Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    30/06/2023    5 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 12: Hate me

 

Victim, such a perfect victim
Living in this prison
Most, they would kill themselves
To be in here with me but you blame me
Don't you love to shame me
Everything you fucked up, failed at
Broke or lost and it's all my fault but I know it's not

So hate me, hate me
I'm the villain you made me, made me
I'm the monster, you need me, need me
Or it's all on you (oh no, here we go, welcome to the shit show)
Hate me, hate me
I'm the villain you made me, made me
I'm the monster, you need me, need me
Or it's all on you (oh no, here we go, light it up and let it go)

(“Hate me” – Pink)

 

Si era giunti ormai a novembre inoltrato e non c’erano state occasioni favorevoli per rimandare Ryan e i suoi nuovi amici a casa, come promesso; anzi, le cose si erano complicate perché le controffensive tedesche mettevano a dura prova le truppe degli Alleati nelle Ardenne e quasi ogni giorno arrivavano notizie di squadre americane uccise o, quando andava bene, una camionetta con un gruppetto di soldati feriti che Wade si affrettava a curare. I Generali cominciavano a pensare che, a quel punto, sarebbe stato preferibile attendere che la situazione migliorasse nei Paesi Bassi e che, comunque, i soldati che erano rimasti feriti, una volta guariti, sarebbero potuti ripartire per l’America insieme a Miller, alla sua Compagnia e a Ryan.

Questo, al momento presente, significava semplicemente che all’hotel usato come Quartier Generale dallo SHAEF c’erano più soldati, purtroppo molti di loro erano in condizioni molto gravi e restavano per tanto tempo in infermeria, altri ancora non sopravvivevano… ma alcuni riuscivano a guarire e, nonostante le ferite, pian piano si riprendevano e potevano unirsi al gruppo dei soldati di Miller. In certi casi era stata l’occasione per creare nuove amicizie, ma c’erano stati anche dei momenti di forte tensione causata, anche se involontariamente, dalla presenza di Josef Saltzmann.

Una sera, alla mensa, c’era un gruppetto di soldati i quali erano stati fino a pochi giorni prima in infermeria ma che adesso stavano meglio, erano sopravvissuti a un attacco a sorpresa nei boschi delle Ardenne e avevano visto morire molti dei loro compagni. Generalmente preferivano restare tra di loro e non unirsi agli altri, ma chissà perché quella sera in particolare avevano deciso di cenare alla mensa con la Compagnia Charlie.

Solo che era presente anche Josef Saltzmann, seduto con Mellish da una parte e Upham dall’altro (in un certo senso parevano volerlo proteggere, inconsciamente, dagli sguardi malevoli altrui). I ragazzi del capitano Miller chiacchieravano, ridevano e scherzavano e anche Miller e il sergente Horvath si erano uniti a loro, come se per una sera fossero tornati giovani reclute. Il gruppetto dei soldati reduci dall’infermeria, al contrario, se ne stava sulle sue, senza parlare con gli altri; bisbigliavano qualcosa tra di loro e ogni tanto lanciavano occhiate ostili verso la parte del tavolo occupata da Saltzmann e gli altri.

Ad un certo punto, però, uno di quei giovani, che si chiamava Sean, si alzò a fatica dal suo posto e si rivolse ai suoi compagni.

“Ragazzi, vogliamo davvero fingere che vada tutto bene? Vogliamo accettare di cenare nella stessa stanza con un tedesco, uno di quelli che hanno massacrato i nostri amici, accettare che uno come lui mangi alla tavola dei soldati americani e fraternizzi con loro? Perché io sono sinceramente disgustato e non posso più fare buon viso a cattivo gioco!” esclamò.

“Hai ragione, Sean” replicò uno dei suoi amici. “Nemmeno io voglio mangiare alla stessa tavola di un tedesco, ma non dovremmo essere noi ad andarcene, noi qui siamo tutti soldati americani. È quello là che non deve stare qui. È un tedesco, è un prigioniero, perché gode di questi privilegi? Perché non è stato mandato nei campi di lavoro con gli altri prigionieri come lui?”

Saltzmann sembrò capire solo in quel momento che stavano parlando di lui e che lo fissavano con odio. Stupito, si chinò a mormorare qualcosa in tedesco a Upham.

“Ehi, tu, crucco maledetto, non permetterti mai più di parlare in quella tua lingua di merda a questa tavola, mi hai capito o devo fartelo tradurre dal tuo amico? Non ci fidiamo di te e non ci va che tu complotti chissà cosa! Parla in modo da farti capire” lo apostrofò un altro di quei giovani soldati.

“Ecco… in realtà Saltzmann mi stava solo chiedendo di spiegargli cosa stavate dicendo e perché sembrate essere infuriati con lui” rispose timidamente Upham.

“Ma che è scemo o cosa?” riprese il soldato che si era rivolto al tedesco e che si chiamava Mark. “O forse siete scemi tutti e due. Siamo in guerra, bello, i crucchi come lui ammazzano gli americani come noi, o pensavate di essere venuti a Versailles per vedere la reggia?”

Gli amici di Mark e Sean si misero a ridere ma Sean non si unì ai suoi amici, continuava a fissare Josef con vero e proprio odio e disgusto.

“Senti, soldato, non so neanche come ti chiami” intervenne il sergente Horvath, accorgendosi che l’atmosfera si faceva sempre più pesante e tesa, “sappiamo bene di essere in guerra. Non so voi, ma io e la squadra di cui faccio parte, la Compagnia Charlie, abbiamo partecipato allo sbarco a Omaha Beach e non è stata una vacanza. Ho visto morire tanti ragazzi che conoscevo bene, quindi non cercare di fare il furbo con me. Sei stato ferito, mi dispiace, ma questo non ti autorizza a comportarti come se avessi l’esclusiva del dolore. Anche l’ufficiale medico che ti ha curato, Irwin Wade, fa parte della nostra Compagnia ed è stato ferito durante un’azione.”

“E allora non capisco proprio come possiate sopportare di dividere la tavola con un crucco! Sono tutti uguali, quelli là, dovrebbero ucciderli tutti, senza fare prigionieri, sono mostri che godono a fare del male!” reagì rabbioso Sean. “Sono dei folli come quel bastardo del loro leader, Hitler, altrimenti non lo avrebbero seguito così volentieri. Io e la Compagnia di cui facevo parte combattevano nelle Ardenne e questi vigliacchi ci hanno attaccato durante la notte, protetti dal buio, non hanno neanche avuto il coraggio di affrontarci faccia a faccia! Io ho riportato ferite al petto e alla gamba sinistra, il vostro amico dottore ha fatto miracoli per salvarla, credevo che avrebbe dovuto amputarla; Mark e Jonathan hanno rischiato di morire dissanguati; Stephen ha perduto il braccio destro e Adam rimarrà paralizzato per il resto della sua vita. Altri dodici non ce l’hanno fatta… e io dovrei accettare la presenza di uno di quei cani nazisti alla tavola dove mangio? Mai! Quelli come lui dovrebbero essere incatenati e costretti a mangiare gli avanzi raccolti da terra, come le bestie che sono!”

Mark e gli altri commilitoni di Sean avevano lo sguardo basso e annuirono restando in silenzio, ripensando ai loro compagni morti. Anche i soldati della Compagnia Charlie non trovarono nulla da ribattere, sul momento, perché sapevano fin troppo bene quanto fosse terribile perdere un amico o rimanere feriti in battaglia. Saltzmann, però, aveva compreso abbastanza di quello che aveva detto Sean. Restando anche lui in silenzio e a capo chino, si alzò lentamente da tavola e si allontanò dalla stanza.

“Mi dispiace un sacco per quello che è successo a te e ai tuoi compagni” disse Mellish, prima di alzarsi anche lui da tavola per seguire Josef. “So cosa significa, perché il mio migliore amico è stato ucciso da un cecchino tedesco e io stesso ho rischiato di morire per mano di un soldato SS. Ma Josef Saltzmann non ha colpa di tutto ciò, non è stato lui a uccidere il mio amico Caparzo e neanche i vostri commilitoni nelle Ardenne. Anzi, lui ha sparato al soldato che voleva uccidermi. E non è vero che i tedeschi sono tutti uguali e tutti fanatici di Hitler: Saltzmann non voleva neanche andarci, in guerra, ma lo hanno obbligato.”

“Tu sei anche un ebreo” disse meravigliato Jonathan, “e difendi quel crucco? Ma lo sai cosa fanno i nazisti a quelli come te?”

Lo sguardo di Mellish era tagliente come un rasoio.

“Saltzmann mi ha salvato, e la sua famiglia cercava di aiutare gli ebrei nella loro zona, prima che finissero tutti uccisi dai bombardamenti inglesi” replicò, gelido. “I tedeschi sono nostri nemici e noi cercheremo di vincere questa guerra, ma non sono tutti dei mostri come dici tu e come dice il tuo amico. Del resto, anche i soldati Alleati possono vergognarsi delle atrocità che hanno commesso alcuni di loro, ma questo non fa di tutti gli americani o gli inglesi o i francesi dei pazzi omicidi.” *

I compagni di Mellish annuirono in silenzio. Anche loro, in particolare Reiben e Jackson, all’inizio erano stati prontissimi a condannare il popolo tedesco in toto per le follie di Hitler e dei suoi seguaci, avevano cercato di fucilare Saltzmann… ma poi, trovandosi a vivere con lui, lo avevano conosciuto meglio, lo avevano visto finalmente come un uomo semplice costretto a combattere una guerra che non voleva, una persona capace di grande affetto, amore e premura verso il loro commilitone più giovane. Upham, poi, fin dall’inizio lo aveva difeso, andando oltre la sua uniforme e cercando di capire l’uomo che c’era dietro, e ora era felice che anche Mellish lo avesse capito e che cominciasse davvero ad amarlo (magari Mellish stesso non se ne rendeva conto, ma le sue parole appassionate in difesa di Saltzmann lo tradivano!), sebbene fosse anche addolorato nel vedere che la guerra aveva indurito il cuore di quei poveri soldati reduci dalle Ardenne.

Mellish stava per lasciare la sala, ma si trattenne ancora un po’ perché sentì il capitano Miller che prendeva la parola.

“Figliolo” disse, rivolgendosi al soldato che aveva parlato per ultimo, “scusami, non conosco il tuo nome…”

“Si chiama Jonathan” rispose Sean, in tono freddo.

“Sì, Jonathan, ma anche tu, Sean, e tutti voi” riprese Miller, “voglio prima di tutto esprimervi la mia partecipazione e il mio dispiacere per ciò che è accaduto a voi e ai vostri commilitoni che non ce l’hanno fatta. So cosa state passando, purtroppo, perché a me sono successe fin troppe cose simili e ho visto morire troppi ragazzi come voi sotto il mio comando, qui, ma anche in Nord Africa e in Italia, quindi non ho nessuna intenzione di minimizzare la vostra sofferenza. Tuttavia, proprio perché ho combattuto in tanti luoghi e ho perso tanti soldati, credo di potervi dare un consiglio: non generalizzate, non lasciate che l’odio e la spersonalizzazione della guerra abbiano la meglio sulla vostra umanità.”

Nella sala calò un silenzio profondo. Le parole di John Miller, evidentemente, avevano toccato il cuore di molti a quella tavola.

“Forse qualcuno di voi penserà che sono noioso e che parlo come un professore, ma del resto io sono un professore, è il lavoro che ho svolto per anni prima di arruolarmi e che spero di poter riprendere a svolgere quando torneremo a casa” continuò il capitano, con un sorrisetto. “No, non sono un militare di carriera e ne sono ben felice, quindi vi parlerò come faccio con i miei soldati e con i ragazzi che seguo a scuola. Sean, Jonathan e tutti voi che siete sopravvissuti agli attacchi nelle Ardenne, avete fatto il vostro dovere combattendo contro un nemico che tutti noi vogliamo sconfiggere, perché altrimenti il mondo come lo conosciamo non esisterà più, e questo nemico è Adolf Hitler. È Hitler con coloro che credono in lui e con le teorie folli che vuole mettere in pratica nella parte di mondo che è sotto il suo controllo.”

Nessuno parlò. O meglio, ci provò Reiben…

“Ma come?” disse a voce bassa agli amici che aveva accanto. “Noi abbiamo dovuto fare addirittura delle scommesse per scoprire chi fosse il capitano e che lavoro facesse e lui adesso lo dice senza problemi davanti a questi che conosciamo appena?”

Il suo tono era deluso e quasi offeso, ma Jackson lo zittì subito con una gomitata nel fianco ben assestata!

“Abbiamo combattuto e molti hanno sacrificato la vita per distruggere Hitler e difendere la libertà, ma né io né voi né nessuno dei miei uomini deve dimenticare una cosa fondamentale: Hitler e i suoi seguaci sono il nemico, non tutti i tedeschi. Non dobbiamo odiare una persona per la sua nazionalità, ci sono anche tanti tedeschi che hanno rifiutato la propaganda di Hitler e che sono stati uccisi per questo, altri che si sono piegati solo per non perdere il lavoro o la famiglia. Chi siamo noi per condannare queste persone? Cosa avremmo fatto se ci fossimo trovati al loro posto?”

Sembrava davvero una lezione, ma una lezione di vita. Mellish si era incantato ad ascoltarlo e non era più riuscito a muovere un passo; Ryan e gli altri della Compagnia Charlie erano ammirati, mentre Sean e i soldati che avevano insultato Saltzmann adesso non avevano più il coraggio di alzare lo sguardo.

“Josef Saltzmann è un prigioniero tedesco, è vero, ma non può stare con gli altri prigionieri perché per loro è un traditore: ha sparato a un soldato delle SS per salvare la vita di due dei miei uomini, Mellish e Upham. È per questo che si è guadagnato il privilegio di venire con noi negli Stati Uniti, chiedendo diritto di asilo e, chissà, magari un giorno anche la cittadinanza americana” spiegò Miller. “È per questo che vive con noi, con i soldati che ha salvato, sta imparando l’inglese e tutto quello che vuole è una nuova vita in America, perché, tra le altre cose, ha perduto la sua famiglia in Germania sotto i bombardamenti. Non è un seguace di Hitler e delle sue teorie, è stato arruolato a forza, è una persona semplice e gentile e credo che non sia stato facile per lui sparare a un connazionale, ma lo ha fatto perché non sopportava di veder uccidere a sangue freddo un ragazzo. Ecco, questo è l’uomo che voi avete offeso e insultato, che avete spinto a lasciare questa tavola, e non credo che sia stato giusto. Lo dico a voi come lo direi a chiunque dei miei ragazzi. Non generalizzate, non condannate una persona per la sua provenienza, altrimenti… altrimenti non sarete meglio di coloro che combattete, perché anche Hitler è convinto che ci siano razze superiori e razze inferiori. Voi non credete, vero, che la razza americana sia superiore a quella tedesca?”

“No, no, certo che no, è solo che…”

“Io non sapevo tutta la storia di questo soldato…”

“Non voglio neanche sentir parlare di razze, non siamo mica cani!” così replicarono i soldati al rimprovero pacato e paterno, seppure severo, di Miller.

“Bene, allora mi auguro che, da stasera in avanti, quando vi capiterà di incontrare Josef Saltzmann per qualsiasi motivo, vi comporterete con lui come fareste con uno qualsiasi di noi. Non dovete per forza diventare suoi amici, ma trattarlo come un essere umano, come una persona che sta vivendo la sua seconda possibilità, questo sì.”

I soldati promisero che lo avrebbero fatto, imbarazzati e pentiti, vergognandosi per quello che avevano detto a Saltzmann.

Miller si voltò verso Mellish che era rimasto in piedi ad ascoltarlo come in trance.

“Credo che Saltzmann abbia bisogno di una persona amica, adesso” gli disse.

“Sì, lo so, vado subito da lui. E… grazie, capitano” replicò il giovane americano.

Il capitano sorrise e annuì e poi lo seguì con lo sguardo mentre si affrettava a uscire dalla sala per raggiungere il tedesco. Si sentiva fiero e orgoglioso di lui, proprio del soldatino più giovane della sua Compagnia, quello che sulle prime non avrebbe scelto per le sue missioni. Mellish era sempre stato immaturo, spesso impulsivo, egoista, un ragazzo poco più che adolescente nel bene e nel male, ma le ultime esperienze lo avevano fatto crescere in fretta e adesso aveva capito molte cose, il suo atteggiamento era cambiato, tanto che non aveva esitato, poco prima, a difendere Saltzmann anche davanti ad altri soldati americani. Sì, poteva essere soddisfatto del suo giovane soldato.

Mellish raggiunse la camera che condivideva co Saltzmann e Upham e aprì la porta. Vedendo il tedesco seduto sul suo letto, al buio, si affrettò ad andargli accanto, accese la lampada sul tavolino e si sedette al suo fianco.

“Ehi, mi dispiace tanto per quello che hanno detto quei cretini” gli disse. “Volevo seguirti subito, ma poi mi sono fermato a dirne quattro a quello che si è mostrato più stronzo con te. Insomma, mi dispiace per lui e i suoi compagni, ma non sei mica stato tu ad attaccarli, non c’era bisogno che se la prendesse con te.”

Saltzmann non rispose e restò immobile, seduto a capo chino.

“E poi anche il capitano Miller è intervenuto per difenderti e sentissi che belle parole ha detto, si sente proprio che è un insegnante, li ha fatti vergognare, quelli là. Mi sarebbe piaciuto che tu fossi lì ad ascoltarlo, ha detto che…”

Solo allora il tedesco parlò, con un tono di voce dimesso, stanco, disilluso che dissolse tutto l’entusiasmo di Mellish e lasciò il giovane americano senza parole.

“Stan, io… io credo che loro avere ragione. Io non potere venire in America con voi. Ora io capisco tue paure e tuoi dubbi, tu scusare me, Stan” disse. “Ora capisco tutto. Persone di America non volere me, tua famiglia non volere me, per tutti loro io sono nemico, anche se non combatto più. Sono tedesco e quindi sono nemico di America. Non posso stare con te anche se io amo tanto te, Stan.”

Mellish si sentì come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco e dovette fermarsi a riprendere fiato, quello che Saltzmann aveva appena detto lo aveva colto totalmente alla sprovvista. Ma come? Dopo tanti discorsi e tutto quello che era successo voleva arrendersi così per le parole cattive di un gruppetto di soldati che neanche conosceva? Ma cosa stava succedendo?

Fine capitolo dodicesimo

 

 

* Come avviene purtroppo in tutte le guerre, anche nella Seconda Guerra Mondiale ci furono atrocità commesse da entrambe le parti e non solo dai tedeschi: militari russi, americani, francesi ecc… si lasciarono andare alle peggiori nefandezze stuprando e a volte uccidendo donne tedesche o italiane, persino anziane e bambine. È possibile che i soldati della Compagnia Charlie, avendo vissuto tutti quei mesi negli accampamenti, a contatto con militari di altre compagnie, abbiano sentito raccontare episodi del genere.

   
 
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