Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: _Agrifoglio_    10/06/2023    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La-fine-di-Napoleone

Sic transit gloria mundi


800px-Embarquement-de-Bonaparte-bord-du-Bellerophon-en-1815

 
Inghilterra, Plymouth, 7 agosto 1815
 
A bordo della lancia che lo stava trasportando verso la Northumberland, una nave da guerra più adatta della HMS Bellerophon alle lunghe traversate, Napoleone guardava corrucciato le piccole onde del mare brillare sotto il sole di agosto e infrangersi sullo scafo. Ogni tanto, rivolgeva un’occhiata gelida alle decine di civili che, da altre lance galleggianti a distanza di sicurezza, erano venute a godersi lo spettacolo del perturbatore della pace universale che se ne andava in esilio, così da non nuocere più al mondo.
Nella mente, gli si riaffacciavano, rapidi, i ricordi delle ultime settimane in cui tutto era precipitato.
Tornato a Milano, alla fine di giugno del 1815, allo scopo di organizzare la campagna difensiva programmata all’indomani del disastro di Waterloo, era stato costretto dal Senato e dal Governo a una seconda abdicazione.
Essendogli giunta notizia che sia Re Luigi XVII di Francia sia Re Federico Guglielmo di Prussia ne avevano chiesto l’estradizione, l’ex Imperatore era fuggito di notte, con l’intento di riunirsi all’esercito che aveva lasciato nei Paesi Bassi, per, poi, partire alla volta degli Stati Uniti, dove avrebbe fatto lo scienziato, almeno per i primi tempi.
Arrivato al porto di Ostenda, non si era potuto imbarcare, dapprima, perché il mare non era favorevole e, successivamente, perché gli inglesi avevano organizzato un blocco navale. Nel timore di essere catturato dai prussiani che lo avrebbero sicuramente fucilato, il 15 luglio 1815, si era consegnato agli inglesi, ben sapendo che da loro non sarebbe stato ucciso né imprigionato.
A bordo della HMS Bellerophon, era stato trasferito a Plymouth, con promessa di essere inviato in una tenuta di campagna in territorio inglese. Ciò che non gli era stato subito detto è che la tenuta di campagna cui era destinato si trovava nella remota isola di Sant’Elena, uno scoglio di centoventi chilometri quadrati, sito millenovecento chilometri a ovest della costa africana, all’epoca dominio britannico.
D’un tratto, gli occhi di colui che era stato l’uomo più potente d’Europa si incrociarono con quelli di colei che aveva allontanato per sposare la figlia dell’Imperatore d’Austria, col risultato di fare la figura del parvenu e di essere abbandonato da entrambi.
Dapprima, pensò a un’allucinazione, frutto della costernazione e della stanchezza, non parendogli possibile che ella fosse giunta sin lì e che, ora, sedesse su una lancia a pochi piedi da lui. Guardò meglio e dovette ricredersi. Era proprio lei, l’amore della vita che aveva sacrificato all’ambizione e alle menzogne della gloria. Provò un tuffo al cuore mentre ruotava la testa, per non perdere il contatto visivo e gli parve che anche lei fosse commossa mentre lo guardava fisso, di quella commozione che conosceva bene, per avergliela vista dipinta in viso tante volte, dopo che aveva pianto.
Si guardarono in silenzio e per l’ultima volta Napoleone Bonaparte e Joséphine de Beauharnais, finché la lancia giunse sotto la Northumberland e l’equipaggio si alzò in piedi, interrompendo per sempre quell’ultimo, muto dialogo.
 
The fault, dear Brutus, is not in our stars, but in ourselves, that we are underlings
(William Shakespeare, Giulio Cesare, Atto I, Scena III, Versi 140 – 141)
 
********
 
Belgio, settembre 1815
 
In un gazebo di marmo abbellito da fiori e rampicanti, Oscar e André discutevano pacatamente, come spesso capitava loro di fare in quelle lunghe giornate di debolezza e immobilità.
Ospiti di una famiglia nobile belga che, come altre, aveva aperto le porte di casa agli ufficiali feriti, stavano trascorrendo il terzo mese della convalescenza di Oscar.
La corsa di Lisimba era stata tanto convulsa quanto provvidenziale e si era conclusa tempestivamente nel più vicino ospedale da campo dove ai due feriti erano stati prestati i primi soccorsi. La lealtà del prode africano si era spinta al punto che, dopo essere arrivato all’ospedale, malgrado la stanchezza, era tornato indietro e non si era fermato finché non aveva recuperato entrambi i cavalli dei padroni.
Ad André erano stati riscontrati una ferita a un braccio – senza frattura dell’osso e senza necessità di estrarre il proiettile che, per fortuna, era fuoriuscito – e un trauma cranico, conseguito all’aver battuto la testa, cadendo da cavallo.
Le condizioni di Oscar, invece, erano apparse subito disperate, perché un polmone era stato perforato dalla lancia. Dopo alcuni giorni di febbre altissima, passati quasi esclusivamente in stato di incoscienza, tuttavia, la forte fibra della donna era prevalsa e il medico si era dichiarato moderatamente ottimista.
Ora che era entrata nel terzo mese di convalescenza, il medico le aveva comunicato che, se non ci fossero stati peggioramenti improvvisi, fra quattro settimane, avrebbe potuto iniziare il viaggio di ritorno, da fare, però, a brevi tappe.
– Un po’ mi dispiace per lui, André… Ha tentato di cambiare il suo destino, di divenirne padrone, ma i sogni che lo animavano si sono infranti contro i demoni che gli si agitavano dentro prima ancora che contro le armate nemiche.
– Ha fatto le sue scelte, Oscar. Aveva l’intelligenza per valutarle e tutte le possibilità di fermarsi prima di trascendere. Avrebbe potuto fermarsi prima di massacrare i civili in Siria e non l’ha fatto. Avrebbe potuto fermarsi prima di tramutare Pavia in un cimitero o ad Austerlitz, prima di massacrare a colpi di cannone i nemici che stavano fuggendo o prima di invadere la Russia. Non l’ha mai fatto. Avrebbe potuto fermarsi prima di fucilare Girodel e non l’ha fatto.
– Avrebbe potuto fermarsi in Egitto, prima di mettere un sicario alle tue calcagna e non l’ha fatto – concluse Oscar, piena di dolore e di amarezza.
André chinò gli occhi senza rispondere.
– Il fatto è che penso di avere molto in comune con lui… l’ardore della battaglia che, sin dalla primissima giovinezza, mi è sempre bruciato dentro come un fuoco inestinguibile… un carattere indipendente e refrattario alle regole… un orgoglio smisurato… la testardaggine tipica della mia famiglia… essere una solitaria e una ribelle, un’individualista che vuole sempre fare a modo suo…
– Alcune analogie sono innegabili, Oscar, ma tu non sei Napoleone. Tu possiedi un’etica e un senso di giustizia che egli non ha e non avrà mai. Tu rispetti e valorizzi le persone e sei leale con loro. Lui le sfrutta e le manipola. Tu insegui la giustizia, lui soltanto l’interesse personale. Tu credi profondamente nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità mentre Napoleone se ne riempiva la bocca a scopo di propaganda, per diffondere l’imperialismo con la scusa di esportare la democrazia. Ci credi anche più di Robespierre e di Saint Just che, a parole, inneggiavano a questi ideali, ma, nella sostanza, neanche sapevano dove stessero di casa.
André tacque per alcuni istanti, perché la stanchezza e la confusione, ogni tanto, si impadronivano di lui, da quando aveva battuto la testa. Prese, fra le sue, le mani fredde di Oscar e le strinse con delicatezza, per, poi, proseguire con fervore crescente:
– Tu sei generosa, giusta, incapace di mentire, rude fuori, ma buona dentro. Lui è egoista, prepotente, dissimulatore, troppo pieno di sé per accorgersi degli altri. Da giovane, volevi diventare un soldato perfetto, andare in battaglia con il fucile in mano, ma soltanto per compiacere tuo padre, per dimostrare qualcosa a te stessa e per colmare un vuoto che c’era dentro di te. Ora che, nella tua anima, ci sono dei valori autentici e consolidati, gli orpelli sono andati via. Napoleone certi vuoti non li ha mai colmati ed è perennemente in guerra con il mondo intero.
Oscar trasse un profondo sospiro e chiuse gli occhi, quasi a voler trattenere dentro di sé dei pensieri pesanti da sostenere.
– Non sono soltanto le mie affinità con Napoleone a turbarmi! Oh, André, in tutti questi anni, ho visto ciò che i manuali di strategia militare e i poemi omerici e cavallereschi non dicono! Ho visto militari e civili morire, ho visto granate piombare dal cielo e fare a pezzi soldati che, fino a un minuto prima, avevano parlato e scherzato. Ho visto soldati di tutte le età piangere e proteggersi la testa sul campo di battaglia e altri perdere la lucidità e andare completamente nel panico. Ho visto uomini e animali afflosciarsi a terra col cuore schiantato, per lo sforzo di smuovere un carro o un affusto di cannone le cui ruote erano affondate nel fango. Un carro o un cannone sono più importanti della vita di un uomo o anche soltanto di un povero animale! Ho sentito l’odore della polvere da sparo mischiarsi a quello acre del sangue! Ho udito le grida strazianti dei feriti, amputati senza laudano negli ospedali da campo o lasciati morire nei campi di battaglia! Questa è la gloria militare, André! E’ questa! Non le gesta del pelide Achille e del prode Orlando! La guerra è un rimedio estremo che serve a respingere l’aggressore e a difendere la patria, la famiglia, gli averi, il lavoro. La guerra non va inseguita e promossa a sistema di vita, la guerra per la guerra! E i civili, poi! So che molti contadini della Vallonia hanno nascosto i soldati napoleonici per sottrarli alla furia dei prussiani. Li hanno celati sotto il fieno, li hanno rivestiti dei loro abiti, dopo avere bruciato le divise, li hanno sfamati! Noi abbiamo distrutto i loro raccolti e le loro case, li abbiamo gettati sul lastrico e quelli hanno protetto i soldati! Non ci saranno medaglie per quei contadini!
Tacque perché sopraffatta dal fervore e dalla concitazione e, in quelle condizioni, il polmone ferito le rendeva difficile respirare.
Dopo alcuni istanti, ricominciò:
– Non parteciperò mai più a una battaglia, André. Io, con la guerra, ho chiuso. Manterrò l’incarico di Comandante Supremo delle Guardie Reali, ma, d’ora innanzi, svolgerò soltanto lavoro d’ufficio. L’età e le condizioni di salute non mi consentono altro e sono nauseata. Anche le missioni operative di polizia le lascerò ai miei subalterni. Mi limiterò a prendere le decisioni e a coordinare il lavoro delle Guardie che comando. Te lo prometto solennemente, André!
 
********
 
Reggia di Versailles, ottobre 1815
 
Tornata a Versailles due giorni prima, contro il parere del medico che avrebbe voluto che si riposasse almeno per una settimana, Oscar si era recata alla reggia. Era pallida e, se possibile, ancora più magra del consueto, ma il portamento era sempre fiero e, sul volto emaciato, gli occhi brillavano più che mai di dignità e forza.
Il Re era in udienza con alcuni Ministri e l’avrebbe ricevuta nel primo pomeriggio. La Regina madre, invece, appena aveva saputo che l’amica era tornata, aveva insistito per incontrarla immediatamente.
Penoso fu il tuffo al cuore che Maria Antonietta avvertì nell’accorgersi delle condizioni di Oscar che da sempre, per lei, era l’immagine della forza e, tuttavia, non volle sottolinearlo. Un po’ se l’aspettava e, poi, erano cresciute insieme, si erano fortificate nelle avversità aiutandosi vicendevolmente ed erano diventate due rocche inespugnabili che si conoscevano abbastanza bene da sapere che non amavano essere commiserate.
Nell’osservare l’incedere marziale e nobile di Oscar, alla Regina parve veder camminare il Generale de Jarjayes e provò una seconda stretta al cuore. Se fosse somigliata a sua madre, la Regina Maria Teresa, almeno la metà di quanto Oscar assomigliava al padre, tanti problemi che, in passato, avevano afflitto la Francia non ci sarebbero stati e, magari, di Bonaparte nessuno avrebbe mai sentito parlare.
– Sono lieta di rivederVi, Madame Oscar. Mi congratulo per il coraggio e il valore da Voi dimostrati nel corso della battaglia di Waterloo! Tutta la Francia loda le Vostre gesta e, nel regno, non si parla che di Voi!
– Maestà, ho fatto soltanto il mio dovere e, nascessi mille volte, mille volte lo rifarei. Adesso, tuttavia, l’età e le condizioni fisiche non mi consentono più di condurre un’esistenza movimentata. Col permesso del Re, vorrei mantenere l’incarico di Comandante Supremo delle Guardie Reali e mettere a disposizione delle Maestà Vostre e della Francia la mia esperienza e ogni ora che mi rimane da vivere. Vorrei, però, farlo, svolgendo un’attività d’ufficio, senza più prendere parte a una battaglia o a missioni con ruoli operativi. Ho combattuto per tutta la vita senza risparmiarmi e, ora, voglio mettere a frutto ciò che mi resta in altra maniera, perché, in cuor mio, so di essermi meritata la pace.
– Madame Oscar, non soltanto il Re vuole confermarVi nel Vostro incarico di Comandante Supremo delle Guardie Reali, ma desidera anche nominarVi Ministro della Difesa e insignirVi del grado di Maresciallo di Francia! Sappiate, inoltre, che, a giugno, a Parigi, in occasione del primo anniversario della battaglia di Waterloo, ci sarà una solenne parata militare, come non se ne sono più viste da anni e Voi sarete portata in trionfo! Sfilerete alla testa del Vostro esercito e sarete la protagonista assoluta dei festeggiamenti! E non è tutto! Il Re intende iniziare la costruzione di un grande arco di trionfo che sorgerà in una delle piazze più centrali di Parigi, le cui fondamenta saranno gettate nei prossimi mesi e questo monumento sarà a Voi dedicato e riporterà, scolpite nel marmo, le Vostre imprese! Naturalmente, il Vostro desiderio di non ricoprire più ruoli operativi sarà esaudito! D’ora innanzi, sarete una stratega!
– Maestà, gli onori che intendete tributarmi mi commuovono profondamente e Ve ne sono immensamente grata!
– Madame Oscar, siete la Leonessa di Francia, il nostro baluardo, la nostra forza! Siete una fonte di ispirazione per tutti noi!
– Maestà, ciò che dite si adatta più a Voi che a me. Dopo la morte di Re Luigi XVI, Vi assumeste la reggenza e ne portaste il peso, passando attraverso i moti rivoluzionari e le guerre napoleoniche. Senza la Vostra guida, nessuno di noi ce l’avrebbe fatta. Siete le degna figlia della Regina Maria Teresa!
Nell’udire quelle parole, Maria Antonietta si commosse enormemente e fu pervasa dalla gratitudine, perché si era sempre considerata inferiore alla madre. In realtà, però, dopo la vedovanza, aveva dovuto lavorare alacremente, assumendosi il peso di scelte difficili, con le sue sole forze e senza avere una preparazione adeguata a regnare. Come madre, poi, era stata sempre infinitamente migliore di Maria Teresa.
In quel momento, nel corridoio, si sentì l’inconfondibile rumore di una corsa di bambino, le porte si spalancarono e la Principessa Elisabetta, l’unica figlia del Re, fece irruzione nelle stanze della nonna.
La bambina aveva tre anni e mezzo e già dimostrava una notevole intelligenza e molta vivacità. Da sempre, provava una grande ammirazione e un profondo affetto per Oscar, da lei completamente ricambiato. Per molti, la Principessina era una delusione, perché avrebbero voluto un Delfino anziché una Madame Royale che la legge salica rendeva del tutto inutile. Ai genitori, a Maria Antonietta e a Oscar, però, la bambina piaceva esattamente com’era e non l’avrebbero voluta diversa.
– Sono lieta di VederVi, Altezza Reale – disse Oscar, con voce carezzevole e occhi dolci.
– E io sono felicissima di vedere Voi! – trillò la Principessa – Sono contenta che Napoleone non Vi abbia ucciso e che siate tornata sana e salva da noi!
Poi, con una proprietà di linguaggio considerevole per una bambina di quell’età e con un tono di voce molto maturo e anche un po’ buffo, proseguì:
– Mi piacete, Madame Oscar, perché, con la Vostra spada e la Vostra forza, comandate tanti uomini! Da grande, vorrei essere proprio come Voi!
 
********
 
Versailles, ottobre 1815
 
Era tornata a casa da pochi giorni e, malgrado le tante cose da fare, si era recata lì quasi subito, per adempiere un debito morale. Era ancora pallida, tanto da apparire appena più rosea della bianca lastra di marmo sulla quale era scolpito quel nome a lei ben noto.
Guardò con aria grave le lettere dorate incise sulla pietra e i ricordi di un passato lontano tornarono a ghermirla, portandole alla mente immagini di gioventù e di un mondo ormai finito.
– Siete stato vendicato. Colui che Vi ha strappato all’affetto dei Vostri cari è stato sconfitto. Ve lo dovevamo. Riposate in pace, Amico mio.
Si fece il segno della croce e si apprestò a voltarsi, quando una lacrima furtiva le solcò una gota.
– Mi ero ripromessa di non piangere, ma la vecchiaia incombe…
Si passò un dito sulla guancia, deglutì impercettibilmente e uscì dalla cappella gentilizia.
 
********
 
Reggia di Versailles, ufficio del Ministro degli Esteri, Vescovo de Talleyrand, ottobre 1815
 
– Sono lieto di rivederVi, Generale de Jarjayes, sopravvissuta a Waterloo e ricoperta di gloria. Posso affermare, senza timore di essere smentito, che, oggi, siete la persona più celebre di Francia.
Il Vescovo de Talleyrand guardava Oscar con la sua espressione bonaria e indecifrabile mentre si rivolgeva a lei con voce gentile e piana.
– Vi ringrazio, Eccellenza, siete troppo magnanimo con me, ma io non inseguo la fama e tantomeno la gloria. Esse sono menzognere e fugaci. La vittoria è un’impostora al pari della sconfitta.
– Siete estremamente saggia, Generale de Jarjayes. Pensavano le stesse cose anche gli antichi e pure loro erano saggi. Sic transit gloria mundi.
La guardò enigmaticamente per qualche istante e, poi, proseguì:
– Posso sapere perché mi avete chiesto udienza? Immagino non per dirmi che disprezzate la gloria.
– Che ruolo avete giocato nella fuga di Napoleone dall’isola d’Elba, Eccellenza? – chiese Oscar, senza preamboli.
– Siete diretta, oltre che saggia – rispose il Vescovo – Ho giocato il ruolo di ogni altro essere umano: stupito con moderazione.
– Con moderazione?
– Da Bonaparte c’era da aspettarsi di tutto.
– Eppure, in quei frangenti, Voi sembravate il meno preoccupato di tutti… e Vi consultavate spesso col Principe von Metternich.
– Consultarsi fra diplomatici non mi sembra un grande crimine – ridacchiò il Vescovo con finta aria innocente – Sempre che tutto avvenga davanti a un buon cognac!
– Lo diventa quando le consultazioni hanno l’effetto di fare evadere un noto guerrafondaio!
– Proviamo a ipotizzare, per puro esercizio dialettico, che ci sia una grande riunione di antilopi e gazzelle. Esse sono allegre e spensierate, brucano l’erba, si abbeverano alla sorgente, fanno tutto, tranne quello per cui si erano riunite: decidere il da farsi. Adesso, ipotizziamo, sempre per puro esercizio dialettico, che il leone che tanto le terrorizzava riesca a fuggire dalla gabbia dove era stato rinchiuso. Ritenete che quelle antilopi e quelle gazzelle continueranno a trastullarsi amenamente o si metteranno finalmente d’accordo? Ah, dimenticavo, la fuga del leone non aveva molte possibilità di durare a lungo, si trattava di uno spauracchio più apparente che reale.
– Devo, quindi, immaginare che un’antilope e una gazzella un poco più intraprendenti abbiano involontariamente lasciato aperta la gabbia del leone? – chiese Oscar, con aria severa.
– Le vie del Signore sono infinite – rispose placidamente il Vescovo.
– Eccellenza, nel carteggio di Napoleone, sono state trovate delle missive di Vostra provenienza e, in una di queste, gli assicuravate che sarebbe stata Vostra massima cura adoperarVi affinché la Francia fosse riunita sotto un’unica corona.
– Non ho mai specificato quale.
– Suvvia, Eccellenza, era una lettera indirizzata a Bonaparte, di quale corona si sarebbe dovuto trattare?!
– Generale de Jarjayes, Voi siete un militare e non un diplomatico. Nel mio mondo, se si vogliono ottenere dei risultati, occorre giocare su più tavoli e promettere… che non vuol dire mantenere.
– Eccellenza, avete strizzato l’occhio a Napoleone e, prima di lui, ai rivoluzionari e, nel mentre, eravate e siete ancora un Ministro del Re di Francia. Quanti padroni avete servito, Eccellenza?
– Uno solo anzi una sola. Quella che hanno sempre servito i miei antenati e il cui benessere ho quotidianamente inseguito.
 
********
 
Passarono i mesi e il tempo restituì le forze alla leonessa ferita anche se qualcosa di lei era definitivamente morto sul campo di battaglia di Waterloo. Il polmone lacerato si era rimarginato, ma, ogni tanto, le procurava difficoltà respiratorie e attacchi di tosse.
Anche André si era ripreso, ma, dopo avere battuto la testa, aveva iniziato ad accusare alcuni annebbiamenti alla vista, inizialmente poco frequenti.
Lisimba aveva annunciato ai padroni che, con i risparmi accumulati in tanti anni di servizio, avrebbe iniziato a frequentare l’Università. Avrebbe dedicato la sua vita alla causa dell’abolizione della schiavitù e, nel mondo occidentale, avrebbe assunto il nome di Pierre Octobre, Pierre come il bambino vittima di sopraffazione e prepotenza, ucciso tanti anni prima, la cui storia lo aveva profondamente colpito; Octobre, perché era nel mese di ottobre che Oscar e André lo avevano conosciuto e liberato, cambiandogli per sempre la vita.
La giovane Giselle de Bourges, figlia di Diane, sposò il Marchese Héracle Domitien d’Amiens, figlio di Geneviève d’Amiens e del Conte di Compiègne. In molti notarono l’elevazione sociale della ragazzina che, provenendo dalla piccola nobiltà, era diventata moglie di un ricco Marchese il cui padre era imparentato con la famiglia Girodel e la cui madre aveva sposato, in seconde nozze, un Duca, a sua volta imparentato con i Talleyrand. Fiero testimone delle nozze fu lo zio materno che presenziò con indosso la sua divisa da Generale.
Alain era stato reintegrato nell’esercito di Luigi XVII e aveva potuto mantenere il grado di Generale, così da conservare intatti lo stipendio e la pensione. La madre, purtroppo, era morta senza che i due fossero riusciti a riconciliarsi. Madame de Soisson non aveva mai accettato che il figlio si fosse schierato con Napoleone e, poiché la morte della signora era avvenuta prima del ritorno del figlio dalla Campagna di Russia, nessun perdono c’era stato. Alain si portò dietro questo dolore fino alla morte. Allo stesso modo, mai riuscì a dimenticare la delusione inflittagli da Jeanne de Valois. Per tutta la vita, restò guardingo nei confronti dell’altro sesso e non si sposò mai.
Durante i cento giorni, Maria Luisa d’Asburgo Lorena era vissuta con l’incubo di dover tornare al fianco di Napoleone e mai smise di benedire l’esito della battaglia di Waterloo (o di Mont Saint Jean o de La Belle Alliance) che l’aveva per sempre liberata del consorte. Sorda a ogni supplica dell’ex Imperatore che la implorava di raggiungerlo, si trasferì nel Granducato di Parma, dove visse felicemente e serenamente, amata e rispettata dai sudditi, con a fianco il suo amante, il Conte Adam Albert von Neipperg, da cui ebbe alcuni figli, due dei quali raggiunsero l’età adulta.
Il primo figlio dell’Arciduchessa, nato da Napoleone, restò, invece, in Austria, dove assunse il titolo di Duca di Reichstadt e fu amatissimo dal nonno Imperatore. La madre, che, quando viveva alla corte di Milano, tanto si era lamentata di non poterlo vedere quanto avrebbe voluto, non rinunciò al suo Granducato per stargli accanto e non lo incontrò che sporadicamente, durante le sue visite a Vienna.
Il Duca di Wellington fu, per qualche anno, Ambasciatore inglese a Parigi dove fu raggiunto dalla moglie Kitty. Qui, la Duchessa strinse amicizia con Oscar e André, con l’ormai anziana Madame de Jarjayes e con Madame de Staël mentre il marito si dava alle avventure galanti.
Il sogno della Duchessa di rinverdire l’amore che aveva unito lei e Arthur in gioventù non si realizzò mai. Kitty morì il 24 aprile 1831, a cinquantotto anni e, nell’imminenza del trapasso, ebbe una lunga conversazione col marito, al termine della quale egli si stupì di come le persone potessero vivere insieme per metà della vita e capirsi solo alla fine.
La scontentezza del Duca di Wellington verso la moglie si estese ai due figli con i quali egli non ebbe mai un rapporto sereno e che vissero col peso di non essere all’altezza del genitore. Lord Arthur riuscì a stabilire un legame disteso soltanto con i nipoti che ne rallegrarono la vecchiaia. Morì a Walmer, il 14 settembre 1852, all’età di ottantatre anni.
 
Duke-of-Wellington-Photo

********
 
Versailles, 8 maggio 1816
 
Giunse, infine, anche per Bernadette il momento di essere felice e, nella chiesa in cui, venticinque anni prima, era stata battezzata, si unì in matrimonio al suo Marchese.
La sposa era bella, elegante senza ostentazione, ma soprattutto era radiosa, di quella felicità che viene da dentro e si manifesta attraverso gli occhi.
In un giorno di maggio impreziosito dal profumo delle rose, sotto gli occhi commossi della madre, circondata dagli amici, la figlia del ladro e della governante raggiunse un rango più elevato di quello dei due pretendenti che l’avevano disdegnata, ma non era a questo che la sposa pensava. Pensava che finalmente anche lei, insieme all’uomo che amava, avrebbe avuto una famiglia e una casa sue, esattamente come le amiche.
L’occasione consentì a conoscenti di vecchia data di riunirsi.
C’erano Oscar e André e gli anziani Conti de Jarjayes. C’erano Honoré e Antigone con le famiglie e, fra i bambini, la bella Hélène, figlia di Antigone, teneva banco, pur essendo molto piccola.
La sorella dello sposo presenziò col marito, il Conte di Canterbury, con i figli e con i nipoti.
Venne anche Sir Percy Blakeney insieme alla moglie, una nobildonna francese da lui conosciuta tanti anni prima, quando, come Primula Rossa, calcava il suolo parigino per mettere scompiglio nei piani farneticanti di Robespierre.
Furono della comitiva anche Alain e la nipote Giselle, col neosposo Marchese d’Amiens. Con loro, c’erano Geneviève col secondo marito e la madre, l’anziana Marchesa d’Amiens. Essendo, infatti, tutti costoro originari di Lille come lo sposo, si conoscevano da molto tempo.
Oltre a questi ospiti, tanti altri invitati allietarono l’evento e il Re, la Regina e la Regina madre onorarono gli sposi con una lettera di felicitazioni e auguri.
Prima che il banchetto iniziasse, un paggio portò un cofanetto di velluto verde, contenente un dono, dicendo che era per la Signora Marchesa. Bernadette lo aprì e vi trovò dentro un magnifico brillante, più grande di una noce, che sfavillava alla luce del sole. Cercarono attentamente nel cofanetto, ma non trovarono il nome del donante.
Quel brillante somigliava incredibilmente alle gemme della collana dello scandalo, rubata tanti anni prima a due sfortunati fratelli gioiellieri da ladri scaltri, involontariamente aiutati da un ingenuo uomo di Chiesa. Oscar e André se ne accorsero e si guardarono stupefatti.
 
Brillanti

********
 
Parigi, 18  giugno 1816
 
Nel giorno della prima ricorrenza della battaglia di Waterloo, la grande parata preannunciata dalla Regina si svolse nelle strade di Parigi e fu un tripudio di insegne e di colori.
Il corteo regale attraversò le stesse vie che, in un universo parallelo più sfortunato, rappresentarono il percorso del patibolo e molte furono le grida di acclamazione. Il popolo aveva dimenticato la giovane Regina frivola e avventata e, ormai, apprezzava l’anziana e forte signora che era stata Reggente per tanti anni, dando prova di coraggio e lucidità.
Il cuore della rassegna fu senz’altro costituito dalla leonessa risanata, rinvigorita dal riposo e dall’affetto dei suoi cari. Malgrado il polmone offeso le desse, a volte, dei problemi respiratori, era di nuovo se stessa, forte e carismatica, anche se il fuoco guerriero si era definitivamente spento sul campo di battaglia di Waterloo.
Da poco elevata al rango di Duchessa, neo Ministro della Difesa e neo Maresciallo di Francia, alla testa dei suoi uomini, sfilava come una Regina, sotto gli occhi compiaciuti e commossi del padre che, nella sua vecchiaia, pensava che mai la vita avrebbe potuto dargli soddisfazione più grande. Dalla tribuna d’onore, anche André la guardava quasi che gli anni non fossero passati e il loro amore fosse giovane e forte come all’inizio.
Il viso della leonessa, tuttavia, non era fiero e baldanzoso come quello dei diciotto anni, quando i Delfini avevano visitato Parigi. Era un viso severo, nobilmente distaccato, su cui aleggiava un’espressione lievemente malinconica, per le vite dei tanti soldati che non ce l’avevano fatta. Vittoria e prezzo da pagare per conseguirla, è questo il volto della gloria. Non sentiero di acclamazioni, ma di fatiche costellate dalle tante morti di uomini di qualsiasi età.
 
********
 
Alcuni anni prima, grazie ai buoni uffici di André, Maurice Le Barde, il poetastro, ridotto in povertà, aveva ottenuto un posto di lavoro nella biblioteca comunale di Lille, dove aveva iniziato a studiare decine di volumi.
In previsione del giorno della sfilata, il poetastro, da tempo gravemente malato, insistette nel voler declamare dei versi di sua creazione alla presenza dei Sovrani, per celebrare la magnifica vittoria. Oscar e André riferirono a Maria Antonietta il desiderio del malato, facendo, però, presente che Le Barde era tanto strano da risultare imbarazzante. Maria Antonietta non se la sentì di rifiutargli quella cortesia e, fra le mille perplessità di chi lo conosceva bene, il poetastro fu ammesso alla presenza dei Sovrani.
Si presentò vestito sobriamente, col suo vero nome di Maurice Rodet, dopo avere accantonato l’altisonante soprannome di Le Barde e, per la prima e unica volta in vita sua, declamò dei versi di una tale delicata bellezza e di una così rara sensibilità da fare stupire gli astanti.
Se ne tornò a casa felice e soddisfatto, con una pensione reale, passando i suoi ultimi giorni nel ricordo dell’unica volta in cui era stato un Bardo.
 
********
 
Versailles, Palazzo Jarjayes, gennaio 1817
 
Oscar non aveva mai pensato che ciò sarebbe potuto realmente accadere eppure si trattava di un evento inevitabile. A gennaio del 1817, sulle soglie dei novantadue anni, il Generale de Jarjayes ricevette l’estrema unzione.
Due mesi prima, era improvvisamente mancata la moglie, andandosene con silenzio e discrezione, come era sempre vissuta. L’anziano ufficiale non si era mai ripreso da quella perdita e, nel mese più freddo dell’anno, subito dopo la conclusione delle festività natalizie, contrasse una brutta polmonite. Malgrado l’avvicendarsi al capezzale dell’infermo dell’Archiatra di Corte e degli allievi di lui, la malattia aveva avuto un decorso infausto e, in una gelida mattina di gennaio, il medico disse a Oscar di prepararsi al peggio e che, con ogni probabilità, il padre non avrebbe superato la notte. Fu fatto arrivare il Sacro Viatico e Oscar fece avvisare le sorelle.
Dopo avere salutato le figlie, i nipoti e André, il Generale, che era ancora lucido, volle restare solo in camera con Oscar.
– A quanto pare, è giunto il mio momento, Oscar. Non mi dispiace e neanche tu ti devi addolorare. Ho vissuto la vita che volevo e, oggi stesso, rivedrò tua madre. Sei stata il mio orgoglio, figlia mia, la mia più grande soddisfazione! Vederti sfilare alla testa del tuo esercito come Maresciallo di Francia è stata l’ultima grande gioia della mia vita! Sapere che sarà eretto in tuo onore un arco di trionfo, come per gli antichi Generali romani, è stato per me motivo di grande felicità! Sei la gioia, sei l’amore, sei l’opera più bella della mia vita!
L’anziano Generale tacque un attimo, scosso da un colpo di tosse.
– Padre, riguardateVi! – implorò Oscar – Non sforzateVi!
– I vivi devono riguardarsi, Oscar, non i morti… Soltanto una cosa mi rattrista, figlia mia… Il mio mondo morirà con me… L’era della nobiltà è finita e i leoni rampanti di Casa Jarjayes, presto, saranno materiale da museo, ornamento di carrozze da utilizzare soltanto nelle cerimonie solenni… L’epoca della borghesia sta già arrivando, è una classe giovane, forte e determinata e, presto, ci soppianterà. Abbiamo reso grande la Francia e l’Europa e, adesso, il nostro tempo sta per finire. Sta arrivando il tempo degli avventurieri, dei Bonaparte, di chi agirà anteponendo il profitto e il tornaconto personale al senso dell’onore. So che tu la pensi diversamente, Oscar e che ritieni che tutti gli uomini siano uguali. Gli uomini sono uguali davanti a Dio e, da un paio di decenni a questa parte, davanti alla legge, ma tutto si ferma qui. Ricorda le parole di tuo padre, Oscar! La democrazia è una grande menzogna, sarà lo specchietto per le allodole dei secoli a venire. In nome della democrazia, uomini senza scrupoli commetteranno innumerevoli nefandezze. Sfruttando i meccanismi della democrazia, perfetti lestofanti saranno eletti e schiacceranno i popoli più di quanto non abbiano fatto i nostri Re. Tu, Oscar, non dimenticare chi sei e da dove provieni e, quando arriverà il tempo delle scelte, schierati sempre dalla parte del tuo Re, della tua famiglia e, soprattutto, dalla parte che l’onore ti indicherà!
 
Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)




Joséphine de Beauharnais morì di polmonite quando Napoleone stava andando all’isola d’Elba mentre, in quest’ucronia, è sopravvissuta ed è tornata a vivere col primo (qui, unico) marito, sopravvissuto anche lui, al quale Napoleone aveva pagato tutti i debiti affinché si riprendesse la moglie.
Per la parte in cui Oscar dice che “La vittoria è un’impostora al pari della sconfitta”, mi sono ispirata alla poesia “Se” di Rudyard Kipling. Il brano relativo (“Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina / E trattare allo stesso modo questi due impostori”) è riportato anche nel Center Court di Wimbledon.
Il ritratto che ho postato è un dagherrotipo del 1844 del Duca di Wellington.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: _Agrifoglio_