cielo. Sentendosi lievemente in colpa per quella reazione carica di aggressività, Antonella spostò lo sguardo dall'altra parte della stanza. “Senti, lo so che io e te non ci stiamo molto simpatiche,” continuò poi Giusy, seppur tentennante, “però se posso fare qualcosa...”

“Chiudi la bocca e sparisci dalla mia vista, non ho bisogno della tua compassione,” sentenziò Antonella in tono brusco. L'idea di fare pietà persino a Josefina Beltran le dava la nausea, sinceramente. Poi, sentendosi nuovamente in colpa per la durezza delle sue parole, aggiunse per sdrammatizzare: “Sto bene, ho soltanto avuto una brutta giornata, capita anche ai migliori.”

Passarono alcuni secondi di silenzio, in cui nessuna delle due disse niente. Antonella rimase ferma immobile nella panca su cui era seduta, mentre Giusy non si mosse di un millimetro dalla sua posizione accanto alla porta. Ad essere più precisi, Giusy aveva lo sguardo perso nel vuoto e si stava mordendo nervosamente il labbro inferiore con aria assorta e un po' combattuta, come se stesse riflettendo su una decisione di vita o di morte. Antonella inarcò un sopracciglio mentre la osservava incuriosita, domandandosi cosa fosse ad impensierirla così tanto. Senza rendersene conto si ritrovò a fissarla, come per studiarla minuziosamente.

Alcuni istanti dopo, Giusy finalmente si decise.

“So già che me ne pentirò ma, ti andrebbe di andare a bere qualcosa?”

Antonella deglutì, presa alla sprovvista.

“Te l'ho già detto, non ho bisogno della tua compassione o che tu mi faccia da balia. Va' via,” ordinò in modo istintivo, senza neanche pensarci.

Subito dopo infatti se ne pentì, pensando che quantomeno avrebbe potuto rifletterci prima di dare una risposta. Non sapeva nemmeno lei perché esattamente avesse reagito così, forse era stato quasi un riflesso automatico. Lei e Giusy d'altronde erano sempre state rivali, su fronti opposti in tutto e per tutto. Eppure, per una manciata di secondi Antonella pensò sul serio a come sarebbe stato andare a prendere un aperitivo con Giusy, scambiare quattro chiacchiere parlando del più e del meno come semplici compagne di scuola. No, no per carità, la sola idea sarebbe stata ridicola! Tanto ridicola quanto il pensiero che, per qualche assurda ragione, tutto ciò in fondo avrebbe anche potuto piacerle.

“Come vuoi,” replicò Giusy, scrollando le spalle. Invece di andarsene però camminò verso l'altra ragazza e si piazzò di fronte a lei, quasi come se la stesse sfidando. “E per tua informazione, non te l'ho chiesto per compassione o perché credo che tu non sia in grado di affrontare una brutta giornata, non abbiamo più tredici anni,” sottolineò con sarcasmo.

“E perché lo hai fatto allora?” domandò Antonella, ancora una volta senza riflettere.

“Credevo che mi avessi detto di andarmene,” rispose Giusy, con quel suo tono canzonatorio e a tratti gongolante che ad Antonella dava assolutamente su nervi.

“Fa' come ti pare,” ritrattò quest'ultima, nuovamente sulla difensiva. Di certo non le avrebbe dato la soddisfazione di chiederglielo una seconda volta, eppure in cuor suo si ritrovò inaspettatamente a sperare che Giusy non se ne andasse, che al contrario le desse una risposta e insistesse, invece di lasciar perdere. Che cosa si aspettasse di sentire, poi, non avrebbe saputo dirlo nemmeno la stessa Antonella.

“Che tu ci creda o no il mondo non gira intorno a te Antonella, anch'io avrei bisogno di andare a bere qualcosa,” Giusy rivelò infine con un sospiro. “Ma se non ti va ti lascio da sola.”

Antonella rimase spiazzata. Se avesse dovuto essere completamente onesta, dopo la giornata che aveva avuto e tutto lo stress degli ultimi tempi un drink non sembrava affatto una cattiva idea. Certo avrebbe potuto andare in un bar per conto proprio ma sarebbe stato un po' deprimente, senza contare i malintenzionati che avrebbero potuto avvicinarla. Uscire con Pia e Caterina poi sarebbe stato anche peggio – non aveva nessuna voglia di sorbirsi le loro domande invadenti e inopportune, specie sapendo con assoluta certezza che quelle due in privato non avrebbero fatto altro che rallegrarsi delle sue disgrazie, gelose com'erano del suo successo.

Giusy per contro aveva tanti difetti, più di quanti Antonella riuscisse a contarne – era tremendamente noiosa e moralista e si riteneva tanto intelligente solo perché nel tempo libero invece di andare a fare shopping come tutte le ragazze normali di buona famiglia preferiva leggere mattoni pesantissimi sul senso della vita (non che di fatto ad Antonella interessasse quello che poi lei faceva o non faceva), ma se non altro di una cosa non la si poteva proprio accusare: di essere una falsa. Al contrario, Giusy sentiva sempre l'impellente esigenza di fare sapere ad Antonella tutto quello che pensava di lei e glielo diceva dritto in faccia, guardandola fisso negli occhi. Era irritante, petulante e faceva innervosire Antonella come pochi, pochissimi altri al mondo riuscivano a fare, persino più di Patty, ma almeno non era falsa. E se proprio lei doveva andare a bere con qualcuno, Antonella preferiva di gran lunga una persona che si facesse i fatti propri e avesse il coraggio di darle dell'idiota qualora lo avesse pensato, rispetto a gente che indubbiamente sarebbe andate ad insultarla alle spalle alla prima occasione.

Beh, forse tutto sommato, andare a bere qualcosa con Giusy non era poi un'idea così terribile. Del resto era stata proprio lei a proporglielo e ad invitarla, per cui in fondo, per una volta...

“Aspetta!” la fermò di colpo Antonella, bloccando l'altra ragazza quando ormai era sul punto di uscire, proprio prima che aprisse la porta. “Non ho mai detto che non mi andasse,” chiarì poi, asciugandosi le guance bagnate con la mano destra nel tentativo di apparire un po' più autorevole. “Dammi un minuto per sciacquarmi la faccia e ci sono, scegli tu dove andare, a me non importa,” disse risoluta, alzandosi per raggiungere il lavandino con un sospiro. “Mi basta che servano da bere.”

...

 

“Ecco qua ragazze,” disse il cameriere con un sorriso, mentre appoggiava i due drink sul tavolo.

Antonella lo guardò e fece un cenno del capo in segno di gratitudine, allungando la mano verso uno dei due calici. Non aveva importanza quale scegliesse, aveva appositamente ordinato la stessa cosa di Giusy perché non aveva la più pallida idea di cosa prendere. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma non era abituata ad andare per locali a fare aperitivi e i nomi dei cocktail non le dicevano proprio niente, sembravano anzi tutti uguali!

“Grazie,” rispose Giusy, con un sorriso e un cenno del capo. Annuendo, il cameriere si congedò e si allontanò subito dopo, lasciando dunque le due ragazze nuovamente sole.

Il locale scelto da Giusy era abbastanza vicino alla scuola, c'erano voluti sì e no una decina di minuti a piedi per raggiungerlo, ed era anche ben collegato con il centro. Antonella però non c'era mai stata prima di allora. Giusy aveva chiamato il posto 'Il caffè dei libri', e Antonella non sapeva se fosse il suo nome ufficiale o se si trattasse di un soprannome, stava di fatto che quello strano appellativo descriveva abbastanza accuratamente lo stile del locale, con scaffali pieni di libri alle pareti e lampade vintage che emanavano luci soffuse per mantenere l'atmosfera intima e privata. Giusy l'aveva portata direttamente al primo piano salendo la rampa di scale al suo interno e si erano sedute in uno dei tavoli vicino alla finestra sul lato destro, dalla quale si vedeva tutta la strada sottostante e le persone che passavano. Non c'era che dire, era chiaramente un posto nello stile di Josefina.

La stanza era quasi piena, occupata per la maggior parte da studenti o comunque ragazzi giovani della loro età. Il rumore della musica pop diffusa in sottofondo unito a tutte quelle voci, le grida e le risate rendevano l'ambiente piuttosto vivace e rumoroso, ma non in un senso sgradevole o negativo. Seduta in mezzo a tutta quella gente, Antonella si sentiva come invisibile e allo stesso tempo protetta da un velo di anonimato, come se per una volta avesse potuto prendersi una pausa dai riflettori che si sentiva costantemente puntati addosso. Era una bella sensazione, dopotutto – in quel momento lei non era nient'altro che una ragazza, niente di più e niente di meno.

“Allora, a cosa brindiamo?” chiese Giusy, richiamando la sua attenzione.

“Perché, bisogna per forza brindare a qualcosa?” rispose l'altra. Antonella strinse tra le mani il bicchiere, fingendo una disinvoltura che in realtà non aveva.

“Beh, non lo so, normalmente si fa così,” spiegò Giusy, stringendosi nelle spalle. “A dire la verità non sono molto abituata a queste cose,” confessò subito dopo, con un lieve rossore sul viso.

“Ai brindisi?”

“A bere.”

“Chissà perché non avevo dubbi,” scherzò Antonella, nonostante lei in realtà non fosse da meno – soltanto che Giusy non doveva scoprirlo, chiaramente. “Allora dimmi un po', Giusy,” proseguì, appoggiando le braccia sul tavolo, “che cosa spinge una brava ragazza come te a darsi all'alcolismo? Sono curiosa.”

“Niente di che, solo una brutta giornata,” spiegò brevemente l'altra, abbassando per un attimo lo sguardo sui bicchieri. “Mi pare di essere in buona compagnia, no?”

“Hai ragione,” concedette Antonella. Poi, la ragazza sollevò il suo bicchiere e sentenziò con un mezzo sorriso: “Allora alle brutte giornate.”

“Alle brutte giornate,” ripeté Giusy, e così dicendo le ragazze brindarono e si portarono ognuna il rispettivo bicchiere alle labbra.

Non era poi così male il gusto di... qualsiasi cosa avesse preso, Antonella pensò tra sé e sé. Era fresco e sapeva di menta, era piacevole tutto sommato. Di fatto ne bevve ancora due o tre sorsi mentre il gusto dissetante deliziava la sua bocca, e vide Giusy fare lo stesso. Poi, per rompere quel momentaneo silenzio che stava cominciando a renderla nervosa, spostò le labbra dal bicchiere per chiedere:

“Perché hai chiesto proprio a me di venire qui con te però? Posso saperlo?”

“Non ci vuole un genio per arrivarci, Antonellina,” rispose Giusy con sarcasmo, inclinando la testa di lato. “Dico, le hai viste le mie amiche? Ti sembra forse che potrei chiedere a Patty di venire con me in un bar a bere alcolici? Sua madre mi ammazzerebbe se lo venisse a sapere,” scherzò, prima di riportarsi il bicchiere alle labbra e bere un altro sorso.

“Carmen non è così rigida come credi, sai. È solo un po' protettiva, ma credo che se sapesse che Patty è al sicuro in compagnia delle sue fedeli sentinelle la lascerebbe andare,” replicò Antonella. Si ricordava molto bene la madre della sua ex amica e tutte le mattinate e i pomeriggi che avevano trascorso assieme nel loro piccolo appartamento. Forse era un po' sempliciotta, ma Carmen era una persona buona e sicuramente non retrograda. “Non abbiamo più tredici anni, Giusy,” aggiunse, ripetendo con sarcasmo le parole che l'altra ragazza le aveva rivolto poco prima.

“D'accordo, posso anche pensare di darti ragione su questo, ma ciò non toglie che sicuramente Patty finirebbe per sentirsi a disagio in un ambiente del genere,” proseguì Giusy guardandosi attorno, mentre Antonella beveva un altro sorso del suo drink. “Prenderebbe un analcolico alla frutta sperando di tornare a casa il prima possibile probabilmente.”

“Dovete smetterla di trattare Patty come una bambina, come se fosse una bambola di cristallo che alla prima occasione si spezza e scoppia in lacrime fino a quando non viene qualcuno a tenerle la mano e rimboccarle le coperte. Deve crescere anche lei,” replicò Antonella, forse in tono un po' brusco, ma comunque dando voce a ciò che realmente pensava. Proteggerla da ogni minima cosa che avrebbe potuto ferirla per paura di una sua reazione avrebbe soltanto reso più difficile l'impatto con la dura realtà. “E comunque, tralasciando Patty per un attimo che mi dici delle altre? Tamara, Sol e la brutta copia di Sol?”

“Che cos'è questo, un interrogatorio?” chiese Giusy, inarcando un sopracciglio. “Come mai sei solo tu qua dentro a fare le domande e io quella che deve rispondere?”

“Se vuoi chiedermi anche tu qualcosa fa' pure mia cara, siamo qui apposta,” la invitò Antonella, rilassandosi sulla sedia mentre con un gesto aprì le braccia e indicò sé stessa. “Sono un libro aperto.”

“E va bene. Una domanda ciascuna, che dici ti sembra equo?” propose Giusy.

Antonella sorrise, senza nemmeno sapere perché. Era un giochino anche piuttosto banale in fondo, eppure la incuriosiva più di quanto sarebbe stata disposta ad ammettere. Lei e Giusy d'altro canto non avevano mai avuto occasione di parlare e confrontarsi a viso aperto prima di quell'occasione, da sole e senza nessun altro attorno ad ascoltarle. Questo rendeva le cose molto diverse. Le sfuriate nel bel mezzo della scuola non erano certo un gran modo di comunicare.

“Perché no. Avanti, spara,” accettò con curiosità.

“Mmm, da dove comincio?” chiese retoricamente Giusy, con un sospiro. “Beh, tanto per cominciare potrei farti la stessa domanda: Pia e Caterina le hai lasciate a casa? Come mai non sei uscita con le altre divine, invece che con me?”

“Mi sorprende che una persona tanto intelligente come te non ci sia arrivata da sola. È più semplice di quanto credi tesoro, tu mi hai chiesto di uscire e io ho detto di sì, non loro,” chiarì Antonella, scrollando le spalle. In fondo non era una bugia, non erano state loro ad invitarla fuori, e Antonella di certo non si sarebbe presa la briga di cercarle.

“D'accordo, però avresti potuto rifiutarti e telefonare a loro riproponendo l'idea. O no? Non mi sembrano persone che si sentirebbero a disagio in questo contesto,” controbatté Giusy, indicando con il dito indice la sala.

“Ah ah ah, i patti non erano una domanda ciascuna? Queste sono due domande, se la matematica non mi inganna,” le ricordò Antonella.

“Che c'entra, è sempre collegata alla prima che ti ho fatto!” protestò Giusy.

“Va bene però anche la mia seconda domanda era collegata alla prima che ti ho fatto, se ben ti ricordi.”

“E va bene,” la mora si arrese infine. “Nemmeno Sol, Tamara e Belen sono persone a cui piace andare per locali se vuoi saperlo, di solito facciamo altre cose quando stiamo assieme,” spiegò.

“Certo, sia mai che a voi sempliciotte piaccia fare qualcosa di divertente,” la prese in giro Antonella, più per abitudine che altro.

“Fingerò di non aver sentito. E comunque, in realtà no, non è solo per questo. Se avessi voluto, alla fine avrei potuto chiederglielo e non penso che avrebbero avuto problemi ad accompagnarmi e uscire assieme, è pur sempre venerdì sera,” ammise Giusy. “Il fatto è che... non lo so nemmeno io perché l'ho chiesto a te e non a loro, se vuoi una risposta sincera. Ti ho vista nello spogliatoio e mi è venuto spontaneo, tutto qua. Mi pare che tu abbia accettato alla fine,” fece notare Giusy.

“Vero, ho accettato,” ammise Antonella. “E se ti può soddisfare vale lo stesso per me, non c'è una vera ragione per cui sono uscita con te invece che con Pia e Caterina. Tu me lo hai chiesto e io ho detto di sì, ecco tutto. Però c'è anche un'altra cosa,” confessò, in virtù della sincerità di Giusy. Antonella si riportò il calice alla bocca e bevve un altro sorso, perlopiù per farsi coraggio.

“Ossia?”

“Io e loro, beh... non,” iniziò, sospirando e poi ricominciando da capo la frase. “Per tua informazione neanche noi abbiamo l'abitudine di andare per locali assieme, ecco tutto. Sarebbe stato strano se glielo avessi chiesto così, di punto in bianco.”

“Sul serio? Questo mi ha sorpreso, devo ammetterlo.”

“È il mio turno di chiedere qualcosa ora, giusto?” domandò Antonella, desiderosa di cambiare argomento. Vedendo Giusy annuire, Antonella si fece coraggio e ritentò: “Bene. Voglio sapere come mai dici di aver passato una brutta giornata.”

“Ah, ma qua si incomincia ad andare sul personale!” esclamò Giusy, fingendosi divertita. “Fa attenzione Antonella, potrei quasi iniziare a pensare che in fondo in fondo un po' ti interessa di me,” proseguì scherzosamente. Antonella per un istante lesse in quelle parole una qualche sorta di domanda velata lasciata implicita.

“È un modo per dire che ti rifiuti di rispondere?”

“Certo che ti rispondo invece,” replicò Giusy con orgoglio. “Più che una brutta giornata direi che è un brutto periodo, ho una cena con le mie amiche più tardi e nessuna voglia di andarci, già il fatto che mi trovo qui con te la dice lunga. Non è per cattiveria ma loro parlano continuamente dei loro progetti futuri e io ogni volta non so mai cosa dire, a volte mi annoio un po' sinceramente,” ammise spazientita, lasciando Antonella un po' interdetta. “Sono tutte così entusiaste di quello che vogliono fare, e poi ci sono io...”

“Che vuol dire esattamente?” domandò incuriosita. Tuttavia, si ricordò poco dopo che non era più il suo turno di parola, per cui si corresse da sola alzando teatralmente le braccia al cielo: “D'accordo, vai, chiedi.”

“Hai detto di non essere abituata ad andare per locali con Pia e Caterina, giusto?” ricapitolò Giusy.

“Sì, e con ciò?"

“No, niente, non c'è niente di male. Mi stavo solo chiedendo, cosa fanno allora 'le divine' quando escono insieme? Preferite le discoteche oppure i ristoranti di lusso?” la provocò con un ghigno.

“Piacerebbe saperlo anche a me che cosa combinano quando si vedono,” Antonella le offrì una risposta sincera. “Io e le ragazze ormai non ci vediamo quasi più fuori da scuola, al massimo scambiamo qualche chiacchiera tra una lezione e l'altra ma nulla di che. È che la mia carriera non mi lascia tanto tempo libero, sai, sono sempre impegnatissima tra canzoni da registrare, interviste, eventi vari,” raccontò. “I pochi momenti liberi che ho a disposizione non ho voglia di passarli con loro perché a volte sento...” si interruppe, indecisa se continuare o meno. Poi guardò gli occhi castani di Giusy fissi nei suoi, intenti a osservarla con la massima attenzione. Allora proseguì. “Sento di non avere poi molto di cui parlare con loro, è come se ci trovassimo su due pianeti diversi in un certo senso.”

“Beh, m-mi dispiace...”

Giusy si portò un'altra volta il bicchiere alla bocca e bevette di nuovo.

“Scommetto che starai pensando che con il successo sono diventata anche più snob di prima, vero?” chiese Antonella con una risatina. Lei stessa si riteneva patetica da sola, per la verità.

“No invece, non lo penso affatto,” replicò Giusy. “So che ti sembrerà assurdo, ma penso di riuscire a capirti meglio di quanto credi in realtà.”

Antonella la guardò stupefatta. Per qualche ragione cominciò a sentirsi lievemente agitata. Doveva essere l'effetto dell'alcol a darle quella sensazione, sì, senz'altro.

“Sul serio?” chiese poi.

“È un po' la stessa cosa che capita a me quando sto con le altre, con le popolari,” le spiegò l'altra.

“Cioè?”

“Cioè, mentre tutte loro hanno già tanti progetti a cui dedicarsi io non ho la più pallida idea di cosa ne sarà di me una volta finito il liceo. Figurati che non so nemmeno se continuare con il mondo dello spettacolo, se fare l'università, che cosa vorrei studiare... In pratica ho solo confusione in testa,” rivelò con un sospiro sconsolato.

“Tu? Josefina Beltran con le idee confuse?!”

Antonella la guardò con un sopracciglio inarcato. Non era che non ci credesse, perché a giudicare dalla malinconia nei suoi occhi e il tono con cui aveva parlato dubitava che Giusy la stesse prendendo in giro. Semplicemente... era l'ultima persona da cui avrebbe potuto aspettarselo, più che altro.

“Che c'è di tanto strano? Sei tu quella che dice sempre di sapere quello che vuole, mica io,” le ricordò la mora.

Già, forse per l'Antonella di un tempo era stato così, pensò tra sé e sé con un po' di malinconia.

“Hai ragione. È che mi sei sempre sembrata così... così determinata e sicura di te, non credevo che ogni tanto avessi dei dubbi anche tu,” ammise. La forza e la tenacia di Giusy erano qualità che lei aveva sempre ammirato, nel bene e nel male. Solo che non glielo aveva mai detto – ovviamente.

“Mi spiace distruggere le tue aspettative allora,” scherzò Giusy. “Comunque lasciamo perdere, non voglio fare quella che parla solo di sé stessa, sicuramente questo discorso sarà una noia mortale per te,” aggiunse. “Mi sono persa, a chi toccava chiedere adesso?”

“No, no non mi annoia invece, anzi,” la rassicurò Antonella. Poteva sembrare assurdo, ma la verità era che aveva una gran voglia di continuare a parlarle. Non le capitava spesso di potersi confrontare con persone che... beh, che riuscivano a capirla. Quasi mai a dire la verità. “È il contrario invece. Anche io penso di poterti capire su questo, sai?” confessò, leggermente in imbarazzo.

“Tu? Ma per piacere,” Giusy la derise con uno sbuffo.

“No, non ti sto prendendo in giro, sono seria,” insistette l'altra. “Sai che ti dico? Abbiamo bisogno di un altro drink per affrontare questo discorso, non sei d'accordo?”

“Sì, sì decisamente, forse anche più di uno.”

 

La serata andò avanti e i minuti scorrevano via, mentre la conversazione tra Giusy e Antonella progrediva assieme al loro stato di ebbrezza. Al terzo drink Antonella ormai aveva perso qualsiasi freno inibitore mentre si lasciava andare ad insulti e lamentele rivolti un po' a chiunque le passasse per la testa: i suoi produttori insulsi, i giornalisti di terza categoria che le rivolgevano domande inutili e stucchevoli durante le interviste, la pessima organizzazione della sua casa discografica e per concludere sua madre, Paolo e Dorina, forse i manager più incapaci di tutta l'America latina, completamente impreparati a gestire quella tipologia di carriera e a sostenerla come sarebbe stato necessario. Se non altro le sue battute e prese in giro strappavano un sorriso e una risata a Giusy, che Antonella raramente aveva visto di buon umore prima di allora, perlomeno in sua presenza. Ogni volta in cui riusciva a farla ridere se ne rallegrava, come se fosse stata una sua personale conquista della quale andare fiera. E la cosa migliore era che Giusy non ascoltava semplicemente in modo passivo, facendo soltanto qualche commento di circostanza e annuendo come invece erano solite fare le divine, forse fatta eccezione per Caterina, ma al contrario partecipava attivamente facendo acute osservazioni su tutto il marcio e l'ipocrisia che tristemente erano così diffusi nel loro ambiente, le quali trovavano Antonella pienamente d'accordo.

Antonella non sapeva se fosse un semplice effetto dell'alcol o forse colpa della giornata pesante che aveva appena avuto, ma stava di fatto che si ritrovò a pensare che la compagnia di Giusy poteva anche essere... non così terribile, tutto sommato. Perlomeno quando non si comportava come una so-tutto-io presuntuosa e irritante e si lasciava un po' andare, come stava facendo in quel momento insieme a lei. Se solo fosse stata sempre così chissà, magari avrebbero potuto anche essere... no, no quello doveva essere senz'altro l'alcol a parlare.

“E così adesso ti ho fatto vedere tutta la polvere sotto il tappeto. Spero di non dovermene pentire,” sentenziò Antonella, guardando Giusy in trepidante attesa di un responso. Sapeva che non era il tipo di persona che andava a parlare alle spalle e diffamare la gente solo per il gusto di farlo, ma in fondo assicurarsene non poteva che fare bene.

“Puoi stare tranquilla, sono una botte di ferro, io. Da domani torneremo a non sopportarci e tutto quello che è successo qua dentro rimarrà tra queste quattro mura per sempre,” le disse Giusy, con un mezzo sorriso. Antonella la guardò e venne colta da una fitta di malinconia, senza sapere perché.

“Dimmi la verità, ti ho sorpresa? Per quello che ti ho detto,” le chiese poi.

“Sì, parecchio, ma non per la ragione che pensi tu,” replicò Giusy, inevitabilmente sollecitando la sua curiosità.

“E cioè? Avanti, dimmi, sono curiosa!”

“Promettimi che domani te ne dimenticherai però.”

“Te lo prometto,” le assicurò Antonella, con il tono di chi ci credeva davvero e anzi, reputava che quell'intera conversazione sarebbe stata completamente rimossa dal suo cervello nel giro di un paio d'ore al massimo. Non poteva certo immaginare che le parole che stava per ascoltare avrebbero continuato a risuonare nella sua mente per molto, moltissimo tempo, più di quanto non si sarebbe aspettata.

“Non sono sorpresa di sapere che il mondo della musica è tosto e pieno di ipocrisie, di apparenza e di superficialità. Quello che mi sorprende è sapere che tu cerchi qualcosa di meglio di cinque minuti di celebrità fini a se stessi,” confessò la ragazza, lasciando Antonella un po' interdetta. Quest'ultima infatti non sapeva se avrebbe dovuto prendere quelle parole come un complimento o piuttosto come un insulto. Sul serio dava l'idea di una persona disposta a svendersi per ottenere la fama? Per quanto sua madre fosse altamente superficiale, Antonella non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

“È davvero questa l'idea che hai di me? Che sono il tipo di persona che andrebbe in spiaggia mezza nuda o al ristorante a lanciare piatti e forchette e fare scenate da diva solo per ottenere l'attenzione dei fotografi e far parlare di me sui giornali? Mi dispiace Giusy, ma non mi conosci per niente,” replicò, scuotendo la testa con decisione per far intendere che non scherzava e che anzi, l'argomento era piuttosto serio per lei. “Che tu ci creda o no io amo cantare e ballare, per me è una passione, è uno dei pochi momenti in cui mi sento veramente me stessa. Non lo faccio solamente perché voglio il successo o l'attenzione della gente,” rivelò. Era forse una delle poche persone a cui Antonella lo aveva detto, perlomeno esplicitamente. Per un attimo la ragazza si chiese se il pensiero di Giusy fosse in realtà condiviso dalle altre persone nella sua scuola, se anche altri credessero che il canto e il ballo fossero per lei un semplice mezzo per acquisire notorietà.

“Lo sai, in fondo un po' credo di averlo sempre saputo. O perlomeno sospettato,” rispose Giusy, lasciando Antonella nuovamente sorpresa.

“Ah sì? E come mai lo dici?” tentò di indagare quest'ultima. Alla reticenza di Giusy, che in quel momento spostò lo sguardo di lato per evitare di incontrare gli occhi marroni di Antonella pieni di curiosità, la giovane cantante la sollecitò un'altra volta promettendole: “Andiamo, prometto che mi dimenticherò anche di questo domani mattina.”

“Mi posso fidare?” domandò Giusy, titubante.

“Questo devo deciderlo tu.”

E così, alla fine decise.

“Beh ecco, il fatto è che, quando ti guardo mentre ti esibisci io...” tergiversò la mora, alzando lo sguardo su Antonella. Poi fece un sospiro. “Non lo so, è come se lo sentissi, come se in qualche modo riuscissi a trasmettermela la tua energia, la tua grinta, la tua passione, la cura e la precisione che metti in ogni movimento, anche il più piccolo. Soltanto qualcuno che ha un grande amore per la musica può essere in grado di cantare e di ballare come fai tu Antonella, in qualche modo lo sento e basta.”

Antonella la guardò e rimase di stucco. Giusy, di fronte a lei, era arrossita leggermente. Quello era... forse il complimento più bello che qualcuno le aveva mai fatto, in tutta onestà. Tanta gente in passato le aveva detto quanto fosse bella e brava e quanto cantasse bene, ma nessuno era mai andato oltre cogliendo anche ciò che c'era dietro. Fu una strana sensazione, quella che Antonella provò in quel momento. Era come se in un certo senso qualcuno fosse riuscito a vederla per la prima volta, vederla sul serio però, senza forzature. E lei si sentì quasi scoperta.

Forse fu proprio questo ciò che la spinse ad alzarsi dalla panca per andarsi a mettere dall'altra parte del tavolo, sedendo accanto a Giusy. “Josefina Beltran, mi hai appena detto che ho talento?” le chiese, portandosi una mano sotto la guancia per sorreggersi il suo viso. “Ho sentito bene?”

“Forse, può darsi...” biascicò Giusy, distogliendo lo sguardo. “Chi immaginava che l'alcol facesse dire certe scemenze,” scherzò, simulando una risatina chiaramente artificiale e carica di imbarazzo e nervosismo.

“Nessuno mi aveva mai fatto un complimento così bello, lo sai?” aggiunse, altrettanto in imbarazzo nel dover fare quell'ammissione.

“Ma tanto tu te ne dimenticherai, no? Sono i patti,” le ricordò Giusy, quasi come spaventata dall'idea che potesse verificarsi il contrario.

“Sì, me ne dimenticherò,” le assicurò Antonella. “Un patto è un patto. Però, giusto per par condicio, anche io adesso ti voglio dire una cosa, ma solo perché così siamo pari,” le offrì, mentre tamburellava sul tavolo con le dita della mano sinistra. “Vuoi saperla?”

“Dimmi. Solo se lo pensi veramente però, non voglio che...” iniziò Giusy, ma Antonella la interruppe quasi subito.

“Lo penso veramente,” le assicurò, spostando la mano che teneva appoggiata alla guancia per stringere quella di Giusy sul tavolo. Appena entrarono in contatto, una sensazione di elettricità si diffuse nel suo corpo. “Lo so che in passato ti ho dato tante volte della sfigata, della stupida, della provinciale e tante altre cose poco carine, però sono tutte stronzate, non ho mai pensato davvero queste cose di te, anzi,” iniziò. “Te le ho dette solo perché ero arrabbiata con te, perché tu mi rifiutavi di continuo e io non sapevo più cosa fare per avere le tue attenzioni! Tutte le altre ragazze facevano la fila per entrare nelle divine e farsi notare da me, invece tu te ne fregavi. Però non è solo questo. Tu in qualche modo fai sempre di testa tua, non so come fai, te ne freghi di quello che pensano gli altri. A volte vorrei riuscirci un po' di più anch'io.”

Antonella rimase quasi senza fiato, fissava nervosamente Giusy in attesa di una sua risposta, il cuore che batteva a mille. Non sapeva esattamente perché glielo avesse detto o da dove fossero uscite fuori tutte quelle cose, sapeva soltanto che le pensava e che in qualche modo ora le aveva tirate fuori.

“Non me lo aveva mai detto nessuno prima,” rispose Giusy, leggermente rossa in viso.

Antonella la guardò e si ritrovò a pensare, forse a causa dell'alcol, che fosse bellissima. Sì, doveva essere l'alcol per forza. “Io...” iniziò la ragazza mora, intrecciando le dita della mano con quelle di Antonella prima di proseguire, “se ti allontanavo era solo perché ti credevo superficiale e stupida Antonella, non mi interessa proprio essere l'ennesima persona che ti applaude e accarezza il tuo ego smisurato. Però forse un pochino superficiale lo sono stata anche io a fermarmi alle apparenze. Sei molto meglio di quello che vuoi fare credere agli altri, lo sai anche tu.”

“In tua difesa, sono molto brava a nascondermi,” le concedette l'altra con un mezzo sorriso. Poi, con il cuore che batteva sempre più forte, la ragazza spostò una mano sulla sua guancia destra e la accarezzò dolcemente. Aveva una voglia matta di toccarla. “E dimmi un po', Giusy, adesso che ti ho detto il mio segreto e sai che cosa c'è sotto l'apparenza, che cosa ne pensi?”

“Che cosa ne penso di cosa?” domandò Giusy, un po' intimorita, senza tuttavia sottrarsi a quel contatto fisico, il secondo iniziato da Antonella nell'arco di quel pomeriggio.

“Di questo, di quello che ti ho detto.”

“Vuoi sapere se ora entrerò nelle divine per essere una dei tuoi minion e farti da cheerleader? No grazie,” la derise con uno sbuffo sarcastico, tuttavia soltanto in apparenza. Antonella lo vide subito che in realtà aveva capito benissimo.

“Non è quello che voglio sapere,” le rispose in tono fermo.

“E, e allora che cosa vuoi sapere?” chiese l'altra, schiarendosi la voce.

“Penso che tu lo sappia,” Antonella replicò in un sussurro, abbassando quasi inconsciamente lo sguardo sulle labbra della ragazza mora. Immagini molto nitide e precise si formavano all'interno della sua testa in quel momento, immagini di loro due assieme estremamente vicine. Antonella avrebbe dovuto saperlo che sarebbe stata una pessima, pessima idea. Eppure scelse deliberatamente di ignorare quel che rimaneva del suo buon senso mentre accarezzò per la seconda volta la guancia di Giusy, sporgendosi in avanti mentre inclinava il viso leggermente a lato.

“No, non lo so...” mormorò Giusy. La ragazza si sporse a sua volta verso Antonella e inclinò il viso nella direzione opposta. “Perché non me lo dici tu?” sussurrò poi, e Antonella non poté fare a meno di notare come gli occhi scuri dell'altra ragazza fossero posati sulle sue labbra.

Con pochi centimetri di distanza rimasti a separarle, Antonella fece un respiro profondo. Il fiato di Giusy le solleticava le labbra e un brivido di eccitazione ed adrenalina le corse lungo la schiena. Se fosse dipeso da lei, avrebbe già afferrato il colletto della sua maglia per chiudere la distanza con un bacio e soddisfare quella voglia crescente, curiosa di scoprire se le labbra di Giusy fossero morbide come sembravano. Il timore di come avrebbe reagito l'altra però la fermò e la fece rallentare: chiuse gli occhi e tentennò ancora per qualche istante, mentre la sensazione di solletico che avvertiva alla base dello stomaco la faceva sentire come se stesse per precipitare. Sospirò ancora una volta e si fece coraggio, ma proprio quando era sul punto di sfiorare le labbra di Giusy con le proprie una brusca interruzione le separò di colpo, come se fossero state colpite da una scossa di terremoto: un telefono stava squillando.

Per la precisione, il cellulare in questione era quello di Giusy. Antonella riaprì gli occhi con lo stomaco ancora in subbuglio e vide che la ragazza mora aveva le guance di un colorito così rosso che pareva fosse sul punto di andare a fuoco da un momento all'altro. Si allontanarono immediatamente l'una dall'altra, e nel frattempo Giusy si schiarì la gola e sistemò velocemente e in maniera raffazzonato le pieghe della sua gonna con un certo imbarazzo. Antonella invece rimase imbambolata a guardarla, senza reagire né tentare di processare ciò che era (o per meglio dire, non era) appena successo.

“S-scusa, devo rispondere,” mormorò Giusy, accuratamente evitando il suo sguardo. Poi tirò fuori dalla tasca della giacca il telefono e rispose: “Ciao Tami... Cosa, è già così tardi?! Scusate tanto, io...” si bloccò per un istante, lanciando un'occhiata veloce ad Antonella prima di tornare a fissare il vuoto di fronte a sé: “Ho avuto un imprevisto e non sono proprio riuscita a liberarmi, vi raggiungo subito,” concluse, prima di salutare rapidamente la sua interlocutrice e riagganciare.

“Problemi?” chiese Antonella, che per l'imbarazzo stava a sua volta facendo il possibile per evitare lo sguardo di Giusy e dover dunque affrontare... beh, cose che non desiderava assolutamente affrontare.

“Mi ero completamente dimenticata della cena con le ragazze stasera,” spiegò Giusy frettolosamente, e nel contempo si alzò in piedi per indossare il giubbotto autunnale, lo zaino e il foulard che aveva portato con sé, “avrei dovuto farmi trovare davanti a casa di Patty mezz'ora fa.”

“Cena?! È già così tardi?!” esclamò Antonella.

La ragazza si alzò in piedi e fece ritorno al suo posto per controllare il proprio telefono, accese il display e lesse quindi con stupore l'orario che si trovò davanti agli occhi: 21:37. Contando che erano arrivate là attorno alle sette e qualcosa, aveva trascorso all'incirca due ore e mezza là dentro a bere e parlare con Giusy. Oh. Mentre quella consapevolezza si faceva largo in lei, notò con la coda dell'occhio l'altra ragazza che si accingeva ad uscire e allontanarsi dal loro tavolo e dunque tentò di fermarla.

“A-aspetta Giusy!” esclamò, ottenendo come risultato che l'altra si voltasse mentre lei d'istinto cercava di mettersi la giacca il più velocemente possibile per seguirla.

“Non ti preoccupare, pago io, ti ho invitata io fuori no?” disse, tuttavia non lasciò ad Antonella nemmeno il tempo di ribattere che subito ricominciò a parlare: “Bene, è stato un piacere, ci vediamo in giro Antonella. Buona serata!”

Così dicendo, Giusy le rivolse un goffo gesto della mano per congedarsi e subito dopo sparì nelle scale verso il piano di sotto.

“Buona serata,” mormorò Antonella al vuoto, rimasta sola in piedi accanto al tavolo.

Si portò una mano alle labbra mentre fu invasa dal pensiero di quanto lei e Giusy fossero state vicine soltanto pochi minuti prima, e a come tutto fosse sfumato davanti ai suoi occhi nel giro di pochi secondi prima ancora che potesse rendersene conto. Con lo zaino color beige in spalla, Antonella si apprestò a scendere le scale con aria pensierosa e malinconica, interrogandosi su tutte le possibili strade alternative che la serata avrebbe potuto prendere se soltanto non fossero state interrotte. Si domandava infatti se quello stop forzato dovesse essere visto come un bene o un male, come un salvataggio da un momento di debolezza oppure... oppure qualcos'altro di molto diverso. Facendo un sospiro di sollievo, la ragazza pensò che in fondo non importava poi così tanto. Tanto lei avrebbe dovuto comunque dimenticarsi di tutto, a prescindere da cosa fosse successo o non successo, i patti erano questi. Eppure, una singola, fastidiosa domanda continuò ad echeggiare nella sua mente per tutto il tragitto fino a casa, e poi anche oltre, disturbandola e impensierendola per tutta la durata della sua serata.

Era davvero questo ciò che voleva?

   
 
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