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Autore: _Princess_    14/09/2009    50 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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And your time has come
The naked truth is in disguise
It's your secret complication
Exhausted of this sacrifice
Just like a lying preacher
Hiding to survive

(Lacuna Coil, Distant Sun)


Love me, before the last petal falls.

(Nightwish, Beauty & The Beast)

 

 

***

 

Il caldo, le luci, il vociare, l’attesa, il frusciare di abiti costosi e il tintinnio dei bicchieri dei drink, dei gioielli… Così si presentava una delle serate mondane più glamour e chiacchierate della Germania, uno sfavillante convoglio di star della musica e dello spettacolo, nazionali e internazionali.

C’era qualcosa di magico e perverso nel piacere che si poteva provare nel scendere da una lustra limousine nera ed essere accolti da un tappeto di persone adoranti che urlavano il tuo nome al di là di un nastro rosso che segnava il confine tra la gente comune e i loro idoli. Di quelle urla, Kuu si era beata e compiaciuta, rispondendo con sorrisi smaglianti e saluti calibrati, rivolgendosi a fans, telecamere e giornalisti, tutti concentrati su di lei. Perché era lei la regina della serata – lei, e Kaaos il re – e buona parte dell’attenzione sarebbe stata dedicata a loro due, i Pristine Blue, la popolare novità dell’anno della scena musicale tedesca.

Appena era arrivata assieme a Kaaos, c’era stata una miriade di microfoni ad accalcarsi attorno a loro, domande a pioggia da intervistatori che lei, fino a poco tempo prima, aveva visto solo in televisione. E la gente che, confinata oltre il tappeto rosso dalle transenne e dai molti bodyguard che sorvegliavano la zona, gridavano e applaudivano, scattavano foto, chiedevano autografi, sventolando il loro CD e poster con la loro immagine. Qualcuno, addirittura, portava il logo dei Pristine Blue disegnato sul viso o sulle mani.

Tutto questo ha del folle…

Solo fino a sei mesi prima, lei era stata dall’altra parte del nastro.

Poi erano entrati, e lei si era ritrovata catapultata nel vivo degli Echo Awards 2010: l’arena era più piccola di quello che le era sempre sembrato a guardarla in TV, dal salotto di casa, ma l’effetto era comunque straordinario. Riflettori tenui sui toni del rosa e del viola a illuminare il palco e gli spalti, e il parterre di fronte allo stage era pieno di eleganti tavolini corredati di divanetti scamosciati. La sala era già quasi del tutto al completo.

Era tutto nuovo, per lei, un mondo noto ma ancora inesplorato, pieno di celebrità di estrazione varia di cui lei ormai era parte integrante e pochi relativi fans, probabilmente ancora incapaci di credere di avere avuto accesso all’evento grazie alla vincita di qualche concorso.

Kuu si guardava intorno annoiata dalla sua comoda poltrona dell’area vip, Kaaos alla sua sinistra che gettava sguardi occasionali allo scintillante premio come Best Newcomer che avevano appena vinto, la loro manager Griet a destra, euforica e fiera, che chiacchierava esaltata con Luke, la guardia del corpo che li seguiva ovunque da ormai qualche mese.

Il palco, al momento, aveva appena accolto i Tokio Hotel per la quarta volta, quella sera, che erano già saliti per ritirare il premio come Best Video, Best Band e Best Song, e ora ritiravano un meritato Best Album per il loro acclamatissimo ed attesissimo Humanoid, emozionati come se non si fosse trattato del milionesimo premio che si portavano a casa, come se non si fossero mai trovati su un palco davanti a chissà quante migliaia di spettatori.

Kuu accavallò le gambe, lasciate generosamente scoperte dal corto abito di seta verde, e li osservò con interesse mentre Bill si avvicinava al microfono per snocciolare l’ennesimo, commosso discorso di ringraziamento: erano abissalmente diversi rispetto alla prima volta in cui li aveva incontrati, ormai dieci lunghi anni prima, ma le sembravano ancora gli stessi ragazzini di allora, almeno per quanto riguardava certi atteggiamenti, perché sotto altri aspetti erano decisamente cresciuti. Dal primo all’ultimo, ciascuno di loro aveva assunto una propria identità precisa e ben delineata, e se una volta avrebbe riso di loro – così come loro avrebbero riso di lei – ora non poteva che riconoscere che ormai non restava altro da fare, se non ammirarli.

C’erano una volta i quattro di Magdeburgo che sognavano di conquistare la Germania e finirono per sottomettere il mondo…

“Cosa ne pensate di loro, ragazzi?” domandò casualmente Griet a lei e Kaaos, sporgendosi verso di loro con in mano il suo bicchiere di gin and tonic.

Kuu la trovò una domanda molto curiosa.

“Sono bravi,” disse Kaaos, seduto scompostamente nella propria poltrona, fissando il palco con i suoi occhi neri. “Il loro stile ha avuto un’impennata non indifferente da quando Jost ha smesso di manomettere i loro demo. Ci hanno guadagnato di brutto.”

Kuu rise.

“Mi spiace solo che siano troppo belli per essere presi sul serio da chi non li conosce,” disse, senza sbilanciarsi troppo. “Non avrei scommesso un centesimo su di loro, all’inizio,” aggiunse. “Ma hanno tirato fuori la grinta, e si meritano quello che hanno.”

Parlava senza interesse, limitandosi ad esternare un mero parere. Non le facevano né caldo né freddo, quei quattro, in quanto gruppo. Non le dispiaceva la loro musica, ma li trovava troppo perfetti per essere veri. Non aveva mai smesso di credere che ci dovesse essere qualche trucco dietro a un gruppo così bello e bravo e simpatico.

Era stata una loro fan sfegatata, agli inizi, ma poi li aveva visti crescere a dismisura nella popolarità, li aveva visti diventare delle stelle della scena musicale mondiale, e aveva perso l’interesse per loro. All’epoca le erano piaciuti per la loro sfacciataggine di giovani talenti ribelli, adesso erano solo quattro celebrità come tante, nonostante ancora li ammirasse per come affrontavano la loro fama.

Improvvisamente in sala calarono le luci e si fece silenzio.

Tutti i riflettori si spensero, ad eccezione di quelli che puntavano sul centro del palco, dove Nena stava salendo per consegnare il premio successivo. Kuu, però, guardava altrove.

I Tokio Hotel, con il loro bel premio in mano, stavano ritornando verso i loro posti. Seguì con lo sguardo Bill, Tom, Georg e Gustav che sfilavano silenziosi verso la passerella, non di destra, come avevano fatto le volte precedenti, ma di sinistra. Le sarebbero passati accanto in cinque secondi netti.

Kuu rivolse loro un’occhiatina di sufficienza mentre si avvicinavano, tra grida festanti e strilli isterici, e gli occhi di tutti erano per loro, per le loro espressioni di trionfo. Nel sorpassarla, incrociarono il suo sguardo per un momento: uno di loro la ignorò, un altro le fece un occhiolino sfacciato, un altro si limitò a scrutarla brevemente, un altro le sorrise. Il sorriso più triste e vuoto che lei avesse mai visto.

Kuu si chiese come due occhi di quel caldo color cioccolato potessero apparire così gelidi, dietro a quella misteriosa patina di opaca malinconia.

I ragazzi ripresero i rispettivi posti, festeggiati da pacche del loro manager, Benjamin Ebel, e del loro ormai storico produttore, David Jost.

Kuu scorse una ragazza alta e slanciata, vestita esattamente come le bodyguards, un paio di occhiali scuri a nasconderle gli occhi, che si alzò a salutò il ritorno di Tom con un bacio sulle labbra. Non fu difficile riconoscerla come la sua ragazza, una figura di certo non nuova al pubblico più fedele, dato che ormai era già più volte comparsa su diversi giornali, in qualche servizio su di loro e anche ad un paio di eventi come quello, senza contare le sue occasionali apparizioni in un paio di episodi della Tokio Hotel TV.

Subito accanto, invece, c’era la ragazza di Georg, vestita in modo decisamente più affine ai gusti di Kuu, anche se forse un po’ troppo sobrio e discreto, ma le piaceva l’abbinamento tra le ballerine rosse e i jeans grigio scuro, senza contare che la maglietta bianca sfrangiata che portava sotto alla giacchetta nera satinata aveva tutta l’aria di provenire direttamente dalla collezione disegnata da Bill. Era più fine, rispetto all’aggressività che comunicava lo stile della ragazza di Tom, e più femminile, e sembrava sentirsi terribilmente spaesata, là in mezzo, fino a che Georg la prese per mano, e lei si rilassò immediatamente.

Kuu si chiese dove avessero lasciato la figlia di lei, dato che della piccola non c’era traccia.

Assieme a loro, in jeans e camicia bianca, c’era anche il fascinoso DJ Djevel, fratello della ragazza di Tom, che al momento stava brindando l’ennesima vittoria assieme a Bill e Gustav.

“Non ce l’hai un po’ di orgoglio?” le sussurrò Kaaos ad un orecchio.

Kuu lo spinse via, infastidita.

“Ero solo curiosa di vederli nel loro ambiente naturale.”

Era strano, in effetti, trovarsi lì, perché tante volte aveva sognato qualcosa di simile. Ora che anche lei aveva avuto accesso a quell’ambiente, le sembrava solo tanto fumo e poco arrosto, una grande, spettacolare illusione montata per essere venduta al pubblico.

Guardò il prezioso premio che le scintillava di fronte, messo in bella mostra sul tavolino, e lo visualizzò nella propria stanza nella vecchia casa dei suoi a Potsdam, la sua cittadina natale: avrebbe fatto una magra figura con quell’arredamento spartano.

Fin da piccola, Kuu aveva sempre odiato quella casa, un minuscolo trilocale a stento sufficiente ad ospitare tre persone. I suoi non avevano più avuto figli, dopo di lei, perché non se li sarebbero potuti permettere, e così lei aveva vissuto di sacrifici, vestendo gli abiti dismessi delle proprie cugine più grandi, acquistando libri di testo usati per la scuola, e i pochi soldi che riceveva li teneva da parte per comprare CD e biglietti per i concerti. Anche dopo, quando aveva iniziato a lavorare, quel poco che le restava dai contributi ai suoi per aiutarli con le spese e dal pagamento della retta per l’università, li aveva spesi per quello.

Adesso che era una cantante famosa, tutto era diverso.

Dopo la firma del contratto discografico con la Universal, lei e Kaaos avevano avuto necessità di prendere un appartamento a Berlino, di comprarsi vestiti più consoni a delle rockstar, e finalmente lei si era potuta permettere un pianoforte tutto suo, un magnifico Bösendorfer 290 Imperial che aveva sognato fin dalla più tenera età, quando aveva iniziato a prendere le prime lezioni di piano da sua prozia Ingrid. Da allora, la musica era stata tutta la sua vita.

“Ragazzi,” li richiamò Griet. “Tutto ok?”

Kuu le sorrise ed annuì. Aveva sempre adorato Griet, una donna energica e piena di vita, che si era fatta in quattro per loro, per aiutarli a sfondare, e non avrebbe mai smesso di esserle grata di tutto quanto. Le veniva un po’ da ridere, però, a vederla agghindata in quell’abito da sera, perché Griet era tutto, fuorché una da abiti da sera. Da come continuava ad aggiustarselo addosso, infatti, era più che palese che non vedesse l’ora di sbarazzarsene e tornare al suo solito, confortevole abbigliamento casual.

“Questo è soltanto l’inizio.” Promise loro. “Mi sto dando da fare per organizzarvi qualcosa che non potete nemmeno immaginare.”

“Una megavacanza di sei mesi su un’isoletta in Islanda?” domandò Kaaos, fingendosi speranzoso. Era un orso solitario un po’ allergico agli eccessi di attenzione. Gli piaceva l’idea di iniziare a suonare in giro per la Germania, e, perché no, magari anche per l’Europa o il mondo, un giorno, ma Kuu sapeva che tollerava malvolentieri l’invadenza dei media.

“Vuoi una vacanza di sei mesi dopo neanche tre mesi che sei famoso?” Griet schioccò la lingua con scherzoso rimprovero. “Ragazzo mio, non credo che ti sia ben chiaro come funzionano le cose nel jet set.”

Kaaos si stiracchiò, protendendo avanti a sé le lunghe braccia sottili. La giacca di pelle si tese sulla sua schiena.

“Per ora mi posso accontentare della mia suite di hotel a cinque stelle con servizio in camera ventiquatt’ore su ventiquattro.” Dichiarò, soddisfatto, accavallando pigramente le gambe da ragno.

Kuu raccolse il proprio bicchiere di San Pellegrino e ne prese un sorso.

“Non hai classe, Kaaos. Puoi fare finta di fare il bel tenebroso quanto vuoi, ma sei nato campagnolo e campagnolo morirai.”

Lui rise.

“Scusate, Lady Kuu, se non sono degno della vostra nobiltà.”

“Mi serve un’aspirina.” Disse lei, portandosi con grazia una mano alla tempia. Stava iniziando ad avvertire uno sgradevole cerchio alla testa.

Subito Griet afferrò la propria immensa borsa e si mise a rovistarci dentro.

“Sono sicura di avere qualche analgesico,” borbottò. “Hai qualcosa nello stomaco, vero?”

Kuu distolse lo sguardo e fece finta di niente quando Kaaos le lanciò un’occhiatina insinuante.

“Sì, certo.”

“Ecco qui.” Griet le porse un paio di pastigliette. “Meno male che non hai preso alcolici.”

Kuu buttò giù tutto assieme a un bicchiere d’acqua.

Nonostante l’euforia per quella serata tanto attesa e di successo, non si sentiva particolarmente in forma. Ma c’era l’afterparty, a show finito, ed era una cosa che lei non si sarebbe persa per nulla al mondo. Kaaos aveva già specificato che lui avrebbe partecipato solo a patto che gli lasciassero scolare tutti i whiskey che voleva; Griet glielo aveva concesso solo perché conosceva la sua impeccabile resistenza all’alcol.

La curiosità di Kuu verso l’afterparty, invece, era decisamente più pragmatica: gli ospiti sarebbero stati personalità di cui lei stessa era ammiratrice. Ci sarebbero stati Nena, i Silbermond, i Cinema Bizarre, LaFee, e ovviamente i Tokio Hotel, e come ospiti internazionali i Linkin Park e perfino e i Depeche Mode. E lei non sarebbe stata solo una comparsa, ma una di loro.

Giornali del calibro di Kerrang e Rollingstone ci avevano messo poco a fiutare nei Pristine Blue un grandissimo potenziale e avevano dedicato loro articoli decisamente lusinghieri, per una band esordiente. ‘La principessa del rock tedesco’, così Rock Sound aveva definito Kuu dopo l’uscita di Skies Can Cry, il loro primo singolo, che aveva raggiunto il disco d’oro a una sola settimana dalla pubblicazione e il platino a un mese.

Kuu era stata orgogliosa di quei risultati. Aveva dato anima e corpo per arrivare fin dov’era e aveva tutta l’intenzione di restarci, a qualunque costo.

“Ci aspetta il bis di red carpet, tra poco.” Le rammentò Kaaos, vuotando il suo terzo calice di champagne. “Se qualche ragazza mi regala un altro orsacchiotto, non rispondo delle mie azioni. Griet,” Si voltò verso la manager. “Urge un’intervista in cui mi chiedano cosa detesto, così forse la smetteranno con i peluche.”

“Preferiresti forse delle bottiglie di vino?” lo stuzzicò Kuu.

“Touché, mon amie. Un bel Pinot Grigio, o un Marsala, o del Barbera, magari.”

“Ho idea che tu ti sia abituato troppo in fretta ai capricci da star, sai?”

“Oh, sentitela!” la rimbeccò lui. “Miss Mi-metto-un-Versace-perché-uno-Chanel-sembrerebbe-dozzinale.”

Kuu gli allungò un calcio stizzito sullo stinco.

“E quella con cui mi hai appena colpito non è forse una banalissima Jimmy Choo?” insisté Kaaos.

“Oh, sei impossibile!” sbottò lei, imbronciandosi.

“Buoni, voi due.” Li ammonì Luke, divertito. Era un uomo sulla quarantina, alto e robusto, con due penetranti occhi blu che a Kuu erano sempre piaciuti. Le ispiravano fiducia. “Non costringetemi a dividervi.”

“Quanto manca alla fine dello show?” domandò Kaaos, sbadigliando.

Griet controllò l’ora sul trasandato Swatch che teneva al polso, una pessima stonatura con la raffinatezza dell’abito.

“Ormai è questione di minuti. Iniziate a prepararvi. Con quel gingillino in mano, vi pioveranno addosso un sacco di giornalisti.” Rispose gioviale.

Una decina di minuti più tardi, infatti, le telecamere all’interno della’arena si spensero e la gente iniziò a defluire a piccoli gruppi, scortati da guardie in divisa.

“Afterparty, here we come!” si rallegrò Kaaos, alzandosi in piedi.

Kuu lo imitò. Si sistemò il vestito, assicurandosi che non ci fossero sgualciture o altro, raccolse la pochette e il premio, poi prese il braccio che Kaaos le offriva. Facevano abbastanza specie, loro due, a braccetto: lei era alta poco più di un metro e mezzo, lui quasi due metri.

Si avviarono verso l’uscita insieme a Griet e Luke. Erano in molti a occhieggiarli incuriositi.

Una volta fuori, trovarono un grande affollamento: gli artisti venivano fermati per foto e interviste e i fan gridavano a squarciagola. Un paio di metri avanti a loro, i Tokio Hotel, privi del loro seguito di compagne, management e security, venivano tempestati di flash e lodi, mentre una donna in tailleur rosso acceso se li mangiava con gli occhi tra una domanda e altra.

“Poco fa ci avete regalato una performance degna dei posteri con il vostro nuovissimo singolo. Che cosa ne pensate delle altre esibizioni di stasera?”

Prevedibilmente, fu Bill a prendere la parola:

“Ci è piaciuta molto tutta la serata. Esibirci è stato un onore, soprattutto perché abbiamo visto che anche gli altri sono stati molto brillanti. Personalmente mi sono piaciuti i Silbermond, ed era anche la prima volta che sentivo i Pristine Blue dal vivo. Davvero bravi. Credo che la voce di Kuu sia una delle più belle che si siano sentite in giro negli ultimi anni. Sono sicuro che arriveranno lontano.”

Oh, per favore!

Kuu gli lesse nel tono della voce un chiaro filtro di diplomazia, anche se probabilmente era sincero.

“Ma chi lo veste, quello?” commentò Kaaos, scuotendo la testa di fronte al discutibile gilet in simil-coccodrillo che Bill indossava.

Kuu fece una smorfia disgustata. Preferiva di gran lunga le cose raffinate a quelle estrose.

“Suppongo ci pensi da solo.”

Per la verità, però, Bill le piaceva: era un tipo in gamba, che non si curava di ciò che gli altri dicevano di lui e andava avanti per la sua strada. Aveva carattere, un carisma e una presenza scenica innati, e lei, segretamente, un po’ lo invidiava. Il suo era un fascino che non aveva nulla a che vedere con la sua innegabile bellezza androgina; gli veniva da dentro, ed era una cosa che nessuno gli avrebbe mai potuto portare via.

“Noi andiamo avanti.” Bisbigliò Griet frettolosamente, lasciandoli soli in pasto alle telecamere. “Ci vediamo in macchina.”

All’inizio Kuu era stata colta impreparata dall’impetuosità dei media, ma aveva imparato in fretta: sorriso affabile, cortesia, sguardi complici nell’obiettivo, e tanta prudenza nell’esternare i propri pareri. Era tutto lì, un gioco abbastanza semplice.

Tutto era semplice, se sapevi mentire.

“Sorridete, Lady Kuu,” sussurrò Kaaos, avanzando verso l’occhio del ciclone di giornalisti, che, mentre i Tokio Hotel si allontanavano, ormai non attendevano che loro due. “Il popolo vi acclama.”

Kuu lo seguì ad occupare il posto appena lasciato dai Tokio Hotel, che ora posavano in un angolo per gli scatti di rito con i premi mietuti.

Mentre la giornalista iniziava con le domande, Kuu li osservò: sorridevano raggianti, mostrando i quattro awards senza segni di ostentazione.

Ad un tratto, senza un perché, uno di loro si voltò verso di lei, e lei si ritrovò a incontrare lo stesso sguardo malinconico di poco prima, e per un attimo si sentì violata dall’intensità di quegli occhi.

Durò solo un battito di ciglia. Il momento dopo, i Tokio Hotel se ne stavano andando e lei stava raccontando alla giornalista le proprie impressioni sullo show.

Quello sguardo, però, non se lo sarebbe dimenticato.


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Note: ed eccomi qui, come promesso, con questa nuova avventura targata Tokio Hotel. Il primo capitolo, come sempre, non è che un breve accenno di introduzione alla storia, quindi dal prossimo mi dilungherò decisamente di più. Per ora, questo è quanto. ^^ Ovviamente tutto ciò che scriverò in questa storia sarà frutto della mia immaginazione e, a parte i personaggi che sarete in grado di riconoscere come realmente esistenti, il resto è tutto puramente inventato, Pristine Blue compresi.
So già che molti di voi, leggendo questo breve capitolo introduttivo, avranno storto il naso di fronte a Kuu, e magari si saranno anche detti "Questa è una Mary Sue bella e buona". Se così fosse, non potrei darvi torto, però vorrei semplicemente mettere in chiaro che non c'è mai nulla di lasciato al caso, nelle mie storie. Se una determinata cosa è in un modo piuttosto che in un altro, c'è un perché, e se un personaggio è così piuttosto che cosà ha le sue buone (o cattive?) ragioni di esserlo.
Quello che voglio dire, anche se spero vivamente che non ce ne sia bisogno, è che c'è una abissale differenza tra una semplice Mary Sue messa lì solo per conquistare il cuore di Bill (o Tom, o Georg, o Gustav) con la sua accecante bellezza e uno sguardo seducente, e un personaggio pensato invece per essere presentato così, creato con consapevolezza e soprattutto uno scopo preciso. Siamo solo all'inizio e la storia sarà lunga, spero abbiate abbastanza fiducia in me da aspettare a dare giudizi negativi su Kuu o chiunque altro. Se poi, più avanti, lo vorrete fare lo stesso, lo accetterò di buon grado. ;) 
A proposito di nuovi personaggi, vi linko l'immagine con la copertina dell'album dei Pristine Blue, così vi potete fare una mezza idea di come li ho immaginati:
Kuu & Kaaos

I commenti sono sempre e comunque i benvenuti. Che pensiate o meno di essere banali, il parere di un lettore è sempre importante, per uno scrittore che si vuole migliorare, quindi apprezzerò molto se vorrete farmi il regalo di una recensione, breve o prolissa che sia.

Intanto, grazie in anticipo a tutti!
   
 
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