Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    08/06/2023    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 36 – Giocare a carte scoperte

 
Per Siri, Kenny era la personificazione della sua paura peggiore. Kenny era la morte.
Non lo divenne quando venne a conoscenza che era stato lui ad uccidere cento gendarmi, nemmeno quando la minacciò con un coltello alla gola il giorno in cui si unì alla sua gang. Anzi, aveva sempre stretto i denti e fatto buon viso e cattivo gioco, il fedelissimo geco di Kenny che cercava segretamente, in tutti i modi, di fregarlo. No, lui non era diventato la sua morte il giorno che lui aveva scelto di farle paura, perché non riusciva proprio a sopportare che Siri potesse essergli così fedele, che fosse così attenta alla vita degli altri. Lo nauseava il fatto che non fosse come lui. Un uomo che aveva perso tutto e che per questo si comportava al peggio che potesse. Come poteva una persona come Siri non essere un mostro? La riteneva un’ipocrita, soprattutto quando cercava di non sporcarsi le mani direttamente e si serviva di qualche trucchetto per far fuori i loro nemici, piuttosto che usare il coltello.
Il giorno in cui lei rientrò nel covo dopo aver raccolto le informazioni dalla concorrenza, Kenny elaborò il modo in cui gliel’avrebbe dimostrato.
Non appena Siri aprì la porta del loro ritrovo, lui le lanciò contro un pugnale che andò a conficcarsi nel coprifilo della porta, a una decina scarsa di centimetri dal volto di Siri.
Kenny scoppiò a ridere: - Mancata!
La ragazza estrasse il coltello, totalmente impassibile: scene del genere le viveva ormai da mesi, all’inizio l’avevano turbata, ma poi si era abituata, tranquillizzata anche dal fatto che lui era restio a superare certi limiti.
Si avvicinò alla scrivania a cui era seduto: - Mi chiedo chi poi ti reperirà le informazioni.
- Smettila di darti tante arie, potrei fare tutto quello che fai da solo e col minimo sforzo.
- Solo che non ti va. E io sono più piccola e discreta, faccio tutto il lavoro senza farti domande e, infondo, ti piace delegare. – gli porse l’arma dalla parte del manico.
- Ah, tienitelo, un regalino ogni tanto te lo meriti.
Siri temporeggiò con ancora la lama tra le dita, poi la fece roteare tra le mani, l’afferrò dal manico e infilò il pugnale nella sacca. A differenza dei suoi, quelli di Kenny erano decisamente più grossi e ricurvi, per cui le sarebbe servita una fondina specifica.
- Allora, – Siri si sedette di fronte a lui, accavallando le gambe – che hai in serbo per me adesso?
- Niente di che mia cara, oggi abbiamo un po’ di chiacchierate da fare, domani sera mi servirai per un lavoretto, anzi, meglio tra qualche giorno.
Siri alzò le sopracciglia: - Se devo tagliare qualche gola tanto vale che me lo dici adesso, così trovo un modo migliore per risolverti i problemi.
Kenny si lasciò andare in una fragorosa risata: - Ed eccola lì! Sempre a darti tanto da fare per sporcarti le mani il meno possibile. – si alzò e si portò alle sue spalle, si piegò quindi al suo orecchio – Mi chiedo quando capirai che noi due siamo più simili di quanto pensi.
Lei gli rispose col silenzio, non riusciva bene a capire perché lui, da quando l’aveva conosciuta un po’ meglio, si fosse accanito su quell’aspetto del suo carattere. 
Nei giorni seguenti Kenny le diede parecchi lavoretti da fare che sembravano quasi un insulto alle sue capacità: aveva aiutato un delinquente a nascondersi da un clan, aveva poi intercettato un carico per loro che aveva fatto sistemare in un magazzino diverso dal solito. Svolgeva tutto senza fare domande, ma dopo l’ennesimo incarico quasi da portantino che le affidava, si lasciò sfuggire un commento di disapprovazione a cui Kenny le rispose caustico e criptico allo stesso tempo.
- Ah, sentiamo, le fai tu le regole? Aspettate ragazzi, il geco ha qualcosa da dire, avvicinatevi a sentirla attentamente! – le rispose sprezzante alzando la voce per farsi sentire da tutti quelli dellla loro organizzazione che erano nel locale, scatenando delle risate diffuse. Quindi, si sporse verso di lei abbassando la voce: - Io so quello che devo fare, tu obbedisci e basta, siamo intesi?! Prova a ridire un’altra volta sui miei ordini e finisci a pulire il mio vaso da notte.
Seduto sullo sgabello, Kenny si era rigirato sul bancone e aveva ordinato da bere, chiudendo definitivamente la conversazione. Siri sospirò sonoramente, guadagnandosi un’occhiataccia di sbieco dall’altro che, nonostante ciò, si limitò ad ignorarla mentre si allontanava da lui, zigzagando tra i tavoli della locanda per tornare a sedersi al suo. L’ambiente, per essere un locale di ritrovo di una gang importante come quella di Kenny, era comunque sudicio e scuro, il legno del pavimento era consumato e appiccicoso, quasi quanto i tavoli a cui i proprietari avevano cercato di dare un aspetto meno usurato spalmandovi sopra della cera. Le luci fioche delle lanterne sui tavoli coi piccoli camini in vetro incrostati contribuivano all’immagine poco lusinghiera, l’idea generale che dava il mobilio era di non essere mai stato cambiato o perlomeno pulito dal giorno di apertura.
- Non so proprio se il tuo sia coraggio o faccia tosta! – le disse Arnold quando lei raggiunse il tavolo coi suoi compagni – In ogni caso, dovresti smetterla. Potresti prendere Kenny per il verso sbagliato un giorno o l’altro.
- Ma anche se fosse, Kenny non le farebbe nulla! Ha un vero e proprio debole per lei! – commentò Noah, già abbastanza alticcio.
- Un debole un corno. Non mi sopporta. – commentò cupa Siri, mentre si sedeva tra i due. Ed effettivamente era così, non si poteva dire il loro capo la odiasse ma nemmeno che le andasse a genio. Il rapporto che avevano era di mera utilità: a Kenny lei serviva per i suoi interessi commerciali, a Siri lui perché non aveva altra scelta. O, almeno, questa era la facciata con cui si era presentata e la storiella che aveva raccontato a tutti.
- Avanti. – Arnold le mise davanti un boccale di birra, il liquido già ambrato di suo sembrava nero – Sfogati.
Lei prese il boccale tra le mani e dopo qualche ripensamento, si lasciò andare: - Non capisco perché stia facendo queste stupide commissioni, ci sono altre cose a cui pensare. La gang di Dominik ci sta col fiato sul collo, per non parlare di quella Sven e Lucas che ci stanno bloccando buona parte del commercio. – vedendo Noah fare un gesto con la mano per sminuire la faccenda, indurì il tono – Io faccio solo il mio lavoro, può farsi infinocchiare per quanto mi riguarda, se è questo quello che vuole.
In effetti Kenny non se la passava molto bene in quello specifico periodo: le gang della città sotterranea si potevano contare sulle dita e Dominik era sicuramente quello con più potere in assoluto. Era lui quello che, assieme a pochi boss di altri distretti della città sotterranea, aveva il monopolio della merce che arrivava dalla superficie, decideva le quantità da destinare alle varie altre organizzazioni criminali e, soprattutto, i territori in cui erano autorizzati ad agire. Regole non scritte che tutti dovevano rispettare e che, adesso, iniziavano a stare strette a Kenny: notoriamente conosciuto per renderle “più flessibili”, aveva iniziato, per qualche oscuro motivo, ad essere preso di mira da Dominik, che aveva ridotto non solo il suo territorio ma anche i suoi rifornimenti. Siri aveva letto tra le righe che il grande capo aveva deciso di fare fuori Kenny, il che non si confaceva affatto con gli obiettivi della sua missione segreta, per cui, suo malgrado, stava facendo di tutto per aiutarlo.
Eppure, continuava a non capire perché lo squartatore più feroce della capitale continuasse a chinare il capo e obbedire senza cercare di contrattaccare. Anzi, chiedeva alla sua spia e assassina più in gamba di svolgere compiti al limite del ridicolo per le sue capacità.
- Ma no! – Noah le diede una pacca sulla spalla – Kenny sa quel che fa, fidati. Dovresti rilassarti, come faccio io. Non ci penso, e nemmeno tu dovresti pensarci.
- Beh, è facile per uno che ha la zucca vuota come te. – disse Siri, gli altri due risero.
Arnold scosse la testa con ancora un sorriso sulle labbra: - Noah non ha tutti i torti sai… pestare i piedi a Dominik poi sarebbe davvero poco saggio in questo momento. Vedrai che tutto si sistemerà, non finiremo in mezzo alla strada. Non ti succederà di nuovo Siri.
- Infatti! Ne deve passare di acqua sotto il ponte! – detto ciò, Noah collassò sul tavolo, scatenando le risate di tutti. Siri scosse la testa divertita e gli prese la mandibola, girando la testa di lato per evitare che potesse soffocare col suo stesso vomito. Per un istante il suo sguardo incrociò quello di Kenny che la stava già fissando, da quanto non ci aveva fatto caso. Da tutto il tempo? Solo negli ultimi secondi?
Notò una piccola ruga che gli si formò al lato della bocca, si portava verso l’alto come tirata da un amo, segnando un piccolo ghigno sulla sua faccia.
Kenny si voltò di nuovo verso il bancone e Siri distolse lo sguardo confusa, mentre una sensazione scomoda le serpeggio attorno allo stomaco.
- È sempre il solito… – commentò Arnold, riportando la ragazza alla realtà. Gli rispose con un sorriso forzato, tra i più credibili che avesse mai potuto fare: recitava con tutti, nessuno escluso, non poteva interessarle di meno di tutti gli scagnozzi di Kenny, ma sarebbe stato come mentire a sé stessa dire che Arnold e Noah non le stessero a cuore. Si era affezionata loro con naturalezza, ma assumeva lo stesso un atteggiamento distaccato e questo aveva indotto i due a pensare, erroneamente, che fosse una persona schiva e solitaria quando in realtà la spia era tutto il contrario.
Noah era un ragazzino di appena diciassette anni, orfano, come tanti coinvolti negli affari illeciti, e abbastanza tonto. Siri l’aveva tirato fuori dai guai più di una volta, era davvero piccolo dopotutto, Kenny però non era di certo paziente come lei, quindi gli aveva giurato che al prossimo errore l’avrebbe sbattuto fuori. Lo squartatore non ammetteva errori da principianti, questo era anche uno dei motivi per cui non accettava minorenni nel suo clan. “Non più.” diceva, facendo intendere che forse c’era stato un tempo in cui la pensava diversamente, lei si chiedeva spesso cosa gli avesse fatto cambiare idea, ma non si azzardò mai a chiederglielo: per quanto la incuriosisse, certi cassetti forse era meglio tenerli ben chiusi. Soprattutto se quando Siri, dopo una delle ultime disfatte di Noah, chiedendo al capo cosa si aspettasse da un ragazzino, lui le aveva risposto:“Cose straordinarie”. 
Poco dopo, Arnold le propose di portare via Noah a casa, visto che quest’ultimo non sarebbe riuscito a camminare sulle sue gambe neanche fino all’uscita.
- Comunque… – l’uomo esordì mentre camminavano nelle strade deserte, le braccia di Noah attorno alle spalle di uno e dell’altra – Non ho ancora avuto modo di ringraziarti, geco.
- Se è ancora per quella medicina, non preoccuparti.
- No, davvero. – s’incupì – Non so da chi reperisci informazioni e medicine, non m’interessa neanche saperlo se questo permette alla mia bambina di stare meglio.
Siri avrebbe tanto voluto rassicurarlo e dirgli che loro due non erano poi così diversi: non piaceva a nessuno dei due essere in quei giri pericolosi, però si erano ritrovati costretti a farlo. Da un certo punto di vista, in parte lo aveva ammesso con la sua storia inventata per la copertura, quindi Arnold sapeva che anche lei doveva avere motivazioni simili alle sue. 
- È solo una bambina, chiunque avrebbe il buon senso di aiutarti se si trovasse nella possibilità di farlo.
Arnold rise: - Mmh… non lo darei così per scontato, no. Posso… posso chiamarti in modo diverso dal tuo soprannome?
- Non posso rivelarti il mio vero nome.
- Lo so! Ma, beh, non volevo me lo rivelassi. – sistemò meglio il braccio di Noah sulle spalle con uno strattone – Magari uno inventato.
Siri gli rispose scocciata: - Se proprio devi…
- Che ne dici di… Sophia? È un bel nome.
- Immagino di sì. Dopotutto non deve piacermi. – in altre circostanze avrebbe reagito in maniera meno distaccata, le costava molta fatica rispondergli male, visto che Arnold le faceva tanta tenerezza, ma teneva bene a mente le conseguenze che un attaccamento, per di più con un membro della gang, avrebbe potuto portare.
- Già… comunque… Sophia. – Siri si voltò verso di lui che aveva fatto altrettanto e ancora le sorrideva – Sophia io ti ringrazio di cuore. So che per te non significa molto quello che hai fatto e, quello che sto per dirti forse detto da me non conta molto ma… Tu sei una brava persona.
La ragazza sgranò gli occhi sorpresa, quelle parole le risuonarono nella testa e il loro eco vi riverberò per giorni e giorni. Le piacque crederci.
Per un po’.
Almeno fino a quando Kenny non la portò con sé all’incontro tra le gang: una riunione indetta dal nulla, Siri non si era azzardata a dire nulla di ciò che pensava a riguardo all’uomo, pensando che fosse abbastanza intelligente per capire da solo che fosse una trappola fatta apposta per lui. Quando arrivarono nel capannone, infatti, erano rimasti tutti armati e gli sguardi dei sottoposti che i boss si erano portati dietro tradivano un’irrequietezza lampante. Siri stessa iniziò ad agitarsi perché era l’unica che lui aveva al seguito, pensò che Kenny forse sopravvalutasse le sue capacità, non sarebbe mai stata capace di tenere testa a così tante persone armate, forse combattendo al suo fianco sì, ma si sarebbe trattato di uno scontro in campo aperto, gli uni di fronte agli altri. Sarebbe stato un bagno di sangue e avevano scarse possibilità di uscirne illesi.
Si sistemarono alla destra di Dominik, Siri, rimasta un passo indietro con la mascherina ben alzata fin sopra il naso, guardò Kenny di sottecchi e non poté che imputare alla pazzia la sua totale mancanza di turbamento.
- Kenny, allora, – esordì Dominik – credo sappia anche tu perché siamo qui. I tuoi risultati sono stati abbastanza scarsi quest’ultimo periodo. La nostra organizzazione non può accettare elementi deboli, e per quanto ammiriamo la tua carriera e ti rispettiamo, questi sono affari… vuoi dirci qualcosa?
- Ahi-ahi-ahi Dominik… – Kenny infilò le mani nella tasca del cappotto beige – Credo che chi ci debba dare delle spiegazioni sia tu, amico mio.
La ragazza credette di aver sentito male. Corrugò appena le sopracciglia e guardò il boss con la sua stessa confusa sorpresa.
Dominik rispose truce: - Come hai detto scusa?
- Oh, credo tu abbia capito benissimo.
Sven si alzò, attirando l’attenzione di tutti su di sé: - Quando sono entrato a far parte di questa organizzazione non pensavo di certo di trovare degli uomini d’onore, non lo sono nemmeno io tanto per cominciare. Ma gli affari sono affari, come dici tu, Dominik, ed eravamo stati chiari sin dall’inizio rispetto ai carichi e al territorio.
- E i patti sono sempre stati rispettati. – disse Dominik fermo.
- Non se i carichi destinati a noi sono stati passati ad altri, lasciando i miei a bocca asciutta! – sbottò Sven – Non ho mai avuto da ridire sul tuo modo di gestire le cose, ma ormai ti stai prendendo gioco di tutti quelli seduti a questo tavolo.
- È impossibile che sia accaduto qualcosa del genere maledetto idiota, dovresti darti una calmata e rivedere i tuoi magazzini.
Un altro capo clan prese parola inviperito: - Mz, e io che faccio Dominik? Anch’io devo andare a cercare quel lurido bastardo che mi avevi promesso nei miei magazzini? Era un ladro troppo bravo da sprecare per un clan come il mio, non è vero?!
- Ma di che stai parlando?! Ti ho consegnato Robert più di una settimana fa.
- Sarebbe metri sottoterra a questo punto, se non mi avessi tolto la soddisfazione di seppellirlo. Maledetto stronzo, ho perso migliaia di denari per colpa tua!
- Non hai prove di ciò che dici.
- Che faccia tosta! Se non fosse stato per Kenny che ha colto nel sacco i tuoi, Robert sarebbe scappato in superficie!
Siri aveva seguito attentamente, non aveva capito nulla di quello che stesse accadendo sino a quando non avevano nominato quel tale ladro. Improvvisamente tutto gli fu perfettamente chiaro e ricollegò tutti gli incarichi senza un apparente scopo che Kenny le aveva affidato: i carichi da spostare in un altro magazzino (che adesso aveva capito non dovessero essere suoi, ma proprio di Sven e che lei aveva quindi fatto sparire), quel ragazzo che aveva aiutato a scappare e poi a nascondere, tutte quelle volte in cui aveva chiesto agli spacciatori di oppio e i ladruncoli di Kenny di spostarsi in un’altra zona per poi farli rimettere nella stessa, incontrando chiaramente l’opposizione degli alleati dell’organizzazione. Tutto tornava.
Kenny aveva orchestrato tutto per far sembrare Dominik un capo poco attento, la cui parola valesse meno di zero.
Sempre più voci si unirono al coro e il boss sembrò sempre più in difficoltà nel rispondere agli avventori, ormai sembrava di assistere alle inutili scuse di un colpevole.
- TUTTO QUESTO È RIDICOLO! Non accetterò oltre il vostro affron-
Siri sobbalzò sul posto al colpo. La testa di Dominik scattò con forza di lato, cadendo a terra con un rumore secco, un piccolo forellino frastagliato che gli bucava il cranio mentre sotto la sua testa iniziò a spandersi una larga chiazza di sangue sul pavimento. La pistola in mano di Kenny fumava ancora dalla canna quando la rimise dentro il cappotto.
- Sempre così autoritario, bla bla bla… – tutti gli altri capi clan si erano alzati dal tavolo e adesso guardavano lo squartatore con gli occhi spalancati – Credo stesse annoiando tutti, ho solo fatto quello che avremmo dovuto fare sin dall’inizio, giusto?
Gli altri si ricomposero e si sedettero, sui loro volti, notò Siri, si poteva leggere della paura che cercavano in tutti i modi di nascondere con naturalezza. Era un momento delicato, Kenny doveva calibrare bene le sue mosse per evitare che tutto gli si ritorcesse contro, eppure la spia non credeva ci fosse tra loro qualcuno di così stupido da ribellarsi o tentare di scalzarlo dal ruolo che, ormai appariva ovvio a tutti, lo squartatore avrebbe rivestito da quel momento in poi.
- Giusto?! – ripetette questa volta a voce più alta. Gli altri seduti al tavolo annuirono concitati, a giudicare dalle loro reazioni Siri credette che probabilmente non avessero pianificato anche l’uccisione di Dominik.
- Suvvia, non fate quelle facce, cosa credete avrei dovuto fare? Meritava forse il nostro perdono? O che uscisse sulle sue stesse gambe da questa stanza come dopo una ramanzina? Per fare cosa poi?! Ve lo dico io, mettere insieme altri uomini e farcela pagare ad ognuno di noi. E l’avrebbe fatta franca, tutto quello che avete costruito non sarebbe valso a nulla.
Era stato abbastanza convincente, perché ora la paura aveva fatto spazio ad una sorta di accettazione. Siri si guardò attorno: gli uomini armati di guardia evidentemente sapevano tutto ed erano d’accordo con Kenny sin dall’inizio perché, come lei, erano rimasti al loro posto, anzi, adesso quasi sembravano più calmi.
- Mi sembra che quindi siamo tutti d’accordo.
- Credo… – Sven si azzardò a parlare, fu anche l’unico a farlo – Credo che tu ci abbia dimostrato di essere l’unico a poter gestire tutto questo Kenny.
- Tu sì che sei un uomo saggio Sven. – l’uomo tirò fuori uno stecchino da una tasca del cappotto e se lo infilò nell’angolo della bocca, poi guardò due ragazzi dall’altra parte della stanza – Ripulite questo schifo, geco andiamo.
Siri seguì Kenny ed uscirono dal capannone, in silenzio percorsero le vie della città fino al magazzino del loro clan. Mentre l’uomo maneggiava con il lucchetto dell’entrata, la ragazza era rimasta dietro di lui e si mordeva le labbra mentre scuoteva la testa confusa a momenti alterni.
Si abbassò la maschera: - Non capisco. Perché non dirmelo? Farmi fare tutti quei lavoretti senza sapere nulla… avrei potuto sbagliare qualcosa, parlare con qualcuno.
Kenny fece una mezza risata: - E con chi avresti dovuto parlare? Col caratteraccio che ti ritrovi dubito tu abbia tanti amici… – aprì il lucchetto e spalancò la porta, invitando Siri a passare che, quindi, lo precedette.
La ragazza s’incamminò nella penombra verso la porta dall’altra parte dello stanzone che portava all’interno del covo, l’altro era rimasto indietro per chiudere il magazzino dall’interno.
- È stato comunque un azzardo. Adesso capisco perché non mi hai fatto fare nulla per Dominik questi giorni… 
Kenny fece scattare il lucchetto, il suono metallico risuonò come quello di un sasso che cade in una grotta scura. Siri lo sentì incamminarsi nella sua stessa direzione, quando un fruscio alla sua sinistra la impietrì. Portò una mano sulla cintura ed estrasse il grosso pugnale di Kenny dalla fodera.
- KENNY ATTENTO! – due, forse tre uomini emersero dall’ombra e tentarono di attaccarla. Colpì con l’arma uno in pieno ventre, si piegò e diede una ginocchiata sul fianco all’altro che le aveva afferrato una spalla. Il terzo le arrivò addosso, maneggiando un pugnale e fendendo l’aria con movimenti grossolani che Siri fu capace di schivare solo indietreggiando e portando indietro le spalle. Stanca di quella specie di danza, estrasse un altro pugnale dalla cintura e, sporgendosi leggermente oltre quello che la stava attaccando, lo lanciò contro l’uomo rimasto a terra centrandolo in mezzo alle spalle. Poi bloccò un affondo dell’aggressore rimasto, afferrandogli l’avambraccio con una mano, mentre con l’altra aveva portato il grosso pugnale ricurvo al suo addome. L’altro le aveva bloccato prontamente il polso, impedendole di affondare l’arma. 
Kenny si era avvicinato calmo ai due con una lanterna in mano, Siri, in piedi e col corpo teso, lo guardò interdetta. Lui estrasse la pistola manuale dal cappotto e fece esplodere un colpo, dritto alla tempia dell’uomo incappucciato che capitolò su sé stesso come una bambola a cui avevano tagliato i fili. Schizzi di sangue avevano macchiato il viso di Siri che ancora teneva per il braccio l’assalitore, guardava confusa lui e poi Kenny.
Il capo ripose la pistola e poggiò ai piedi della ragazza la lanterna: - Beh, non ne hai molti, ma un numero abbastanza modesto.
- Che… – Siri scosse la testa mentre riprendeva fiato.
Kenny oltrepassò il corpo e si diresse verso la porta che dava al covo: - Avresti dovuto farlo lo stesso, ma così l’hai fatto a modo mio. – si fermò con il pomello in una mano, si voltò di nuovo verso di lei e indicò il cadavere ai suoi piedi – Oh e quello consideralo come un favore che ti ho fatto.
Lei corrucciò le sopracciglia, non riusciva nemmeno a pensare a cosa chiedergli per riuscire a capire di cosa stesse parlando. Si abbassò sull’uomo morto ai suoi piedi e gli alzò il passamontagna.
- No. No no no… – il viso di Noah la fece girare istintivamente dall’altra parte, per nasconderne la visione ai suoi occhi. Prese la lanterna e si portò verso l’uomo a cui aveva lanciato il pugnale nelle spalle, il bagliore illuminò la mano dell’uomo e vide la fede d’argento sull’anulare, annerita dal metallo scadente. Fu sufficiente per farle capire che si trattava di Arnold.
Il rumore della porta che si chiudeva alle spalle di Kenny la fece voltare. Il respiro affannoso con cui riusciva a malapena a respirare si trasformò in un ringhio. Sentì la rabbia espandersi, tendere la pelle per gonfiarla come un pallone, le lacrime che le rigarono il viso erano veleno puro.
Posò la lanterna sul pavimento e fece qualche passo verso la porta. Si fermò, era ad un passo dall’inseguirlo e tentare il tutto per tutto, lasciarsi guidare dalla furia cieca e provare ad ammazzarlo, magari morendo nel tentativo. Alzò la mano e guardò il pugnale che ancora teneva in mano, lo lanciò per terra e afferrò il bordo di un tavolo accanto a lei.
- VAFFANCULO KENNY! – Siri lanciò una sedia contro la porta chiusa – Mi hai sentita?! VAFFANCULO!
La sedia si ruppe con un fragore talmente forte da produrre un eco che riecheggiò nell’aria e poi nella testa di Siri per sempre, fino a sostituirsi a quello più piacevole della voce di Arnold che le aveva fatto credere di essere una brava persona.
 
***
 
La figura incappucciata saltò giù dal carretto e Levi, i manici del dispositivo già impugnati, guardò per un istante nel carro e riconobbe i due bambini che lo guardavano incuriositi a loro volta. I soldati dietro di lui sussultarono sorpresi e quando scorse il viso del loro visitatore rimase di stucco anche lui.
- Non mi aspettavo certo un comitato di benvenuto, ma mai abbassare la guardia, sono d’accordo anch’io capitano.
La sua voce gli suonò nelle orecchie come un lontano ricordo, richiamando qualcosa che avrebbe tenuto caro nella sua mente e che aveva temuto di dimenticare poi col tempo. Ma Siri era lì a pochi metri davanti a lui, come se nulla fosse mai accaduto. All’inizio, infatti, lei li guardava come in attesa di un saluto e fu solo quando non lo vide arrivare che sembrò confusa dalla situazione, complice anche il silenzio sbigottito del gruppetto di soldati, Levi compreso.
Yvonne aggrottò le sopracciglia e guardò Siri che le si avvicinò.
- Ma sei sicura siano arrivati gli approvvigionamenti? Sembra non vedano una persona al di fuori della foresta da anni. – Siri si voltò di nuovo verso gli altri – Capitano Levi, so di non avere il mio aspetto migliore ma…
- Siri tu… – Varys cercò le parole più opportune – Beh, come dire… è strano vederti in piedi, qui, parlarci…
Lei, ancora più confusa, fece una smorfia e proprio prima che gli rispondesse per le righe, realizzò cosa il soldato volesse dirle. Chiuse gli occhi e piegò all’indietro la testa: - … Merda.
Si voltò quindi verso Yvonne e le disse a denti stretti: - Una cosa, vi avevo chiesto una sola cosa.
La ragazzina di tutta risposta alzò le spalle: - Noi non l’abbiamo detto.
- Non siete dei soldati, siete delle pettegole. Che bisogno c’era di dirlo agli intermediari?!
- Se tu facessi meno amicizia forse non sarebbe successo. Sei abbastanza popolare nei ranghi.
Siri sgranò gli occhi e le sorrise sarcastica: - Ah, adesso vuoi farmi credere che sia colpa mia?! Ero letteralmente in coma, e poi non puoi pretendere che tutti siano asociali come te.
Yvonne la guardò contrariata, sempre tenendo un tono calmo e angelico: - Non vedo il senso di prendersela con me adesso.
- Con qualcuno dovrò pur farlo.
La donna stava per continuare quando sentì afferrarsi il braccio. Levi si era calato il cappuccio e lei riusciva a vedere solo qualche ciocca dei suoi capelli fuoriuscirne, le aveva preso l’arto e dopo averlo stretto adesso lo stava accarezzando col pollice, con piccoli movimenti da un lato e dall’altro tastava la consistenza vera, calda, viva della sua carne oltre la maglietta nera.
Guardò oltre il capitano e notò che i soldati che erano con lui stavano tornando all’accampamento, lanciandole qualche sporadica occhiata ancora incredula.
Siri si morse le labbra, sinceramente dispiaciuta abbassò leggermente la testa nella sua direzione: - Levi… mi dispiace. Non avresti dovuto saperlo.
Lui la lasciò andare. Non disse una parola.
Siri lanciò un’occhiata ad Yvonne come per chiederle aiuto, ma l’altra scosse la testa come per dirle che non ne voleva sapere del guaio che aveva per le mani, infatti poco dopo, con un tono totalmente distaccato, annunciò che sarebbe andata a lasciare il carretto e i cavalli con quelli degli altri soldati.
Siri, non appena i tre si furono allontanati, si schiarì la voce e tornò a guardare Levi, ancora con il capo abbassato: - Levi… Capitano, devo parlarti. Ho parecchio da dirti, potrei finire col parlarti fino a domattina con tutte le novità che porto. – sorrise incerta, non ebbe risposta, riuscì soltanto a fargli alzare finalmente lo sguardo.
Si fissarono solo per qualche secondo, poi Levi si voltò verso l’accampamento e iniziò a camminare. Siri lo seguì, una leggera ansia si era affacciata dentro di lei a renderla nervosa, non sapeva come decifrare quel comportamento, dopotutto non aveva mai prima di allora fatto finta di morire ricomparendo magicamente. Costeggiarono la foresta e notò si stavano dirigendo verso un piccolo focolare dove era seduto anche Zeke. Siri si sporse su una spalla di Levi e le disse cauta: - Potresti fare un commento sui ragazzini marleyani ora che ci avviciniamo a Zeke per favore? Sarebbe molto importante.
Anche questa volta le rispose solo il suono della pioggia che ticchettava sulle foglie degli alberi. Non appena arrivarono dal mutaforma i due si tolsero i cappucci.
- Si può sapere perché hai portato quei due ragazzini in un posto del genere?
Siri, sentendolo finalmente parlare, quasi rimase spiazzata, poi gli rispose mentre sfilava la treccia dal mantello e la faceva scendere in avanti: - Sono i due ragazzini marleyani, sono abbastanza sicura che si trovino a loro agio in un ambiente militare.
Zeke chiuse il suo libro e guardò la donna, accennando un sorriso: - Oh Siri, qual buon vento. E dire che ero sicuro fossi qualche metro sottoterra.
Lei gli sorrise, falsa a sua volta: - Zeke, anche tu qui! Incredibile vederti… – smise di sorridere – ancora vivo. Anche abbastanza deludente se proprio devo dirti la verità.
- Sai agli uomini non piace molto una donna troppo schietta e cinica. All’inizio stavi andando bene però.
- Eccolo che ricomincia. – Levi gli lanciò un’occhiataccia, il suo tono di voce altrettanto minaccioso – Certo che sei fissato, è su questo che s’interessano i bastardi come te?
- Beh, non mi lasci scelta, è da tre settimane che leggo sempre lo stesso libro.
- Continua a farlo. Devo parlare con Siri.
- Con piacere. – l’uomo accavallò le gambe e riaprì il libricino sulle gambe – Sarà bello come le altre sette volte che l’ho fatto.
- Siri. – i due si guardarono di nuovo e lei cercò nel suo viso un segno, qualcosa che le lasciasse intendere come si sentisse, ma fu come guardare una pergamena sbiadita, illeggibile – Vieni con me.
Lei annuì e disse di nuovo qualcosa che potesse dissimulare la sua ansia: - Va bene, boss.
Zeke alzò piano la testa, un sorriso placido gli solcò le labbra mentre li vedeva allontanarsi verso un albero poco lontano. Poi, facendo finta di niente, tornò di nuovo a leggere il libro ma quel sorriso, quel divertimento, gli rimase ancora per un po’.
Non appena Levi arrivò ad un albero abbastanza distante da non farsi sentire da Zeke ma dal quale potesse comunque tenerlo sott’occhio, lui lanciò i rampini verso un ramo ad una ventina di metri dal suolo.
- Hai l’attrezzatura?
- Sì. – disse cauta Siri, scostandosi il mantello per lasciargli intravedere l’apparecchio di movimento tridimensionale.
Levi le dedicò solo una breve occhiata e con una piccola sfiatata di gas, riavvolse le corde dei rampini che lo trascinarono verso l’alto con un sibilo. La spia lo stette a guardare, poi deglutì e facendosi coraggio, lo seguì sull’arbusto.
Non appena lo raggiunse, Levi le diede di nuovo le spalle per un momento e Siri carpì un fugace movimento della sua mano che sembrava riporre qualcosa nella tasca. Lei rimase in silenzio per qualche secondo, in attesa che lui finalmente le parlasse.
- Tu hai parecchio da dirmi, ma se permetti, io avrei parecchio da chiederti.
- Levi io… mi dispiace. Tu non avresti dovuto saperlo… per un po’ avevo pensato che anche qualora l’avessi saputo, non sarebbe cambiato niente.
Lui si voltò di scatto verso Siri, come offeso: - Non sarebbe… – le palpebre gli si contrassero – Tu sei ancora convinta di quello che mi hai detto quattro anni fa, non è così?
Lei tirò indietro la testa, colpita in pieno dalla precisione quasi chirurgica con cui lui aveva toccato con poche parole il nocciolo della questione.
- I-io… – balbettò Siri.
- Certe volte sei proprio un’idiota. – Levi abbassò la testa e si voltò di profilo, per dare le spalle a Zeke. Di fronte a lui, Siri avvertì le gambe venirle meno quando sentì Levi digrignare i denti alla fine della frase.
- So che per te è più difficile accettarlo per il lavoro che ti è stato insegnato, ma a nessuno importa Siri. Tantomeno a me. – si voltò di nuovo verso di lei, il suo sguardo stanco e compassionevole – Quante volte dovrò ripeterlo? 
Sul viso della donna iniziarono a scendere copiosi grossi lacrimoni che non osò asciugare, per non far capire dal basso cosa stesse succedendo.
- Tu hai fatto quello che dovevi e se ci sarà mai qualcuno che tenterà di farti pagare un prezzo, puoi stare tranquilla che non gli permetterò di farlo. Tu non sei una brava persona. Ma nemmeno io. Né chiunque tenterà di giudicarti.
Fu come se qualcosa dalla consistenza gommosa e densa dentro Siri si fosse sciolta, lentamente stesse scivolando via dal suo petto, lungo tutto il suo corpo per scorrere via con la pioggia e scomparire nel terreno. C’era qualcosa di straziante nei loro occhi e non c’era niente di peggio per loro due di guardarsi, essere a pochi metri l’uno dall’altra senza potersi toccare, senza neanche avere la possibilità di esprimere le proprie emozioni liberamente.
Siri si morse le labbra dentro la bocca.
- Siri, io non riesco a spiegarti a parole quello che ho provato. E adesso, non so bene quello che sta succedendo. So solo che eri importante. – lei abbassò la testa, pronta ad accettare che quello che le stava per dire le cadesse tra capo e collo – E lo sei ancora.
A quelle parole, la spia abbassò le spalle con sollievo e lo guardò: - Levi…
- Perché?
Siri prese un respiro profondo per calmarsi: - Devo spiegarti parecchie cose e dovrò essere anche abbastanza concisa. Stanno arrivando.
- Chi? – Levi si accigliò prontamente.
- Inizierei con le comunicazioni ufficiali. – si fece più seria – Capitano Levi, posso comunicarti ufficialmente che l’arazzo è stato interamente tradotto e che grazie alle informazioni che ci sono state tramandate tramite i suoi scritti, saremo capaci di annullare il potere dei giganti per sempre.
 
***
- A quel punto saremo pronti! – tuonò Pyxis alzandosi – Chiudiamo qui questo teatrino, è chiaro che il capitano Zoe e gli ultimi baluardi del corpo di ricerca collaboreranno con noi, l’alternativa sarà la forca, anche per il sottoscritto che ha garantito per loro. Preparate gli armamenti! E che venga allestito un corridoio umanitario per civili e feriti! Useremo lo stesso per scappare a nord.
Nell’istante stesso in cui il comandante Pyxis aveva dato quegli ordini, la sala si trasformò in un tumulto di soldati e Pieck non si lasciò sfuggire quel momento perfetto per mischiarsi agli altri e cercare di allontanarsi indisturbata. Era sgattaiolata verso l’uscita quando due soldati della guarnigione la raggiunsero.
- Pieck! Aspetta! Non è sicuro spostarsi da soli!
- Maledizione… – masticò prima di voltarsi sorridente – Oh, ehi ragazzi! Avete ragione, vi avevo persi. Grazie per esservi preoccupati per me.
Aveva incontrato quei soldati poco fuori Shiganshina e aveva pensato, astutamente, che farseli amici l’avrebbe aiutata a passare inosservata, ed infatti era stato così. Pieck si guardò intorno non appena i due l’affiancarono, ma di Porko non c’era traccia. Era probabile che anche lui fosse impegnato con i preparativi alla battaglia contro gli Yeageristi.
Pieck fu sistemata nell’avanguardia assieme agli altri due soldati, armati fino ai denti, avevano avuto l’ordine di rimanere dov’erano perché presto, secondo le stime di Pyxis, avrebbero ingaggiato battaglia. Ma presto Pieck si rese conto che non sarebbe stato così: qualsiasi cosa stesse accadendo fuori da Trost, il comandante non credeva il resto dei soldati dovesse necessariamente esserne informati. Non poteva perdere tempo in quel modo, decise che doveva agire e cercare di raggiungere gli Yeageristi con Porko e, siccome non l’aveva ancora raggiunta, decise che l’avrebbe fatto lei.
Dopo qualche ora che erano rimasti appostati, pronti all’azione, si alzò con uno sbadiglio.
- Io credo andrò in bagno. Rimanete voi qui?
- Ti accompagno. – si offrì Ancel.
Pieck sorrise cortese, nascondendo la noia che provava al pensiero di doversi scapicollare per liberarsi di lui al momento giusto. Si allontanarono e si diressero verso il centro città, raggiunto uno dei punti di servizio, Ancel rimase all’esterno ad aspettarla. Le latrine pullulavano di soldati che facevano avanti e dietro, sentiva conati di vomito e alcuni che parlavano concitati. Entrò in un cubicolo e Pieck notò con rammarico che non c’era neanche una piccola finestrella da cui scappare, né lì né negli altri in cui entrò per trovare una via di fuga. Sconsolata, provò ad uscire dalle latrine senza farsi notare da Ancel ma fu del tutto inutile, era riuscita ad aggregarsi ai soldati più premurosi di tutto il reggimento.
- Pieck!
- Oh Ancel. Credevo ti fossi stancato di aspettarmi.
S’incamminarono verso l’avanguardia.
- Oh no, avevo detto che ti avrei aspettata.
- Grazie.
Rimasero in silenzio per un po’, quando Ancel sospirò contrariato, attirando l’attenzione di Pieck.
- Argh, scusa. – lei continuò a fissarlo con la coda dell’occhio, inducendo quindi l’altro a parlare – È che… l’ultima volta che non sapevamo cosa stesse succedendo oltre le mura era perché avevamo scoperto che Eren fosse un gigante.
- Ah… capisco. Io all’epoca non ero stata assegnata a Trost.
- Lo so, eppure sembra che nulla sia cambiato.
Lei si voltò: - Che vorresti dire?
L’altro si rabbuiò: - Beh, non prenderla come una critica, non è mia intenzione. Il fatto è che come allora, adesso non sappiamo cosa stia succedendo, il comandante ci ha fatto accettare Eren al tempo, promettendoci che sarebbe stata la speranza dell’umanità. Effettivamente ci aiutò e risolse la situazione, ma comunque quel giorno morirono un numero spropositato di soldati… amici. E guardaci adesso, lottiamo contro di lui e i suoi seguaci e per colpa loro saremo costretti a rifugiarci a nord, a lasciare le nostre case… – digrignò i denti, a Pieck sembrò stesse sul punto di piangere per il nervoso – A scappare come topi…
La soldatessa non poteva dirsi totalmente immune al suo dolore, sapeva fosse comunque un suo nemico, ma capiva quel dolore, quello di perdere compagni in battaglia o avere il terrore di non avere un posto dove stare o abbastanza da mangiare.
- E perché me ne stai parlando?
Lui alzò le spalle: - Ho capito volessi raggiungere l’altra parte della mura per vedere cosa stesse succedendo. – Pieck sobbalzò – Oh, non preoccuparti, non lo dirò. Volevo solo farti sapere che so come ci si sente e provo la stessa cosa anche adesso come allora.
Pieck rimase seria: - Quindi anche tu vorresti sapere cosa sta succedendo là fuori.
Il soldato rimase in silenzio per qualche secondo guardando dritto davanti a sé: - Sì.
- Allora perché non mi lasci andare e basta?
- Perché è un’idiozia, e non voglio che tu ti metta nei guai. Se ti vedessero cercare di oltrepassare i cancelli, o se fossi ancora più stupida, spostarti dall’altra parte delle mura col dispositivo, probabilmente ti accuserebbero di tradimento e, sempre parlando di probabilità, ti fucilerebbero sul posto.
La ragazza stava per prendere parola e controbattere quando lui la sorprese ancora.
- Oppure… potresti essere intelligente e seguire il mio consiglio. – si guardò attorno e poi svoltò subito oltre un angolo, trascinando Pieck con sé – Vicino alle mura c’è un passaggio sotterraneo che i maggiori dell’esercito usavano per spostarsi da una parte all’altra delle mura. Ti porterà dritto dall’altra parte delle mura.
- Dove si trova? – chiese lei risoluta.
- Ti ci porto io. Se ci fermano sarà più facile fare finta di niente e coprirti.
Difatti, Ancel conosceva praticamente quasi tutti i soldati che, con un suo breve saluto lo lasciavano andare dove voleva indisturbato. Quando raggiunsero l’edificio, molto lontano dal centro città, lui forzò il lucchetto col calcio della doppietta e spalancò la porta con un braccio per lasciarla passare.
- Prosegui dritto lungo il corridoio, arriverai ad un disimpegno, sulla destra c’è la scala che porta verso i sotterranei. Io rimarrò qui a fare la guardia.
Pieck entrò ma si fermò a qualche passo dalla porta, si voltò di nuovo: - Grazie Ancel.
- Figurati. Torna presto però.
Lei chiuse la porta e si diresse verso i sotterranei. L’edificio era molto buio, non tanto da farla procedere a tentoni ma la luce fioca che entrava dalle poche finestre non era abbastanza da farla camminare a passo spedito. Non appena percorse tutto il corridoio, trovò le scale che sembravano scendere dritte nelle profondità della terra. Dopo qualche minuto che scendeva, si bloccò a metà strada, spalancando gli occhi raggelata: infondo alle scale s’intravedeva il bagliore di una torcia. Si guardò le spalle e rimase a fissare le scale, pensando a quanto velocemente sarebbe stata in grado di ripercorrerle.
- Signorina Pieck.
Lei si voltò di scatto di nuovo verso il basso: - Falco! – stava per correre giù per le scale ma si fermò. Che si trattasse di una trappola ormai era certo, ma il motivo per il quale era venuta a Paradise, perlomeno il principale, a livello personale, si trovava lì sotto ed era in compagnia di chissà quale persona senza scrupoli. Si fece coraggio e percorse gli ultimi scalini.
Infondo alle scale c’era una stanza parecchio grande rivestita di legno e pietra, con delle grosse torce appese sulle pareti, al centro diversi soldati del corpo di ricerca e altri due, donne presumeva, vestite in nero sopra i pantaloni della tuta del dispositivo di movimento tridimensionale che invece stavano quasi in disparte subito dietro Gabi e Falco. Una delle due, la più alta e coi capelli castani, teneva le spalle dei due bambini con una presa che non sembrava essere salda, anzi, era quasi di conforto.
Non appena fu scesa, un soldato molto alto e dai capelli chiari le prese una spalla e la spinse piano per invitarla all’interno, quindi le si mise alle spalle per bloccare l’uscita. Pieck si fermò qualche passo davanti a lui e poi voltò la testa per incrociare di nuovo il suo sguardo: riconobbe essere il soldato che l’aveva letteralmente fatta esplodere a Liberio.
- Perdonaci per questi sotterfugi, ma non avevamo altra scelta per farci ascoltare. – esordì il soldato con la benda sull’occhio, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Pieck, dopo aver dedicato una lunga occhiata al ragazzo, si voltò di nuovo verso il gruppetto: - Come state ragazzi?
Gabi e Falco guardarono la donna dietro di loro che fece un breve cenno e permise loro di raggiungerla e abbracciarla. Quando si separarono, Falco guardò Pieck agitato: - Signorina Pieck, deve ascoltarli, loro… non vogliono farci del male.
- Questo lo vedremo Falco. – disse Pieck distendendo le labbra per rassicurarlo – Di cosa volete parlarmi?
- Io sono il comandante del corpo di ricerca, Hange Zoe, e tutti i soldati che vedi in questa stanza sono miei soldati scelti. Mentre ti aspettavamo ho cercato di mettere in ordine i pensieri, oltre che tutte le cose che ci sono da discutere, ma in poche parole quello che intendiamo fare a voi, voglio rassicurarti, è praticamente nulla, solo permettervi di ritornare in patria senza scontri. Non so perché siete qui onestamente, ma vorrei chiederti il motivo.
La ragazza si alzò e fissò Hange intensamente, adesso sarebbe venuto il momento di giocare: avrebbe dovuto capire cosa sapessero di Marley allo stato attuale e cosa no, a seconda di questo avrebbe potuto azzardare a fare richieste.
- Avete raso al suolo un intero porto oltre che una piazza piena di civili. Credo vi aspettaste una risposta di Marley, non penso siate sorpresi.
Hange corrugò le sopracciglia: - È esatto, ma il mio interrogativo è come mai sia in così piccola scala. A quest’ora mi aspettavo decine di dirigibili sopra le nostre teste.
- Non servivano, date le vostre risorse ridotte e tecnologie obsolete.
La donna coi capelli castani raccolti nella treccia diede segno di spazientirsi.
- Signora Hange! – Gabi si sporse verso il comandante incredula, esattamente come Falco.
- Quindi mi pare di capire che godiate delle risorse degli alleati. Eppure ancora fatico a capire… – lo sguardo rilassato di Hange divenne tagliente – perché mandare dei giganti, seppur mutaforma, da soli per giunta, quando i tuoi superiori sanno benissimo che siamo capaci di abbatterli senza sforzi. Mi aiuti a capire?
Pieck rimase in silenzio, messa all’angolo. Qual era l’obiettivo reale di chi aveva di fronte lo faticava a capire, non riusciva a comprendere se avessero davvero intenzione di lasciarli andare illesi. Di una cosa era certa, ossia che quella Hange e la sua combriccola di soldati sapessero molto più di quanto avevano detto riguardo Marley.
- Aiutami tu a capire cosa sperate di ottenere tenendo in ostaggio tre eldiani…
- Va bene, adesso basta. – la donna coi capelli castani si era fatta avanti, aveva un tono esasperato – Scusate se taglio questo vostro interessante scambio di “so che tu sai, sai che io non so”, ho una certa fretta e direi che la signorina Pieck non ha niente sul tavolo da avanzare per poter anche solo parlare, o mi sbaglio?
- Potresti sbagliarti. – disse l’altra – Cosa ti dà tanta sicurezza?
- Il fatto che nel momento esatto in cui parliamo, i vostri superiori, o quelli a cui non piace andare per bordelli, per non essere troppo volgari, stanno inventando una montagna di scuse con gli Alleati per giustificare il trattato di pace che Willy Tybur ha firmato con la regina Historia di Paradise. Dico bene? – Siri inclinò la testa – O sbaglio?
Il silenzio di Pieck fu una risposta più che sufficiente.
- Spregevole da parte di Tybur chiedere agli Alleati di agire e inimicarsi una nazione così ricca di risorse, mentre lui al momento giusto avrebbe tirato fuori il trattato dal cassetto e si sarebbe arricchito a loro discapito. Sbaglio ancora, signorina Pieck? – Siri avanzò, facendo spallucce continuò – Quello che non si sarebbe aspettato è che sarebbe morto, e chi tira fuori una scusa adesso per questa brutta faccenda… ah già, i funzionari di stato. Quelli che non abbiamo fatto saltare in aria, perlomeno. Il problema è, ovviamente, chi useranno come capro espiatorio per l’ennesima volta?
La spia si fermò davanti a Pieck, fissandola in silenzio.
- La tua analisi così puntuale è corretta. – le rispose la ragazza – Ed è per questo che ho il dovere, se non di soldato almeno morale, di portare in patria Eren Yeager per l’esecuzione capitale.
Siri annuì.
Lo sguardo di Hange divenne triste: - E questo basterà solo per la tua gente.
- Sì. Per Maley ormai non c’è speranza. – Pieck guardò Siri e poi di nuovo Hange – Le rivolte sono troppo estese e animate, l’indipendenza di almeno cinque stati annessi sarà sicura nel giro di qualche mese se non avremo il potere del fondatore.
- Sai che dare il potere del fondatore a Marley non risolverà assolutamente nulla. – le rispose Hange – Gli Alleati non si fidano più di loro, ma immagino che questa ipotesi sia già stata avanzata da altri stati.
Piek annuì: - Se saranno in grado di usare il boato della terra, chi garantisce che non lo usino anche sugli Alleati una volta finito con Paradise. – scosse la testa meditabonda – Avete fatto tutto questo per concedervi degli anni preziosi, lo capisco. Ne avete donati anche a noi così facendo, e noi guerrieri portando a casa Eren torneremo come eroi, ma… i comandanti useranno il potere di Eren e il nostro popolo non sarà mai libero.
- A questo c’è rimedio. – rispose il comandante, l’interesse di Pieck, come anche le sue speranze, si riaccesero – Il potere dei giganti… noi sappiamo come debellarlo.
La ragazza si rabbuiò e assunse un tono scettico: - Uccidere Eren non riuscirà ad-
- Debellarlo per sempre. Esiste un modo. – la interruppe Hange – La fondatrice Ymir ha lasciato un cimelio, per metterla così, alla famiglia Ackerman. Il contatto tra il fondatore nel corpo di un non portatore del sangue reale, un discendente reale col potere dei giganti e un componente della famiglia Ackerman rende possibile debellare il potere dei giganti per sempre. La fondatrice aveva evidentemente previsto che una circostanza così singolare si sarebbe verificata perché il contatto tra Zeke, Eren e una nostra soldatessa renderà possibile tutto questo.
Nella sala calò il silenzio, Pieck pensò a quanto e cosa le convenisse accettare. 
- La mia richiesta rimane. È un compromesso che consentirà a tutti gli eldiani di essere in un qualche modo scagionati. E poi Eren… credo lo sappiate già, è diventato una specie di simbolo per tutte le nazioni annesse, la sua morte darà una spinta alle rivolte non indifferente.
- Non so se Eren accetterà. Non sappiamo nemmeno quale sia il suo piano e se voglia o meno seguire quello di Zeke. Yelena non è stata d’aiuto a tal proposito. – disse Hange.
- Che sia d’accordo o meno, dovrà farlo. E voi ci aiuterete a portarlo via, sarà più semplice dato che non avrà più il potere dei giganti.
A disagio, nessuno disse una parola. Gabi e Falco, fino ad allora rimasti in silenzio, guardarono i soldati con un certo interesse, non avevano idea se quello fosse un compromesso che fossero disposti ad accettare, non facendolo però non credevano gli eldiani di tutto il mondo avrebbero avuto un futuro.
- Non… non potrebbe essere che a Marley non importi più nulla? – il soldato dai capelli tagliati fino alla cute sembrava tentare in tutti i modi di nascondere la sua frustrazione – Insomma… avrà già un sacco di cose a cui pensare con le rivolte, potreste evitarlo.
- Temo mi sia impossibile. – Pieck cercò di essere quanto più gentile possibile con le parole – Io, Porko e Reiner siamo stati incaricati di farlo, e se falliremo, non solo noi, ma anche le nostre famiglie subiranno lo stesso destino di Eren.
- Ma non hanno il tempo di pensare anche a voi, basta che-
- Credimi, hanno sempre trovato il tempo per un’esecuzione. – terminò lei lapidaria.
- Va bene, Pieck Finger. – disse Hange subito dopo – Accettiamo. Devo solo chiederti un aiuto per l’ultima fase del recupero di Eren.
***
 
Levi era rimasto a sentire il racconto attento, cercando di tenere il filo sulle molteplici missioni secondarie che Siri e la sua squadra avevano svolto su suolo nemico: avevano diffuso un fungo che aveva danneggiato gravemente il raccolto dell’intera nazione, costretto il capo dello stato a firmare un accordo di pace, smascherato il governo marleyano per aver ucciso un ambasciatore chiacchierone, la strage tra le fila nemiche era sicuramente l’aspetto più macabro di tutta la storia ma che spiegava il drastico cambio d’umore nella spia. Avevano guadagnato almeno cinquant’anni dalla perfetta riuscita del loro piano, Marley era alle prese con le rivoluzioni di almeno otto delle dieci nazioni che aveva annesso sotto il loro dominio e senza risorse militari con cui far fronte, né tantomeno abbastanza di quelle alimentari, avrebbero presto affrontato una crisi che non avrebbe più permesso loro di avere mire espansionistiche sull’isola che, nel frattempo, avrebbe avuto tutto il tempo di dialogare con le altre nazioni. Anche grazie ai volontari che avrebbero fatto da perfetti intermediari.
- Quindi mi sembra di capire che adesso gli Yeageristi arriveranno qui a momenti. E per di più siamo circondati da potenziali giganti che potrebbero trasformarsi con un gesto di quell’inutile barbone là sotto.
- Esatto. 
- E io non posso toccare i due fratellini, non sarebbe la stessa cosa. Non ho il tocco delicato temo. – commentò sarcastico, s’indispettì non appena notò che Siri fissava Zeke con insistenza. Lei non rispose, come se fosse troppo distratta.
- Posso farmi crescere la barba se può aiutarti a tenere l’attenzione su quello che dico.
Siri si voltò, catapultata di nuovo nella conversazione: - Scusa, è che quel… ci sta ascoltando. Brutto… – estrasse una lama dall’astuccio del dispositivo e la lanciò in basso contro Zeke, colpendolo in pieno petto.
- Hai ancora voglia di origliare, stronzo?!
Levi guardò la scena impassibile, alzando solo un sopracciglio alle urla di dolore di Zeke: - Sto iniziando a pensare di farti una brutta influenza.
- Ci siamo peggiorati a vicenda, dai. Siamo persone orribili.
- Siri, devi andare via di qui.
Lei scosse la testa: - L’unica cosa che non lo fa urlare sono quei ragazzini, se me ne vado lui lo farà.
- Se lo farà, sta tranquilla che se ne pentirà amaramente.
- Levi, c’è un’altra cosa che devo dirti…
- Lo so. Bernard me l’ha detto.
Siri sospirò, in parte sollevata: - Me lo aspettavo, avevo grosse probabilità di morire. Non voglio chiederti di seguirmi anche adesso, voglio solo dirti che me ne andrò. – deglutì e distolse lo sguardo – Per anni sono stata divorata dal senso di vendetta e non ti nascondo che fare quello che ho fatto a Marley mi ha dato una certa soddisfazione. Da quando Joshua ha cercato di uccidermi, è come se avessi aperto gli occhi, o almeno così pensavo, e anche quando ho lavorato per Pyxis il mio desiderio più grande è sempre stato quello di distruggere i meccanismi che avvantaggiano persone come Tybur o Michel. La vendetta mi ha dato sempre la spinta di fare qualsiasi cosa da quando ero piccola.
Siri fece un mezzo sorriso, si decise a guardarlo di nuovo quando una goccia di pioggia le colpì la punta del naso: - Ma da quando vi ho conosciuti è stato diverso. Tu, Hange, i ragazzi… mi avete fatto vedere che forse può esistere qualcosa di bello, che non sia marcio. Ho avuto meno ricordi che mi tormentassero quando ero con voi che in qualsiasi altro momento della mia vita da spia. E quindi… – sorrise in un modo che a Levi sembrò quasi timido – quindi ho pensato che… se riempissi la mia testa di ricordi felici, forse essere tormentata da quelli sarebbe… bello. Io non voglio che tu prenda una decisione che tu pensi possa rendermi felice perché…
La voce di Siri si ruppe e gli occhi le diventarono lucidi: - Perché pensare di averti costretto non è quello che desidero.
Lo sguardo di lui si ammorbidì e né a parole, né tantomeno coi suoi modi avrebbe mai potuto esprimere quanto lo rendesse felice vederla viva, anche se sull’orlo di una situazione drammatica come quella.
- Siri. Te l’ho promesso quando non sono riuscito a dirtelo. Io ti avrei accettata qualsiasi mostro tu fossi o saresti diventata. – prese coraggio come non aveva mai fatto prima, tirò fuori quelle parole che tanto tempo prima aveva tenuto per sé, la promessa che aveva il terrore di farle da sempre – Fino alla fine saremo rivoltanti e rimarrò al tuo fianco. Non ho intenzione di fare altre promesse se non a te.
Si voltò in basso e guardò Zeke che, per terra, sputava sangue mentre cercava di tirare fuori la lama dal petto: - Ma se vado via ora, tutti i nostri sforzi andranno invano. Ho fatto una promessa, avrei ucciso Zeke e così sarà. E voglio che sia chiaro, so che tu e Hange credete sia per portare a termine l’ordine che mi ha dato Erwin e mi sorprende che lo pensiate. Una volta ti ho detto che non capivo come mai la mia forza non fosse mai abbastanza. – Levi strinse i pugni e la guardò di nuovo – Ho bisogno di dare un senso a tutte quelle morti. È per questo che voglio portare a termine la mia promessa. Ho bisogno di sentirmi bene se voglio… stare. Con te.
Siri sorrise e quando tentò di rispondergli, l’urlo di Zeke riempì l’aria e penetrò nelle loro orecchie come un dolore lancinante, riempendo i loro occhi, poco prima così pieni l’uno dell’altra, di puro orrore. La spia si voltò verso il sentiero e scorse gli Yeageristi attraverso i primi lampi che stavano fendendo l’orizzonte.
 
Nota: allora due cose veloci da specificare con questo capitolo infinito. La prima è che, sì, lo so, non ci sono passaggi sotto le mura perché la polizia stessa bloccava questo tipo di esplorazioni, ma era proprio questo il punto. Pieck non poteva saperlo, quindi è come se vi stessi facendo capire che Ancel la stava fregando.
Seconda cosa, su cui non mi dilungherò più di tanto perché il mio parere si capisce leggendo tra le righe, ma ci tenevo a ribadire a come vedevo il “mantenere la promessa” di Levi, poi, beh, non credo di averlo capito male io, ma mi sembra un po’ riduttivo pensare che lui fosse ossessionato dall’uccidere Zeke per Erwin, altrimenti che senso ha fargli ripetere fino allo sfinimento quello che succede a Ragako, o anche per Levi continuare a combattere nella battaglia finale anche dopo che ha ucciso Zeke. Vabbè, amen, ho detto quello che ho detto, il prossimo (penultimo) capitolo arriverà a fine mese causa esami universitari (sembro forse acida dalle righe ed è così, sono stressata a livelli esponenziali).
Alla prossima!
  
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