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Autore: Lella73    01/06/2023    7 recensioni
Buongiorno e bentrovati a tutti! Torno a condividere con voi uno dei miei racconti, una mini-long in otto capitoli in cui partendo dall'episodio 20 (per me cruciale con quel brillante doppio duello dell'incipit, il ballo in alta uniforme e la partenza di Fersen) del nostro anime preferito, per offrire una via diversa ai Nostri. Ho immaginato eventi che possano offrire a Oscar e André un poco di leggerezza e gioventù, nonché opportunità e scelte alternative a quelle delle vicende note; ho cercato infine di costruire per loro un passato di ricordi vissuti assieme ed emozioni condivise.
Confido nella lettura attenta e sensibile con cui è stato seguito il racconto che ho già pubblicato qualche mese fa e ringrazio fin d'ora infinitamente per il tempo che mi vorrete concedere.
Ho scelto di far seguire l'intera storia da un "contesto musicale", affidando ai titoli di celebri canzoni il titolo di ogni capitolo. Spero proprio che lo spirito di ogni pezzo ricordato possa aiutare a comprendere lo spirito di ogni parte della storia.
Con molta emozione, non mi resta che augurarvi buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno! Sono arrivata all'ultimo capitolo di questa mia storia, che ho scritto con un infinito amore per questi personaggi che porto nel cuore da tutta la vita. Ringrazio sinceramente chi ha avuto la gentilezza di farmi dono del proprio tempo per farmi compagnia con la propria lettura nel corso di queste settimane. Spero di aver potuto trasmettere le emozioni che ho provato scrivendo.​



Capitolo 8 - Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto
Ritorno a palazzo Jarjayes, il corteggiamento di Girodelle, una missiva dalla Normandia, la scoperta di saper amare - Epilogo

Non avendo annunciato il loro rientro, arrivarono a palazzo Jarjayes inaspettatamente. Nessuno li stava attendendo e quando la carrozza si fermò dinnanzi al sontuoso ingresso, Oscar si affrettò a uscire immediatamente; voleva andarsene per ritirarsi nelle proprie stanze senza incontrare nessuno e senza doversi fermare con André a dare spiegazioni riguardo al rientro repentino. L'anziana governante aveva tuttavia sentito il rumore dei cavalli e delle ruote ed era accorsa, gridando gioiosa appena riconosciuta la carrozza. André era saltato veloce giù dalla cassetta e già sua nonna lo stava sgridando perché si affrettasse con il bagaglio, mentre prendeva la mano di Madamigella Oscar fra le proprie e si sporgeva verso l'abitacolo per chiedere a Rosalie se si era ricordata di proteggere la propria pelle dai raggi del sole come le aveva raccomandato. Non diede nemmeno il tempo alla ragazza di rispondere, perché già stava rimbrottando Oscar per l'abbronzatura a suo dire non consona al suo rango e al ruolo. "Perché non hai messo un cappello?!" le disse, con puntiglio. Oscar non rispose. André abbassò la testa, perché suo malgrado non potè trattenere un sorriso all'idea di Oscar con un cappello a tesa larga, magari dotato di fiocco da fermare sotto il mento… lei che non aveva mai portato altro che il tricorno dell'uniforme delle guardie reali…

Oscar si allontanò. Voltando le spalle a tutti annunciò che l'indomani avrebbe ripreso servizio e che le sarebbe servita la sua divisa da colonnello  pronta entro la sera stessa. 

L'estate volgeva al termine e le giornate si stavano accorciando, ma lontano dal mare l'aria rimaneva tuttavia ancora calda e un' afa persistente rendeva il clima pesante e opprimente. André non protestò né si lamentò; si occupò di scaricare tutti i bagagli, per poi sistemare la carrozza nel ricovero e strigliare i cavalli. 

La sera portò il sollievo della frescura; con le gambe immerse fino ai polpacci nel grande bacino d'acqua fra le scuderie e il palazzo, André si occupava di César. Come al solito gli sussurrava poche parole famigliari, che l'animale accoglieva muovendo le orecchie, alzando e abbassando il collo in attesa di carezze e della piccola gratificazione di qualche generoso pezzo di mela. Dalla stanza di Oscar le finestre aperte lasciavano libere di spargersi per l'aria della notte le note di Scarlatti; André l'ascoltava: suonava nervosamente. La musica si interruppe senza che l'esecuzione fosse giunta al termine. André si chinó per raccogliere la spazzola caduta nell'acqua e quando si rialzò si volse: dalla sua finestra Oscar lo guardava. Quando i loro sguardi si incrociarono lei non se ne andò. André espirò. Non si era affatto sbagliato. Le sorrise. Solo allora lei chiuse le tende e spense tutte le luci.

 

Oscar provò un certo sollievo nell'apprendere che il generale era lontano. Raggiungendo le proprie stanze aveva ordinato un bagno per sè; dopo essersi rinfrescata si era fermata per un doveroso saluto alla contessa, poi aveva scritto due veloci missive da inviare immediatamente  a corte per annunciare il proprio rientro e infine si era messa al piano. Aveva pensato di affrontare un nuovo spartito che aveva abbandonato partendo, ma non riusciva a trovare la concentrazione sufficiente. Aveva iniziato perciò a suonare brani noti finché non si era resa conto che le note di Domenico Scarlatti non stavano affatto esprimendo la bellezza che l'autore aveva cercato di donare al mondo con le sue sonate, ma il tumulto del proprio animo. Aveva allora interrotto l'esecuzione e di malumore era andata alla finestra. Nella fioca luce del crepuscolo che ormai cedeva il proprio posto al buio della notte, con i piedi immersi nell'acqua, André strigliava César. Oscar si fermò a guardarlo mentre si piegava per recuperare la spazzola per poi volgersi verso di lei, il volto alzato e gli occhi puntati sulla finestra della sua stanza, come fosse stato già certo di trovarla lì. Oscar ripensò alle tranquille serate alla Villa sul mare, al suo primo bacio rubato sulla spiaggia, a quel piacere sottile nello sfiorarsi salendo le scale prima di congedarsi per la notte e non riuscì a distogliere lo sguardo. André le sorrise. Lei sentì come un languore profondo scaldarle il fondo del petto. Il suo primo bacio… anche lei aveva avuto un primo bacio… ed era stato di André… e di chi altri avrebbe potuto essere? Ogni prima volta della sua vita era stata con André: la prima volta che aveva bevuto… e che si era ubriacata… la prima volta in cui aveva passato la notte furtivamente sotto le stelle, la prima volta che aveva fatto a botte… la prima volta in cui era entrata in una delle bettole di Parigi e anche la prima volta in cui era stata a corte… la prima volta in cui aveva indossato l'uniforme era con lui… era con lui persino la prima volta in cui la sua femminilità aveva reclamato prepotentemente la propria disarmante evidenza, sporcandole i pantaloni chiari mentre si esercitava con la spada…

Chiuse le tende con un movimento secco e si affrettò a spegnere tutte le luci. Perché aveva deciso di rientrare a palazzo Jarjayes con tanta furia? Si lasciò cadere sull'ampia poltrona davanti al camino spento gettando le calzature da camera lontano da sè e si raggomitolò, le ginocchia piegate e raccolte su un fianco e i piedi nudi alla ricerca di un poco di refrigerio nella calura estiva. Tormentó fra le dita un ricciolo di capelli. Perché era voluta partire così in fretta? Era scappata via. Buttò indietro il capo; sfinita dal lungo viaggio e dalle ultime due notti insonni, si addormentò.

 

Le prime luci dell'alba sorpresero Oscar ancora rannicchiata sulla poltrona. Con gli arti intorpiditi per la scomoda posizione, si affrettò ad alzarsi e si vestì in fretta; voleva andarsene prestissimo. Voleva andarsene da sola, senza vedere nessuno… voleva andarsene senza vedere André… Non voleva dovergli dare spiegazioni, ma quando raggiunse le scuderie lui era già lì, impeccabile e vestito di tutto punto, col suo fazzoletto di seta al collo, e la aspettava, accanto ai cavalli già sellati. Le porse le redini di César senza dirle niente. Oscar cincischiò, trattenendole qualche istante fra le mani. André era certo che lei non l'avrebbe voluto con sè, che avrebbe cercato di allontanarlo, ma, deciso a non facilitarle il compito, rimase immobile guardandola negli occhi. Oscar aggrottò le sopracciglia. "Non occorre che tu venga con me André." disse dopo un lungo istante, il tono piatto, l'espressione seria. "D'accordo Oscar." rispose lui, pacato, "Ti aspetterò a casa.". Oscar montò a cavallo, César si mosse nervoso, girando su se stesso; Oscar lo trattenne accorciando le redini, mentre gli zoccoli pestavano il terreno. "Tornerò tardi." disse "Non aspettarmi.". Spronò il cavallo con decisione e partì al galoppo.

 

Quando gli era stata consegnata la missiva del colonnello Jarjayes, la sera prima, Victor Clêment de Girodelle si era molto agitato: un'emozione che non riusciva a trattenere lo aveva colto alla notizia del rientro di Madamigella Oscar. La sua assenza gli era stata insopportabile e ancor più insopportabile gli era stato pensare a lei in Normandia con quel suo dannato attendente. Aveva immaginato ogni possibile orribile sviluppo in cui lui avrebbe potuto approfittarsi di lei in una situazione priva di controllo e si era lasciato togliere il sonno da supposizioni scabrose che non aveva fatto che alimentare con una fervida immaginazione ed  che l'avevano di volta in volta fatto adirare o cadere nella più assoluta disperazione.

Certo che lei si sarebbe presentata a corte di buon'ora, aveva provveduto la sera prima a preparare ogni cosa affinché lei potesse trovare tutto perfetto e notare subito quanto lui era stato attento e capace in sua assenza. Solo in seguito si era reso conto che Madamigella stava rientrando anticipatamente rispetto alla licenza che aveva richiesto e ottenuto. Scegliendo con cura camicia e accessori da abbinare alla sua divisa di tenente, aveva quindi iniziato ad arrovellarsi riguardo al motivo di tale anticipo… in realtà il comandante aveva già altre volte dato prova di attaccamento al dovere, presentandosi anticipatamente per ricoprire il proprio ruolo anche in seguito ad eventi gravi, come quando un enorme lampadario era rovinato su di lei e sul suo servitore e quando aveva subito la misteriosa aggressione da cui fu tratta in salvo dal conte di Fersen appena rientrato. Anche lui non avrebbe esitato a salvarla trovandosi lì, aveva pensato più e più volte Girodelle: quella di Fersen non era stata altro che la fortuna di cogliere un'ottima opportunità!

Il tenente aveva avuto il riguardo di alzarsi particolarmente presto e di entrare in servizio prima del solito e ora, con un plico fra le mani pieno di documenti accuratamente compilati, verbali e resoconti, si stava apprestando ad entrare nell'ufficio di Madamigella Oscar per farle trovare tutto in ordine al suo ritorno. Con la mano sulla maniglia, aprì senza bussare ed entrò; rimase molto sorpreso di trovare il suo superiore già seduto alla scrivania, intento a lavorare. 

Sentendolo entrare Oscar alzò immediatamente gli occhi, l'espressione seria e concentrata. "Buongiorno tenente." disse fredda "In mia assenza è andata in disuso l'abitudine di bussare e chiedere permesso?". Girodelle farfugliò qualcosa, sentendosi esposto e in imbarazzo. "Avete con voi i resoconti delle ultime settimane?" continuò Oscar. Girodelle annuì, porgendole in silenzio il plico che recava con sè e mentre lei lo prendeva, la fissò, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi chiari per i quali aveva sospirato durante la lunga assenza. Oscar non fece caso al turbamento del proprio sottoposto e si apprestò immediatamente a consultare i documenti che attestavano le attività svolte durante la sua licenza. Girodelle rimase immobile in piedi davanti a lei; notò il colorito dorato delle mani e del viso e si chiese come avesse potuto Madamigella Oscar lasciare che la sua pelle si abbronzasse. Già non ricorreva mai alla cipria o al belletto! La sua pelle avrebbe dovuto essere protetta, restare sempre diafana e perfetta! 

Oscar, spazientita, tornò ad alzare gli occhi su Girodelle; "Dovete dirmi altro?" chiese asciutta. Il tenente fece un passo indietro. "No…" rispose "... solo…". "Solo?" lo incalzò Oscar. "Solo… ben… bentornata comandante.". Oscar gli offrì un rapido sorriso di cortesia: "Grazie tenente. Radunate le guardie. Inizieremo le esercitazioni appena avrò finito con queste incombenze burocratiche. Non ci vorrà più di mezz'ora.". Girodelle rimase tuttavia immobile e Oscar espirò rumorosamente. "C'è altro?" chiese severa. Girodelle avrebbe voluto trovare qualcosa di brillante da dire prima che arrivasse quel Grandier a imporre come al solito la sua noiosa e irritante presenza, ma si trovò impacciato dinnanzi allo sguardo serio del suo comandante e finì col congedarsi rapidamente e uscire in silenzio, mentre lei, il capo chino sui documenti, non alzava più nemmeno lo sguardo su di lui.

 

Le esercitazioni furono lunghe e faticose. Oscar volle sincerarsi che le reclute goffe e inesperte che aveva lasciato per andare in licenza fossero state adeguatamente addestrate. Fu severa e attenta, controllando e valutando ogni uomo con scrupolo severo. Girodelle, preoccupato di dimostrare il valore del proprio impegno e del proprio operato, si accorse solo molto tardi che per l'intera giornata Madamigella Oscar era rimasta sola. Guardandola montare sul suo cavallo per lasciare la Reggia, si rese conto che nessuno le era venuto incontro porgendole le redini col solito sorriso sul quale tante volte si era interrogato. Si guardò intorno in cerca della propria cavalcatura, ma ormai lo scudiero, solerte come sempre, l'aveva già condotta alle scuderie ed era troppo tardi per recuperarla e poter correre dietro al proprio comandante senza risultare patetico. Girodelle se la prese subito con se stesso: come poteva aver sprecato una simile occasione! Quando si ritirò sentiva un'insoddisfazione sottile che andava lentamente trasformandosi in un'inspiegabile collera, se la prese perciò col proprio valletto per aver preparato una mise che giudicò non consona, quindi annunciò di essere indisposto e che perciò avrebbe cancellato gli impegni mondani per la serata.

 

Oscar cavalcò lentamente fino a palazzo Jarjayes. Entrò nella tenuta con la testa bassa e di malumore. Benché fosse ormai scesa la sera, la calura era rimasta comunque opprimente e l'uniforme le pesava enormemente addosso. Sentiva il sudore correre lungo la schiena e i capelli incresparsi per l'umidità persistente. Quando arrivò alle scuderie pensando di essere sola trovò invece André. Con la camicia appena aperta sul petto, i pantaloni scuri e i capelli trattenuti dal nastro di seta blu, aveva un aspetto ordinato e sorridente e la accolse prendendole di mano le redini di César. "Non c'era bisogno che mi aspettassi fino a così tardi André." gli disse con un tono forzatamente indifferente. "Ma io ti ho aspettato lo stesso." le rispose lui con gentilezza, "Dimmi Oscar! Com'è stato rientrare a corte?". "Triste, noioso, interminabile…" avrebbe voluto rispondergli. "Girodelle in mia assenza sembra aver preparato bene i nuovi cadetti." disse invece con tono incolore, facendo spallucce. André iniziò a occuparsi di César. Dissimulò un sorriso nascondendo il viso contro il collo del cavallo. Oscar non aveva in realtà risposto alla sua domanda: non era stata una bella giornata per lei. Tolta la sella e sfilato il morso, André riempì di biada la larga mangiatoia davanti al cavallo e iniziò a strigliarlo. Oscar indugiò qualche istante prima di andarsene. "Grazie André." mormorò sulla porta. Lui la seguì con la coda dell'occhio, la vide volgersi dopo qualche passo prima di andarsene e seppe di esserle mancato.

 

Quando Girodelle raggiunse l'ufficio del colonnello Jarjayes era deciso ad essere brillante e a non farsi condizionare dalla presenza di quel dannato Grandier; il giorno prima aveva perso un'occasione, ma si sarebbe rifatto dimostrando sicurezza e autorevolezza. Bussò quindi ripetutamente, rimase molto deluso non ottenendo risposta e provò ad aprire la porta con circospezione: l'ufficio era vuoto, così si trovò a dover tornare sui propri passi. Possibile che il comandante non fosse ancora arrivato? Uscendo trovò invece Oscar a cavallo che con cipiglio severo dirigeva già le esercitazioni delle guardie reali. A poca distanza, due scudieri lamentavano il fatto che con il ritorno del comandante avrebbero dovuto riprendere il servizio molto prima la mattina; quando si accorsero di Girodelle lo ossequiarono e si spostarono subito. Lui sentì una certa agitazione crescergli nel petto: e se qualcuno avesse detto a Madamigella Oscar che il suo sottoposto era stato meno zelante negli orari in sua assenza? Cercò di darsi subito un tono, pensò a cosa poter dire avvicinandosi per apparire immediatamente brillante e rimuginando notò che nessuno era al fianco di Madamigella Oscar. Che fosse sola? Di nuovo? Si fermò accanto al colonnato e si guardò intorno con circospezione: non sembrava esserci traccia dell'attendente! Si ravviò i capelli e si aggiustò l'uniforme. Emozionato, prese tempo. Trasse un profondo respiro e si avvicinò a Oscar. "Buongiorno Madamigella!" esordì. Oscar gli lanciò uno sguardo gelido dall'alto della sua cavalcatura; il sorriso gli si smorzò subito sulle labbra e si sentì in qualche modo intimorito. Con una lieve sensazione di panico che aveva iniziato a stringergli il cuore, cercò di ricordare le battute cui aveva pensato. Annaspò, mentre lei tornava a concentrare la propria attenzione sugli uomini intenti a misurarsi a coppie con la spada. "La luce del mattino rende l'oro della vostra capigliatura più luminoso che mai!" disse con tono galante. Oscar si volse verso di lui, l'espressione seria e le sopracciglia aggrottate: "Non stiamo facendo una passeggiata di piacere attraverso il parco, tenente!" lo apostrofó. "Prendete nota!" continuò, "Voglio sapere chi é quel giovane in fondo; sembra molto abile con la spada. Potrebbe essere promettente.". Girodelle cercò di sembrare più professionale possibile, ma si accorse di non ricordare affatto chi fosse il cadetto cui il suo comandante si riferiva. Dato il prolungato silenzio Oscar proseguì: "Non sono invece affatto soddisfatta di quei due.". Girodelle continuava a tacere. Oscar, spazientita, strinse le labbra. "Controllate voi il termine dell'esercitazione. Vi attendo nel mio ufficio con le note riguardo agli uomini che vi ho indicato.". Spronó il cavallo e si avviò attraverso la piazza. Girodelle la guardò scendere e sparire nell'ombra del colonnato dopo aver affidato le redini a un ragazzetto che si inchinò con sussiego.

 

Mentre riempiva documenti e firmava dispacci, Oscar pensava che avrebbe dovuto trovare il tempo di andare a rendere omaggio a Sua Maestà la Regina al Trianon. In realtà non aveva ancora nemmeno scritto annunciando il proprio rientro, né aveva incontrato Sua Maestà il Re. Sbuffò. Per un attimo ebbe la visione fugace dell'azzurro del mare dalla finestra del bovindo di Villa Jarjayes… per un attimo ebbe la visione fugace del verde degli occhi di André che la fissava, mentre le offriva ostriche. Chiuse gli occhi stringendoli forte. Un bussare sommesso la riportò alla realtà. "Avanti!" disse forte. Girodelle entrò, un sorriso che le parve tirato stampato sulle labbra. "Avete i dati sugli uomini che vi ho chiesto?" domandò sbrigativa. Girodelle le porse un piccolo plico che lei consultò rapidamente. Attese che lui se ne andasse e infastidita dal fatto che anziché congedarsi il tenente si fosse accomodato sulla poltroncina davanti alla sua scrivania, annunciò che sarebbe rientrata di lì a poco a palazzo Jarjayes. Girodelle non si mosse. Quando terminò di vidimare alcuni documenti, affidandoli a un valletto chiamato appositamente, Oscar si alzò. "Perdonatemi," disse "voglio rientrare presto oggi.". Girodelle si alzò velocemente. "Permettetemi di accompagnarvi!" esclamò. Oscar lo guardò stupita. "Non occorre." rispose. "Vi prego!" obiettò lui "Sarebbe un'ottima occasione per aggiornarvi sulle novità di corte!". Oscar espirò contrariata; "Credo sappiate già che non amo il pettegolezzo." rispose con freddezza. Girodelle non si perse d'animo: "No!" soggiunse "Non si tratta di pettegolezzi, ma di importanti novità!". Oscar capitolò; "Se proprio ci tenete…" rispose laconica.

Girodelle sentì il cuore fare una capriola nel suo petto! Aveva fatto preparare per tempo il suo cavallo accanto a quello di Madamigella Oscar e quando, montando, constatò che effettivamente lei era nuovamente sola, pregustò una lunga, piacevole cavalcata.

 

La cavalcata non fu affatto lunga né piacevole. Il conte di Girodelle si era immaginato una tranquilla, lenta passeggiata fino a palazzo Jarjayes, invece Oscar aveva subito spronato il cavallo imponendo un'andatura sostenuta e non aveva ascoltato che distrattamente le sue chiacchiere, rispondendo cupa e a monosillabi alle domande che lui le poneva a gran voce, per farsi sentire sopra il rumore degli zoccoli. Girodelle aveva ripensato alle molte volte in cui aveva guardato Madamigella Oscar allontanarsi lentamente da Versailles, parlando fittamente con Grandier, perennemente al suo fianco. L'aveva vista ridere con lui e persino talvolta sporgersi per toccarlo o afferrarlo. Aveva ora pensato di poter essere per lei la stessa piacevole presenza, ma Oscar era rimasta indifferente ai suoi racconti, né gli era sembrata godere della sua compagnia.

Arrivati all'ingresso della tenuta Jarjayes il sole aveva iniziato ad abbassarsi sull'orizzonte. Oscar arrestò bruscamente la propria cavalcatura, tirando le redini per far girare César e trovarsi di fronte al conte. "Vi ringrazio del tempo che mi avete dedicato. Ora permettetemi di accommiatarmi." disse sbrigativa. Girodelle cercò qualcosa di interessante con cui destare l'attenzione di Madamigella per non essere congedato così rapidamente e le chiese tutto d'un fiato se avesse sentito parlare delle nuove stravaganze di Sua Maestà la Regina riguardo a certe messinscena  di stampo bucolico. Oscar gli rivolse uno sguardo gelido: "Sapete già che non mi interessano i pettegolezzi. Buonasera tenente." rispose, incitando il cavallo e avviandosi rapidamente lungo il viale alberato.

Avvicinandosi alle scuderie Oscar si sorprese a sperare  che André fosse di nuovo lì ad aspettarla e quando smontò da cavallo rimase delusa non trovandolo. In realtà si era sentita sola rientrando in servizio senza di lui e il tragitto appena percorso al fianco di Girodelle era riuscito a farla sentire ancora più sola. Rimuginando, si rese conto di aver congedato velocemente il suo sottoposto non solo perché infastidita dalla sua presenza, ma soprattutto perché non voleva che André l'avesse potuta vedere rientrare con lui… o meglio: non sapeva spiegarsi perché, ma non voleva che André la vedesse rientrare con un uomo. Rise di sè sfilando i finimenti a César: passava ogni suo giorno fra uomini! Cosa le passava mai per la testa ora? "Ciao Oscar! Sei rientrata presto oggi!". La voce di André la sorprese alle spalle; si volse e gli sorrise. "Ero stanca." rispose "... fa molto caldo.". André la aiutò con César e questa volta lei lo aspettò. Rientrarono a palazzo Jarjayes assieme, senza dirsi niente e quando lei fu sul punto di avviarsi lungo le scale per raggiungere le proprie stanze, indugiò un istante ferma sui primi gradini, come in attesa di qualcosa. "Oscar!" la chiamò André "Non ho ancora cenato. Vuoi mangiare con me?".

Mangiarono in silenzio; Oscar piluccava frammenti di stracotto, immergendoli di tanto in tanto nella salsa di vino rosso delle pere volpine. Guardandola versare vino sia per se stessa che per lui, André fu certo che entro breve sarebbe rientrato a corte con lei.

 

Nei giorni che seguirono, Oscar continuò a prendere servizio sola, ma come per un tacito accordo la mattina non se ne andava prima che André le avesse preparato César e quando tornava lo trovava sempre ad aspettarla; scambiavano qualche parola e si fermavano a cenare assieme.

Non seguendo Oscar, André aveva molto tempo da dedicare a Rosalie e così si occupava della sua formazione, la aiutava ad esercitarsi con la spada e la accompagnava spesso in lunghe cavalcate, durante le quali capitava che lei si aprisse, raccontando il dolore che ancora le riempiva il cuore per la sorella che aveva perduto senza che nemmeno fosse stato concesso loro di conoscersi e volersi bene. André cercava di consolarla e la invitava a scrivere ad Aurelia, per coltivare un'amicizia che sarebbe potuta diventare nel tempo un appoggio prezioso, dal momento che nessuna delle due aveva fratelli o sorelle.

A Rosalie piaceva la compagnia di André: meno severo di Madamigella Oscar, quando la seguiva negli studi riusciva sempre a offrirle momenti di ilarità fra una spiegazione e l'altra, inoltre le proponeva  letture non solo interessanti, ma anche divertenti. C'era tuttavia, da che erano rientrati dalla Normandia, una malinconia di fondo nell'espressione del suo viso, ogni volta in cui alzava gli occhi su di lui senza che se ne accorgesse, che riusciva sempre a turbarla. Rosalie si chiedeva se Madamigella Oscar si accorgesse come lei di quella malinconia sottile ed evidentemente dolorosa… se non si dispiacesse per lui, sempre tanto caro con loro.

 

Girodelle aveva continuato a farsi trovare pronto con il suo cavallo accanto a César ogni volta in cui Oscar si era apprestata a fare ritorno a palazzo Jarjayes e lei era stata costretta a constatare suo malgrado che il suo sottoposto presentava molta più intraprendenza come corteggiatore che come ufficiale. Ascoltando taciturna e di malavoglia i suoi discorsi (sempre e rigorosamente su se stesso) lungo il tragitto, aveva spesso ripensato ai molti rientri passati chiacchierando piacevolmente con André. Ogni volta Girodelle aveva cercato di accompagnarla fino all'ingresso del palazzo, ma lei lo aveva sempre congedato prima di entrare nella tenuta. In qualche modo tuttavia la notizia che il conte di Girodelle la stava accompagnando a casa da Versailles ogni giorno era arrivata fino alla sua governante, che ora le dava il tormento affinché lei proponesse al conte di fermarsi per cena, insistendo riguardo al fatto che non averlo ancora invitato era una grave mancanza. Oscar non rispondeva e di solito si ritirava senza dare seguito alle insistenze della sua nutrice, finché una sera l'anziana non la raggiunse, rimproverandola per quello che considerava un atteggiamento privo di buona creanza, mentre lei era seduta a cena al tavolo della cucina deserta assieme ad André. Oscar abbassó gli occhi senza rispondere, sperando che la donna se ne andasse, ma poi, date le molte insistenze, liquidò la questione con poche parole: "Non ho intenzione di invitare il conte a cena." disse a bassa voce ma con fermezza, poi abbozzò l'ombra di un sorriso, alzando lo sguardo sulla governante indignata. Aggiunse: "Però puoi farlo tu se vuoi… e… tranquilla: non mi unirò a voi…". L'anziana fece un gesto spazientito e se ne andò, infilando la porta con passo spedito mentre mormorava qualcosa di incomprensibile in un tono contrariato. Oscar la guardò sparire nel buio. "Allora è vero…" disse André. Oscar trasalì, voltandosi verso di lui con gli occhi sgranati: André stava mangiando dell'uva, non erano rimasti che pochi acini chiari, che lui buttava in bocca con lentezza, tormentando distrattamente i raspi rimasti sul piatto. "Allora é vero che Girodelle ti accompagna a casa tutti i giorni…" un vago tono di scherno nella voce... Oscar lo osservò, guardinga, poi si accorse di un mezzo sorriso e di un lampo divertito negli occhi. "Sì," rispose con falsa indifferenza "credo gli suggerirò di scrivere una biografia di se stesso. Magnificamente io, potrebbe intitolarla…". André rise piano. "La sua compagnia deve essere molto interessante…". "Certo," rispose Oscar seria, a mezza voce "come stare a guardare la pittura mentre si asciuga…".

 

Nella notte si era alzata una leggera brezza e qualche nube era apparsa sull'orizzonte fin dall'alba. L'aria di fine estate prometteva di farsi presto più fresca. 

Oscar era arrivata molto presto a Versailles. Chiusa nel suo ufficio stava compilando verbali quando qualcuno bussó alla sua porta: un valletto le portava alcuni dispacci e qualche documento. La salutò ossequiosamente, lasciando un piccolo plico accanto a lei, sulla sua scrivania. Oscar aprì la severa cartella di cuoio; sopra gli incartamenti trovò una busta indirizzata al Colonnello Jarjayes, vergata con una grafia minuta e ordinata che riconobbe immediatamente: era la grafia di Madame Lorette. Prese la busta fra le mani, rigirandola un paio di volte, incuriosita: perché mai Madame Lorette le scriveva a corte? Aveva sempre inviato a palazzo Jarjayes i puntuali resoconti riguardo la Villa… Forse si trattava del dettaglio dei costi della riparazione del tetto e aveva pensato di inviare tutto alla sua attenzione anziché come di consueto a suo padre… Impaziente, afferrò l'elegante tagliacarte d'argento e aprì rapidamente la busta. All'interno, un foglio recante solo poche parole: "Concedetevi di essere felice, con rispetto e stima infiniti, Madame Lorette.". Oscar rilesse più e più volte. La data indicava il giorno stesso in cui era voluta partire di fretta e furia dalla Normandia. "Concedetevi di essere felice"... essere felice… prepotente si fece largo fra i suoi ricordi il respiro di André nel suo respiro. Strinse forte gli occhi. Aprì i primi alamari della giubba e nascose la missiva nella tasca interna.

 

La giornata trascorse lenta; Oscar impose un ritmo serrato alle esercitazioni e fu costretta a passare diverso tempo con un manipolo di guardie a cercare di sedare gli animi dei nobili delusi per essere  giunti a corte nella speranza disattesa  di un'udienza con Sua Maestà. Quando nel tardo pomeriggio  rientrò nel suo ufficio era stanca e di malumore. Nel silenzio, estrasse la busta che aveva nascosto nella tasca interna. La tenne fra le mani qualche istante senza aprirla. Quando sentì bussare alla porta si affrettò a riporla nuovamente, allacciando velocemente gli alamari e aggiustando il collo dell'uniforme. Girodelle entrò con passo baldanzoso e sorriso ammicante. "Buonasera Madamigella Oscar!" salutò cerimoniosamente, accomodandosi sulla poltroncina davanti alla scrivania. Oscar alzò gli occhi, ma non su di lui. Fissò per un attimo un punto della parete accanto alla porta, dove André si appoggiava sempre, le braccia conserte, aspettandola mentre terminava le incombenze di fine giornata, prima di uscire per rientrare assieme a palazzo Jarjayes. "Buonasera tenente." rispose solo allora con una certa freddezza. "Perdonatemi. Sono impegnata." aggiunse, iniziando a compilare un verbale. Passarono alcuni minuti di silenzio; Oscar continuò a scrivere, senza mai alzare la testa, volutamente concentrata sui documenti che stava redigendo, chiedendosi come le donne riuscissero ad allontanare un corteggiatore senza mortificarlo. Improvvisamente Girodelle intervenne: "È una buona cosa per voi che abbiate smesso di farvi vedere sempre ovunque col vostro servo.", il tono noncurante, lo sguardo concentrato su un punto della manica dell'uniforme da cui stava pulendo qualcosa di invisibile. Quando si volse trovò gli occhi di Oscar puntati su di lui: le sopracciglia corrugate, le labbra strette. "Non è il mio servo." ribatté lei con durezza. Girodelle si lasciò andare a una breve risata artefatta; "Adoro come riuscite ad essere sempre precisa e puntigliosa anche sulle piccole cose!" esclamò "È vero! Non è il vostro servo! È il vostro attendente!". Oscar non rispose. Solo una volta nella vita aveva detto che André era il suo attendente. Una volta sola. Non avevano nemmeno 18 anni e Sua Maestà Luigi XV aveva condannato André a morte. Girodelle continuò a parlare, ma Oscar non lo ascoltava più. I suoi occhi erano fissi sul volto del conte, ma in realtà non lo vedevano. Aveva impressa invece nella mente l'immagine di André inginocchiato dinnanzi al re che sentenziava contro di lui, in realtà incolpevole dell'accusa che gli veniva imputata, dopo l'incidente con il cavallo della principessa Maria Antonietta. Lei era corsa fino alla sala delle udienze col cuore in gola e aveva fatto irruzione contravvenendo a ogni regola. Non aveva esitato a offrire la propria vita in cambio di quella di André. Sarebbe morta per lui. Senza dubbi. Senza ripensamenti di alcun genere. Girodelle continuava a parlare; le sue parole riempivano la stanza come un ronzio indistinto a cui Oscar non prestava alcuna attenzione, mentre altre parole si facevano strada, fra i ricordi, nella sua mente: era il venerdì santo di tanto tempo prima e lei era bambina, aveva forse otto o nove anni. "Non c'è amore più grande di chi è disposto a dare la vita per te.". Aveva ancora nelle orecchie la voce strascicata dell'Abbé François e vedeva l'aria assorta di André mentre insieme, seduti composti nella cappella di famiglia, ascoltavano rispettosamente le storie della passione. "Non c'è amore più grande di chi è disposto a dare la vita per te.". E lei sarebbe morta per André. Lo amava. Improvvisamente potè vedere dentro se stessa con una chiarezza che non aveva mai conosciuto: amava André.

"Scusate." disse improvvisamente, interrompendo il monologo che continuava ormai da qualche minuto. Girodelle le rivolse un'espressione interrogativa. "Devo andare. Perdonatemi." ripeté Oscar alzandosi rapidamente e guadagnando l'uscita in poche falcate, mentre il tenente, che si era alzato immediatamente dopo di lei, cercava di seguirla:  "Aspettate!" diceva "Vi accompagno!". Oscar non rispose. Raggiunse César, montò in sella e lo spronò, partendo al galoppo. Il cuore in tumulto, la testa bassa, cavalcò veloce senza fermarsi, nella mente il pensiero di André e il bisogno di vederlo.

 

Quando arrivò a palazzo Jarjayes era  presto e il sole era ancora alto e caldo nel cielo; Oscar lasciò velocemente César a uno stalliere e si avviò verso l'atrio: voleva raggiungere immediatamente André. Non sapeva cosa avrebbe fatto o quali parole avrebbe potuto dirgli, ma voleva vederlo. Voleva vederlo subito. "Io ti amo Oscar. Credo di averti sempre amata.": le parole di André, sussurrate al suo orecchio, le tornavano ora prepotentemente alla memoria. Anche lei lo amava. Quel sentimento di benessere quando erano insieme, quel non sentirsi mai sola quando lui era al suo fianco, quella vaga sensazione come di ubriachezza dello spirito dopo il suo primo bacio sulla spiaggia e la paura che lui potesse aver mai desiderato una vita diversa da quella che avevano sempre condotto insieme, non erano più un turbinare di sensazioni indistinte. Ora avevano un nome. Erano amore. Era innamorata di André. L'aveva amato sempre. "Credo di averti sempre amata"... "Anche io…" mormorava ora a se stessa, camminando velocemente "... anche io credo di averti sempre amato…". Si sentì come in affanno. Stava ormai quasi correndo quando la governante le si fece incontro dicendole che il generale stava ricevendo degli alti ufficiali e dei suoi vecchi compagni d'arme e che desiderava che lei li raggiungesse. Oscar strinse le labbra: non voleva fare altro che andare da André… ma l'anziana la trascinò impaziente per un braccio camminando con lei verso il salottino azzurro.

Oscar non amava queste riunioni. Ogni volta suo padre la definiva "suo figlio", fra gli sguardi incuriositi di uomini che non conosceva, poi immancabilmente qualcuno la chiamava "Madamigella Oscar" e da semplicemente incuriositi, quegli sguardi si facevano irriverenti, talvolta addirittura morbosi quando non lascivi e a lei veniva in mente sempre la volta in cui qualcuno aveva condotto una coppia di zebre a Versailles per il divertimento dei Reali: una piccola folla di curiosi si era radunata intorno e tutti avevano fatto a gara per infastidire le povere bestie, che lei aveva guardato soffrendo, pensando alla tragedia di essere creature selvatiche ridotte a intrattenimento per nobili annoiati. Le osservazioni dei vecchi commilitoni del generale, che spesso parlavano come se lei nemmeno fosse presente, facevano nel suo animo lo stesso effetto degli sberleffi con cui durante l'esibizione le povere zebre erano state fatte oggetto di scherno. Lei rispondeva sempre con freddezza, limitandosi a far presente il proprio grado, mentre certi sorrisi falsamente compiacenti la urtavano come la lunga verga sottile con cui aveva visto il domatore sferzare le zebre per renderle più interessanti.

 

Quando Oscar entrò in silenzio nel salottino azzurro, il generale sedeva comodamente in poltrona, fra alcuni alti ufficiali, ascoltando i racconti di un vecchio compagno d'arme ora in marina. Oscar appoggiò le spalle alla parete e rimase in piedi accanto alla porta, con le braccia conserte. L'ufficiale di marina raccontava di un'isola caraibica piena di meraviglie e vegetazione rigogliosa, in cui non c'era tuttavia alcun corso d'acqua e perciò gli abitanti, per lo più pirati e contrabbandieri, erano costretti a bere solo rum e latte di cocco. Sorridendo appena, Oscar pensò ad André e alle sue letture di terre lontane… chissà se a lui sarebbe potuta interessare questa storia…

Una volta che l'ufficiale della marina di Sua Maestà ebbe finito il proprio racconto, il generale presentò la figlia a lui e agli altri convenuti. Oscar salutò con distaccata cortesia e approfittò dell'attenzione benevola del padre per accampare una scusa e sgattaiolare via immediatamente. Uscendo allungò una mano sul mobile intarsiato accanto alla porta, afferrando una bottiglia scura dalle forme tondeggianti che l'aveva incuriosita entrando: i compagni d'arme del generale in visita portavano spesso doni esotici, di cui a suo padre, che beveva pochissimo e conduceva comunque una vita piuttosto austera, non importava mai un granché. Non si sarebbe accorto della mancanza. Camminando veloce lungo il corridoio, Oscar guardò meglio la bottiglia che aveva sottratto: un'etichetta chiara a forma di piccolo scudo profilata di bordeaux  recava l'immagine di una lunga processione di figure femminili filiformi dalla pelle scura. Sopra le loro teste campeggiava una scritta dorata in caratteri allungati: "Rum di Haiti".

Oscar camminava veloce e leggera, cercando di non far rumore: non voleva più essere fermata da nessuno; i lunghi capelli ondeggiavano sulle sue spalle mentre i passi si facevano sempre più rapidi. Doveva vedere André e soprattutto voleva vederlo subito! Raggiunse la sua stanza ed aprì la porta senza bussare. André, seduto in poltrona con un libro in mano, levò gli occhi su di lei, sorpreso. Con la mano destra sulla maniglia e la bottiglia ben stretta nella sinistra, Oscar rimase immobile sulla soglia senza saper che dire né che fare. Restarono a guardarsi per un lungo istante; "Ho portato… il rum…" disse infine Oscar, con la voce che andava smorzandosi assieme al suo coraggio.

 

L'aria di fine estate si era fatta finalmente meno calda e opprimente; dalla finestra aperta della sua stanza André poteva sentire i rumori del parco di palazzo Jarjayes: le cicale cantavano rumorosamente e gli uccelli andavano  e venivano con leggeri frullare d'ali, cinguettii e trilli. Il pomeriggio era ormai inoltrato. Ancora un paio d'ore e si sarebbe avviato verso le scuderie per aspettare Oscar di rientro da Versailles. Avrebbero cenato nuovamente insieme e questa volta le avrebbe annunciato di voler tornare ad accompagnarla in servizio. Non glielo avrebbe chiesto; glielo avrebbe detto e basta. Trasse un respiro profondo; non avrebbe lasciato che lei lo allontanasse. Non voleva perdere quello che era riuscito a toccare, lo spazio che aveva potuto conquistare fra loro. La amava. La amava con un'intensità tale che poteva sentire il cuore far male in fondo al petto. Cercò di concentrarsi su altro e tornò alle letture cui si era dedicato in mattinata, dopo aver seguito Rosalie in storia e letteratura. Tracciò su una delle molte mappe e carte del generale aperta sul suo scrittoio le rotte seguite da Marco e Niccolò Polo. "Il Milione", in una preziosa edizione riccamente illustrata e decorata, era aperto sul tavolino accanto alla poltroncina della sua stanza. Tornò a sedersi e cercò di immergersi nella lettura: "In Persia è la città ch'è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch'andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co' capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe…". Un rumore improvviso gli fece levare immediatamente il capo: Oscar aveva aperto bruscamente la porta e ora se ne stava in piedi sulla soglia, una mano ancora appoggiata alla maniglia e una bottiglia scura e panciuta stretta nell'altra. La fissò sorpreso e gli occhi di entrambi rimasero impigliati per un lungo istante, prima che lei dicesse a mezza voce, con un tono che andava affievolendosi a ogni parola, che aveva portato il rum.

"Vieni," le disse "entra!". André non ricordava l'ultima volta in cui Oscar era stata nella sua stanza, a palazzo Jarjayes. Ricordava invece benissimo quando vi era entrata nella Villa in Normandia: una prima volta sola, per lasciargli il fazzoletto che gli aveva regalato e un'altra per riportargli la giacca… e si era fermata come ora, sulla soglia. La guardò: gli occhi sgranati, la bocca appena dischiusa… Oscar sembrava sul punto di dire qualcosa, ma tacque, rimanendo ancora immobile. "Vieni," disse ancora lui "vado a cercare dei bicchieri.". Oscar avanzò di qualche passo, richiudendo la porta dietro di lei; non voleva che lui se ne andasse. La bocca le si fece arida. "Non occorre che tu vada a cercare dei bicchieri…" mormorò. André si alzò, andandole incontro e prendendole la bottiglia dalle mani. "Sembra interessante!" esclamò, con  entusiasmo studiato, mentre un'emozione profonda lo stava in realtà cogliendo. "Dono dei vecchi commilitoni di tuo padre?" chiese in tono volutamente allegro osservando l'etichetta, ma Oscar non rispose; si era inoltrata nella sua stanza e si guardava intorno come la vedesse per la prima volta… o almeno la prima volta dopo tanto tempo… 

ora stava seguendo con la punta delle dita il profilo del libro che lui stava leggendo, un'espressione seria sul bel viso e un'ombra negli occhi chiari: aveva richiuso il pesante volume e ora seguiva con l'indice le lettere elaborate incise sul cuoio decorato della copertina: "Il Milione". Di nuovo letture sul mondo… sul resto del mondo… sul mondo che esisteva al di fuori della vita che avevano sempre condotto insieme… "Vorresti andartene André?" chiese piano. André la fissò per un attimo, stupito. Oscar pensava che lui se ne volesse andare? Guardò i suoi occhi chiari: era preoccupata. Gli tornarono alla mente i lunghi silenzi e i malumori degli ultimi mesi, durante i quali lei si era interessata alle sue letture con malcelata insofferenza mascherata da curiosità. Pensava che se ne volesse andare… Improvvisamente se ne rese conto: aveva paura che lui se ne andasse! Una tenerezza che non potè arginare gli riempì il cuore. Avrebbe voluto stringerla fra le braccia, dirle che non avrebbe potuto vivere lontano da lei, che lei era il suo mondo… ma scelse di ostentare  distacco. "No Oscar." rispose con pacatezza "Non me ne voglio andare. Solo… forse mi piacerebbe vedere il mondo.". Oscar lo guardò. "È ancora vero André?" chiese. Lui sostenne il suo sguardo, un'espressione indecifrabile sul volto. Lei continuò: "Quello che mi dicesti la notte in cui decisi di rientrare dalla Normandia… è ancora vero André?". Lui serrò la mascella e appoggiò la bottiglia di rum che ancora teneva fra le mani. Trascorse un lungo istante di silenzio. "Io non ti allontanerò André," disse Oscar "né me ne andrò.". Ancora silenzio. Oscar si avvicinò; non più di un passo fra loro. "È ancora vero André?" solo un sussurro.

André la guardó; non avrebbe mentito. Non avrebbe mentito mai. Non poi dopo averla baciata, non dopo averla tenuta fra le braccia. "È sempre stato vero Oscar. Lo sarà sempre.". Oscar si avvicinò di più, annullando lo spazio fra loro; André restò immobile davanti a lei. Oscar poté sentire il suo respiro sul viso e alzò una mano per porla fra il petto e la spalla di André; lo sguardo basso, gli appoggiò la fronte al petto; inalò il sentore della sua pelle dallo scollo della camicia, quello stesso sentore che le era caro e famigliare da sempre… André prese la mano di Oscar, ormai aggrappata alla sua spalla e la strinse nella propria, appoggiandole le labbra fra i capelli.

"Sai André," mormorò Oscar "se tu volessi partire,  io verrei con te…". André la strinse a sè e la sentì rispondere al suo abbraccio. Le depose un bacio lieve su una tempia. Oscar respirava piano; pensava a quanto aveva cercato di allontanarlo, alla freddezza che aveva mantenuto nei suoi confronti dopo che lui semplicemente aveva risposto con franchezza alla domanda che pure lei stessa gli aveva fatto, a come aveva cercato di rifiutarsi di accettare l'amore che lui le offriva, insieme a tutto se stesso. "È mai possibile che adesso tu mi voglia ancora bene, Andrè?” chiese in un sussurro. "Oscar… Io ti voglio bene da sempre”. Oscar alzò il viso in cerca del suo sguardo; gli accarezzò le labbra con la punta delle dita, seguendone il profilo finché lui non le prese il viso fra le mani e la baciò. La sentì aprire la bocca per accogliere il suo bacio e, mentre la stringeva a sè, una mano sulla nuca persa fra i lunghi capelli e l'altra sul fondo della schiena esile, la sentì abbandonarsi al suo abbraccio e ricambiarlo, gettandogli le braccia al collo. La consapevolezza di essere amato lo fece sentire completo. La baciò a lungo, facendo proprio il suo sapore, imparando la morbida sinuosità del suo corpo contro il proprio. Quando infine la trattenne nel suo abbraccio, lei appoggiò l'orecchio al suo cuore, restando in silenzio per un istante infinito. “Andrè…" mormoró poi "oh, Andrè. Anch’io! Anch’io ti voglio bene, Andrè. Ti voglio bene.”

 

L'autunno arrivò portando con sè giornate più corte ma ancora miti, colorate dalle mille tonalità della terra che iniziava a cambiare per prepararsi all'inverno. Come nei lussuosi giardini di Versailles, anche nel parco della tenuta di palazzo Jarjayes gli alberi si erano tinti di giallo, ocra, rosso e marrone, rendendo il paesaggio accogliente nella sua struggente bellezza. Sdraiato sotto la grande quercia in riva al lago, André stringeva fra le braccia Oscar, raggomitolata contro il suo petto. Avvolti in una morbida coperta rosso scuro ascoltavano le oche chiamarsi levandosi in volo. André lasciò vagare lo sguardo: il cielo iniziava a tingersi di arancio e l'aria a farsi più frizzante, ma il tepore della pelle di Oscar contro la sua, attraverso la camiciola sottile, lo confortava e lo faceva sentire bene. La strinse più forte, abbassando il capo per lasciarle un bacio  fra i capelli. Attorno a loro la giacca rossa dell'uniforme da colonnello, la marsina di fustagno, gli stivali e altri indumenti erano sparpagliati sull'erba. 

Erano tornati al galoppo da Versailles, lanciando i cavalli per sfidarsi a tutta velocità sulla via di casa; avevano riso col vento nei capelli, richiamandosi a vicenda ogni volta che l'uno superava l'altra, e una volta arrivati a palazzo Jarjayes si erano fermati rapidamente perché André potesse recuperare un paio di coperte dal guardaroba e una delle bottiglie di vino dimenticata in cucina; avevano poi cavalcato tranquillamente, ripercorrendo i luoghi che li avevano visti crescere assieme  e si erano infine fermati davanti al lago, lasciando che i cavalli si allontanassero brucando qua e là e abbeverandosi sulla riva. Avevano passeggiato brevemente scambiandosi in silenzio fugaci sguardi di desiderio, per poi cercarsi con urgenza, amandosi con lentezza sulle coperte stese sotto la quercia, sfinendosi di baci e sospiri mentre i raggi del sole del tardo pomeriggio filtravano languidi fra le foglie. Ora, le gambe intrecciate, indugiavano appagati per rubare ancora qualche istante segreto di serena felicità. 

Gli occhi chiusi, la testa adagiata nell'incavo del collo di André, i lunghi capelli biondi sparpagliati tutto intorno, Oscar tratteneva fra le dita il nastro di seta blu con cui André era solito raccogliere i capelli e ripensava a una breve lettera ricevuta settimane prima dalla Normandia: "Concedetevi di essere felice.". Forse non aveva mai pensato di averne diritto. Forse aveva creduto che a lei non fossero dovuti amore, né felicità. Ora che li aveva assaporati… ora invece che aveva deciso di accettarli, viveva ogni giorno con gratitudine, serbando gelosamente  ogni emozione. André tolse un braccio dall'avvolgente tepore della coperta per indicarle un punto lontano, distogliendola dai suoi pensieri. Oscar aprì gli occhi per guardare: uno stormo si levava alto nel cielo. "Guarda Oscar!" le disse André "Gli uccelli migratori stanno volando verso sud. Volano liberi e felici nel cielo, ma poi in primavera torneranno nei luoghi da cui sono partiti. Nessuno può impedire questo.". Oscar sorrise. Anche loro in qualche modo stavano volando: liberi e felici di amarsi. Si strinse più forte a lui. “Andrè," sussurrò "quando siamo insieme sento di vivere…", avvicinò le labbra al suo orecchio, "sento di vivere.".

Fine

 

Note al capitolo 8
Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

Per l'ottavo capitolo:
Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto
Lucio Battisti, 1969

 

La battuta di spirito di Oscar a cena con André, ispiratami dal delizioso libro di Silvia Stucchi "Lady dal fiocco blu?" (2022), che propone un capitolo intitolato "Le risate di Oscar, ovvero: anche i Comandanti nel loro piccolo ridono… ogni tanto", è un omaggio a J.K. Rowling: "Magnificamente io", la biografia che Oscar suggerisce per il tenente Girodelle, è un chiaro riferimento a "Magicamente io" di Gilderoy Allock, da "Harry Potter e la Camera dei Segreti" (1998).

La battuta "come stare a guardare la pittura mentre si asciuga" (detto popolare) è invece un omaggio alla cultura dialettale della mia amata terra di Romagna.

L'accenno all'isola caraibica priva di corsi d'acqua dove si beveva esclusivamente rum è un riferimento alla leggendaria Tortuga, in omaggio a "Pirati dei Caraibi, la maledizione della prima luna" (Disney, 2003).

 

Per quanto riguarda le letture di André, la citazione da "Il Milione" di Marco Polo e Rustichello da Pisa (1298) è tratta dal capitolo 30: "De la grande provincia di Persia: de' 3 Magi".

 

Infine molte battute dei dialoghi della parte finale del racconto sono riprese dalla traduzione italiana originale degli episodi 37 ("La voce della libertà") e 25 ("Cuore di donna") dell'anime Lady Oscar.

 
   
 
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