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Autore: dirkfelpy89    23/06/2023    0 recensioni
1998 - il il Canada–France–Hawaii Telescope osserva per la prima volta, dalla terra, il satellite di un asteroide: 45 - Eugenia. In cerca di ispirazione per dare un nome a quel piccolo satellite, a Lucienne, una ricercatrice, viene chiesto di portare il diario di sua nonna, contenente, tra tante cose, la triste storia di Eugenio Napoleone, l'unico figlio dell'ultimo imperatore francese Napoleone III.
Questa è la storia dei suoi ultimi anni.
"Un piccolo asteroide che orbita intorno a 45 Eugenia… non è possibile," sussurrò Lucienne, osservando il quaderno e cercando ancora una volta di ricacciare indietro le lacrime. "Le Petit Prince."
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico, Età vittoriana/Inghilterra
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Capitolo 12, Adieu, Prince



La tenda era piena di soldati dalle giubbe rosse, tutti intenti a osservare una cartina vecchia e polverosa, posta su un unico tavolo presente all'interno.
"La strada davanti a noi parrebbe sgombra," il colonnello Harrison parlò, indicando un punto nella mappa. "Tenente Carey, vi occuperete di guidare una pattuglia in avanscoperta, dobbiamo capire i movimenti del nemico. Partirete domattina."
Carey, un uomo ben piazzato e con una folta barba nera, annuì, osservando la mappa con attenzione.
"Non dovreste trovare nessun Zulu sul vostro cammino ma la prudenza non è mai troppa ed è bene capire come stanno davvero le cose," concluse il colonnello.
La riunione era quindi ufficialmente tolta. Tutti i presenti uscirono, parlottando tra di loro, tutti tranne uno.
Luigi Eugenio era rimasto piuttosto in disparte dagli altri ma aveva osservato con attenzione la cartina e ascoltato bene le parole del colonnello.
Era una missione adatta a lui!

"Colonnello, permettete una parola?" Chiese il ragazzo, avvicinandosi all'uomo.
Harrison sospirò e annuì stancamente.
"Vorrei tanto unirmi alla pattuglia che partirà domattina. La zona davanti a noi sembrerebbe priva di nemici, dovrebbe essere una missione giusta per me: in prima linea ma sempre lontano dal pericolo!"
Cercò di sembrare il più convincente possibile, da quando era entrato a far parte dell'esercito si sentiva un uomo completamente cambiato. Certo, avrebbe voluto distinguersi in prima linea, ma dato che ciò non era possibile, una missione di pattugliamento sarebbe stata comunque un'opportunità per mettersi in mostra.
"Avete già partecipato a una missione simile e per poco la vostra foga vi costava la vita," rispose Harrison.

Era vero, durante una missione la sua pattuglia era entrata in contatto con degli Zulu in ritirata. Avrebbe dovuto rimanere con gli altri ma la vista dei nemici gli aveva acceso un fuoco dentro, un calore che avrebbe potuto calmare solo attaccando gli avversari.
Aveva estratto la rivoltella e stava per lanciarsi all'inseguimento ma, per fortuna, il suo capitano l'aveva bloccato in tempo.
"Allora la mia irruenza stava per mettermi in grave pericolo ma ho imparato dagli errori. Mi dia una seconda possibilità, questa volta non la deluderò." Esclamò.
Harrison lo osservò attentamente, poi, dopo aver nuovamente sospirato, borbottò: "una seconda occasione non si nega a nessuno, specie perché la missione sembra davvero facile e virtualmente indolore. Sta bene, domattina partirete insieme agli altri."

Luigi Eugenio riuscì con molta difficoltà a trattenere l'esultanza. Tornò all'accampamento con il morale alle stelle e, dopo aver cenato, rientrò ben presto nella sua tenda.
Non aveva più ricevuto alcuna notizia dalla madrepatria, del resto si trovava in una zona piuttosto difficile da raggiungere, eppure, durante la notte, riusciva a sentire la presenza della madre, e per certi versi anche quella del padre, più vicina che mai.

Stendendosi sulla brandina piuttosto scomoda, rimase per qualche minuto ad osservare il telo della tenda.
Si domandò se suo padre sarebbe stato fiero di lui.
Se avrebbe approvato quel viaggio oppure si sarebbe schierato con la moglie.

Non c'era purtroppo un modo per saperlo e quei pensieri lo stavano tenendo sveglio troppo a lungo: il giorno dopo sarebbe stato molto impegnativo, avrebbe dovuto alzarsi molto presto.
Dopo un'ultima preghiera, si voltò sul fianco e si addormentò quasi immediatamente

/ / / / / / /



La mattina successiva, alle otto in punto, la pattuglia composta da Luigi Eugenio, da Carey ed altri sette soldati inglesi, partì dall'accampamento inglese a cavallo.
Fu ben presto evidente come i dintorni fossero decisamente sgombri da Zulu, perciò l'atmosfera di tensione che pervadeva il gruppo si alleggerì velocemente.

La giornata appariva perfetta, il clima non era infatti troppo afoso o caldo, e la nuova missione venne accolta dal principe come una manna dal cielo. Si sentiva vivo, forte e libero, solo un ragazzo con il suo cavallo in compagnia di altri uomini come lui. Nessuna carica onorifica o titolo nobiliare contava là, nella natura selvaggia.
Non c'era spazio nella sua mente, per la politica, per pensieri negativi; in mezzo ai soldati il suo pensiero andava unicamente al presente.
Gli altri non condividevano quell'entusiasmo. Per Carey e i suoi quella era l'ennesima missione noiosa, avrebbero decisamente preferito rimanere a dormire nelle loro tende piuttosto che cavalcare con quel principe così stranamente eccitato.
L'entusiasmo del giovane fu tale che ben presto prese, quasi naturalmente, il comando della pattuglia: iniziò a indicare le strade da seguire, i percorsi migliori, si mise davanti a tutti e dava l'andatura.
Normalmente sarebbe stato Carey a dover guidare quel manipolo di uomini, aveva molta più esperienza ed era stato indicato direttamente dal colonnello, ma in fondo l'ospite che avevano era talmente importante che non sarebbe stato saggio discuterci.
Per lui il valore di quella missione era decisamente minimo, aveva però il compito di vegliare sul principe e se Luigi Eugenio desiderava comandare quella pattuglia…

La mattinata si rivelò particolarmente noiosa, non incontrarono anima viva, l'unico che sembrava non affetto da quell'atmosfera apatica era proprio Luigi Eugenio.
Senza alcun ostacolo, il gruppo si inoltrò ben presto a fondo nella terra degli Zulu. Avrebbero dovuto essere molto più attenti, rimanere vicino al grosso dell'esercito, ma quella terra libera e intatta era così invitante, la temperatura mite e i cavalli vigorosi, ancora non stanchi.
Perciò avanzarono, tronfi e sicuri.

Verso mezzogiorno, a interrompere quella routine ci pensò il caporale Mcallister, il quale era avanzato ulteriormente in cerca di qualche pozza d'acqua. Tornò sui suoi passi, teso e nervoso, perciò il principe dette ordine alla pattuglia di fermarsi ed ascoltò il sottufficiale.
"Ho visto delle capanne e diverse tende a un paio di miglia da qui, dritto davanti a noi."
"C'erano vedette? Zulu?" Chiese Carey, teso.
"No, nessun'anima viva."
"La cosa non mi piace, potrebbe essere una trappola," mormorò Williamson.
"Oppure, molto più semplicemente, un accampamento abbandonato," propose Luigi Eugenio. Non era la prima volta che si imbattevano in kraal* abbandonati.
"È mezzogiorno, ci farebbe comodo un posto dove sostare, bere e riposare, prima di tornare all'accampamento."

Gli altri soldati si osservarono, insicuri. Anche Carey pareva dubbioso ma Luigi non riusciva a capirne il motivo: era piuttosto semplice scoprire se un kraal era abbandonato oppure no.
Approfittando dell'indecisione generale, il principe montò nuovamente a cavallo.
"Andiamo e scopriamo come stanno le cose," disse, prima di partire al trotto.
Sapeva che gli altri lo avrebbero seguito, avevano l'ordine preciso di non lasciarlo da solo in terra nemica; infatti, qualche minuto più tardi, sentì il rumore di zoccoli dietro di lui.
Si voltò e li vide.
La mente dei soldati era così semplice…

Dopo circa cinque minuti di cavalcata, alcune capanne apparvero all'orizzonte. La pattuglia inglese si fermò per qualche istante, cercando segni di attività o qualche vedetta, ma non videro nessuno.
Giunti a qualche metro dal kraal, a un segnale convenuto del principe, tutti i membri della pattuglia scesero da cavallo, fucile in mano, e, camminando lentamente, arrivarono in prossimità delle prime capanne.
C'era un silenzio carico di tensione, il vento che spazzava quelle terre sembrava essersi fermato, non volava nemmeno un insetto.
I soldati si divisero, ognuno puntò una capanna o una tenda diversa, ma dopo qualche minuto di apprensione l'atmosfera ben presto si rilassò: fu fin da subito ovvio che quel kraal fosse abbandonato da tempo.

"Leghiamo i cavalli, accendiamo un fuoco e riposiamoci," ordinò il principe, rinfoderando la sua rivoltella.
Tutti gli altri annuirono e ben presto un fuoco vivace rischiarò l'area.
Si sedettero in mezzo alle tende e alle capanne abbandonate, mangiando e bevendo, lieti.
Era ormai palese che non ci fosse nessuna traccia di guerrieri nemici, si erano fatti il culo, avevano percorso numerose miglia. Se la meritavano quella pausa, poi sarebbero ripartiti alla volta dell'accampamento.
Non c'era alcun bisogno di mettere delle sentinelle di guardia.

/ / / / / / /



Luigi Eugenio si mise a sedere al riparo di una tenda. Bevve avidamente l'acqua dalla sua borraccia e rimase fermo, osservando la situazione nel suo insieme.
Vide il resto della pattuglia prendere posizione nella poca ombra fornita dalle tende abbandonate: evidentemente erano tutti troppo stanchi per mettersi a parlare o fare confusione, molto meglio riposarsi e guadagnare energie per il ritorno. Erano ancora in territorio nemico, sebbene quell'accampamento sembrasse ormai abbandonato da giorni.
Anche i cavalli si erano radunati sotto la misera ombra fornita da una palma secca, le teste vicine, sembravano anche loro decisamente esausti.
Avevano viaggiato per quasi cinque ore, tolte le varie pause, se il loro obiettivo era tornare alla base prima di sera, e se i suoi calcoli erano esatti, avevano giusto un'ora per riposarsi e poi intraprendere il viaggio di ritorno.
Nella sua breve esperienza bellica, e da viaggiatore, si era ben presto reso conto di come i viaggi di ritorno fossero quelli più pericolosi: c'era più rilassamento nella truppa, la stanchezza si faceva sentire e inevitabilmente il viaggio durava di più che all'andata, pur compiendo lo stesso tragitto.

Avevano viaggiato per cinque ore, come minimo adesso gliene sarebbero servite almeno sei o sette.
Ma non era il caso di preoccuparsi, non ancora perlomeno, aveva giusto un'ora di tempo per riprendere le energie. Scrollò le spalle, stirò la colonna vertebrale e mosse le gambe per farle riacquistare prontezza.
Adorava andare a cavallo ma inevitabilmente quei lunghi viaggi riducevano spesso le sue gambe a pezzi.
La sua mente a quel punto volse, come spesso accadeva nei momenti di pausa e noia, alla madrepatria, alla madre e Beatrice. Chissà se le sarebbe piaciuto quel paesaggio così selvaggio, decisamente all'opposto della flora londinese.

Fece per estrarre carta e penna da una tasca dell'uniforme ma si bloccò: Carey era balzato in piedi, imitato ben presto da altri due soldati.
Che cosa avevano visto? Dalla sua posizione, il principe non riusciva a scorgere nulla di preoccupan…

Li sentì, ancor prima di vederli.
Urla, grida, parole gettate nella calda aria estiva in una lingua che non riuscivano a comprendere.
Poi il polverone che si dirigeva verso di loro.
No, non aveva il minimo senso, quell'accampamento era abbandonato da tempo, avevano perlustrato la zona circostante senza trovare anima viva.
Non si erano nemmeno curati di mettere delle sentinelle, tanto la situazione sembrava tranquilla e gestibile.
"Usuthu!"

Prima ancora che la pattuglia riuscisse a rendersi conto di essere finiti in trappola, a nemmeno duecento metri da loro apparvero i tanto temuti guerrieri Zulu.
Erano in tanti, forse una quarantina, tutti armati fino ai denti di lancia e scudo e all'apparenza molto bellicosi.
Si trattava di un'imboscata in piena regola e non avevano i numeri, né i mezzi, per difendersi, Luigi se ne rese conto immediatamente.
Non potevano combatterli.
"Scappate!" Urlò Carey, estraendo la rivoltella, "scappate ai cavalli!"
Ma certo, la loro unica fonte di salvezza erano quei quadrupedi: per quanto bellicosi o veloci fossero, quei guerrieri erano a piedi e una volta a cavallo sarebbero stati virtualmente al sicuro.
Luigi Eugenio scattò in piedi e subito corse, imitato dai suoi compagni, verso gli animali che, spaventati dal rumore, stavano già scalpitando.
Fece per voltarsi, ed esortare il soldato che si era seduto vicino a lui a fare lo stesso, ma con sommo orrore, proprio in quell'istante, alcuni Zulu spararono.

La cosa sorprese ulteriormente gli inglesi: sapevano che i guerrieri nemici usavano solo la lancia e lo scudo, in combattimento, ma evidentemente, durante la prima fase della guerra, erano riusciti a reperire diversi fucili europei, in special modo dopo la sconfitta subita dagli inglesi a Isandlwana.
Alcuni soldati provarono a rispondere al fuoco, finendo però a loro volta colpiti dalle pallottole Zulu.
Quell'ulteriore baccano contribuì a terrorizzare ancora di più i cavalli.

I sopravvissuti, correndo a perdifiato sotto le pallottole nemiche, riuscirono in breve tempo ad arrivare alle loro bestie e a salirci sopra ma Luigi tardò: i suoi compagni si erano allenati, erano in perfetta forma fisica mentre lui non correva a perdifiato da anni ormai.
Sentiva il cuore sul punto di esplodere, il fiato corto e il passo via via più incerto, ma continuò a correre, era l'unica cosa da fare.
Ginocchia alte e ritmo costante gli ripeteva il sergente Danton, in accademia. Si, non era propriamente una cosa semplice con un nemico mortale alle sue spalle.
Con la coda dell'occhio, vide che i suoi aggressori si trovavano ormai a una cinquantina di metri e quando arrivò ai cavalli, gli altri soldati erano già montanti sopra.

"Aspettatemi, aiutatemi," boccheggiò ma gli altri non lo sentirono.
Il panico si era impossessato di quei fedeli sudditi dell'imperatrice Vittoria, la stessa che gli aveva espressamente ordinato di curarsi di lui, di vegliarlo in caso di pericolo. Evidentemente la paura aveva avuto la meglio, doveva cercare di cavarsela da solo.

Con il cuore che ormai sbatteva furiosamente, e senza controllo, contro la gabbia toracica, con un'ultimo slancio di forza vitale, il principe afferrò la sella del suo cavallo. Fece per montarci sopra quando l'animale, vistosi ormai circondato e impaurito dalle urla e dalle grida degli assalitori, partì in una corsa disperata quando ancora Luigi Eugenio era solo in parte aggrappato alla sella.
La paura aveva infine vinto anche il suo amato destriero.

Se fosse stato nel pieno delle forze, se non avesse corso a rotta di collo, se il suo cavallo fosse andato un po' più piano, il ragazzo avrebbe potuto cercare di montare correttamente sulla sella… ma così non fu.
Il principe si aggrappò disperatamente alla porzione di sella che teneva tra le mani, sentendola sempre più scivolosa e difficile da trattenere.
Dopo neanche cento metri di folle corsa, infine, una cinghia si strappò e il principe, con un urlo di terrore, cadde per terra, finendo in parte calpestato dalle zampe dell'animale.

Una persona con meno vigore, un carattere più arrendevole, non si sarebbe rialzata. Avrebbe atteso per terra la sua morte e per qualche istante quel pensiero passò nella mente del Principe.
Ma poi quell'idea venne subito sostituita, nella sua mente, dall'immagine di sua madre. No, non poteva causare ulteriori sofferenze a quella donna.
Vide l'immagine di suo padre e no, non poteva essere lui la causa della fine del sogno Bonapartista.
Vide Beatrice. No, quella ragazza si era così tanto impegnata ad aiutarlo e lui la ripagava in quel modo?
Vide l'imperatrice Vittoria. Aveva dato asilo alla sua famiglia, sapeva che grazie a lei e al suo intervento lui si trovava in Sudafrica.
Avrebbe ricambiato il suo aiuto e la sua ospitalità con quella debacle?

Aprì gli occhi e con un grugnito selvaggio si rialzò.
Non poteva finire in quel modo.
Nonostante la caduta, non aveva nulla di rotto, o almeno così sembrava, solo la mano destra gli doleva molto, forse il cavallo l'aveva pestata nella caduta.
Vide gli Zulu farsi vicino e pensò a quello che aveva dovuto provare il padre durante la sua ultima battaglia.
Da una parte una morte eroica, dall'altra la possibilità di arrendersi e coprirsi di ridicolo. Ma in quel caso, nel suo caso, non aveva scelta: dubitava che gli Zulu lo avrebbero lasciato in pace e che figura ci avrebbe fatto? Imprigionato da una popolazione di indigeni, lui, il nipote di Napoleone.
Non avrebbe coperto di ridicolo la sua dinastia.

Dal gruppo di guerrieri se ne distaccarono una decina, puntando direttamente verso di lui. Forse Carey e gli altri erano lì vicini, ma dove?
Zoppicando leggermente, corse via, al contempo cercando di sparare con la sua rivoltella alle spalle, nel tentativo di rallentare gli Zulu.
Tutti i colpi, però, mancarono completamente il bersaglio e gli altri non si spaventarono anzi, adesso che la loro preda era così vicina, e in difficoltà, non si sarebbero fermati per nessun motivo al mondo.
Lo sapeva bene, avrebbe fatto lo stesso.

Sentì il panico attanagliare il suo cuore. Non c’era traccia degli altri inglesi, possibile lo avessero abbandonato?
Fermò un attimo la sua corsa, cercando di puntare la pistola verso il gruppo di assalitori, e sparò ancora due colpi. Anche questa volta li mancò, la mano tremava troppo e doveva usare la sinistra per sparare.
Adesso gli Zulu erano ancora più vicini, uno di loro prese in mano la lancia e la gettò verso di lui, mancandolo di qualche metro.
Avrebbe dovuto cercare di muoversi a zig zag, non di rimanere fermo, ma il Principe aveva già esaurito le poche forze rimaste. Aveva ancora un paio di colpi a disposizione, quindi cercò di sparare verso l'uomo che aveva lanciato la sua arma.
Fece per premere il grilletto quando provò un dolore indescrivibile alla spalla sinistra.
Uno degli assalitori lo aveva colpito con la sua lancia.

Urlò di dolore e rabbia, mentre gli Zulu festeggiarono quel colpo andato a buon segno.
Avevano ragione. Sua madre era nel giusto. Lui non era un soldato, era un principe e quello non era il suo posto.
Aveva tanto sognato quell'avventura e adesso doveva finire in quel modo?

Non dubitava che la sua morte sarebbe stata tragica.
Gli assalitori erano sul punto di lanciarsi su di lui, come tanti avvoltoi famelici che volavano sopra un leone morente.
Un leone sciocco e imprudente che si era avventato oltre il confine della savana, dove era al sicuro, re della foresta.
Là, fuori dalla sua tana, non era nulla, solo un micio bagnato che miagolava, invece di ruggire.

Sorrise amaramente, Luigi Eugenio, proprio come quel leone anche lui aveva osato troppo ed era finito nella trappola delle iene.
Il suo destino era segnato, era stato troppo avventato, commettendo un errore imperdonabile e gli errori si pagano. Così diceva suo padre.
Ma, se doveva pagare, avrebbe ruggito, forte e potente, prima di finire in pasto agli avvoltoi e alle iene. Un'ultima volta.

Cancellò dalla mente l'immagine di sua madre, di Beatrice, di tutti i collaboratori che avrebbe inevitabilmente deluso e rattristato.
Ormai non gli doleva nemmeno più la mano destra, perciò si chinò e raccolse la lancia che l'assalitore gli aveva prima lanciato, mancandolo.
La raccolse e, con la pistola nella sinistra e la lancia nella destra, osservò gli Zulu che a loro volta ricambiarono lo sguardo.
Non c'era più divertimento o rabbia nei loro occhi, ma rispetto.
Rispetto per quel leoncino malconcio ma combattivo.
Era coraggioso. Sciocco, certo, ma coraggioso.

Ci provò, Luigi, a combattere. Reggendo a malapena lancia e pistola, si lanciò contro gli Zulu, ben sapendo che quelle sarebbero state le sue ultimi azioni.
Attaccò ma erano in troppi e il ragazzo, ferito dalla caduta e dalla lancia conficcata nella spalla, esausto per la lunga corsa, venne ben presto circondato.
Il primo colpo lo raggiunse alla coscia, il secondo al petto.
Luigi Eugenio lottò come il leone ferito che era, ma non c'era più via di uscita.
Crollò a terra e rivisse, nella sua testa, la sua breve vita. L'infanzia a palazzo, la fuga in Inghilterra, i viaggi, le riunioni e infine l'arrivo in Sudafrica.

Venne circondato e la terza lancia lo colpì all'occhio.
Smise di lottare, esalando l'ultimo, flebile, respiro.

/ / / / / / /



*accampamento Zulu.

Mamma mia, ho affrontato questo capitolo con un magone addosso abbastanza incredibile.
Sapevo fin dall'inizio che saremo giunti a questo punto, ma nel corso dei mesi mi sono affezionato alle vicende di questo sciocco, avventuroso, principe e dirgli addio mi costa.
Ovviamente non sarà l'ultimo capitolo, ne mancano giusto due o tre, ma ovviamente le vicende di Luigi Eugenio terminano in Sudafrica!

  
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