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Autore: MissAdler    23/06/2023    5 recensioni
Itai doshin significa “diversi corpi, stessa mente” ed è un’espressione che ho trovato azzeccatissima per i personaggi di questo anime/manga. Si riferisce infatti a quella connessione che si viene a creare tra persone molto diverse tra loro che però hanno qualcosa che le unisce.
Questa sarà una raccolta di OS e flashine su varie ship, il rating cambierà e verrà segnalato di volta in volta.
1. Cascare nei tuoi occhi. KageHina
2. Non avere paura. AsaNoya
3. Vorrei. DaiSuga
4. Connessi. KageHina
5. Bright Star. BokuAka
6. 10 cose che odio di te. KuroTsukki
7. Autumn in Tokio. BokuAka
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Aoba Johsai, Shiratorizawa, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Coppia: Azumane/Nishinoya
Rating: giallo
missing moment, post s3

 
 

NON AVERE PAURA
 
 
 
Se mi guardi così, se mi sfiori così
Se avvicini la tua bocca al mio orecchio
Non finirà bene
Ma ti prego no, non smettere
Non smettere mai


 

Yū Nishinoya correva veloce, come una volpe selvatica che sfrecciava tra gli alberi annusando l’aria impregnata di pioggia. Asahi Azumane gli stava dietro a fatica, con i suoi settantacinque chili di muscoli e la stazza di un orso impacciato.
Il vento che gli gelava le guance profumava di legno dolce e terra bagnata, le scarpe affondavano mollemente nel fango mentre i pantaloni della divisa si inzaccheravano fino alle ginocchia.
“Nishi, aspetta! È inutile, ci siamo persi!”
Non erano nemmeno le cinque di pomeriggio, ma a fine gennaio le giornate erano corte e la notte arrivava presto, molto prima del sonno.
“Non ci siamo persi” aveva risposto il volpacchiotto mentre sfrecciava pochi metri avanti a lui. La voce attutita dalla pioggia battente, la figura illuminata solo per un istante da un lampo in lontananza mentre indicava qualcosa di imprecisato davanti a lui. “Vedi?? Guarda laggiù, quella è la casetta di cui ti ho parlato! Quella dove venivamo io e il nonno d’estate.” Noya aveva smesso di correre e ora saltellava sul posto sovraeccitato. “Direi che abbiamo trovato il riparo perfetto!”
“L- lì dentro?”
“Andiamo, Asahi, non fare il cacasotto! Sei un armadio di un metro e ottanta!”
Ma una capanna abbandonata nel folto del bosco, durante una tempesta, è lo scenario perfetto per qualunque film dell’orrore, si era ritrovato a pensare Azumane mentre batteva i denti per il freddo. Forse un po’ anche per la fifa.
Nishinoya doveva essersi stancato di saltellare e ora lo stava guardando immobile, con la testa inclinata da un lato. Azumane aveva sentito quella familiare vibrazione lungo la spina dorsale, tra le costole, fino all’osso sacro mente osservava i suoi capelli nerissimi e sporcati di giallo, completamente zuppi, che gli si appiccicavano alla fronte, alle orecchie, ai lati del collo. Si era sfiorato distrattamente i propri, ancora raccolti morbidamente dietro la testa ma appesantiti dall’acqua. Non riusciva mai a dire di no a Yū. Non riusciva a essere davvero spaventato se quel ragazzino gli stava accanto, il che suonava ridicolo visto che era lui quello grande e grosso, il gigante su cui circolavano le voci più disparate, dicerie che lo descrivevano sempre come una specie di criminale da cui guardarsi le spalle. Yū invece era un furetto tutto grinta e ottimismo, così minuto da sembrare un moccioso delle medie, eppure rimaneva l’unica persona che riusciva davvero a infondere coraggio al temuto asso del Karasuno.
“Va bene, andiamo a dare un'occhiata.”


Doveva essere solo una passeggiata di un paio d’ore, Noya voleva fargli vedere il bosco dove lui e suo nonno andavano a raccogliere funghi, il laghetto con le carpe bianche e rosse, quel rifugio in mezzo agli alberi che non era nemmeno sicuro ci fosse ancora.
Ma poi il percorso era diventato difficile da seguire, erba, rami caduti, cespugli di pungitopo li avevano costretti a uscire dal sentiero e a gironzolare senza sapere bene dove andare, finché il buio e il temporale non li avevano sorpresi totalmente impreparati.


“Okay, mi aspettavo di peggio… non è messa poi così male.”
“Te l’avevo detto. L’ultima volta il nonno aveva anche riparato il tetto. In effetti è un peccato non esserci più tornati…”
Mentre Yū continuava a parlare a raffica, raccontando di quella volta in cui aveva pescato un pesce di quasi tre chili o di quando suo nonno gli aveva insegnato ad andare in bicicletta senza mani, Asahi continuava a guardarsi attorno affascinato. Le assi del pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi mentre passava in rassegna i muri di legno, le travi sul soffitto e i pochi mobili spartani: un divano logoro e macchiato, un tavolo con due sedie traballanti, un armadio mezzo aperto da cui spuntavano diverse canne da pesca e un vecchio baule mangiucchiato dai tarli.
Era bello trovarsi in un luogo dove Yū era stato bambino, in qualche modo era come imparare a conoscere lati di lui che a occhio nudo nessun altro poteva scorgere.


La prima volta che si era trovato davanti quel ragazzino del primo anno, capelli ingellati all’insù, maglietta bianca oversize, un sorrisetto impertinente sulle labbra sottili, Asahi Azumane era rimasto folgorato. All’inizio dell’anno scolastico l’aveva incrociato nei corridoi, ma non si erano mai parlati, nemmeno una volta. Finché un pomeriggio il piccoletto non si era presentato in palestra, con le sopracciglia aggrottate e un ghigno risoluto, quasi sfacciato. Azumane non avrebbe potuto negare che gli avesse fatto uno strano effetto.
L’aveva visto sfrecciare sul linoleum come un fulmine, ricevere le sue schiacciate in ogni modo possibile in un fluire di pura elettricità senza controllo, e allora aveva iniziato a domandarsi se a un certo punto la palla avrebbe di nuovo toccato terra o se avrebbe continuato a rimbalzare all’infinito sugli avambracci di quel ragazzino esagitato che non smetteva di ghignare.
Tu sei l’asso, giusto?”
Beh, tecnicamente… sì, sono Asahi Azumane, secondo anno.”
Che figooo! Le tue schiacciate fanno SBOOOM ma anche SBAM! Sono difficilissime da ricevere! Io mi chiamo Yū Nishinoya, primo anno!”
Oh… grazie, io… devo ancora migliorare il secondo tempo in realtà...”
Quindi adesso lo faremo insieme?”
F- faremo cosa?”
Le strisce a tutti i culi!


La pioggia non smetteva di picchiettare sul tetto di quella minuscola catapecchia, in lontananza qualche rapace notturno bubolava pigramente. Noya aveva riportato lo sguardo su di lui, i capelli completamente abbassati che gli gocciolavano sul viso, le guance arrossate dal freddo.
“Cavolo, mi dispiace Asahi.”
“Per cosa?”
“Doveva essere una passeggiata tranquilla.”
L’asso aveva sorriso lasciandosi cadere sul divano polveroso. “Con te? Qualcosa di tranquillo?”
“Ma ora sei bloccato qui… magari hai degli impegni per cena…”
“Nessun impegno. E poi sto bene qui” aveva detto stringendosi nelle spalle e infilando le mani tra le ginocchia, “mi piace la pioggia.”
Mi piace stare con te, non importa dove siamo, non importa se il cielo ci cade addosso.
Era questo che avrebbe dovuto dire, se per una volta avesse trovato il coraggio necessario, ma poi uno starnuto lo aveva strappato dai suoi pensieri.
“Se ti ammali prima del torneo primaverile, Daichi ammazzerà me, lo sai?”
“Ammazzerà tutti e due.”
Un secondo starnuto, un altro e un altro ancora.
Nishinoya si era avvicinato al baule e ne aveva tirato fuori una coperta appallottolata. “Fa un po’ schifo, ma meglio di niente.”
“Beh, dovresti prenderla tu. Come ti è saltato in mente di uscire in pantaloncini corti??”
“Nah, io non ho mai freddo!”
Azumane se l’era appoggiata sulle spalle, poi era rimasto seduto a guardare l’amico che gironzolava allegro in quei pochi metri quadri, le mani sui fianchi e gli occhi che saettavano su ogni oggetto, su ogni asse di legno, come se fossero schermi in cui poteva vedere proiettati mille ricordi.
Se Asahi avesse avuto le palle di correre il rischio, si sarebbe alzato da quel divano, avrebbe raggiunto Yū e l’avrebbe stretto tra le braccia, avrebbe premuto il torace tra le sue spalle, la bocca tra i suoi capelli bagnati, non avrebbe temuto di spezzare quelle ossa sottili, di soffocarlo con la sua stretta poderosa e sgraziata. Non gli sarebbe importato di essere il doppio di lui, di poterlo letteralmente frantumare, spaventare o imbarazzare, di rovinare tutto, di mandare all’aria quell’amicizia che si era radicata sotto la loro pelle così spontaneamente, così testardamente.
“Mio nonno diceva che avere paura è una perdita di tempo.”
“Come?”
Yū aveva recuperato un vecchio pallone dal baule lasciato aperto e ora lo teneva tra le mani fissando con sguardo assente il cuoio scolorito.
Asahi si chiese se non stesse semplicemente ragionando ad alta voce o se magari non avesse detto nulla, se l’avesse solo immaginato, perché ciò che aveva mormorato il più piccolo era la risposta perfetta a tutte le domande che gli vorticavano in testa.
“Dietro ogni paura c’è un’occasione sprecata, Asahi.” Nishinoya si era voltato e ora lo guardava negli occhi, stringendo il pallone tra le mani. “E poi, tu tra poco te ne andrai. Dopo questo torneo non sarai più il nostro asso.”
Per un momento Azumane aveva creduto che stesse per piangere. Lui stesso forse stava per farlo, perché il pensiero di non essere più parte del suo mondo, di quella squadra, del sogno per cui avevano lottato, per cui si erano allontanati, persi e ritrovati, trasformandolo in un obiettivo reale, concreto, raggiungibile… era deprimente e insostenibile.
Non voleva perdere tutto questo. Non voleva perdere Yū.
“Quindi ti deciderai a baciarmi, prima della vittoria?”
Ad Asahi era andata di traverso la saliva e aveva iniziato a tossire come un idiota. La coperta gli era caduta dalle spalle e quando la tosse era passata lui era rimasto a fissare le ginocchia di Nishinoya incapace di articolare anche un solo monosillabo.
“Perché vinceremo, giusto?” aveva continuato il libero senza scomporsi, lasciando cadere il pallone a terra e andando a piantarsi proprio davanti a lui.
Asahi non aveva più potuto evitare di guardarlo in faccia.
“S- sì…”
“Sì, vinceremo, o sì, mi bacerai?”
Sorrideva in quel modo sfacciato che gli faceva accartocciare lo stomaco. Di fronte a lui si sentiva debole, codardo, e allo stesso tempo aveva la sensazione di poter sollevare un palazzo a mani nude, di essere invincibile, di poter volare come il corvo che era in campo.
“Ma... io credevo che tu… Nishi, a te piace Shimizu” aveva balbettato squadrando il suo viso senza capire.
“A tutti piace Shimizu.”
In quei due anni, asso e libero avevano sviluppato un legame atipico, la loro non era propriamente un’amicizia tradizionale. In trasferta si addormentavano vicini sul pullman, la guancia di Yū sulla sua spalla, il respiro caldo sul suo collo, i capelli a solleticargli la mascella. La notte, rannicchiati nei futon improvvisati, una coperta da condividere era più che sufficiente, con il profumo del suo shampoo che gli riempiva il naso e le ginocchia che si toccavano per sbaglio e che poi restavano attaccate fino al mattino. Talvolta, in piedi contro un muro, tra la folla, sugli spalti durante la partita di qualcun altro, si erano sfiorati le dita senza nemmeno guardarsi, impalati uno di fianco all’altro, per poi intrecciarle in silenzio e restare così, palmo contro palmo, sentendosi completi.
O almeno, Asahi si sentiva così, quando gli era vicino. Come se in quel ragazzino così diverso da se stesso riuscisse a scorgere il suo riflesso, la sua parte mancante, metà della sua anima.




“A- a me non piace Shimizu…”
L’asso era sprofondato nello schienale del divano quando Yū gli si era avvicinato ancora, senza sganciare gli occhi dai suoi: non gli avrebbe mai concesso di fuggire proprio ora.
Troppo a lungo Asahi si era ostinato a considerare Shimizu l’alibi di Yū, quando in realtà era sempre stato il suo. Era più facile credere di non avere speranze, di non essere ricambiato, che l’oggetto del desiderio di Nishinoya fosse un’altra persona. Era un po’ come restare sempre in panchina: non rischiava niente, ma non vinceva mai.
Con il cuore in gola aveva strabuzzato gli occhi, squadrando l’altro che si metteva a cavalcioni su di lui, circondandogli il collo con le braccia e ostentando la più completa nonchalance, come se fosse solo un gioco. All’improvviso Asahi non aveva più freddo, la pioggia era una patina gelida sulla pelle ma lui non la sentiva più. Non sentiva il ticchettio cadenzato sopra le loro teste, il profumo di resina e terra bagnata, il peso dello chignon ormai sfatto e pesante d’acqua sulla sua nuca. C’era solo Yū, le sue ossa che premevano sui muscoli delle cosce, il suo peso caldo e denso che lo immobilizzava contro ogni logica. Se Azumane avesse voluto, avrebbe potuto sollevarlo con un braccio solo, scansarlo, allontanarlo, gettarlo a terra e fuggire via.
Se solo avesse voluto.
Invece aveva sollevato lo sguardo puntando gli occhi in quei pozzi scuri e immensi. Era strano che in quella posizione Yū fosse più in alto di lui, ma allo stesso tempo era giusto.
Asahi aveva sempre pensato che per qualche errore divino i loro corpi fossero stati invertiti, che quello alto e ben piazzato dovesse essere Nishinoya, mentre lui, con la sua indole timida e insicura, si sarebbe trovato più a suo agio in quelle membra corte e sottili, in quei muscoli abbastanza scattanti per scappare via, abbastanza asciutti da farlo passare inosservato.
Ma in fin dei conti, era bello anche così, con loro due che in qualche modo si erano scambiati i corpi, che per quel disguido sarebbero rimasti collegati per sempre, nonostante tutto.
“A me non piace Shimizu” aveva ribadito con più convinzione, sfiorando con dita incerte le cosce toniche di Yū, la peluria imperlata di pioggia e sudore, la pelle calda, i solchi dei muscoli tesi vicino alle ginocchia.
Dietro ogni paura c’è un’occasione sprecata.
“Perché tu sei uno originale, Asahi.”
Yū stava sorridendo, senza malizia, in quel modo impertinente, infantile e contagioso che Asahi aveva scoperto di amare dal primo momento.
“No” aveva risposto sentendosi improvvisamente coraggioso, come nell’istante in cui si dava lo slancio per staccarsi da terra e sfondare un muro a tre, assurdamente convinto di poterci riuscire. “Perché a me piaci solo tu.”


Yū non aveva smesso di sorridere, ma tutto il suo corpo aveva tremato per un istante. Asahi aveva sentito tutti i suoi muscoli acerbi contrarsi all'unisono, le sue cosce stringersi su di lui, le braccia farsi più strette intorno al suo collo. E lasciandosi guidare da quell’improvvisa fiammata di coraggio, si era gettato in avanti, chiudendo gli occhi mentre le labbra di Yū si aprivano contro le sue.


Azumane non aveva mai baciato un ragazzo.
Alle medie gli era capitato con un paio di ragazze, più per curiosità che per vero desiderio. Il tifo degli amici scemi poteva questo e altro durante una festa estiva o un gioco a penitenze.
Ma da quando aveva conosciuto Yū Nishinoya, si era reso conto di volere solo lui, di volerlo davvero, cosi intensamente da starci male. Voleva ascoltare la sua risata, i suoi deliri logorroici, gli insulti, le parolacce. Voleva guardarlo giocare, sorridere, arrabbiarsi. Voleva toccarlo e stringerlo e premere la bocca sulla sua. Voleva spettinargli i capelli e farlo sentire al sicuro, proprio come si sentiva lui quando gli era accanto. Amava ogni particolare di quel ragazzino pazzo e sovraeccitato, perché accanto a lui diventava una persona migliore.
Per questo aveva avuto così tanta paura di deluderlo, per questo era rimasto immobile, su quella panchina immaginaria, per ben due anni.
Ma ora che l'asso era entrato in campo, non si sarebbe seduto mai più.


Asahi fece scorrere le mani sui fianchi stretti di Yū, le infilò sotto la sua felpa e sotto la maglietta ancora bagnata, li premette contro la sua schiena bollente e se lo trascinò addosso. Quando Noya piegò la testa di lato per baciarlo più profondamente, Asahi non ebbe più paura di fargli male, di stringerlo troppo forte o di togliergli il respiro. In realtà adesso era lui quello senza fiato, mentre la bocca del ragazzino scivolava umida sulla sua e le sue dita giocherellavano con i capelli sfuggiti allo chignon.
Non gli importava se il temporale avrebbe imperversato per tutta la notte o se quella catapecchia gli sarebbe crollata in testa. Avere paura era una perdita di tempo, ora finalmente lo capiva. E gliel’aveva insegnato Yū. Glielo stava insegnando anche ora, mentre con quella lingua dispettosa accarezzava la sua, mentre si sedeva un po’ più avanti sulle sue cosce, schiacciandosi su di lui, strappandogli un gemito che si era confuso con la pioggia.




 
FINE


 
ANGOLINO DELL'AUTRICE

Salve corvetti e corvette! Torno prima del previsto con questa piccola Asanoya, che avevo in testa già da un po’ ma che alla fine sono riuscita ad abbozzare solo in questi giorni. Non sono pienamente soddisfatta del risultato, forse perché ho paura di non averli resi abbastanza IC, ma spero che comunque vi sia piaciuta. Ero molto tentata di continuare la lemon e farli quagliare, lo ammetto, però boh, ancora non mi sento sicura perché sono picciniii XD
Comunque, se vi va di lasciarmi un parere, mi farete felice.
La canzone citata è Non avere paura di Tommaso Paradiso.
A presto!
Aislinn


ATTENZIONE
Questa storia partecipa fuori-challenge all’iniziativa “Tanti piccoli semi per far fiorire nuove storie” indetto sul gruppo L’Angolo di Madama Rosmerta e si ispira al prompt del PACCHETTO BIANCOSPINO, che conteneva queste indicazioni:
Prompt: Passeggiata nel bosco
Situazione: A e B vengono sorpresi da un temporale e sono costretti a rifugiarsi in una casa abbandonata.
Bonus: a un certo punto della storia viene inserito un flashback.



 
   
 
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