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Autore: Cathy Earnshaw    08/06/2023    1 recensioni
Sequel della Cascata del Potere, è la storia che credevo non avrei mai scritto. Dieci anni dopo la fine dell'ultima, disastrosa, guerra, la vita e il commercio nella Terra dei Tuoni sono faticosamente ripartiti. Ma all'improvviso un cataclisma si abbatte sulle città e gli elementi sembrano andare fuori controllo. I popoli sono di nuovo costretti ad allearsi per ripristinare ordine e armonia. Per ripristinare il Cosmos.
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Oro liquido
 
 
Quando Meowin riprese i sensi, la prima cosa che fece fu maledirsi. Erano centinaia di anni che si occupava di controspionaggio, mai una volta aveva rischiato di essere scoperta, figurarsi venir colpita alle spalle e sequestrata. Che imbarazzo! Se fosse sopravvissuta, Oliandro non l’avrebbe mai scoperto, era pronta ad implorare Horlon per farlo giurare con i mignoli incrociati. Ma era inutile piangere sul latte versato, lo sapeva. Doveva cercare di tirarsi fuori da quel pasticcio il prima possibile. Si guardò intorno con circospezione: la stanza nella quale si trovava non sembrava affatto appartenere a uno di quei palazzi fatiscenti, nella luce tremolante di alcune lanterne poteva distinguere tappeti e cuscini. Quindi qualcuno abitava tra quelle rovine, qualcuno di estremamente silenzioso. Questo escludeva nani, umani, orchi e orchetti. Potevano essere elfi? Oppure qualcosa di più pericoloso?
«Si è svegliata.»
La voce vibrò tra le pareti e nella sua testa, con un riverbero doloroso. Meowin ricordava che genere di creatura parlasse in quel modo disturbante e le si gelò il sangue nelle vene. Passi leggeri si avvicinarono e girarono intorno alla sedia alla quale si trovava legata. E quando se lo trovò davanti la sorpresa offuscò tutto il resto.
 
La tempesta di energia si esaurì a notte inoltrata, e Fiona non riuscì a prendere sonno fino a quando quei boati terribili non furono cessati del tutto. Questo sommato al giaciglio poco confortevole contribuivano alle occhiaie e al mal di schiena di quella mattina. Alle prime luci, Liam si era alzato, fresco e riposato come un adolescente, come se non avesse dormito per terra e come se non avesse ricevuto una saetta in piena faccia la sera prima. La sacerdotessa lo guardò, con un misto di ammirazione e di invidia, mentre il mago preparava i cavalli per la partenza. Aveva voluto occuparsene lui, nonostante lei gli avesse specificato che era in grado di sellarsi un cavallo da sola. Lui aveva proseguito nella sua attività, borbottando tra i denti, così si era avvolta nel peplo e si era occupata di raccogliere le poche cose che avevano portato con loro. 
Liam era davvero una persona particolare. Non era ancora sicura di aver fatto una scelta saggia partendo così, tra capo e collo, con uno sconosciuto, anche le sue sorelle consacrate più anziane avevano cercato di dissuaderla. Dopotutto, il viaggio era rischioso, e lei non era abituata alle fatiche fisiche. Senza parlare della presenza continuativa di un uomo, della rispettabilità del quale c’era molto da dire, a quanto si raccontava tra le mura del Tempio. Chissà se sapevano che era anche un miscredente, oltre che un donnaiolo. Stentava a credere a tutto quello che le avevano raccontato su di lui, non sembrava per nulla la persona che descrivevano. Ah, ma lei sarebbe stata all’erta, non si sarebbe certo fatta traviare dal primo venuto. Gli passò gli ultimi bagagli, che il mago fissò al fianco di Gino – povero cavallo, non poteva trovargli un nome più dignitoso? – prima di volgere gli occhi al sole che spuntava tra le colline, scostandosi i capelli dal viso. Fiona rimase un secondo imbambolata seguendo il movimento delle sue dita prima di riscuotersi bruscamente, assalita dalla vergogna. Non poteva assolutamente concedersi certe confidenze.
«Abbiamo fatto tardi» mormorò il mago, volgendosi verso di lei. «Speravo non l’avresti rindossato.»
Montando il suo cavallo, la sacerdotessa rispose:
«Non posso andarmene in giro senza il peplo.»
«Lo so, ma ora che ti ho vista senza, mi sembrerà strano ricominciare a parlare con i tuoi occhi. Non è confortevole, ecco.»
«Per me non è confortevole restare senza, invece.»
«Il tuo Dio mi sta sempre meno simpatico» sbottò montando a cavallo e sferzandolo.
Fiona avvampò di indignazione.
«Pregherò anche per te, anima azzurra» rispose, dissimulando il disagio.
Liam rise.
«Grazie, ma non credo sarà necessario.»
Fiona sospirò. Aveva valutato i rischi fisici, ma non quelli morali.
 
La luce del giorno iniziava a filtrare dai tendaggi alle spalle dei suoi anfitrioni, ma Meowin era troppo sorpresa per rendersene conto. Davanti a lei stavano tre persone come non le aveva mai viste: avevano il fisico longilineo e i lunghi capelli tipici degli elfi, ma i loro lineamenti erano diversi in un modo che faceva fatica a comprendere, gli occhi troppo distanti, le labbra troppo sottili, le mascelle affilate. 
«Chi siete, voi?» balbettò.
Uno dei tre fece un passo verso di lei.
«Dovresti dircelo tu, dal momento che ti trovi nel nostro territorio.»
La voce riverberò nella stanza vuota tanto quanto nel cervello dell’elfa, facendole venire i brividi.
«Io sono Meowin.»
Il suo nome le rimbombò nella testa.
«Vi prego, potete smetterla di invadermi tutti i sensi comunicativi?» implorò.
I tre si scambiarono un’occhiata.
«Che cosa vuoi da noi, Meowin?» domandò.
«Niente, proprio niente! Stavo mappando i danni causati dal cataclisma quando ho scoperto che la Terra dei Draghi era abbandonata, così ho oltrepassato il Monte Alba. Volevo solo sapere cosa ci fosse oltre gli Alti Nidi, non immaginavo che avrei trovato qualcuno, qui.»
I tre si guardarono di nuovo e l’elfa comprese che stavano comunicando tra di loro telepaticamente. Che cosa erano quelle creature?
«Va bene, Meowin. Per il momento resterai qui, dobbiamo decidere cosa farne di te. Purtroppo, le nostre potenzialità ora non ci consentono di risolvere il problema alla nostra maniera.»
Si volsero e uscirono dalla stanza, lasciandola sola e sommersa di domande.
 
«L’alba di un nuovo giorno» commentò Lukas quando Horlon entrò nella sua stanza.
«Così pare, giovane mago. Come stai?» domandò l’elfo.
«Oggi non male» rispose guardando fuori dalla finestra. «Il mare è ancora agitato» osservò.
«Lo è sempre, di questi tempi.»
Horlon gli si affiancò per guardare a sua volta ciò che vedeva il ragazzo. La costa era flagellata dalle mareggiate impietose, poteva immaginare con estrema facilità il rombo dei marosi sulla roccia.
«Da quanto sei Re?» domandò il mago.
«Troppo» rispose Horlon. «Mio padre abdicò millecinquecento anni fa, anno più, anno meno.»
«E che ne è stato di lui?»
L’elfo si prese un momento per rispondere. Da centinaia di anni nessuno gli faceva più quella domanda.
«Non lo so. Prese con sé mia madre e poche altre persone e se ne andò. Disse che i suoi occhi avevano bisogno di nuovi orizzonti. Non so che fine abbia fatto, non ho più avuto loro notizie. L’immortalità logora, alla fine» mormorò.
Lukas lo trapassò con il suo sguardo d’argento.
«È questo che sta succedendo anche a te?»
Horlon gli sorrise.
«Ci sono molte cose che voglio ancora vedere, assaggiare e tentare. No, credo di avere ancora un po’ di margine» rispose con più convinzione di quanta ne sentisse davvero.
 
Meowin aveva avuto tutto il tempo per riflettere su ciascun errore commesso nella sua vita, seguendo le ombre che ruotavano insieme al sole. L’avevano mollata lì da sola, legata come un salame con una corda troppo resistente perché potesse essere recisa. 
Non riusciva a scrollarsi la sensazione di disagio che quelle creature le avevano lasciato addosso, non ricordava di aver mai incontrato nessuno come loro nella sua ormai discretamente lunga vita. Eppure, c’era qualcosa di familiare, come nella loro città decaduta. Chi era quella gente? L’avvicinarsi di passi la mise in allerta. Forse avrebbe scoperto cosa ne sarebbe stato di lei.
 
«Sei silenziosa, oggi. Hai già finito le domande?» domandò il mago.
Fiona si morse la lingua, ringraziando ancora una volta di avere il viso coperto.
«Sembri di buon umore, anima azzurra. Ti ha fatto bene venire folgorato?»
Liam rise.
«Sono lunatico, mi sembrava di averlo già chiarito. Sai, temevo che saresti stata una lagna, ma mi sbagliavo, non sei una pessima compagnia!»
«Che gentiluomo, grazie» sbottò. «Vorrei chiederti perché tu mi abbai reclutata, a questo punto, ma ho timore della risposta.»
«Non avevo un motivo particolare, ho seguito l’impulso del momento. Ho pensato che sarebbe stato interessante strappare un’adepta al Dio dell’Acqua» rispose candidamente.
Fiona quasi cadde da cavallo.
«Seriamente?!»
«Oh sì! Te l’ho detto, sono lunatico, e sul momento mi era sembrata un’idea stimolante. Ti stai pentendo di avermi seguito?»
La sacerdotessa prese un respiro profondo e non rispose. Non poteva lasciarsi sopraffare dall’indignazione, lei era una serva del Dio, addestrata all’umiltà e alla mitezza.
«Ehi, sacerdotessa.»
Spostò lo sguardo sul mago, lentamente, cercando di far trasparire dai suoi occhi tutta la disapprovazione possibile.
«Sì?» sibilò.
Liam ghignò.
«Sono riuscito a farti arrabbiare, sì? Senti ma perché mi chiami “anima azzurra”? Che cosa significa?»
«Quando imparerai a rivolgerti al Culto con il rispetto che merita te lo dirò.»
«Al culto… o a te?»
Fiona si sentì arrossire e strinse i denti. Non poteva cedere e salvare la dignità al tempo stesso.
«Ora basta molestarmi, è l’ora dell’invocazione mattutina.»
«Spero che tu stia scherzando» esclamò il mago, sgranando gli occhi.
«Neanche per idea. Prepara il tuo cuore ad accogliere il Dio.»
«Ci vediamo a Promar, ti aspetto per pranzo!»
Sferzò il cavallo e la lasciò sola.
Fiona trasse un sospiro di sollievo. Lo preferiva musone, era molto meno pericoloso.
 
Liam spronò Gino e si lasciò la sacerdotessa alle spalle. Si stava sforzando di auto motivarsi per non cedere al panico che da quella mattina aveva iniziato a salire inesorabilmente. Sapeva bene che quella notte l’avrebbero passata all’addiaccio nel mezzo della Piana di Thann. 
Aveva accuratamente evitato di tornarci dopo la guerra e non aveva la minima idea di cosa ci fosse rimasto, solo l’idea di avvicinarsi di nuovo a quel campo di battaglia gli faceva venir voglia di voltare Gino e tornarsene a Pothien. Ma non poteva. Aveva preso un impegno con Rowena prima ancora che con l’Aureo Consiglio – pernacchia – e non poteva assolutamente permettersi di vacillare ora. In un certo senso, la presenza di Fiona aveva un’utilità. Lanciò un’occhiata alle sue spalle. Non l’avrebbe davvero lasciata indietro come aveva detto, se le fosse capitato qualcosa si sarebbe sentito in colpa per il resto della sua vita. Chissà che cosa pensava di guadagnare traviando una sacerdotessa perché abbandonasse i suoi doveri liturgici… alla fine, poteva rivelarsi solo un’immensa seccatura. Sperava almeno di riuscire a smuoverla dal suo proposito di non servirsi della magia, era sciocco e insensato.
Sospirò. Un problema alla volta.
 
«Meowin.»
La voce riverberò ovunque e l’elfa strinse i denti per non imprecare. Una creatura dai lunghi capelli scuri e dalla pella ambrata le si avvicinò e Meowin notò con un moto di stupore che i suoi occhi sembravano fatti di oro liquido. Lo sconosciuto si chinò su di lei e la osservò attentamente, senza battere ciglio.
«Come possiamo fidarci di te? Conosciamo il tuo popolo, il tuo Re… vi conosciamo molto bene, condividiamo una lunga storia di morte e sangue.»
«Morte e sangue?» balbettò, folgorata da quella vicinanza così inopportuna.
Si sentiva sulla pelle il suo respiro incandescente.
«Morte e sangue. Abbiamo combattuto aspramente, è anche a causa vostra se il nostro popolo si è ridotto a un numero tento esiguo. Ma non dimentichiamo nemmeno che il vostro Re non è mai stato un amante della guerra. Il ché non lo rende onorevole agli occhi della nostra legge, ma al contempo fa di lui, ora, un interessante interlocutore.»
Meowin vedeva i propri occhi verdi specchiarsi nell’oro di quelli del suo anfitrione, tanto erano vicini. La tensione la faceva vibrare come la corda di un’arpa, non riusciva a pensare con lucidità.
«Non riesco a seguirti» mormorò.
«Questa misera e fragile forma non ci appartiene più da migliaia di anni. Noi non siamo questo, non più. Ma quella sciocca ragazza ha infranto l’equilibrio del vostro piccolo mondo, e facendolo ha destabilizzato anche il nostro. Il disastro non si è abbattuto anche qui, come puoi vedere, ma la benedizione del Dio del Fuoco è comunque venuta meno, riportandoci alla nostra forma originaria.»
Meowin rantolò, iniziando a comprendere con chi – con che cosa – avesse a che fare.
«Vedo che hai compreso, elfa Meowin. Il potere di un drago non può restare a lungo represso in un misero corpo di soffice carne.»
Meowin annaspò, assalita da un inquietante combinazione di terrore reverenziale e attrazione.
«Voi siete draghi» soffiò.
La voce non voleva saperne di uscirle. Gli occhi oro liquido si assottigliarono un momento prima che la creatura si allontanasse con uno scatto nervoso.
«Lo eravamo!» ringhiò. «Ora siamo soltanto una misera involuzione di noi stessi. Non abbiamo ali, non abbiamo artigli, non abbiamo zanne, non abbiamo il fuoco! Il mio nome è Aren, e i miei compagni sono Gerd e Birger, e non abbiamo alcuna intenzione di perdurare in questa condizione insignificante.»
Meowin staccò a fatica gli occhi da Aren per osservare Gerd e Birger, alle sue spalle. Si tenevano a distanza, lo rispettavano. Era il loro re?
«Io… io non capisco. Cosa vi è successo? È stata la frammentazione del Cosmos? Avevate un legame con il catalizzatore?»
Aren le lanciò un’occhiata obliqua che le fece correre un brivido lungo la schiena.
«Come facciamo a sapere che possiamo fidarci di te?»
«Come potrei nuocervi?» domandò di rimando. «Non so cosa siate, ora, ma riesco a percepire la vostra superiorità con molta chiarezza, non riuscirei a sopraffarvi in alcun modo. Inoltre, se sapete qualcosa sul Cosmos e siete interessati quanto me a riportare l’equilibrio tra gli elementi, credo che potremmo condividere le informazioni che abbiamo.»
Sotto lo sguardo insistente del drago, o di qualunque cosa fosse diventato, Meowin si sentì un’ingenua. Non era riuscita a mettere in pratica nulla di tutto ciò che aveva imparato nella sua vita, gli aveva addirittura detto il suo vero nome. Erano draghi, maledizione! Si erano scannati con i suoi simili fino a pochissimi anni prima, avevano promesso Lumia agli stregoni in caso di vittoria! Come aveva potuto abbassare così scandalosamente la guardia?
«Slegatela» sibilò Aren.
I due draghi alle sue spalle lo guardarono, sgomenti.
«Ma, Aren… è un’elfa! È nostra nemica!»
«Slegatela, ho detto. Mi occuperò io dell’elfa Meowin, d’ora in avanti.»
Meowin soppresse un gemito interiore.
 
Libera dalle corde, l’elfa si massaggiò i polsi e si stiracchiò le braccia per recuperare la sensibilità degli arti intorpiditi. Ancora non riusciva a crederci di esserci cacciata in un casino del genere. 
Aren le fece cenno di seguirlo e lei non osò opporsi. Emergendo dall’edificio scoprì di trovarsi in una zona meno disastrata della città. Il sole era allo zenit e il caldo era asfissiante. Alla luce, il drago sembrava un’ombra: lungo e sottile, vestito di scuro ed estremamente silenzioso. Lo seguì fino all’ingresso di un’abitazione di modeste dimensioni.
«Non toccare niente.»
Meowin deglutì e annuì.
Mille domande si stavano affollando nella sua testa ma non osava esprimerle, non sapeva che intenzioni avesse Aren. Non le sembrava un pazzo omicida, ma d’altronde non sembrava neppure un drago. L’interno dell’edificio era fresco e sembrava che qualcuno avesse cercato di renderlo abitabile.
«Benvenuta nella mia pusillanime dimora. Le sedie sono state messe in sicurezza, le puoi utilizzare.»
«Ehm… grazie?» farfugliò. «Mi è consentita una domanda?»
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Dalla domanda.»
L’elfa esitò.
«Non mi stai rendendo la conversazione semplice.»
Aren si lasciò cadere sgraziatamente su una sedia e le puntò i suoi occhi innaturali addosso.
«Mi hai chiesto di smetterla di stordirti con la mia voce mentale e l’ho fatto, ti ho liberata e ti ho portata in casa mia. Non mi pare che tu abbia di ché lamentarti.»
Meowin arrossì. Era vero, il rimbombo nella sua testa era cessato.
«Ti ringrazio» mormorò. «Ma perché hai fatto tutto questo? I tuoi compagni hanno ragione su di me, sono vostra nemica.»
Il drago soppesò le parole prima di rispondere.
«Io non credo che gioverebbe né a noi né a voi affrontarci adesso. Abbiamo problemi più urgenti da risolvere. Fintantoché ti dimostrerai collaborativa, sono disposto a prendermi il rischio.»
«Già…» mormorò l’elfa. 
Si sedette di fronte a lui e si domandò come dovesse essere svegliarsi alla mattina e ritrovarsi così. 
«Che cosa dicevi, prima, sulla benedizione del Dio del Fuoco?»
Aren fece un sorriso sbieco e si chinò verso di lei.
«Prima devo sapere una cosa.»
«Cosa?»
«Tu per chi lavori?»
«Che significa?» domandò sulla difensiva.
«Sei finita qui, letteralmente dall’altra parte del mondo, viaggiavi sola, di notte, e hai dimostrato di avere un sangue freddo fuori dall’ordinario. Quindi vorrei sapere con chi sto parlando, davvero. Immagino che tu sia una spia di Horlon. Mi sbaglio?»
Meowin esitò.
«Questo cambierebbe qualcosa, allo stato attuale della situazione?»
«No. Ma se devo essere tuo garante ho bisogno di capire che cosa i miei compagni non devono scoprire di te. E qualunque cosa sia, io la voglio sapere. Finché starai qui, non ci saranno segreti.»
«Non comprendo» ammise l’elfa dopo un momento di esitazione.
«Loro tremano» rispose semplicemente. «E la paura è l’inizio della fine. Ma vi si può porre rimedio.»
Meowin iniziava a perdere la pazienza. Si stava prendendo gioco di lei, o era solo toccato nella testa?
«Scusami ma davvero non riesco a seguire il tuo pensiero.»
«Elfa Meowin, noi siamo tornati allo stadio originale della nostra razza, dopo migliaia di anni. Nessuno di noi è tanto vecchio da aver già vissuto in questi miserevoli panni. Stiamo imparando, ma adattarsi è molto, molto difficile, nonostante la memoria ancestrale ci consenta di sapere quello che serve sapere per nutrirci, abbigliarci e riprodurci. Ma questa non può essere una condizione irreversibile, non lo accettiamo. Io non lo accetto! Mi interessano le informazioni in tuo possesso sulla situazione nella Terra dei Tuoni, mi interessa sapere cosa sta accadendo e chi si sta occupando del problema. Quando tutto questo sarà risolto, con un po’ di fortuna riacquisteremo la nostra forma evoluta, ma se così non fosse…»
«Se così non fosse?» incalzò dopo un momento di silenzio.
«Che cosa sai della Terra dei Fiumi?»



*****
Ciao a tutti voi che state ancora leggendo i miei deliri mentali!
Grazie di esserci ancora, vi vedo nei numeri, vi percepisco... se vi cresce un momento nella vostra giornata, le recensioni sono sempre ben accette, anche quelle "meh". E' vero che scrivo per me stessa, ma se qualcuno ogni tanto avesse voglia di palesarsi sarebbe molto, molto, meno noioso. E molto, molto, gradito.
Un beso ^^
Cat
   
 
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