Cap. 10: Trustfall
Are we runnin' out of time?
Are we hidin' from the light?
Are we just too scared to fight
For what we want tonight?
Close your eyes and leave it all behind
Go where love is on our side
You and I and everyone, alive
We can run into the fire
It's a trust fall, baby
Yeah, it's a trust fall, baby!
What if we just fall?
I'm not goin' without you (And you're not goin'
alone)
I fell so far 'til I found you (But you know
what you know, when you know)
So I'm not goin' without you (And you're not
goin' alone)…
(“Trustfall” – Pink)
Si era ormai ad oltre
metà ottobre di quel 1944 e niente era cambiato. Gli eserciti Alleati nelle
Ardenne non facevano progressi, anzi sembravano decisamente in difficoltà,
mentre sulla Linea Sigfrido c’erano state importanti vittorie e le forze armate
americane avevano occupato Aquisgrana, la prima grande città in suolo tedesco
ad essere conquistata dagli Alleati. *
Tuttavia la battaglia era stata molto dura, c’erano state ingenti perdite e ciò
aveva compromesso la possibilità per i contingenti statunitensi e britannici di
continuare ad avanzare verso Est, come avevano pianificato. Insomma, sembrava
che la guerra non sarebbe finita tanto in fretta e, di conseguenza, era ancora
pericoloso permettere a Ryan e agli altri della Compagnia Charlie di imbarcarsi
per l’Inghilterra e poi attraversare l’Atlantico per tornare a casa. La
possibilità che sottomarini o aerei tedeschi bombardassero quelle navi era
ancora alta e i Generali non volevano rischiare la vita di quei soldati che
ormai erano obbligati a rimpatriare. Sì, beh, sempre questione di propaganda e
pubblicità, le cose non erano diverse allora da adesso!
Nel frattempo Mellish e i suoi compagni
continuavano a prendersi cura dei giardini dell’hotel e, dopo aver sistemato le
piante in modo da proteggerle dall’inverno ormai vicino, si erano occupati di
aiutare nella ricostruzione delle case di Versailles che avevano subito danni e
bombardamenti come la maggior parte delle abitazioni francesi.
Quel pomeriggio, mentre tornavano verso
l’hotel dopo una produttiva giornata di lavoro, Reiben se ne uscì con una
notizia inaspettata.
“Sapete, ragazzi? Penso proprio che torneremo
alle nostre case prima del previsto” disse.
Gli altri soldati rimasero sorpresi.
“Cosa te lo fa pensare?” gli domandò Jackson.
“Hai sentito qualcuno parlarne, o magari te lo ha detto il capitano?”
“No, il capitano non ha detto niente, ma ho
sentito i soldati feriti che parlavano tra loro e dicevano che uno dei Generali
aveva fatto loro visita e aveva promesso che ci avrebbero rimandati a casa
molto presto, sicuramente verso novembre, per farci trascorrere il Ringraziamento
e il Natale in famiglia” spiegò Reiben.
“Non so quanto possiamo credere alle promesse
dei Generali” obiettò Ryan.
“In genere no, anch’io la penso così, ma in
questo caso dicevano che la conquista di Aquisgrana è stata un grande passo
verso la vittoria, le forze armate Alleate sono entrate in Germania e,
dall’altra parte, l’esercito Russo ha sbaragliato i crucchi da Romania e
Bulgaria e presto libererà anche la Polonia” replicò Reiben. “Sembra che i
bastardi nazisti stiano perdendo pezzi da tutte le parti e quindi è probabile
che entro un mese la guerra sia finita!”
“Beh, speriamo sia davvero così” commentò
Mellish. “Ci siamo illusi tante di quelle volte… ma forse questa sarà quella
buona.”
Le reazioni dei giovani soldati potevano
apparire ciniche e disincantate, ma era vero che ne avevano abbastanza della
guerra, delle vane promesse dei piani
alti e di tutto il resto e non sapevano più a chi o a che cosa credere.
Tuttavia l’idea di poter arrivare a casa in tempo per festeggiare il Giorno del
Ringraziamento e il Natale (Hanukkah ** per Mellish…) con le proprie
famiglie risvegliava i cuori e le aspettative di quei ragazzi. Quella sera, a
cena, i soldati non parlavano d’altro e il sergente Horvath e il capitano
Miller dovettero ammettere di aver udito anche loro quelle voci e di avere buone
speranze di essere rimpatriati a breve.
Quando fu il momento di salire in camera per
la notte, Mellish si rivolse a Upham.
“Senti, caporale, non c’è bisogno che tu
debba fare le notti in infermeria” gli disse. “Questa è anche la tua camera e
non mi sembra giusto che non ci possa dormire.”
“Non preoccuparti, Mellish, a me va bene
così” si schermì il giovane, “non sto tutte le notti in infermeria, a volte
sono andato nello studio dove lavoriamo noi interpreti e cartografi e là c’è un
grande divano molto comodo e io…”
“No, no, è assurdo! Tu hai un letto tutto tuo
e te lo sei guadagnato, hai il diritto di dormirci, basta con questa storia”
insisté Mellish.
“Lo so, ma… io volevo che tu e Saltzmann vi
riconciliaste” obiettò Upham.
“Abbiamo già fatto pace, non preoccuparti”
replicò il ragazzo, “ora puoi tornare a dormire nel tuo letto.”
“Sì, ma…” il caporale era diventato rosso
come un pomodoro… “ho pensato che preferiste… beh… restare da soli, ecco!”
“Upham gentile, a me piace stare solo con
Stan…” si intromise il tedesco proprio nel momento meno opportuno.
“Non ci interessa la tua opinione” tagliò
corto Mellish. “Ma no, in realtà ci siamo già chiariti e ora va tutto bene, non
c’è bisogno che restiamo da soli.”
“Ma restare da solo con mio Stan vuol dire…”
ritentò Saltzmann.
“Non vuol dire niente” fece lapidario il giovane americano. “Upham è stato molto
generoso e adesso è giusto che possa tornare a dormire nel suo letto, perciò
finiamola qui. Vieni, caporale, puoi salire con noi.”
Saltzmann sembrava piuttosto deluso, così
Upham si avvicinò a lui e i due parlottarono per un po’ a bassa voce e in
tedesco, con grande irritazione di Mellish.
“Va bene, hai ragione tu” disse infine il
giovane caporale al compagno. “Da stanotte tornerò a dormire nella nostra
camera e nel mio letto. Però, ecco… beh, stasera devo finire di tradurre un
documento che il Generale Montgomery mi ha richiesto per domattina, perciò farò
un po’ tardi. Voi, intanto, potete salire in camera e andare a dormire, non è
necessario che mi aspettiate. Grazie per esserti preoccupato per me, Mellish,
sei stato molto gentile. Buonanotte, ci vediamo domattina, allora.”
E, sotto gli occhioni neri e sgranati di
Mellish e il sorrisetto soddisfatto di Saltzmann, Upham prese le scale e si
eclissò.
Chiaramente lui e il tedesco avevano trovato
un compromesso!
“Noi andare in camera allora, Stan?” domandò
Saltzmann.
Il giovane americano sbuffò e alzò gli occhi
al cielo.
“E dove, sennò? Tanto vi ho capiti, voi due,
anche se parlate in tedesco perché io non conosco la lingua, pensate di essere
parecchio furbi, vero?” e continuò a borbottare tra sé per tutto il tragitto
fino in camera.
Arrivati nella loro stanza, tuttavia, non
sembrava che il tedesco volesse subito fare
cose con Mellish, perché si sedette sul letto e guardò il ragazzo con aria
malinconica.
“Ora cosa c’è? Ti sei rattristato perché
pareva che non volessi salire in camera con te? Dai, non è questo, lo sai, è
solo che mi scoccia che tutti, qua, sembrano sapere quanto siamo legati e che
facciano il tifo per noi, è imbarazzante, ecco” esclamò il giovane, che
comunque non voleva che Saltzmann fosse triste. Si sedette accanto a lui sul
letto e cercò di cambiare argomento. “Hai sentito quello che si dice in giro,
piuttosto? Sembra che nei prossimi giorni ci faranno davvero tornare in
America, i Generali vorrebbero che passassimo il Ringraziamento e il Natale con
le nostre famiglie. Cioè, in casa mia il Natale non è che si festeggi proprio,
però qualcosa ci inventeremo, magari con gli altri ragazzi, che te ne pare?”
“Stan, noi parlare, adesso” disse Saltzmann,
nel vano tentativo di arginare il fiume in piena che era Mellish. Il ragazzo
sembrava aver intuito che ciò di cui Josef voleva parlare non era di suo
gradimento e quindi continuò dritto per la sua strada.
“Fare la traversata atlantica proprio nel
periodo invernale non sarà il massimo, temo, però forse il maltempo impedirà ai
sottomarini e agli aerei tedeschi di provare a bombardarci, se proprio
volessero farlo. Ad ogni modo…”
“Stan, io oggi parlato con tuo amico dottore,
Wade” lo interruppe Saltzmann.
Il giovane americano alzò gli occhi al cielo.
“Cos’è, ancora quella storia dei sonniferi?
Senti, te l’ho già detto, adesso ne ho bisogno, ma appena saremo in America
cercherò qualcuno che mi aiuti, uno psichiatra o che so io e smetterò con i
sedativi” replicò. “L’ho promesso a Wade e ora lo prometto anche a te. Del
resto, Wade ti avrà anche detto che mi crede, altrimenti non me li
prescriverebbe più.”
“Non è per sonniferi, Stan, io parlato di
altra cosa con Wade” disse il tedesco, pacato, fissando il ragazzo negli occhi.
“Io chiesto a lui di tua ferita. So che lui medicato te dopo che io salvato,
così io chiesto a lui quanto era grave, profonda, e lui…”
“Ma insomma, hai proprio l’ossessione per
questa cosa? Quella ferita non era niente, tu mi hai salvato in tempo, era poco
più che un graffio e non voglio più parlarne! La vuoi smettere, vuoi lasciarmi
in pace?” reagì il giovane con rabbia disperata. Fece per alzarsi dal letto, ma
Saltzmann lo prese per i polsi e lo obbligò a tornare accanto a lui, a
guardarlo in volto.
“Non era graffio” dichiarò lapidario l’uomo.
“Tuo dottore molto chiaro, ha detto a me che ferita profonda. Tu fortunato che
io arrivato in tempo, ha detto che per pochi mill… millimetri non ha bucato tuo
cuore…”
Mellish si sentì agghiacciare il sangue
mentre, assurdamente, provava la stessa sensazione terribile e dolorosa della
lama della baionetta che penetrava lentamente nella sua carne, evitava le
costole, si spingeva dentro di lui per arrivare a trafiggergli il cuore…
“Non è vero, non è vero, non è stato così, tu
hai sparato al soldato delle SS e lui non ha avuto il tempo…” iniziò a gridare
il ragazzo. Saltzmann lo strinse a sé, lo abbracciò e lo sentì tremare e
ansimare e aggrapparsi alla sua schiena proprio come quel giorno lontano.
“Io sparato a soldato dopo” continuò in tono pacato, quasi sussurrando. “Io temevo che se
sparavo lui moriva con baionetta in tuo cuore, io chiamato lui per distrarlo e
solo dopo ho sparato. Ma dottore Wade sorpreso che tu non abbia detto, che tu
non ricordare, lui ha medicato tua ferita e ricucito, ferita profonda, non
graffio. Anche Wade pensa che tu stai tanto male perché non vuoi ricordare. Se
tu non vuoi credere a me noi poter parlare con lui domattina, noi andare da
Wade e lui dire che…”
“NO!” urlò Mellish. “Non voglio più parlare
di quello, voglio dimenticare tutto, è il passato, voglio solo andare avanti,
andremo in America, passerà tutto, smettila con questa storia, smettila,
smettila!”
L’uomo era straziato e si sentiva lacerare
dentro vedendo il ragazzo che amava così stravolto, ma non poteva lasciar
perdere, non lo avrebbe aiutato se si fosse arreso.
“Stan, non passa questa cosa. Non passa se tu
cercare di dimenticare, passa se tu affronti e combatti, solo così mandi via tutto
male che fa a te. Io aiuto te, io ti amo, Stan, voglio che stai bene” mormorò
stringendolo tra le braccia come in un rifugio protetto, caldo e sicuro.
“No, no, no, non voglio, smettila, basta,
basta…” singhiozzò Mellish, ancora una volta quasi ripetendo le parole che
aveva detto al soldato delle SS e odiandosi per questo, faceva male, faceva
paura, era il gelo, il ghiaccio, il dolore che spezzava il cuore.
Saltzmann si distese sul letto portando
Mellish con sé, iniziando a togliergli i vestiti mentre lo accarezzava e
cercava di calmarlo.
“Va bene, va bene, basta così se tu vuoi” gli
sussurrò con dolcezza. “Io ora non insisto più, tu non pronto adesso, ma un
giorno dover parlare di tutta questa cosa e combatterla, perché quella
distrugge te, fa tanto male a te e io non volere. Io ti amo, ti amo, Stan…”
Furono insieme sotto le lenzuola e le
coperte, l’uomo iniziò a baciare con trasporto Mellish, accarezzandolo,
coccolandolo, stringendolo a sé, un bacio più intimo e profondo del solito, come
se Saltzmann volesse allo stesso tempo proteggere e tranquillizzare il giovane
e sentirlo totalmente suo, perdendosi nel suo sapore e tepore. Il ragazzo restò
del tutto travolto dall’impeto e dall’urgenza che avvertiva nel desiderio di
Josef, ma anche lui aveva bisogno di staccarsi dalla realtà e da ciò che lo
circondava e fu ben felice di smarrirsi in lui. Lo accolse docilmente dentro il
suo corpo, nascose il viso contro il petto di lui per soffocare i gemiti e gli
ansiti di piacere, ancora vergognoso di mostrarsi troppo coinvolto ma incapace
di trattenersi. Si lasciò trasportare da Saltzmann fino all’estasi più totale,
sentendo tutto il suo essere dissolversi e fondersi con lui, finché l’Universo
intero e ogni ricordo e dolore scomparvero e ci furono solo l’uno per l’altro. A
Mellish parve di riprendere coscienza di sé, dello spazio e del tempo soltanto
dopo secoli, stretto nell’abbraccio confortevole e avvolgente del tedesco,
incollato al suo respiro e al suo corpo solido e forte ma anche capace di tanta
dolcezza. E in quel momento, per la prima volta, cominciò a chiedersi se non
stesse cominciando a innamorarsi davvero di lui, non solo per bisogno, non solo
per sconfiggere paure e solitudine e guarire le ferite, ma proprio perché era
lui, Josef Saltzmann, con il suo carattere calmo, paziente, pacato ma anche
ostinato nel volerlo aiutare a tutti i costi. Poteva essere veramente così? Era
quello l’amore? Il sentirsi al sicuro, il sentirsi a casa e in pace anche se
era invece lontanissimo dal suo Paese e i loro popoli erano in guerra?
Il giovane americano si stava chiedendo
ancora se ciò fosse possibile quando finì per scivolare in un sonno tranquillo
e profondo nel caldo rifugio dell’abbraccio protettivo di Saltzmann.
Fine capitolo decimo
* La battaglia di Aquisgrana venne combattuta tra il 2 e
il 21 ottobre 1944 e terminò con la presa della città da parte degli Alleati,
ma comportò gravi perdite soprattutto tra i soldati americani.
** Festività ebraica che si svolge a dicembre, proprio
nel nostro periodo natalizio. È chiamata anche Festa delle luci in quanto
vengono accese candele rituali per celebrare il trionfo della luce
sull’oscurità.