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Autore: Yanez76    28/06/2023    1 recensioni
Storia ambientata durante la prima guerra mondiale, con protagonista il giovane Indiana Jones.
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa Schneider, Henry Walton Jones Jr.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Castello di Bouchout, Meise, Belgio, 7 giugno 1916.
 
L’imperatrice alzò gli occhi dall’acquerello che stava ultimando, rivolgendo al cielo uno sguardo incuriosito e leggermente preoccupato.
«E quello cosa sarebbe?!» esclamò la donna stupefatta nello scorgere il biplano che sorvolava rombando il ridente prato, prospicente il limpido laghetto in cui si specchiava il bianco castello di Bouchout, dove era stato fissato il suo cavalletto per dipingere.
«È un areoplano, vostra maestà.», si affrettò ad informarla la dama di compagnia.
«Un aero… cosa?»
«Un aeroplano, un apparecchio per volare.»
«Ma…e come fa a stare in aria? Non vedo il pallone…»
«Non c’è alcun pallone, vostra maestà», spiegò la ragazza, «Si tratta di un nuovo apparecchio che vola solo grazie alle ali e ad un’elica. L’hanno inventato due americani qualche anno fa…»
«Oh, capisco… Devo assolutamente scriverlo a Max… Sì, Max deve assolutamente saperlo… Lui si interessa molto alle scoperte scientifiche… Sta facendo del nostro Messico un paese molto avanzato… È tanto buono il mio Max, lo amano tutti… Sono sicura che quando lo saprà manderà uno di quelli a prendermi per portarmi da lui a Chapultepec…»
«S…sì certo, vostra maestà…”, fece la fanciulla abbassando gli occhi e inghiottendo un moto di commozione.
Una guardia dall’uniforme sgargiante si avvicinò alla sovrana, irrigidendosi sull’attenti.
«Vostra maestà, una delegazione austriaca chiede di essere ricevuta.»
«Sono molto occupata.”, disse la donna indicando l’acquerello che stava dipingendo, «ma mi sa che il momento giusto è ormai passato e non c’è più la luce adatta: lo finirò domani. Fateli passare.»
Ad un cenno della guardia, i domestici si affrettarono a portar via il dipinto, reggendolo con cura, mentre due giovani che vestivano uniformi da ufficiali dell’imperialregio esercito austro-ungarico avanzarono reggendo un’elaborata composizione floreale, che le porsero con un impeccabile inchino.
«L’imperatore Franz Josef desidera porgere i suoi omaggi a vostra maestà in occasione del vostro augusto genetliaco.»
«Oh, mio cognato si è ricordato del mio compleanno… Ditemi come sta il caro Franz…»
«Sua maestà imperiale e regia gode di ottima salute, vostra altezza.»
«E sua moglie, come sta? E i miei nipotini? Gisella, il piccolo Rudolf?»
«Ehm, ecco, veramente…”, farfugliò l’ufficiale, messo a disagio dalla domanda.
La guardia, evidentemente abituata a tali evenienze, con una voce che solo l’ufficiale poté udire gli sussurrò: “Sua maestà oggi sembra non ricordare. Vi prego di non turbarla…».
«Oh, capisco, perdonatemi se vi ho messo in difficoltà…», continuò l’imperatrice, ridacchiando divertita, credendo di indovinare il motivo dell’imbarazzo dell’ufficiale.
«Dovevo immaginarlo: la vostra sovrana sarà sicuramente in giro per uno dei suoi soliti viaggi! Intendiamoci, non che ci sia qualcosa di male a voler conoscere un po’ il mondo: anche il mio caro Max dice sempre che bisogna vedere paesi nuovi… Sapete, lui ha fatto anche il giro del mondo con la fregata Novara! Ma, benedetta figliola, a tutto c’è un limite! Dovrebbe capirlo anche lei che il posto di una moglie è al fianco di suo marito! Mi ricordo di quando passava a trovarci a Miramare: sempre inquieta, sempre in cerca di qualcosa… Sapete, Max la trova molto simpatica, gli piace parlare con lei di viaggi e di terre lontane… Oh, non crediate che io sia gelosa, in fondo la capisco, poverina, a lei è toccato solo il trono d’Austria: un paese così all’antica, con quella corte ingessata nel cerimoniale spagnolo, quell’etichetta così rigida… Max ed io invece abbiamo avuto davvero fortuna: a pochissime persone capita il privilegio di fondare una dinastia, di dar vita ad un paese completamente nuovo, immenso, pieno di prospettive, destinato ad un radioso avvenire come l’Impero Messicano! Già, l’impero Messicano… il nostro Impero Messicano…»
La donna non proferì più parola mentre un sorriso indefinibile saliva ad incresparle le labbra e il suo sguardo si fissava sull’orizzonte a rimirare qualcosa che lei sola vedeva.
La guardia fece un cenno ai due ufficiali che si affrettarono a prendere congedo, rivolgendo un cerimonioso quanto inutile saluto all’infelice sovrana, la quale, ormai rapita in un sogno o in un ricordo, non mostrò neppure di udirli o di avvertire la loro presenza.
«Povera donna», mormorò uno degli ufficiali rivolto al compagno, mentre si avviavano all’uscita del castello, “nonostante tutti gli anni che sono passati, non ha mai recuperato la ragione…»
«Non lo so Frederick, » rispose l’altro, “a volte mi viene da chiedermi se, in realtà, non sia invece lei la più sana di mente tra tutti noi… Guardati attorno: ormai dalle Alpi svizzere fino alla Manica corre un fronte ininterrotto, un’unica mostruosa trincea lunga quattrocento chilometri che ha già inghiottito milioni di soldati. A metterli in fila, ci si potrebbe cingere il globo facendo il giro dell’Equatore… Siamo decisamente più pazzi noi a dedicarci con tanta sollecitudine a distruggerci a vicenda che non lei, che continua solo a sognare di ritrovare il suo perduto amore, chiusa nel suo Castello di Atlante…»
«Atlante?», fece Frederick stupito, “il titano che regge il mondo sulle spalle?»
«No, un mago saraceno che amava come un figlio un paladino di nome Ruggero e che, per timore che egli morisse in guerra, lo rinchiuse con altri paladini in un palazzo fatato dove ognuno credeva di vedere ciò che più desiderava, così da tenerli occupati e lontani dai campi di battaglia», disse Hans socchiudendo gli occhi e prendendo a recitare a memoria i versi.
 
Una voce medesma, una persona
che paruta era Angelica ad Orlando,
parve a Ruggier la donna di Dordona,
che lo tenea di sé medesmo in bando.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
di quei ch'andavan nel palazzo errando,
a tutti par che quella cosa sia,
che più ciascun per sé brama e desia.
Questo era un nuovo e disusato incanto
ch'avea composto Atlante di Carena,
perché Ruggier fosse occupato tanto
in quel travaglio, in quella dolce pena,[1]
 
«Certo che tu non cambi mai, Hans: neppure questa guerra riesce a farti dimenticare quelle tue fantasticherie di dame e cavalieri… Ah, ah, magari fosse qui quel mago! Intanto, che ne dici di cercare qualche localino dove scolarci una bella birra e cercare la compagnia di qualche signorina dai facili costumi? Così magari anche noi riusciremo a dimenticare questa dannata guerra almeno per un po’.»
«Per la birra, ti faccio compagnia più che volentieri, Frederick; ma le signorine le lascio tutte a te: sai, non mi va di fare questo Lotte…»
«Bah, come vuoi, amico. Per fortuna io non sono ammogliato… »
I due avevano raggiunto il cancello che segnava il confine della tenuta e, quasi riluttanti ad abbandonare quell’oasi di pace, che pareva come sospesa in una bolla fuori dal tempo, si volsero un’ultima volta a rimirare il castello.
«Hai visto Hans? Hanno inalberato la nostra bandiera...», fece Frederick, indicando il vessillo absburgico che garriva alla serena brezza, sopra una delle bianche torri del maniero.»
«Sopravvivenza», fece Hans indicandogli il cartello posto sul cancello d’ingresso della tenuta.
 
Questa tenuta, proprietà della Corona del Belgio, è occupata da Sua Maestà l'Imperatrice del Messico, l'Arciduchessa Carlotta d'Austria, cognata dell'Imperatore Francesco Giuseppe, nostro illustre alleato. Ordino ai soldati tedeschi che passano di qui di non suonare il campanello e di lasciare il luogo intatto.
Generale Moritz von Bissing
 
«Sembra ci sia ancora qualcosa per cui i nostri alleati tedeschi mostrino un briciolo di rispetto», fece sarcastico Hans.
«Già, con alleati come quelli,” mugugnò Frederick, “chi ha bisogno di nemici?»
Hans stava per rispondere con una battuta, quando l’attenzione dei due uomini fu attratta da un disperato grido d’aiuto.
Una giovane ragazza di circa vent’anni correva verso il castello, inseguita da due tipi dall’aspetto decisamente patibolare. Il primo, che la incalzava da presso, più che ad un essere umano, faceva pensare ad un gigantesco quadrumane calzato e vestito; mentre il secondo, nonostante la ridente giornata ormai quasi estiva, vestiva un lungo soprabito nero di pelle da cui spuntava un collo taurino, sormontato da una testa completamente calva la cui cute, unta e sudaticcia, sfavillava sotto i raggi del sole come il monocolo che l’uomo portava.
«Prendila Mabuse!», fu il comando che uscì dalla bocca porcina dell’uomo col soprabito, il quale evidentemente doveva essere il capo.
Sul ceffo sproporzionato e deforme dell’energumeno, si allargò un sorriso crudele mentre, con un balzo scimmiesco, si avventava sulla giovane, ghermendola e costringendola a terra emettendo un grugnito compiaciuto.
«Lasciatemi! Vi prego, non ho fatto nulla!», implorò a ragazza.
Mabuse, con un ghigno diabolico, le lacerò la camicetta e l’uomo con l’impermeabile, sopraggiunto in quel momento, si affrettò a strapparle brutalmente il ciondolo argentato che ella portava al collo, facendola singhiozzare di dolore e paura.
«Credevi forse di fregarmi, rifugiandoti da quella pazza? Ormai sei finita: questa è la prova che sei una spia!», le urlò l’uomo aprendo il medaglione con una sinistra risata.
“Ridatemelo! È solo la foto di mio fratello, l’unico ricordo che ho di lui, non lo vedo da quando si è imbarcato per il Messico anni fa…»
«Stupida! Chi credi di prendere in giro? Quest’uomo è della “Dama bianca”, un maledetto bandito, colpevole di aggressioni contro le gloriose armate germaniche.»
«Oh, vi aspettavate forse che i Belgi vi ringraziassero dopo che avete invaso e messo a ferro e a fuoco il loro pacifico paese neutrale?», risuonò una voce sarcastica alle spalle dei due tedeschi.
L’uomo con il monocolo, il suo scagnozzo e la ragazza si volsero verso i due austriaci alla cui presenza, nella concitazione, non avevano neppure fatto caso.
«Guarda, guarda. Sembra che abbiamo qui due ufficialetti austriaci che non vogliono farsi i fatti propri… Sono il conte von Büler della polizia segreta tedesca e questa donna è una spia nemica; quindi sparite e lasciateci fare il nostro lavoro!»
«Una spia, dite? E quali sarebbero le prove? Il fatto che voglia bene a suo fratello al punto da portare con sé la sua fotografia?»
«Suo fratello è la nota spia belga Remy Baudouin: il contatto delle spie francesi con la “Dama Bianca”, quei dannati belgi che ancora osano resistere all’invincibile esercito tedesco. E adesso lei tentava di raggiungere quel castello: un covo di spie, pieno di rifugiati belgi che approfittano indegnamente della generosità che il nostro Kaiser ha accordato a quella pazza e che sappiamo essere spesso visitato da emissari dell’ambasciata americana!»
«Sua Maestà l’Imperatrice Carlotta gradiva del pane bianco che, a causa dell’invasione del Belgio ordinata dal vostro “generoso” Kaiser non si trovava più. Abbiamo quindi dovuto rivolgerci all’ambasciatore Brand Withlock che ci ha cortesemente fornito il pane per Sua Maestà. Mi risulta che gli Stati Uniti non siano ancora in guerra con noi, almeno finché voi non li costringerete a dichiararla, continuando ad attaccare le loro pacifiche navi civili, come avete fatto con il Lusitania…»
«Questi non sono affari che vi riguardano! L’Austria è un paese debole e decadente che ha inquinato la superiore stirpe germanica con stirpi inferiori: ungheresi, slavi, italiani… Non sono certo tenuto a discutere la nostra strategia militare con ufficiali di un imperatore decrepito che non ha saputo neppure mettere in riga sua moglie!», ruggì il tedesco fremendo di rabbia.  
«Oh, la cosa mi riguarda invece: come ufficiale di Sua Maestà, ho giurato di difendere l’onore della famiglia imperiale che voi avete appena insultato!», fece Hans.
«Ti avviso per l’ultima volta, tenentino, ti conviene sparire: non hai idea di chi hai di fronte!»
«Oh, lo so perfettamente, invece: ho di fronte un vigliacco che fa la guerra a donne indifese.»
«L’hai voluto tu, imbecille… Vai Mabuse!», abbaiò l’agente tedesco.
Lo scagnozzo stava attendendo con impazienza l’ordine di von Büler scrocchiandosi le dita e balzò immediatamente verso Hans il quale, però, scartò all’ultimo istante e, approfittando dello slancio di Mabuse, lo mandò a gambe all’aria con un abile sgambetto.
L’energumeno fu rapido a rialzarsi e caricò subito l’ufficiale a testa bassa; ma neppure stavolta Hans si fece cogliere impreparato: schivato l’attacco di Mabuse, gli assestò un potente gancio alla bocca dello stomaco che gli mozzò il fiato per poi rispedirlo a terra con un formidabile diretto in piena faccia.
«Più grossi sono e più rumore fanno quando cadono…»
«Ti ammazzo, maledetto!», urlò Mabuse impazzito di rabbia, estraendo un coltellaccio ed avventandosi su Hans con occhi da folle, iniettati di sangue.
Con un gesto rapidissimo, Hans estrasse la sciabola e gli vibrò un fendente con tale forza da staccargli un orecchio.
Mabuse mandò un urlo che aveva poco di umano portandosi le mani al collo dove si apriva una lunga ferita, mentre Hans con una piattonata faceva volare la Mauser dalla mano di von Büler.
«Non si va con una pistola ad uno scontro all’arma bianca, dovreste saperlo signor conte… E non si rubano neppure i medaglioni alle ragazze…»
Con una smorfia furente, von Büler lanciò a terra il medaglione.
«E adesso sparite! O le prossime a volare saranno quelle vostre due teste da porci!», intimò loro Hans.
«Non finisce qui! Ti pentirai di esserti messo sulla strada del conte von Büler!», minacciò il tedesco mentre si affrettava ad allontanarsi assieme al suo scagnozzo che si tamponava la ferita con un fazzoletto intriso di sangue.
«Se volete soddisfazione, conte, il tenente Hans Schneider è a vostra disposizione. Non avete che da scegliere l’arma…», disse ridendo l’austriaco.
«Stai in guardia, Hans, è un uomo cattivo, tenterà di vendicarsi…»
“Bah, non oserà denunciarmi: ha aggredito a tradimento un ufficiale di un esercito alleato e se vuole battersi sarò felice di dargli una lezione…», fece Hans, scrollando le spalle.
«Dannazione, Hans, lo vuoi capire che qui non sei in uno di quei tuoi romanzi cavallereschi dove i cattivi si possono affrontare con lancia in resta. Quello non è stupido, non sfiderà mai in campo aperto il miglior schermidore e tiratore dell’esercito austriaco; ma la polizia segreta tedesca può essere molto pericolosa…»
«Bah, ormai è fatta e poi ne valeva la pena.», fece mentre aiutava la ragazza belga ad alzarsi.
«Credo questo vi appartenga, mademoiselle.», le disse porgendole il ciondolo che von Büler aveva lasciato cadere.
«Grazie.», fece la donna ancora incredula di essere stata salvata dopo essersi creduta ormai perduta, «Ma… voi siete… un nemico. Perché mi avete aiutata?»
Il tenete Schneider infilò la mano nel colletto della divisa, traendone un medaglione del tutto simile a quello della ragazza.
«Anche se i nostri due paesi adesso sono nemici c’è qualcosa di più importante che ci unisce…», disse aprendo il suo medaglione che conteneva le foto di una giovane donna e di una bambina, entrambe bionde e sorridenti.
La ragazza sorrise, tergendosi le lacrime che ancora le rigavano il volto.
«Vostra moglie? È molto bella e la bambina è…»
«Mia figlia, si chiama Elsa.»
 

[1] Orlando Furioso, XII, 20
   
 
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