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Autore: Batckas    21/06/2023    0 recensioni
Esercizio letterario. Si parte solo dal titolo "Impronta sul cuscino" tratto da "Il blocco dello scrittore, idee e trucchi per mettere in pagina la propria immaginazione" di Maura Parolini e Matteo Curtoni
Genere: Demenziale, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marco si sveglia al solito orario.  Ha ancora sonno, ma non può tardare, non di nuovo; quindi, si dà il metaforico pizzico sulla pancia e si sbriga. Ha dormito con la faccia sul cuscino, ha sbavato, gli è difficile aprire gli occhi. Per cercare di darsi la carica, decide di mettere su un po’ di musica, scrolla con lo smartphone su Spotify fino a trovare la traccia che, secondo lui, potrebbe suscitargli la voglia di vivere. Ne seleziona una, non è soddisfatto, ma non ha tempo per cazzeggiare, quindi, finalmente, si alza. Va in cucina, versa prima i cereali poi il latte in una tazza e fa colazione. Gli fanno male gli occhi, quasi non riesce a tenerli aperti, gli bruciano. Pensa di andare in ospedale, ma sicuramente il signor Timothy penserebbe che si tratta dell’ennesima scusa e lui quel lavoro non può perderlo. Inforca sul naso gli occhiali da Sole e continua a prepararsi. Lava i denti e prova a sciacquarsi la faccia, ma quando l’acqua gli schizza sulle guance si sente andare a fuoco e nell’agitazione e nelle convulsioni del dolore piazza un pugno al centro dello specchio. Bestemmiando lentamente e pensando ai sette anni di sfortuna che adesso gli spettano, si benda la mano e con uno stoicismo di cui non si sentiva capace, riprende le sue normali attività. Dopo una capatina sul cesso e un bidet veloce, si controlla le nocche. Sono tagliate, ma non ci sono schegge. I danni allo specchio sono totali, non riesce a vedersi, anche se già con gli occhiali da Sole gli risulta difficile. Dopo un sospiro di mezzo secondo, esce di casa. Monta sullo scooter e va a lavoro.

Lo parcheggia al solito posto. Non ha incontrato nessuno per la strada, si avvicina alla portineria del palazzo. Marco lavora come tecnico informatico in una grande multinazionale. Non ama particolarmente il suo lavoro, ma non solo non saprebbe fare altro, è anche troppo a corto di soldi per fare il prezioso. Il solito signor Federico è alla portineria, pronto a controllare chi timbra il cartellino. Ha gli occhi incollati al giornale.
Marco arriva, fa passare il tesserino e saluta.
“Buongiorno.”, dice a bassa voce.
Federico mugugna qualcosa senza spostare lo sguardo.
Poi per un attimo lancia un’occhiata nervosa a Marco. Gli occhi di Federico sgranano, Marco lo ha ormai sorpassato di diversi metri. Federico si porta una mano alla bocca, si mantiene la colazione che gli sta risalendo lungo l’esofago, ma quella si insinua tra la sua mano e si rovescia sul giornale e sui pantaloni che la moglie aveva appena lavato.

L’ufficio di Marco è lontano da quello di tutti gli altri. Prende posto dietro al suo computer, lo accende, si assicura di essere in orario, alza lievemente il sedere per lasciare andare un peto che lo tormentava dalla mattina e controlla se sono arrivate nuove e-mail. Qualcosa c’è, ma nessun lavoro urgente. Marco, mentre è impegnato in azienda, si occupa anche di un secondo lavoro, cioè assistenza pc da remoto come Freelancer per arrotondare lo stipendio.  Il cellulare vibra, il primo cliente della giornata. Ovviamente deve fare attenzione a non farsi beccare dal signor Timothy o dai suoi lacchè, altrimenti rischia il posto, ma fino ad ora è sempre riuscito a trovare una scusa valida per quelle telefonate. Ultimamente, però, troppe volte non ha avuto la possibilità di richiamare il cliente e diversi hanno lasciato recensioni negative sotto al suo account. Oggi è intenzionato a risolvere la questione.

L’ufficio si fa più movimentato, ma nessuno passa da lui, eccetto il signor Timothy che si affaccia alla sua porta. Marco è coperto dal monitor.
“Mi fa piacere che sei riuscito ad arrivare in orario oggi.”, dice il capo.
“Ho capito il discorso che mi ha fatto, non arriverò più in ritardo.”
Timothy sembra soddisfatto, annuisce lentamente e lascia Marco al suo non-lavoro, siccome in realtà è impegnato a ripulire un computer pieno zeppo di virus di una persona a decine di chilometri di distanza.

Marco è in pausa.  Resta nel suo ufficio. Riceve un messaggio dalla fidanzata, Carla.
“Dobbiamo parlare.”
Mai belle parole.
“Che cos’è successo?”, risponde lui infuriandosi con le dita che non vanno veloci come il suo pensiero.
“Ho parlato con Michela, questo nome ti dice qualcosa?”
“Cazzo.”, borbotta sottovoce. Non ha senso negare, lo sa.
“Non è successo niente tra noi. Ci siamo incontrati al bar, ma per caso, abbiamo parlato un po’, poi ci siamo salutati.”
“Non è quello che mi ha detto lei.”
“Perché credi a lei e non a me?”
Carla sta scrivendo…
Marco sospira rumorosamente, si guarda la mano fasciata, quella giornata in effetti è già iniziata di merda. 
Non aspetta che il messaggio della ragazza arrivi.
“Senti, possiamo parlarne a voce?”, le scrive.
“Tranquillo. Sto arrivando.”
“Cosa? Qui a lavoro? Non puoi aspettare che finisco? Ci vediamo da qualche parte.”
“No.”
Carla non risponde più ai suoi messaggi.
Marco vorrebbe lanciar per aria il monitor, prendersi a morsi e spararsi, non sa bene in quale ordine. Non capisce perché Michela abbia dovuto parlare con Carla, a meno che non fosse quello il piano dall’inizio.
“Merda…”, borbotta Marco ripercorrendo per filo e per segno quella serata.
Il telefono dell’ufficio squilla.
“Marco? C’è una signorina che ti cerca, dice di essere la tua fidanzata e che è urgente, la faccio salire?”, la voce non è di Federico, Marco si domanda dove sia andato Federico.
“Certo, falla salire.”, dice cercando di mantenersi calmo.
L’attesa è estenuante.
Carla bussa, ironica, la porta è aperta e lei non ha voglia di educazione.
Marco ha la testa bassa, si nasconde coi monitor.
“Guardami in faccia, pezzo di merda.”
“Non voglio.”
Carla si avvicina, ma Marco come un bambino capriccioso poggia il capo sulla tastiera e non la degna nemmeno di uno sguardo.
“Ma quanti anni hai, dieci? Non è che se non mi guardi puoi evitare la questione.”
“Ne parliamo dopo.”, continua lui.
“No, vaffanculo.”, Carla chiude la porta dell’ufficio alle sue spalle facendola sbattere. “Ne parliamo ora, pezzo di merda. Mi hai tradito, cazzo.”
“Non abbiamo fatto niente!”, protesta lui.
“Niente, un pompino lo chiami niente?”, lei grida.
Marco è su tutte le furie, Michela ha mentito.
Il ragazzo solleva il capo, il cuore viene fucilato dagli occhi piangenti di Carla che, appena incrocia il suo sguardo, emette un grido acuto e terribile prima di scappare dall’ufficio, inciampa su un collega di Marco che stava passando da lì, Giorgio.
“Oh ma che succede?”, istintivamente, Giorgio guarda verso Marco. “Oh Cristo!”, urla, poi insegue Carla.
Marco si alza, esce, nell’ufficio i due fuggitivi hanno creato trambusto e attirato l’attenzione di tutti. Marco vede Elena la snella segretaria, Paolo il contabile, Matteo il social media manager, Beatrice l’addetta alle vendite e lo stesso Timothy che si sono affacciati dai loro uffici per cercare di capire.
Seguono con gli occhi Giorgio e Carla.
Poi guardano Marco.

Viene strattonato.
Non capisce.
Gli hanno messo un sacco in testa.
Urta continuamente gli spigoli.
“Andrà tutto bene.”, lo rassicura Paolo.

Nessuno risponde alle sue ripetute domande.
“Dov’è Carla? Dove stiamo andando? Che mi è successo?”
Le sue parole cadono a vuoto, le lacrime che versa gli ustionano la pelle, dal naso gli cola moccio.
L’ultima immagine che ricorda è Matteo che vomitava dopo averlo visto.
Lo fanno salire sull’auto.
Pensa a Michela.
Forse è tutta colpa di quella stronza di merda.
Solo un bacio.
Un bacio si sono scambiati.
Lui se n’è pentito subito, ma ha deciso di non dire niente a Carla perché sapeva che non l’avrebbe presa bene. E, invece, Michela si è messa a dire che…
Viene spintonato giù.
Paolo lo aiuta a camminare.
“Dove siamo?”
Paolo gli fruga nelle tasche, Marco sente che gli sta portando via le chiavi.
Entrano in un appartamento, Marco deduce che è il suo.
“Aspetta qui.”, gli dice Paolo e si allontana.
Cerca qualcosa nel suo appartamento.
“Cristo!”, Marco lo sente gridare.
Paolo torna, lo prende sottobraccio, è scosso e trema.
Marco intuisce che lo ha portato in camera da letto.
“Ora ti tolgo la benda, ti prego, cerca di non impazzire.”, Paolo parla lentamente.
Marco annuisce.
Paolo gli toglie il sacco.
La luce gli fa male.
Solleva lentamente le palpebre.
C’è una macchia.
Non riesce a mettere a fuoco.
Qualcosa di… viscido.
Familiare.
“Cazzo, non vedo niente.”
“Aspetta.”, Paolo abbassa le tapparelle.
Il buio avvolge la stanza.
Lentamente Marco riacquisisce la vista.
Identifica la macchia sul cuscino.
“Merda.”, dice.
Ma con un tono che sorprende Paolo.
È un “merda” che qualcuno direbbe dopo non aver centrato la tazza per una pisciata, un “merda” che qualcuno direbbe se sbaglia il tempo di cottura della pasta, un “merda” magari che si può dire quando il cane ti caga sul tappeto.
Non un “merda” per quello che Marco stava vedendo.
Paolo si tiene sulle ginocchia.
“Che cazzo succede, Marco?”
“Ma niente.”, dice lui piegandosi sul cuscino e spostando l’ammasso sconosciuto rosaceo come se fosse una fetta di carne su una padella.
“Come niente?!”, Paolo emette dei gridolini isterici.
“Ogni tanto mi succede.”, spiega Marco. “Strano che non me ne sono accorto.”
Recupera l’ammasso. Si sposta verso la pattumiera e lo getta.
“Ciao.”, dice sottovoce.
“Cristo! Questo ti succede? Cazzo! Hai buttato la tua… la tua…”
Paolo vomita.
Marco si sposta verso l’armadio.
“Cazzo…”, Paolo cerca di riprendersi.
Vede le ante spalancarsi.
Scorge manichini in legno perfettamente ritraenti la fisionomia del volto di Marco.
“Ma che porca puttana…”
Paolo sviene.
Marco lo degna solo di un’occhiata.
Studia per qualche secondo quale potrebbe essere quella migliore, poi prende una delle facce dai manichini e se la spalma sul volto cercando di far combaciare bene la pelle con l’attaccatura dei capelli. Il processo dura cinque minuti, quando Marco pensa di aver raggiunto un livello soddisfacente, richiude l’anta dell’armadio e si piega su Paolo.
Sta pensando a Michela e a Carla. Deve cercare assolutamente di risolvere.
Paolo riapre gli occhi.
“Marco!”, esclama strisciando via da lui. “La tua… faccia?”
“Cos’ha che non va?”
“Ce l’hai… prima…”
Paolo guarda verso il letto.
“La tua faccia… stava sul cazzo di cuscino!”
Marco ridacchia.
“Paolo, abbiamo bevuto parecchio.”
L’uomo guarda fuori dalla finestra, è notte.
“Ma io… l’ho vista, stava là e tu avevi un armadio pieno di volti… come quello che hai ora.”
“Cavolo, la prossima volta non ti porto a fare il giro dei bar!”, Marco scherza, lo aiuta a rialzarsi e lo conduce in soggiorno. “Vuoi dormire qui?”
“No… no… credo che andrò… a casa.”
Paolo barcolla verso la porta, si volta nuovamente verso Marco.
“C’era la tua faccia sul cuscino, io l’ho vista.”, gli punta contro un floscio dito poco inquisitoriale.
“Un brutto sogno dovuto all’alcol.”, Marco fa spallucce.
“L’armadio! Fammi vedere l’armadio!”
“Come vuoi.”
Tornano in camera da letto.
I manichini sono scomparsi.
Paolo contempla le polo di Marco per diversi minuti.
“Sto impazzendo.”
“Dai, ti accompagno all’uscita.”
È notte fonda, Marco spegne il computer.
“Non mi faccio fregare questa volta.”
Prende delle mollette per il bucato e assicura la pelle delle guance alle orecchie.
“Buonanotte.”, dice.
“Buonanotte.”, rispondono le facce nell’armadio.
 




                                                                                   
   
 
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