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Autore: Losiliel    09/06/2023    1 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
.
[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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25

Un nuovo incarico

(o quando scopri che diventare adulti ha più di un significato)


 

Morifinwë si svegliò con la bocca impastata, la testa annebbiata e il vago ricordo di un sogno meraviglioso.

Un sogno in cui aveva partecipato alla Corsa del Cacciatore e aveva vinto, in cui suo padre l’aveva applaudito e la folla aveva inneggiato il suo nome.

Ci mise più di qualche istante a rendersi conto che non era stato un sogno. Aveva veramente vinto la gara più prestigiosa dell’Oscuramento! Aveva davvero sentito suo padre pronunciare quelle parole meravigliose: questo è mio figlio.

Morifinwë si sedette di scatto sul letto, colpito da un pensiero ancor più sconvolgente. Aveva baciato Hellë! Le aveva dichiarato i suoi sentimenti in modo inequivocabile.

Cosa gli era saltato in mente? Non le aveva forse promesso che non l’avrebbe più importunata con la sua imbarazzante cotta da ragazzino immaturo? Non le aveva forse promesso che se ne sarebbe rimasto al suo posto? Come poteva essere passato dal “rimanere al suo posto” a baciarla davanti ad almeno cento persone nel giro di una sola sera?

Hellë non l’avrebbe mai perdonato.

Eppure.

Eppure lei era andata all’Oscuramento per vederlo gareggiare. Aveva messo da parte la sua avversione per la festa organizzata dai Nati all’Est, aveva combattuto il timore di risvegliare antichi ricordi, messo a tacere il suo orgoglio, soppresso le sue paure. L’aveva fatto per stargli accanto, per dargli il suo sostegno nel momento più importante della sua vita.

Tutto questo poteva significare una cosa sola: Hellë teneva a lui. Teneva molto a lui. La sera precedente si erano dovuti separare in fretta, ma forse, in quello stesso momento, lei lo stava aspettando alla fattoria per dirgli quanto.

Morifinwë allontanò le coperte e si preparò ad alzarsi. Scoprì che Tyelkormo gli aveva tolto gli stivali la sera precedente, ma non i vestiti, che ora gli si appiccicavano addosso tutti spiegazzati. Lacci e forcine avevano dichiarato la resa e i capelli gli ricadevano in disordine sulla fronte e sulle spalle.

Qualcuno bussò alla porta. Il rumore gli procurò una leggera fitta alla testa e un vago senso di nausea.

Senza attendere una risposta, Nerdanel entrò portando un vassoio con un bicchiere d’acqua, qualche biscotto, una fetta di torta. La madre doveva avere un impegno fuori casa quel giorno, perché indossava un abito lungo e voluminoso e tra i capelli portava pettini d’oro e di smeraldo.

– Il tempo della colazione è andato, ma ti ho salvato qualcosa – disse.

Appoggiò il vassoio sul comodino e si sedette sul letto accanto a lui, raccogliendo l’ampia gonna attorno alle gambe.

– Devo farti i complimenti per ieri sera, a quanto pare – disse.

Morifinwë abbassò lo sguardo. – Non volevo nascondertelo, ma avevo paura che papà sarebbe venuto a saperlo.

– L’avevo intuito, Carnistir – disse lei in tono comprensivo, e poi aggiunse,  – e comunque ho fatto parlare Tyelkormo.

– Quel traditore! – esclamò lui.

– Non biasimarlo, so essere molto convincente – disse la madre. Poi lo guardò meglio: – Anche se evidentemente non si è attenuto a tutte le mie direttive.

Gli porse il bicchiere: – Meglio se annacqui un po’ quell’alcol.

Lui lo prese malvolentieri, il suo stomaco non sembrava propenso ad accogliere nulla, ma appena cominciò a bere scoprì di essere molto assetato. Quand’ebbe finito, lo appoggiò sul vassoio e tentò di intuire l’umore della madre dalla sua espressione. Non sembrava essersela presa per la sua omissione, ma volle esserne sicuro.

– Sei dispiaciuta? – le chiese.

– Sono dispiaciuta di non essere stata lì a vederti – disse lei, e gli diede un leggero bacio sulla guancia, – ma ti farai perdonare raccontandomi tutto per filo e per segno quando rientrerò stasera – concluse, e fece per alzarsi.

Morifinwë le posò una mano sul polso per fermarla. Se davvero Hellë lo stava aspettando, e più ci pensava più ne era convinto, certe cose era meglio saperle subito.

– Mamma… volevo chiederti – esitò, si morse un labbro, esitò di nuovo, poi disse tutto d’un fiato: – Credi che sia troppo giovane per prendermi un impegno con qualcuno?

Nerdanel si mise più comoda. – Ti dispiacerebbe essere più specifico?

– Un impegno sentimentale – disse Morifinwë. – Ho conosciuto una persona.

– Ieri?

– Lo scorso Ulvórë, in realtà.

Nerdanel lo osservò con più attenzione. – È una cosa seria, allora.

– Vorrei che lo fosse – cominciò Morifinwë, – ma… secondo te sono troppo giovane per una cosa del genere?

– Tuo padre e io eravamo due ragazzi quando ci siamo conosciuti e ci siamo innamorati – disse Nerdanel, e sorrise al ricordo.

– Ecco… – Morifinwë non riusciva a trovare le parole giuste, – il punto è che non è una ragazza.

– Oh! – disse Nerdanel, ma la sua sorpresa, se di sorpresa si trattava, non durò più di un attimo, – e lui ricambia il tuo interesse?

– Cosa? – esclamò Morifinwë, chiedendosi dove le andasse a pescare, sua madre, certe idee. – No, no… non è un “lui” – si affrettò a precisare. Poi prese un profondo respiro e disse: – È una donna adulta. Molto adulta. È una Nata all’Est.

Nerdanel non si dimostrò più sorpresa di prima: – In questo caso, lei ricambia il tuo interesse?

Morifinwë rimase un instante senza parole. Ogni tanto si dimenticava chi era sua madre. Quella che aveva sposato suo padre, tanto per dirne una.

– Non lo so – rispose, – mi ha detto che sono giovane e che avremmo potuto rimanere amici finché non avessi avuto ben chiari i miei sentimenti.

In realtà, Hellë gli aveva detto che sarebbero potuti rimanere amici finché l’infatuazione non gli fosse passata, ma alla luce degli ultimi avvenimenti Morifinwë pensò che piegare un pochino la realtà a suo favore non fosse poi così sbagliato.

– Un discorso molto ragionevole – approvò la madre.

– Già – Morifinwë incurvò le spalle, – forse dovrei dedurne che ha poco a che fare con l’innamoramento.

– Non necessariamente – osservò Nerdanel, – essere ragionevoli ed essere innamorati non si escludono a vicenda.

– Cosa dovrei fare, allora? – chiese lui.

Nerdanel gli ribaltò la domanda: – Tu cosa vorresti fare?

Vorrei sposarla oggi stesso, fu sul punto di rispondere. Vorrei vederla felice, anzi, di più, vorrei essere io l’artefice della sua felicità. Vorrei farle capire che la sua vita può essere meravigliosa, che tutti i dolori del passato possono essere cancellati, che può fare quello che vuole, ridere quanto le pare, e vorrei essere io quello che la fa ridere. E poi vorrei baciarla ancora, e meglio, e più a lungo.

No, forse questi dettagli era il caso di tenerseli per sé.

– Vorrei che potessimo rimanere amici finché non sarò abbastanza grande per chiederle di sposarmi – rispose, arrossendo un poco.

– Anche questo mi sembra ragionevole – disse la madre.

Morifinwë la conosceva abbastanza da capire che aveva qualcos’altro da aggiungere.

– Il tuo tono presuppone un “ma” – le disse.

Nerdanel annuì. – Ma non dimenticare che la donna di cui sei innamorato è una persona proprio come lo sei tu, con passioni, aspirazioni e desideri propri, esattamente come li hai tu. E i suoi sentimenti valgono quanto i tuoi. Se lei rifiuta la tua offerta, per quanto possa essere doloroso per te, devi rispettare la sua decisione.

– Dici così perché credi che rifiuterà?

– Tu sei un ragazzo meraviglioso, Carnistir, ma una donna adulta, che ha vissuto molti anni e fatto esperienze che noi fatichiamo persino a immaginare, se ha deciso di non avere un compagno può avere molti motivi che la spingono a non apprezzare il corteggiamento di qualcuno, a prescindere dal fatto che sia un uomo o un ragazzo.

Morifinwë ci pensò su. Tenersi a distanza in caso di un rifiuto non sembrava una cosa molto difficile da promettere, soprattutto quando il rifiuto appariva come una possibilità molto remota.

– Se sarà così, rispetterò la sua scelta – disse, – e mi farò da parte.

– Bene – approvò Nerdanel.

– E se invece accettasse… – Morifinwë arrossì. Come l’aveva chiamato la madre? – … il mio corteggiamento?

– Allora sarò felice di conoscerla.

La risposta immediata e sincera della madre gli ricordò che il problema non era lei. Non era mai stato lei.

– Papà non approverebbe mai – disse.

– Non è detto – ribatté Nerdanel, e poi aggiunse con un sorriso a fior di labbra, – e comunque, sarebbe un problema se non lo facesse?

Che domanda! Era tutta la vita che faceva le sue scelte sperando che il padre le approvasse. O che non faceva le sue scelte per paura che il padre le disapprovasse.

Eppure, in quel momento, con ancora in testa l’eco del suo nome scandito dalla folla, e quelle parole – Questo è mio figlio – incise nel suo cuore, scoprì che la risposta a quella domanda non era più la stessa.

– No, non credo sarebbe un problema – rispose. E poi disse, con maggiore decisione: – Sono pronto ad affrontare mio padre.

– Molto bene – disse Nerdanel, alzandosi, – perché ti vuole vedere nel suo studio appena sarai pronto a scendere.



 

Era la prima volta che entrava nello studio di suo padre senza provare l’assurda – o, nella terribile occasione della gara di canoa, reale – sensazione di aver fatto qualcosa di cui avrebbe dovuto scusarsi. Niente stomaco contratto mentre bussava alla sua porta e attendeva di essere ricevuto. Solo una leggera apprensione, che gli faceva correre il cuore un po’ più in fretta del normale, e una buona dose di insofferenza, perché i suoi piani per raggiungere Hellë il prima possibile avevano incontrato un ostacolo.

Un ostacolo che non si poteva scavalcare.

Fëanáro sedeva alla scrivania chino sulle sue carte. Le finestre incassate negli spessi muri del palazzo erano spalancate sul chiosco, e lasciavano entrare la luce del mattino e la gradevole brezza che lambiva la cima di Túna anche nella stagione più calda.

– Morifinwë – esordì Fëanáro, quando lui fece qualche passo dentro lo studio, – vieni, accomodati.

Davanti alla scrivania c’era una sedia già pronta per lui. Mentre Morifinwë prendeva posto, il padre, che non amava perdere tempo, cominciò.

– Mi ha sorpreso trovarti all’Oscuramento ieri sera, e mi ha sorpreso ancor di più la tua prova eccezionale; non tanto per l’eccellente risultato, ma perché presuppone una capacità di applicarsi con tenacia per raggiungere uno scopo di cui ancora non ti ritenevo capace. Sotto questo aspetto, ti avevo sottovalutato, ti chiedo scusa.

Morifinwë temette che aprir bocca avrebbe rotto l’incantesimo, quindi restò in silenzio.

– Mi fa anche piacere che tu ti sia riavvicinato a tuo fratello – continuò Fëanáro.

Lui pensò a tutto l’aiuto che aveva avuto da Tyelkormo dopo che aveva deciso di smettere di ritenerlo responsabile per il disastro della gara di canoa, e ai bei momenti trascorsi con lui durante gli allenamenti. – Sì, credo di aver capito le sue intenzioni.

Il padre annuì: – Turkafinwë si è trovato più volte in quel genere di situazioni quando era più giovane, e ha imparato cosa è meglio fare.

Erano più o meno le stesse parole che aveva detto la mamma.

– Ho imparato molto anch’io, ultimamente – ammise Morifinwë.

– Lo vedo – disse Fëanáro. E lo scrutò in silenzio per qualche istante.

Sotto quello sguardo penetrante Morifinwë si era sempre sentito valutato, giudicato ed etichettato. Adesso invece si sentiva, se non proprio compreso, almeno accettato.

Era una sensazione nuova e piacevole, ma allo stesso tempo imbarazzante, come se il prezzo per essere – finalmente – capito fosse quello di farsi scrutare nel profondo dell’animo, di mostrarsi per come si era veramente.

Morifinwë fu lieto quando il padre distolse l’attenzione da lui e, appoggiando le mani aperte sul piano della scrivania com’era sua abitudine quando esponeva concetti che voleva fossero ben recepiti, tornò a parlare col suo tono professionale.

– Ho notato che ti sei fatto molti amici nella comunità dei Nati all’Est, e sono certo che il tuo nome circolerà nell’ambiente ancora a lungo, soprattutto se intendi ripetere l’impresa nelle prossime edizioni dell’Oscuramento.

Morifinwë si fece più attento. Era certo che il padre volesse arrivare da qualche parte con quell’introduzione insolitamente lunga per lui, ma non riusciva a capire dove.

– Come certamente avrai capito – continuò Fëanáro, – io sono il collegamento tra il re e i membri più importanti della comunità dei Nati all’Est, quelli che loro chiamano gli Anziani. Ma i miei impegni sono sempre più numerosi e non so per quanto ancora riuscirò a farlo. Mi domandavo se non ti interesserebbe prendere il mio posto, un giorno. Potresti cominciare col venire con me quando io e il nonno ci troviamo per discutere di questi affari, per imparare come gestire le cose. Se te la senti.

Morifinwë dovette ripetersi più volte nella testa le parole del padre, per assicurarsi di averle sentite davvero. Gli era appena stato offerto un incarico ufficiale? E di grande importanza, per giunta. A lui?

– Papà, io – Morifinwë non sapeva cosa dire. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Senza dubbio c’era qualcuno più adatto. – Nelyo… – cominciò.

– Nelyafinwë ha già molti incarichi – lo interruppe subito Fëanáro, – sarà più che felice di non doversi assumere anche questo.

– Ma io – balbettò di nuovo Morifinwë. Non poteva essere vero. Andare a lavorare a fianco del nonno era uno dei suoi desideri che diventava realtà, e molto più presto di quanto avrebbe ritenuto possibile, – ma tu… tu ti fideresti di me?

– Sono convinto che faresti un ottimo lavoro – disse il padre, senz’alcuna esitazione.

Morifinwë deglutì un paio di volte prima di riuscire a rispondere: – Grazie, papà.

Fëanáro annuì con un impercettibile cenno del capo, quello che faceva quando le cose andavano come lui aveva previsto. – Allora siamo d’accordo – disse. – A dopo, Morifinwë.

Poi tirò fuori dal cassetto un foglio bianco, lo lisciò davanti a sé e intinse la penna nel calamaio. Il colloquio era finito.

Morifinwë si alzò su gambe leggermente instabili e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

Appena fuori dallo studio, appoggiato con la schiena alla parete del corridoio, c’era Tyelkormo. Braccia incrociate sul petto e il sogghigno di chi la sa lunga. Non si sforzava neppure di far finta di essere passato di lì per caso.

– Allora? – gli chiese il fratello. – Come ti senti?

Difficile dirlo. C’erano mille sensazioni che lottavano dentro di lui. Si sentiva esaltato, perché per la prima volta nella sua vita le cose andavano come voleva lui, e onorato, per la possibilità che gli era stata data, e confuso, perché tutto era accaduto troppo velocemente, e dubbioso, perché non sapeva se aveva le capacità richieste dal compito che lo aspettava. E per di più, aveva lo strano presentimento di aver fatto parte, inconsapevolmente, di una delle numerose macchinazioni del padre.

C’era una sola parola che poteva riassumere tutto questo.

– Terrorizzato – rispose.

Tyelkormo scoppiò a ridere.

– Benvenuto nel mondo degli adulti – gli disse, accompagnando le sinistre parole con una vigorosa pacca sulla spalla.



 

Morifinwë era così felice che la strada per arrivare alla fattoria gli sembrò di farla volando invece che in groppa a Morvail.

Non vedeva l’ora di raccontare tutto a Hellë. Un incarico a palazzo, come Russandol! Finalmente anche lui avrebbe potuto dimostrare le sue doti, al pari degli altri fratelli! Nel giro di pochi anni, quelli che gli mancavano per raggiungere la maggiore età, avrebbe avuto una posizione di tutto rispetto sia tra le alte cariche di Tirion che nella comunità dei Nati all’Est, e allora avrebbe chiesto a Hellë di diventare sua moglie e lei avrebbe detto di sì e la sua vita sarebbe stata perfetta.

Dopotutto, lei era stata al suo fianco durante la gara. Gli aveva detto: “Sei stato impeccabile”. Gli aveva detto che non pensava che fosse troppo giovane per prendersi un impegno. Aveva accettato il suo ciondolo. E, cosa più importante, non gli aveva spezzato il collo quando lui le aveva dato quel timido bacio impacciato.

Come in un esercizio di previsualizzazione, mentre galoppava entusiasta verso la fattoria, si ripetevano nella sua testa le immagini di cosa sarebbe accaduto di lì a poco: Hellë avrebbe aperto la porta, lui l’avrebbe presa per mano, accompagnata alla loro panchina, le avrebbe detto ciò che provava per lei in modo molto, molto meno pasticciato di come aveva fatto la notte prima, e l’avrebbe convinta a dargli una possibilità.

Quando arrivò nel piazzale davanti alla fattoria, saltò giù da Morvail prima ancora che lui si fermasse, superò con un balzo i pochi scalini che conducevano all’ingresso e bussò alla porta.

Come se fosse stato atteso, la porta si spalancò all’istante.

Ma sulla soglia non comparve la persona che lui si aspettava.

– Moryo! – esclamò Lissi saltandogli in braccio. – Moryo, sei un campione! Káino mi ha raccontato tutto! Voglio farlo anch’io quando sarò grande, con Magnifico. Me lo insegnerai tu, vero?

Senza aspettare una risposta, che evidentemente dava per scontata, la piccola si divincolò dalle sue braccia e gridò: – Káino! Káino, è arrivato Moryo!

E scappò alla ricerca del fratello.

Al suo posto apparve Rowen, che teneva in braccio la figlia.

– Moryo, che piacere vederti ancora tutto intero – disse, e riuscì ad abbracciarlo col braccio libero, – complimenti per la vittoria.

Tornata a reggere per bene la piccola, proseguì: – Dovevi vederti con Arsanarwë per programmare le lezioni del prossimo anno?

– Veramente volevo vedere Hellë – disse Morifinwë, trattenendosi a stento dal girarle attorno e correre in cucina.

– Hellë?

– Sì. È nei campi? – chiese, vedendo che Rowen non lo invitava a entrare. E gettò comunque un’occhiata in casa oltre le spalle della donna.

Rowen corrugò le sopracciglia. – Hellë ha lasciato la fattoria – disse. – Non lo sapevi? La sorella le ha chiesto aiuto per gestire una nuova attività, e Hellë ha deciso di trasferirsi da lei.

Un pugno di Tyelkormo dritto nello stomaco avrebbe fatto meno male.

– Quando? – chiese Morifinwë, quando riuscì a riprendere fiato.

– L’altra mattina, subito dopo che voi siete partiti per l’Oscuramento.

– No, intendevo dire, quando l’ha deciso?

– Diverse settimane fa – rispose Rowen, sempre più perplessa, – pensavo che lo sapessi.

Quel giorno! L’aveva deciso quel giorno, Morifinwë ne era certo. Quando lui aveva provato per la prima volta la variante ed era caduto da cavallo. Quando era stato così poco accorto da lasciar trapelare i suoi sentimenti più profondi. Quando non aveva tenuto fede alla promessa che le aveva fatto.

“Dove?” fu sul punto di gridare. “Dove è andata? Dove vive la sorella? Come posso raggiungerla?”

Ma poi si ricordò di ciò che gli aveva detto sua madre solo poche ore prima: bisogna saper accettare il rifiuto, bisogna rispettare le decisioni dell’altro.

Morifinwë vide crollare le sue illusioni come un castello di sabbia spazzato dall’onda del mare. La realtà gli si parò davanti dolorosa e innegabile: Hellë non lo stava aspettando.

E perché avrebbe dovuto farlo? Come poteva una donna adulta, una Nata all’Est, una Cacciatrice – una delle migliori – ricambiare i sentimenti di un ragazzino nato ieri, che non era nemmeno in grado di tenere a bada i propri istinti, né di tener fede alle promesse che faceva.

Quanto era stato stupido a pensarlo! La sua sciocca infatuazione gli aveva fatto interpretare male tutti i segnali. Hellë non era andata all’Oscuramento per stargli accanto, ci era andata per dirgli addio.

Non se ne stava forse andando via di corsa dopo la gara, prima che lui la fermasse? E non l’aveva forse respinto quando aveva cercato di baciarla la seconda volta? Il fatto che fosse abbastanza gentile da non allontanarlo sgarbatamente, non significava che avesse apprezzato il suo gesto. Come aveva fatto a non capirlo?

Si rese conto che era diverso tempo che non diceva nulla e che Rowen lo stava guardando sempre più preoccupata.

– Moryo, c’è qualcosa che non va?

Morifinwë sentì gli occhi che gli bruciavano. Tentò di rispondere qualcosa, ma aveva un nodo in gola che non andava né su né giù.

Alla fine scappò.

Prese Morvail e si precipitò lungo il viale, senza sapere dove andare.

Una parte di lui si immaginava di mettersi sulle tracce di Hellë, di trovarla e implorarla di perdonarlo, di prometterle che non avrebbe mai più sbagliato, che non si sarebbe mai più lasciato sfuggire ciò che provava, né il desiderio, né l’amore, niente di niente. Avrebbe chiuso tutto dentro di sé pur di poter passare ancora del tempo con lei, di vederla ridere alle sue battute, di trascorrere in silenzio il pomeriggio sulla loro panchina, di poter aspettare insieme, fianco a fianco, l’arrivo della luce nella prossima Meren Tulusto. E in tutte quelle successive.

Ma un’altra parte di lui – una parte che fino a poco tempo prima non sapeva di possedere – gli diceva che se lei se n’era andata era proprio perché tutte quelle cose non le voleva più condividere con lui, e che la cosa giusta da fare era rispettare la sua scelta.

In quell’ultimo anno Morifinwë aveva imparato molte cose, ma la più importante di tutte era che non esistevano soltanto i suoi desideri, e che quelli degli altri contavano tanto quanto i propri.

E che a volte, come dimostravano la mamma e quel matto di suo cugino… a volte i desideri non si avverano mai.

Senza rendersene conto, imboccò la strada che conduceva al campo dove si era allenato fino al giorno prima. Già da lontano vide che il circuito era stato smantellato, il luogo era deserto, non c’era altro che il prato, i solchi scavati dagli zoccoli di Morvail, e un albero solitario.

Morifinwë scese da cavallo e avanzò sotto le sue fronde. Sul tronco qualcosa attrasse la sua attenzione: al chiodo dove era stato appeso il bersaglio c’era agganciato un piccolo oggetto. Morifinwë prese un rametto spezzato da terra, si alzò sulle punte dei piedi e lo usò per farselo cadere tra le mani. Era il bracciale di Hellë.

Se lo rigirò tra le dita.

L’esterno era come se lo ricordava, con i ricami arzigogolati, i lacci neri. All’interno la pelle era più morbida e più scura, ma nel centro c’era una scritta che doveva essere stata incisa da poco, perché spiccava chiara sullo sfondo.

Era una singola parola. Carnistir.

E quello era un addio, non c’era bisogno di un grande sforzo di interpretazione per capirlo. Era l’ultimo saluto della ex-Cacciatrice: un bracciale in cambio di un ciondolo e tutto quello che c’era stato, o che non c’era stato, finiva lì.

Morifinwë si portò il bracciale alle labbra e chiuse gli occhi.

Devi lasciarla andare, si disse.

Si appellò a quella parte di sé che aveva appena imparato a conoscere. Quella che gli diceva che la volontà degli altri andava rispettata. Che lui non era più il centro del suo mondo.

Devi lasciarla andare, si ripeté.

Pensò alle cose che aveva guadagnato in quell’ultimo anno: la fiducia in sé stesso, l’ammirazione del padre, l’incarico a palazzo che desiderava da sempre. E poi ancora: nuovi amici e un modo diverso di vivere il rapporto con i fratelli, o almeno con uno di loro. Il rispetto di molti.

Era un lungo elenco. Cercò di convincersi che valeva il prezzo che l’aveva pagato.

Si infilò il bracciale al polso e strinse i lacci con decisione.

Devi lasciarla andare.

Cercò la forza per voltarsi, per tornare sui suoi passi e andare avanti con la sua vita senza di lei.

Per un attimo ebbe paura di non farcela.

Poi dalle sue spalle giunse un rumore di zoccoli al galoppo, uno che lui conosceva bene.

Nascondersi sarebbe stato impossibile, e comunque Morifinwë aveva bisogno di essere trovato o non si sarebbe mai più mosso da quel prato. Si passò una mano sugli occhi e si voltò.

Káino scese al volo da Haninkë e gli corse incontro. Sul viso un’espressione che lui non ebbe il tempo di decifrare perché l’amico lo raggiunse in due balzi e lo abbracciò. Una stretta forte, ruvida, irruente. Lo abbracciò come uno che voleva strappargli di dosso la tristezza per farsene carico. Lo abbracciò come uno che sapeva ciò di cui Morifinwë aveva bisogno.

Poi, come se niente fosse, lo lasciò andare e tornato il Káino di sempre esclamò: – Andiamo, campione, non credere che perché hai vinto una garetta da niente puoi avere la meglio su di me!

E con un balzo fu di nuovo a cavallo.

Morifinwë fece segno a Morvail di avvicinarsi, rincuorato da quell’abbraccio più di quanto si aspettasse. Saltò al volo sul suo dorso e si mise sulla scia dell’amico che aveva preso per i campi in direzione di Valmar. Avrebbe dovuto impegnarsi se voleva raggiungerlo.

Incitò Morvail e l’animale reagì con estrema prontezza, come se anche lui non vedesse l’ora di scrollarsi di dosso l’umore nero del suo padrone.

Il vento gli asciugò le lacrime dal viso e a Morifinwë sembrò di ricominciare a respirare. Un nuovo anno lo aspettava, ricco di prospettive. Un prestigioso incarico a fianco del padre e del nonno. Nuovi successi alla Corsa, se si fosse allenato ancora e meglio. E lui aveva tutta l’intenzione di farlo.

Era pronto. Si sentiva attirato dal suo futuro come mai lo era stato.

E allo stesso tempo soffriva come mai avrebbe creduto possibile, perché la persona di cui si era innamorato non avrebbe fatto parte di quel futuro.

Davanti a lui Káino superò il canale che delimitava il campo con un salto perfetto sottolineato dal suo inconfondibile urlo di gioia. Morifinwë sentì le labbra piegarsi in un sorriso e non esitò a seguirlo. Nell’atterrare sull’altra sponda, il laccio che teneva i suoi capelli si allentò e lui scosse la testa per liberarsene del tutto.

Mentre la terra sfrecciava sotto gli zoccoli di Morvail e il fulgore di Laurelin in piena fioritura pennellava d’oro le spighe mature, Morifinwë riuscì a pensare a una cosa sola.

Diventare grandi era una faccenda complicata.

E costava caro.

 


 

 

LA CORSA DEL CACCIATORE

—   FINE   —

 




 


NOTE

FINITO! (Per ora)
Vi è piaciuto? Vi ha divertito? Vi ha interessato? Oppure vi ha annoiato, e avete resistito fin qui solo perché speravate in qualcosa che poi non è mai arrivato? Quanto mi piacerebbe saperlo! Ma, come Moryo ci insegna, i desideri non sempre si avverano, quindi taglio corto e passo a cose più importanti.

Innanzitutto, i ringraziamenti.

Ringrazio voi che avete letto la storia fino alla fine. Ringrazio chi mi ha dato fiducia, chi ha creduto nella mia storia, che si è lasciato conquistare dalle vicende di uno tra i meno popolari tra i figli di Fëanor (a giudicare dal numero delle fanfic che girano su di lui). Grazie per avermi tenuto compagnia in questi sei emozionanti mesi.

Un ringraziamento particolare va a Melianar e a AdhoMu, che hanno recensito la storia durante la pubblicazione. Quando ero con l’acqua alla gola in quei venerdì particolarmente densi di impegni, o quando rileggendo il capitolo prima di metterlo online non lo trovavo buono come volevo, mi è bastato pensare alle vostre recensioni per tenere a bada l’ansia e ritrovare l’entusiasmo. Vi devo molto. Grazie ragazze.
E come dimenticare Navicellaspazialerotta che, con i suoi telegrafici messaggi, ha seguito Moryo e i suoi amici dal primo all’ultimo capitolo? Grazie Navi.

Ultima in elenco, ma prima per importanza, è la persona senza la quale questa storia non sarebbe mai uscita dal mio computer: la mia beta Kanako91. I suoi consigli hanno reso la storia migliore e il suo incoraggiamento mi ha dato abbastanza fiducia da decidere di condividerla. Grazie di cuore Kan, per tutto.

Ed ora ecco la risposta alla domanda che tutti vi state facendo: sì, ci sarà un seguito!
Sarà una storia dai toni più cupi, perché racconterà di come Morifinwë, ormai adulto, dovrà vedersela con i malcontenti che serpeggiano tra i Noldor, con le incomprensioni in famiglia e con la sua atipica storia d’amore (sì, proprio quella a cui state pensando). È già quasi completamente scritta, ma ho imparato che per me la revisione è la parte più lunga e difficile della scrittura, e che gli imprevisti sono sempre in agguato, quindi non voglio fare previsioni che sarei costretta a disattendere.

Nel frattempo vi saluto.
Herenya-coi, dear readers, e che i vostri desideri si avverino ❤︎

Losiliel

 


Ooops... quasi dimenticavo le note di fine capitolo:

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Carnistir = Caranthir
Tyelkormo, Turkafinwë = Celegorm
Fëanáro = Fëanor
Nelyafinwë, Nelyo, Russandol = Maedhros

Personaggi di mia invenzione
Káino, il migliore amico di Morifinwë
Lissi, la sorellina di Káino
Rowen, la fondatrice della fattoria, allevatrice di cavalli
Arsanarwë, il maestro di matematica di Morifinwë, marito di Rowen
Morvail, il cavallo di Morifinwë
Haninkë, il cavallo di Káino

Nomi di mia invenzione
Ulvórë, una stagione a metà tra l’autunno e un mite inverno
Meren Tulusto, la Festa dell’Arrivo, importante ricorrenza che festeggia l’arrivo dei Noldor in Aman

E se volete vedere un’altra volta il “mio” giovane Moryo e la “mia” Hellë, eccoli qui.
[ Un giovanissimo Miles McMillan nei panni di Moryo, e una giovane Hilary Swank nei panni di Hellë ]

  
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