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Autore: Nina Ninetta    15/06/2023    4 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ȼapitolo Ⱦre
“Տtefanito”
 
 
Stefano Parisi si guardò allo specchio per l’ennesima volta, acconciandosi il giubbotto di ecopelle sulle spalle e tirando su il colletto. Si passò le dita fra i capelli, rimettendo a posto un eventuale ricciolo ribelle che non ne voleva sapere si starsene al suo posto. Osservò la propria figura per intero e, finalmente soddisfatto, uscì dalla stanza, attraversando il breve corridoio fino alle scale che scese due a due, quasi saltellando.
«Io esco!» Annunciò, afferrando al volo le chiavi del motorino sul mobile all’ingresso, quindi aprì la porta e si fermò di colpo udendo la voce della governante che lo chiamava.
La donna, una peruviana che ormai lavorava presso la famiglia Parisi da prima che nascesse Stefano, si asciugò le mani sul grembiule e gli chiese dove stesse andando, la cena era quasi pronta e i suoi genitori sarebbero tornati a momenti, magari ai signori avrebbe fatto piacere stare un po’ in sua compagnia.
Stefano tornò indietro per lasciarle un leggero bacio sui capelli scuri, raccolti in una crocchia – il ragazzo però sapeva che erano lunghissimi, sfioravano il fondoschiena e, considerando che la donna non superava il metro e cinquanta, dovevano essere quasi la metà della sua intera altezza.
«Carmensita, tanto lo sai che tra un po’ uno dei due chiamerà per dire che ha avuto un contrattempo in ospedale.»
«I signori salvano vite» quasi volle giustificarli la peruviana, ma quando il telefono di casa squillò alzò gli occhietti marroni e dolcissimi su Stefano, il quale sollevò le spalle come a dire: visto, che ti avevo detto?!
Carmen “Carmensita” Viñales rispose alacremente al secondo squillo, bisbigliando pochi monosillabi prima di riattaccare. Si voltò verso Stefano, ancora fermo sullo zerbino, il portachiavi che roteava intorno all’indice e un sorriso sornione dipinto sul viso:
«La dottoressa o il dottor Parisi stasera? Chi ha avuto un’urgenza?»
«La señora» sospirò la governante, provando comunque a trattenere il giovane affinché aspettasse suo padre per cenare insieme o quantomeno mangiasse qualcosa prima di uscire.
Ma Stefano era già a cavallo del suo scooter – uno ZX - Dio grigio metallizzato che i genitori gli avevano regalato per i suoi 16 anni – intento a chiudere il casco mentre aspettava che il cancello automatico si aprisse quel tanto che bastava per lasciarlo passare. Carmensita rimase sulla soglia della bellissima villa dei dottori Parisi – cardiochirurgo lui, medicina pediatrica lei –, posta su una leggera collinetta dalla quale si poteva ammirare sia la Mole svettare sull’intera città, sia il Parco del Valentino che si estendeva proprio ai suoi piedi.
Carmensita scosse il capo con disappunto e tornò all’interno della casa, prendendo a sbrigare le sue mansioni. I pensieri però si alternavano tra ciò che aveva ancora da fare prima che rientrasse il padrone – a meno che non avesse chiamato anche lui per annunciare che si tratteneva in ospedale – e il piccolo Stefano, che tanto piccolo non era più.
Era un bravo ragazzo, il suo Stefanito, sempre rispettoso e affettuoso, a scuola aveva ottimi voti, eppure… eppure la donna lo vedeva spento. Sembrava condurre una vita a sé stante, completamente distaccata dai genitori.
E come dargli torto?
Era cresciuto praticamente da solo, certo, c’era sempre stata lei a fargli da balia, a imboccarlo, a metterlo a dormire, ad accudirlo quando aveva l’influenza; a portarlo all’asilo prima, poi alla scuola elementare, fino a quando non era cresciuto abbastanza da poterlo fare da solo. Non gli mancava nulla, economicamente parlando, veniva accontentato su ogni cosa.
Eppure gli mancava tutto.
Non aveva mai avuto dei veri genitori. Né un papà che lo portasse sulle giostre nei weekend, né una mamma che gli preparasse un brodino caldo quando ne aveva bisogno. Due genitori assenti, se non con il denaro.
Ma Carmensita Viñales sapeva che con i soldi non ci puoi comprare proprio tutto tutto nella vita. I sentimenti, ad esempio, quelli non si possono barattare, soprattutto se si tratta dell’amore di una mamma e un papà.
 

 
*
 
Stefano discese la collinetta a bordo del motorino e si immerse nella calma serale del capoluogo piemontese. Torino gli piaceva perché non era caotica, pur essendo una grande città. In pochi minuti raggiunse i suoi amici in piazza San Carlo, spense il motore e si tolse il casco, ravvivandosi i capelli con un gesto spontaneo. Il primo a raggiungerlo fu Fabio Morini, il quale sembrava avere per Stefano una specie di deferenza religiosa.
«Quanto sei bello!» Gli disse, dandogli un bacetto sulla guancia e passandogli un braccio intorno alla spalla, sebbene l’altro fosse molto più alto di lui.
Stefano sorrise e mentre insieme si avviavano al Mood – un luonge bar molto in voga tra i giovani – dove li attendevano il resto della comitiva, ne approfittò per chiedergli:
«Ce l’hai?»
«Ovviamente!»
«Dammelo!» Stefano stese un palmo.
«Eh?! Adesso?»
«Adesso.»
Fabio Morini arrossì, sembrava emozionato, mentre cercava qualcosa nelle tasche del giubbotto prima e dei jeans dopo. Quando finalmente trovò il foglietto di carta ripiegato a quattro lo passò all’amico. Quest’ultimo lo aprì, sghignazzò e lo richiuse.
«Hai in mente qualcosa di losco, lo so! Te lo leggo in faccia!» Fece ancora Fabio, su di giri pur non conoscendo il piano dell’altro.
«Diciamo che domani a scuola ci divertiremo un po’.» Concluse Stefano, facendo sparire il foglio nella tasca destra del giubbino di pelle scura, quindi salutò il resto della compagnia con strette di mano e baci sulle guance.
 
Barbara Scala era detta da tutti Barbie, perché era bella, aveva un fisico da fotomodella e morbidi boccoli biondissimi che le incorniciavano un viso di porcellana. Ma non era molto scaltra. Né intelligente. A scuola faticava a raggiungere la sufficienza e il suo unico pensiero pareva fosse l’estetica. D’altro canto, però, non aveva malizia. Non era una persona cattiva, aiutava quando poteva e si faceva abbindolare facilmente dal prossimo. Le piaceva essere guardata, stare al centro dell’attenzione, credere di essere tra le ragazze più popolari dell’istituto. E aveva un tallone d’Achille che praticamente conoscevano tutti, ma lei non sapeva che gli altri sapevano. Non era molto sveglia, appunto!
Barbara si allontanò dall’allegro gruppetto per accendersi una Merit e rimase qualche secondo a osservare l’incantevole piazza illuminata dalla luce soffusa dei lampioni. Sebbene fosse aprile inoltrato, la sera si alzava una leggera brezza che soffiava dalle Alpi e sembrava ripulire la città da tutti i fumi tossici che di giorno venivano rilasciati dalle fabbriche, rendendo l’aria decisamente più accettabile.
Stefano la raggiunse, chiedendole se avesse da accendere: aveva dimenticato l’accendino a casa. Barbie gli prestò il suo, arrossendo lievemente.
«Ti capisco, nascondere di fumare non aiuta. Per questo ho imparato a tenere l’accendino nel borsello dei trucchi che porto sempre dietro» spiegò lei, ignara del fatto che quella di Stefano era solo una scusa per parlarle.
«Io però non ho borselli per il trucco» scherzò lui e insieme risero, poi il ragazzo le porse l’accendino rosa shocking e inspirò la prima boccata di tabacco, sotto lo sguardo di lei, i cui occhi di un azzurro intensissimo brillavano.
Ma quanto era bello Stefano? Quei riccioli scuri e morbidi che gli ricadevano spettinati su tutta la testa, il viso dai lineamenti dolci, gli occhi con quel taglio appena allungato di un castano tendente al verde. E il fisico… spalle larghe, cosce piazzate, addome senza un filo di grasso. Ed era super intelligente, lo dicevano tutti. Anche i professori.
Stefano la guardò di sbieco e Barbara arrossì violentemente, muovendo con uno scatto secco il collo per volgere l’attenzione altrove. L’altro increspò le labbra in un ghigno che lei non notò: era il momento di affondare il colpo, ce l’aveva in pugno. Ovviamente!
«Stasera si sta proprio bene» cominciò, vago.
«S-sì» balbettò Barbara Scala. Da quanto tempo era innamorata di Parisi? Almeno tre anni, da quando avevano iniziato insieme il primo superiore.
«Senti Barbie, avrei un piacere da chiederti.»
La ragazza bionda si girò a guardarlo, stupita. Stefano non era tipo da chiedere favori agli altri, men che meno a lei, di solito accadeva il contrario.
«Si?»
«Tu in classe stai seduta dietro alla Lentini, giusto?»
«Si…»
Stefano sorrise con finto imbarazzo.
«Mi ricordo bene allora.»
Barbara sentì lo stomaco fare un doppio salto mortale: Parisi si ricordava dose fosse seduta in classe? Ma ciò significava che la guardava, la osservava mentre erano a scuola, a fare lezione, che lui… forse, chissà che…
«Barbie?»
«Eh?!» Lei sbatté le palpebre, tornando con la mente al presente. «Si?»
Stefano la scrutò, pensando che fosse un’oca senza cervello. Era stupida! La riteneva una delle persone più insulse che avesse mai conosciuto. Era bella, questo sì, una bellezza oggettiva avrebbe detto la sua professoressa di italiano, la Dell’Arco, ma insignificante. Sembrava un contenitore vuoto, decorato all’esterno ma senza niente dentro. Un soprammobile e basta.
«Domani, alla prima ora, dovresti mettere una cosa nello zaino della Lentini. Meglio ancora se nel libro di religione. Ci riesci?»
«Mettere cosa?» Per un momento il volto di Barbara si rabbuiò. Sapeva benissimo come la trattavano Stefano e i suoi accoliti alla povera Anita. Aveva sempre provato pena per lei, ma non aveva mai osato mettersi contro Stefano, il quale adesso le stava chiedendo una cosa che probabilmente l’avrebbe resa complice dei loro pessimi comportamenti.
«Ma niente! È solo uno scherzo per ridere un po’!»
«Non lo so Ste’, Anita mi sembra così indifesa.»
Stefano assottigliò lo sguardo. Accidenti, non credeva che quell’inetta avesse fatto obiezioni o messo in discussione il suo piano. Doveva affondare ancora meglio il colpo. Si lasciò cadere la sigaretta tra le dita e imprecò:
«Mannaggia! Era l’ultima!»
«Vuoi una delle mie?» Subito si fece avanti Barbara, che ancora teneva la sua a metà.
«No, dopo passo a comprarle. Grazie lo stesso.» Stefano si prese una pausa, prima di aggiungere. «Mi lasci solo fare due tiri dalla tua?»
Barbara “Barbie” Scala guardò prima la cicca fumante che teneva tra indice e medio, poi negli occhi di Stefano – Dio, era bellissimo! – quindi di nuovo la sigaretta, interdetta. Alla fine il ragazzo allungò la propria mano e le tolse la Merit tra le dita, con un gesto lentissimo e sensualissimo. Barbara sentì le nocche sfiorate da quelle di lui, un tocco ruvido e dolce, quindi lo osservò portarsi il filtro sporco di rossetto – il suo rossetto – alle labbra e inspirare a fondo. Un tiro più lungo del solito. Lo vide socchiudere gli occhi e bearsi quasi del sapore acre della nicotina. O forse stava assaporando il suo di…?
Barbara si fissò i piedi, il cuore le martellava nel petto e nelle tempie, la mente sembrava svuotata da ogni pensiero logico e insieme colma di tutti i pensieri del mondo. Aveva sentito dire che quando uno fuma dalla tua stessa sigaretta, oppure beve dalla tua stessa bottiglia, o ancora mangia dalla tua stessa forchetta, è come se ci si baciasse. Le labbra dell’uno si posano dove prima si sono posate quelle dell’altra e...  
«Grazie, Barbie» la voce profonda di Stefano Parisi la destarono dal turbinio di pensieri. Barbara si riprese la propria sigaretta, fissandola come il Santo Graal. Adesso, però, sarebbe accaduto l’inverso. Ossia sarebbe stata lei ad adagiare la bocca dove prima c’era stata quella di Stefano. Non ci riusciva, sentiva gli occhi di lui fissi su di lei e non riusciva a farlo. Era come spogliarsi nudi con qualcuno che ti osserva. Per questo motivo gliel’allungò di nuovo.
«Finiscila tu» disse senza guardarlo in faccia.
«Sei sicura?»
«Sì, sicurissima.»
«Grazie» ripeté Stefano, tornando a fumare. «Comunque, per quanto riguarda quello che ti ho chiesto prima, non fa niente, non ti preoccupare.» Il ragazzo attese che lei si proponesse, e quando si rese conto che non lo avrebbe fatto, poiché si era appena scusata, tentò il piano C. Altri non ne aveva. «Dopo chiedo a Giulia.»
Barbara spalancò gli occhioni azzurri. Giulia? Giulia Mazza? No! Giulia no! Era la sua compagna di banco solo perché i professori avevano deciso così. Non andavano molto d’accordo, e conoscendola di sicuro avrebbe accettato di aiutare Stefano solo per farle un dispetto. Inoltre, Giulia non si faceva scrupoli, si sarebbe venduta per una sigaretta o un caffè pagato. Una volta, alle scuole medie, aveva sentito che era stata sospesa per una settimana per aver picchiato un’altra ragazza che ci provava con il tipo che piaceva alla sua migliore amica.
Giulia Mazza avrebbe detto sì a Stefano e se poi tra i due fosse nata una bella amicizia che sarebbe sfociata in amore? Non poteva rischiare. In fondo, Stefano Parisi le aveva solamente chiesto di lasciare un foglietto nello zaino di Anita – nel libro di religione, precisamente – cosa diamine poteva contenere questo foglio di tanto pericoloso? Al massimo, ci sarebbe stato scritto un insulto alla quale la poverina era già abituata.
Alzò lo sguardo su Stefano che intanto stava spegnendo la sigaretta con la suola delle scarpe e quando fece per tornare indietro, diretto al Mood, Barbara lo fermò, annunciando che lo avrebbe fatto lei.
«Davvero?» Il volto di Stefano si illuminò in un sorriso di vittoria.
«Sicuro non sia nulla di pericoloso?»
«Non è una bomba carta, giuro!» Stefano le cinse le spalle con un braccio e insieme tornarono dai loro amici.
Barbara, detta Barbie, arrossì felice e con il cuore in tumulto.
Sì, Stefano Parisi era il suo punto debole. Lo sapevano tutti. Stefano compreso.  
 

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