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Autore: Nina Ninetta    15/05/2023    4 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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In questo capitolo (e nei prossimi) ci saranno abbreviazioni tipiche del linguaggio sms o chat, proprio per ricreare un maggiore coinvolgimento.
 




Ȼapitolo Ɗue

ȾhunderWhite



 
 
 
“Ciao Storm!”
“Ciao Ⱦhunder!”
“Ke fai?”
“Scrivo il nuovo capitolo della mia storia”
“Ho letto quello ke hai pubblicato ieri sera: bellissimo!”


Ad Anita brillarono gli occhi, mentre un sorriso spontaneo le nasceva sulle labbra. Ⱦhunder era l’unico a farle provare quelle sensazioni positive. Chattavano ormai da mesi, si erano conosciuti su un forum per giovani scrittori emergenti – ambulanti si definiva lui – e la cosa buffa, che aveva subito attirato entrambi, erano stati i loro nickname, perfettamente combacianti. Congruenti, avrebbe detto il suo professore di matematica. ȾhunderWhite e StormWhite: Fulmine Bianco e Tempesta Bianca, incredibile. Eppure, all’inizio non era stato tutto rose e fiori, ma l’esatto contrario. Si erano scontrati, e non poco, su idee divergenti riguardo i film di Harry Potter e Il Signore degli Anelli. Anita era una fan accanita del mago più famoso del mondo, lo sosteneva a spada tratta e nulla sarebbe stato in grado di farle cambiare idea. Ⱦhunder, invece, adorava Frodo e compagnia bella. I continui battibecchi erano diventati così pedanti, che perfino gli amministratori del forum avevano chiesto la cortesia di proseguire i loro diverbi in separata sede. E così avevano fatto. Ⱦhunder le aveva scritto in privato, ma poiché i messaggi non erano un “botta e risposta” istantaneo, alla fine si erano scambiati il contatto Messenger e il disguido su quale dei due colossi – cinematografici e della letteratura fantasy – fosse il migliore era andato avanti, senza trovare un punto d’incontro. O forse non avevano voluto trovarlo. Una volta, lui le aveva confessato che era troppo divertente farla arrabbiare, le sue risposte stizzite lo facevano ridere. Era uno spasso.
Così le chiacchierate erano diventate quotidiane, un appuntamento fisso, come due comare che si siedono al tavolo della cucina e bevono un caffè fatto in casa, spettegolando su tutto il vicinato.
L’abitudine di pubblicare ciò che aveva scritto era arrivata qualche settimana dopo. Ⱦhunder lo faceva già, e sebbene Anita conoscesse il sito e vi bazzicasse da tempo, leggendo racconti sparsi qua e là, non aveva mai avuto il coraggio di caricare una sua storia. Era stato il suo amico di tastiera, appunto, a darle l’input di farlo dopo che lei gli aveva inviato un paragrafo buttato giù di getto. L’aveva convinta, insomma, infondendole quell’autostima che troppo spesso le mancava in ogni ambito della sua vita, dalla scuola alle amicizie, alla sicurezza che ciò che scriveva non fosse da buttare via.

“Impara a condividere” le aveva detto in chat. “Lascia che siano gli altri a giudicare e se non ti piace ciò che dicono, mandali a cagare!”
“La fai facile tu…”
“No, la fai difficile tu!”.


Anita si era innamorata di lui, ma non nel senso letterale del verbo. Quanto avrebbe voluto avere un amico simile anche fra i banchi di scuola. Una specie di grillo parlante che le sussurrasse le parole giuste nel momento del bisogno. E invece non gli aveva mai confidato di come la trattassero i suoi compagni – compagni... magari! – se ne vergognava.
Più di una volta, aveva fantasticato su come sarebbero state le sue giornate se lo avesse tenuto al fianco, fisicamente.
Il trillo di Messenger la riportò con i piedi per terra. Si era lasciata trascinare dai pensieri della mente, solito! Rilesse velocemente l’ultimo messaggio di Ⱦhunder, in cui le diceva che aveva letto l’ultimo capitolo che aveva messo online e gli era piaciuto molto. “Bellissimo”, era stato l’aggettivo usato. Poi, aveva aggiunto che le aveva anche lasciato una recensione.

“Dopo passo a leggerla ;) Tu stai scrivendo il tuo?”
“Sì, ma non penso di finirlo entro stasera. Voglio rileggerlo per bene, è un passaggio importante”
“Ho capito”
“Vedi ke l’invito è sempre valido…”


Lo stomaco di Anita fece un nuovo tonfo, ma non di felicità, come quello precedente, bensì di paura. Ⱦhunder, da una decina di giorni oramai, si era messo in testa che voleva incontrarla di persona ma lei si vergognava da morire. Una cosa era parlargli attraverso uno schermo, un’altra faccia a faccia. Aveva il timore che, se l’avesse vista, la loro amicizia sarebbe terminata, che lui ci sarebbe rimasto malissimo. Non era bella, né attraente, e dal vivo, quando era agitata, le capitava di balbettare.
Se avesse perso l’unico amico che aveva cosa le sarebbe rimasto?

“Nn è il momento adatto” gli scrisse, sperando di farlo demordere.
“Lo so, me lo hai detto”
“Già…”
“Cmq dobbiamo vederci! Nn è possibile abitare nella stessa città e non incontrarci! Voglio spiegarti per bene xké Il Signore degli Anelli è migliore di quel romanzetto rosa ahahaha”


Anita sorrise, sapeva che lo diceva di proposito e rispose con una risata, poi sua madre la chiamò, informandola che “la cena è servita”, come amava affermare lei poiché era l’unica ad occuparsene.
«Sono la rumena di casa» si lamentava con sarcasmo.

“Devo andare a cenare. Dopo ci 6?” Gli chiese battendo velocemente le nocche sulla tastiera.
“Nn lo so. Forse esco cn degli amici”
“Ok”
“Vuoi venire? Ci sono anke delle ragazze…”


Quell’ultima informazione le provocò una punta di gelosia e preoccupazione. Era da stupidi, lo sapeva, essere gelosi di una persona che neanche conosceva. Per quel che ne sapeva, Ⱦhunder avrebbe potuto avere anche trent’anni e fingere di essere suo coetaneo. In Internet si trovava di tutto…

“No, grazie lo stesso :)”
“Ok, cm vuoi. Ciao Storm!”
“Ciao Ⱦhunder!”


Anita chiuse la conversazione e rimase qualche minuto a fissare il desktop con lo sfondo di Harry Potter, in compagnia di Hermione Granger e Ron Weasley. Quanto sarebbe stato bello se anche lei avesse degli amici come Harry e Ron lo erano stati per Hermione. Quanto si rivedeva in quella maghetta presa in giro da Draco e i suoi compari…
La voce della madre la richiamò, questa volta più forte. Anita rispose che arrivava, un attimo, quindi uscì dalla propria stanza e attraversò il lungo corridoio, fino a sbucare sull’uscio della cucina. Suo padre e sua sorella erano già accomodati al tavolo, ognuno seduto al proprio posto. La madre le posò un piatto davanti e si sedettero quasi all’unisono.
«Che stavi facendo?»
«Niente» rispose Anita, addentando una cucchiaiata di piselli e bocconcini di carne.
«Stava parlando con il fidanzato» ridacchiò sua sorella.
«Il fidanzato! Wow!» La prese in giro il padre.
«Non è vero!» Il volto di Anita si fece paonazzo, lanciando un’occhiataccia alla sorella minore che le sedeva di fianco. Quest’ultima ricambiò con una smorfia, mentre la mamma riprendeva entrambe, dolce e divertita.
«Guarda che non c’è nulla di male ad avere un fidanzatino alla tua età.»
«Lo so, ma non è così.» Anita guardò nel suo piatto, intristendosi.
«Non lo conosce neanche!» Continuò la sorella, masticando a bocca aperta.
«Alessia, mangia bene.» La rimproverò sua mamma.
Anita osservò di sottecchi la sorella: Alessia.
Alessia era l’esatto opposto di lei: vivace, allegra, espansiva, estroversa ed estrosa. Portava i capelli lunghi e lisci fino a metà schiena, con la riga al centro. Il viso era più magro del suo e baciato da alcune lentiggini sul naso e sugli zigomi; gli occhi verdi si muovevano veloci da un soggetto all’altro, contornati da folte ciglia che le donavano uno sguardo da principessa delle fiabe. Aveva appena due anni in meno e frequentava la prima liceo nel suo medesimo istituto. Un incubo per Anita, che si era così trovata a doversi sobbarcare il fardello di tenerla d’occhio i primi giorni e a sentirsi dire: è tua sorella? Siete così diverse!
“Già, completamente!” avrebbe voluto rispondere, invece calava il capo, metteva le cuffie e attraversava mezza scuola per raggiungere la propria classe.
Alessia era la classica bella ragazza che si faceva guardare e amava essere guardata. Indossava vestiti alla moda, scarpe alla moda, borse di tendenza e orecchini colorati. Sapeva truccarsi e si prendeva tutto il tempo che le occorreva per farlo bene. Più di una volta, si era proposta di sistemarla – questo era stato il verbo usato – poiché, sosteneva, tutte le ragazze sono belle. Devono solo sapersi acconciare. Ma Anita si era sempre rifiutata.
«Ma come cazzo ti vesti?» Le diceva una mattina sì e l’altra pure. «Sembri una sfigata!»
In effetti, Anita pareva scegliere al buio e ubriaca i panni da mettere. Un anonimo jeans, una felpa informe e monocolore d’inverno, oppure un pantacollant scuro e una T-Shirt d’estate. Le lenti tonde, dalla montatura verde, non si abbinavano mai al suo abbigliamento; i capelli sembravano una parrucca messa a posticcio. Alessia soffriva molto di questa sciattezza, avrebbe voluto davvero aiutare la sorella maggiore, perché sapeva che sotto quelle maglie di una taglia più grande, o quei jeans che non si portavano più, c’era un corpo asciutto e tonico, giovane, che chiedeva solo pietà. Regalo della genetica, probabilmente, dal momento che i loro genitori si mantenevano in forma, nonostante superassero entrambi i cinquant’anni e non praticassero sport. Inoltre, Alessia sembrava più alta, più slanciata, giacché sua sorella maggiore preferiva indossare abiti sformati che la ingrassavano e, soprattutto, non calzava mai tacchi, solo rigorosamente scarpette da ginnastica basse e senza marca.
Alessia aveva anche avuto il nome più bello tra le due, scelto con amore da mamma e papà, mentre il suo, Anita, era il nome della nonna paterna. Crescendo l’avrebbe apprezzato, forse, ma a 16 anni le creava un disagio non indifferente.
Dopo aver aiutato la mamma a sparecchiare, Anita tornò nella sua stanza.
Per prima cosa, controllò che non ci fossero nuovi messaggi al pc – e, in effetti, non ce ne erano, ȾhunderWhite era davvero uscito come le aveva annunciato – perciò uscì sul balconcino per recuperare i quaderni e i libri che aveva steso al sole quel pomeriggio. Per fortuna nulla di irrimediabile. Le pagine sarebbero risultate un tantino rigide, sbiadite forse, ma nulla di grave. Si sedette alla scrivania e sospirò, fissando per qualche secondo il monitor del computer, chiedendosi dove fosse il suo amico e con chi fosse, poi si obbligò a finire i compiti per il giorno seguente – sebbene la maggior parte li avesse già fatti – e a buttare giù qualche riga del racconto che stava scrivendo. Lo fece senza voglia, sforzandosi ogni poco di riportare la mente al presente, a ciò che stava facendo, evitando che si perdesse in voli pindarici senza ritorno.
Pippe mentali” le avrebbe definite Alessia, e a ragion veduta.


 
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