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Autore: IndianaJones25    28/06/2023    1 recensioni
Nei meandri del mio computer, ho ritrovato alcuni brevi racconti scritti tra il 2017 e il 2021 che non ho mai pubblicato qui su Efp. Visto che oggi arriva al cinema la nuova avventura di Indy, intitolata INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO, ho deciso di condividerli qui.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr.
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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INDIANA JONES E LA MUMMIA

(Scena eliminata da Indiana Jones e lo Scrigno dei Venti)

 

«Bene» rispose l’archeologo. «Allora, quasi quasi, approfitterò di questa sosta per andare a visitare i templi. Se ci fosse stato più tempo, avrei anche potuto fare una capatina fino alla Valle dei Re a controllare come vanno i lavori di Carter, ma pazienza. Mi accompagni?»

«Preferirei andare a cercare un bar in cui riposarmi, Indy!» replicò l’altro. «Sai, comincio ad essere un po’ stufo di andare su e giù per i deserti. Tu, però, almeno questa volta, cerca di non cacciarti troppo nei guai!»

Quindi, con una risata, si allontanò.

Dal canto suo, Jones uscì dall’abitato e si diresse verso il grande tempio di Luxor, uno dei templi maggiori, nonché uno di quelli conservatisi meglio dai tempi dell’antico Egitto.

C’era già stato in diverse occasioni - la prima, con i genitori, quando aveva appena sette anni - ma doveva riconoscere che, ogni volta, era un’emozione unica quella di poter ripercorrere quel lungo viale circondato da sfingi austere, prima di varcare la soglia ornata dalle statue imponenti delle divinità e penetrare nel cortile del tempio, la cui sacralità non era mai venuta meno e continuava ad emanare con impeto pauroso, nonostante il trascorrere dei secoli e le ingiurie del tempo avessero per buona parte rovinato quell’antico esempio dell’umana sapienza. Eppure erano proprio le colonne corrose, i blocchi sconnessi e le pitture ormai sbiadite a donare a quel luogo un magnetismo che, forse, non aveva effuso neppure nel momento del suo più grande splendore.

Giunto nel cortile interno del tempio, Jones si soffermò a lungo e meditabondo nei pressi della grande raffigurazione di Ramesse II, assiso in trono e con un’espressione di divina calma dipinta sul volto. Sembrava quasi che l’antico monarca continuasse a sorridere benevolmente alla sua terra, il luogo che, molto prima dei Greci e dell’ascesa di Roma, aveva fatto conoscere al mondo un mirabile ed invidiato senso di cultura e di civiltà estremamente progredita.

Quello che, in quel momento, ricambiava il suo sguardo era il faraone che, più di qualunque altro, anche grazie alla lunga durata del suo regno, aveva donato all’Egitto un numero spropositato di templi e di grandi monumenti, sui quali erano molto spesso narrate, attraverso la sacra scrittura geroglifica e magnifiche raffigurazioni, le cronache delle sue leggendarie imprese, prima tra tutte la battaglia di Qadesh, combattuta nel 1275 avanti Cristo in territorio siriano: un’audace impresa, che ancora lasciava perplessi gli storici, incapaci di comprendere in quale maniera il piccolo e male equipaggiato esercito egiziano fosse riuscito a sbaragliare l’impeto delle forze imperiali ittite, meglio addestrate e, soprattutto, nettamente superiori come numero. Tra l’altro, il bollettino egizio raccontava di come il giovane faraone, abbandonato dalle sue truppe e affiancato solamente da un superbo e feroce leone, avesse audacemente guidato il proprio carro da guerra contro il nemico, disperdendolo e costringendolo a ripiegare disordinatamente oltre Qadesh. Un vero rompicapo che, molto probabilmente, non sarebbe mai stato risolto del tutto; l’unica cosa sicura era che, da quel momento in avanti, gli Ittiti non solo avevano rinunciato per sempre alle proprie mire espansionistiche verso la valle del Nilo, ma avevano anche stipulato con gli Egizi un trattato di pace, il primo nella storia del genere umano.

Ramesse II era poi invecchiato pacificamente alla guida del suo popolo, sopravvivendo all’amata moglie Nefertari ed a numerosi figli; ma in tutti i suoi sessantasette anni di regno non perse mai lo smalto, tanto che la sua mummia, conservata al Cairo, mostra ancor’oggi i tratti di un uomo ancora saggio e deciso, quasi pronto a riaprire gli occhi per tornare a sedere sul trono d’Egitto. In ogni caso, egli non si limitò a lasciare al figlio Merenptah un regno saldo e sicuro, bensì riuscì addirittura a vincere la morte, tramandando ai posteri l’immagine di un monarca giusto ed illuminato.

Perso in quelle riflessioni, Jones non si rese conto dell’uomo che, furtivamente, lo aveva raggiunto alle spalle.

Improvvisamente, un braccio gli strinse la gola e si sentì rovesciare a terra. Reagendo rapidamente, riuscì a colpire con un calcio all’indietro il suo assalitore e, liberatosi dalla presa, si volse e percosse con un pugno il viso dell’uomo che lo aveva aggredito.

Con un grugnito, un omone grande e grosso, dai capelli castani e con addosso, oltre a pantaloni marroni e una camicia bianca, un vero e proprio arsenale, cadde pesantemente al suolo, con un labbro spaccato. Scuotendo sconsolatamente il capo, una bella donna dai lunghi capelli neri uscì da dietro una colonna, guardando i due contendenti.

«Rick… te l’avevo detto che non era lui!» sbottò la donna.

«È vero, Evy… ma sembrava davvero lui, di spalle» bofonchiò l’uomo, massaggiandosi il labbro tumefatto prima di rimettersi a fatica in piedi. «E, per una volta, pare che ne abbia trovato uno che picchia duro quanto me.»

In quanto a Jones, aveva ancora i pugni alzati, pronto a rispondere ad una nuova aggressione.

«Può abbassare le mani, signore, mio marito non voleva farle del male. Si è trattato di un increscioso incidente» disse la donna chiamata Evy, rivolgendosi all’archeologo con un largo sorriso ad ornare il suo visino grazioso. «E, adesso, le chiederà scusa.»

«Ma che diavolo sta succedendo, qui?» sbottò a questo punto Jones, ritrovando infine la parola.

«Niente di grave» fece l’uomo, tendendogli una mano. «Mi scuso profondamente per averla colpita, ma siamo sulle tracce di un ladro di antichità che ci ha derubato durante uno scavo e, da lontano, pensavo che fosse lei. Mi chiamo Richard O’Connell e questa è mia moglie, Evelyn. Ma, se vuole, può chiamarci Rick ed Evy.»

«Molto piacere» disse allegramente la donna, tendendo a sua volta la mano.

«Questi sono pazzi» pensò Jones, senza stringere le mani né dell’uno né dell’altra.

«E voi due, per acciuffare un dannato ladrone, ve andate in giro ad aggredire la gente così, senza farvi due domande?» urlò.

Evy parve imbarazzata, mentre Rick assunse un’aria offesa.

«Ehi, le ho chiesto scusa!» ringhiò.

«Sì, mio marito non le causerà più alcun problema, posso assicurarglielo!» aggiunse la ragazza.

«Magari possiamo offrirle qualcosa da bere?» domandò O’Connell.

«O aiutarla in qualche modo?» aggiunse subito la moglie. Il suo sguardo si abbassò sulla frusta che pendeva dalla cintura di Jones. «Ma lei è per caso un cavallerizzo?» chiese. «Oppure sono io che mi sono persa qualcosa?»

Indiana Jones pensò che fosse meglio non replicare. Non aveva voglia di perdersi in una discussione con due perfetti sconosciuti che dovevano essere pure mezzi matti. Quel tale sembrava credersi un avventuriero o qualcosa del genere, ma non sarebbe stato degno neppure di pulirgli le scarpe. Inutile sprecarci altro tempo. Quindi, senza una sola parola, volse loro le spalle e si avviò verso l’uscita del tempio.

«Ma, ehi, signore!» gridò la ragazza, cercando di richiamarlo indietro.

Senza voltarsi a sentire che cosa volesse, Indiana Jones tornò verso la cittadina, intenzionato a trascorrere il resto delle ore mancanti prima della partenza al bar, in compagnia di Sallah.

E, poi, guardandosi meglio attorno, nell’osservare i mattoni posti l’uno sull’altro e le altissime colonne di granito, Jones non poté fare a meno di pensare ai sommi sforzi messi in atto da gente comune, persone che, pur non avendo lasciato di sé grandi nomi o statue di pietra, avrebbero continuato ugualmente a mantenersi vive attraverso la loro mirabile opera, quel lavoro di costruzione che aveva eternato le loro imprese.

Tutto, però, era ormai in rovina, un rudere archeologico che alcuni suoi colleghi, pochi decenni addietro, avevano liberato dalla sabbia e dai detriti che, per secoli, lo avevano ricoperto e che, ancora, minacciavano di tornare ad invaderlo, costringendo così gli operai ad un continuo ed insistente lavoro di pulitura. Gli venne spontaneo domandarsi, dunque, se quel destino, un giorno o l’altro, sarebbe stato il medesimo della civiltà di cui era lui stesso un esponente. In verità, un simile pensiero, lo coglieva molto spesso, quando si trovava innanzi ai resti tangibili lasciati da popolazioni ormai scomparse sotto le sabbie del tempo. Le grandi città d’America e d’Europa, le strade, le ferrovie, i transatlantici, sarebbero stati eterni oppure, a seguito di qualcosa di sconvolgente, sarebbero scomparsi sotto uno strato di terra e di macerie, in attesa che archeologi del futuro arrivassero con le loro pale a scoprire le meraviglie di un’epoca ormai tramontata? Non possedeva una risposta, naturalmente. Ma la sconvolgente esperienza della guerra, conclusa da una manciata di anni solamente, gli aveva insegnato quanto fosse fragile l’essere umano, quanto fosse capace ad andare - in completa solitudine e autonomia - vicino al proprio annientamento totale.

Si chiese anche, passando la mano sopra un muro ricoperto di geroglifici e facendone cadere la sabbia che lo incrostava, se gli antichi Egizi - e con essi tutte le popolazioni ormai estinte - avessero mai immaginato un tempo in cui loro non sarebbero più esistiti ed altri uomini sarebbero giunti a profanare le loro costruzioni più sacre.

La sua mente, come sempre quando poteva contemplare in perfetta tranquillità le vestigia dei millenni ormai trascorsi, si riempiva di domande, quesiti sul passato e sul futuro; ma l’illuminazione, la risposta definitiva, difficilmente sarebbe mai giunta. Non credeva di poterla cogliere né, a dire la verità, ne aveva davvero voglia: l’importante, in fondo, era continuare ad interrogarsi, a pensare e ragionare, sperando che quegli stessi pensieri si affacciassero pure nelle teste dei suoi contemporanei e mostrassero loro quali strade seguire e quali, invece, non seguire.

L’uomo, guardando al passato, avrebbe dovuto comprendere la propria piccolezza, Jones se lo ripeteva sempre. E, di conseguenza, avrebbe dovuto guardare al futuro con occhi migliori, tentando di evitare i tanti errori commessi in precedenza. Eppure, non riusciva a persuadersi le che cose sarebbero migliorate davvero, almeno non nell’immediato: ci sarebbero voluti chissà quanti anni - quanti secoli, a dirla tutta - prima che l’essere umano comprendesse di essere solamente un granello di polvere pronto ad essere spazzato via dalla più minuta bava di vento.

Sul suo volto coperto di barba ispida si allargò un ghigno; che ragionamenti! Se li avesse potuti sentire, probabilmente anche suo padre sarebbe stato fiero di lui: voleva dire che, dopotutto, qualche cosa era riuscito ad insegnarli, in fondo. Volse nuovamente gli occhi verso la grande statua di Ramesse, che sorrideva imperturbabile da tremila anni, e ricambiò il sorriso. Poi, sentendosi molto stanco - tutte le imprese degli ultimi giorni cominciavano a pesargli addosso ed a farsi sentire - decise che avrebbe fatto meglio a lasciare il tempio ed a raggiungere Sallah al bar per trascorrere in sua compagnia le ore rimanenti prima della partenza della loro nave, che li avrebbe ricondotti verso casa. Ancora un paio di giorni al massimo, ed avrebbe finalmente potuto scordarsi tutte le disavventure dell’ultima settimane - e, con esse, pure quelle sue meditazioni sin troppo filosofiche - per pensare e dedicarsi solamente alla sua Marion.

 
   
 
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