Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    03/07/2023    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Capitolo 37 – Una brava persona

 

Let's start a new life from the darkness
Until the light reveals the end
Fear, hatred, sorrow, desperation
Even you look miserable
Look down from above I feel awful
The time has come, let's all go home
Sinister faces, growing curses
This is my last war
 
Angels playing disguised with devil's faces
Children cling to their coins squeezing out their wisdom
Angels planning disguised with devil's faces
Children cling on to their very last coins

 
- Ci vuole ancora molto?
- Siamo quasi arrivati.
Jean e Pieck camminavano separati da alcuni metri l’uno dall’altra, un gruppetto ben assortito di soldati li seguiva in silenzio, armati fino ai denti. Nessuno era sicuro che Pieck potesse da un momento all’altro decidere di attaccarli, sembrava assurdo pensare che facevano affidamento su di lei solo sulla parola. La parola di un nemico.
La ragazza osservò il volto serio di Jean di sottecchi: - Non ce l’ho con te.
- Come?
- Non ce l’ho con te e i tuoi compagni per quello che è successo a Liberio.
- Mi dispiace ma, fatico a crederlo.
Pieck sorrise: - Beh, siamo soldati, non credo tu non abbia perso nessuno negli anni.
- Appunto. So che cosa significa e dubito che tutto sia dimenticato. Ma sarebbe da veri idioti continuare a rinfacc-… – Jean si bloccò e si voltò verso Pieck che lo guardava soddisfatta.
- Vedo che siamo della stessa opinione, quindi perché essere così diffidenti. – lei gli si avvicinò facendo alzare il fucile a due dei soldati dietro di loro.
- Ehi! – le intimarono tenendola sotto tiro.
Jean voltò la testa e alzò solo una mano per far segno di abbassare le armi. I soldati lo guardarono interdetti ma eseguirono l’ordine, anche se restii. Il ragazzo si guardò attorno nella boscaglia per valutare la loro posizione: la foresta di alberi giganti in cui si trovava Levi non doveva essere molto lontana, intravide il sentiero tra i cespugli ed era sgombro, ciò significava che erano ancora dietro gli Yeageristi o poco più avanti. Avrebbero comunque dovuto procedere con molta cautela, sia lui che Pieck erano letteralmente bersagli mobili e solo vederli avrebbe fatto saltare tutto il piano che si erano prodigati per mesi e mesi a mettere su.
- È così importante che ci fidiamo di te?
Pieck intrecciò le mani dietro il busto: - No. – notò che Jean stava di nuovo portando lo sguardo verso il sentiero pensieroso – Non preoccuparti, non riusciranno a vedere né noi né i tuoi amici dall’altra parte. Inoltre sono pronta a farvi da scudo all’occorrenza.
- Stavo solo controllando che fossimo a buon punto. – mentì Jean. Distolse lo sguardo dal sentiero lontano qualche centinaio di metri e fissò mesto davanti a sé l’erba imperlata di goccioline di pioggia, che smosse dal loro passaggio, scivolavano nel terreno.
Mikasa, Mikasa, Mikasa.
Era quella la sua preoccupazione più grande quando pensava allo scontro imminente, lei sola contro un’armata, era sicuro avrebbe tenuto testa egregiamente, ma nemmeno lei poteva farcela da sola. Certo, la riuscita del loro piano era la cosa più importante, Mikasa era un tassello essenziale e Jean tendeva a giustificare quella sua apprensione per la ragazza per il “bene maggiore”. Forse era troppo ammettere che, se quando l’aveva vista la prima volta era stato colpito dalla sua bellezza, con gli anni, dopo averla conosciuta, si era perdutamente innamorato di lei. Ma non trovava un senso a quel sentimento non ricambiato, sempre se ce ne fosse uno, e dire che poche settimane prima ne aveva dato la prova più lampante a Mikasa, anche se quest’ultima probabilmente non si era accorta di nulla.
Erano raccolti in un salotto del quartier generale e stavano discutendo delle ultime vicissitudini riguardanti Eren, Connie aveva redarguito la cieca lealtà di Mikasa verso di lui ricordandole che avevano dovuto riadattare tutto il piano per un suo capriccio. Armin alla fine si era alzato dalla sua poltrona e aveva invitato tutti ad andare a dormire, si era rivolto poi a Jean che era rimasto alla finestra a contemplare l’esterno.
- Jean, tutto bene?
- Sì. Sono solo in pensiero per Siri. – disse con la fronte poggiata sul vetro freddo e sottile.
Armin si rabbuiò: - Già… speriamo la sua trovata funzioni. Noi andiamo, cerca di non fare tardi, non è saggio rimuginare in questo modo.
Jean mugugnò un suono d’assenso e rimase seduto sul davanzale anche dopo aver sentito la porta chiudersi dietro i suoi compagni. Dopo parecchi minuti, sospirò e si rimise in piedi, fece per attraversare la stanza quando si rese conto di non essere solo. Mikasa era ancora seduta sulla poltrona, chiusa in un silenzio tombale, si era afferrata le braccia poco sopra i gomiti e fissava il tavolino davanti a sé.
- Mikasa. – disse Jean avvicinandosi di qualche passo – Non credevo fossi ancora qui.
- Scusami, volevi rimanere solo?
Lui si grattò la nuca, si sentiva quasi a disagio perché aveva il presentimento che lei era rimasta per un qualche motivo ben preciso.
Oh, no. Gli venne in mente all’istante la probabile richiesta che gli stesse per fare, non si stizzì, ma non gli andava giù che lei potesse avere in mente di sfruttare i sentimenti che lui provava per sottrarsi al piano. Le diede il beneficio del dubbio e rispose alla sua domanda.
- Beh, no, cioè… tu perché volevi rimanere qui?
Mikasa alzò la testa, non avrebbe dovuto colpirla la domanda così diretta di Jean, lo conosceva bene e sapeva che se anche aveva un debole abbastanza evidente per lei, non aveva mai evitato di farle domande o discorsi scomodi.
- Io… – si alzò, arrivò dritta al punto con la sua solita risolutezza – Volevo chiederti una cosa, Jean.
Lui sospirò, facendosi serio: - Mikasa, ti prego, non dirmi che ci hai ripensato.
- Cosa? No, io…
- No perché mi sembra abbastanza evidente. Hai cercato di difendere Eren persino dopo quello che ha fatto a Liberio, siamo forse riusciti a svoltare la situazione a nostro favore ma siamo ancora sull’orlo del baratro.
- Se ha fatto quello che ha fatto ci deve essere un motivo! Eren non… lui non è il mostro che dipingete. – Jean ebbe l’impressione che la fermezza di Mikasa stesse venendo meno. Inclinò il capo, forse era stato troppo duro, ma non sarebbe stato buono o meno schietto con lei solo perché si trattava di Mikasa.
- Non ho mai detto che fosse un mostro. Ti comporti come se fossi l’unica a tenere ad Eren, ma posso assicurarti che non è così, e se adesso è in prigione è perché l’ha voluto lui. – le labbra di Mikasa iniziarono a tremare, ma Jean non se ne accorse e continuò – Tutto quello che fa è perché l’ha voluto lui, e sono stanco di-
Finalmente si decise a guardarla di nuovo, era impossibile non vedere i suoi occhi lucidi e il suo viso attraversato da rughe di profonda amarezza, accentuate dalla luce calda e soffusa della sola lampada accesa ad un angolo della stanza.
- Scusa. – mormorò Jean – Forse sono stato troppo…
- No. – la voce rotta di Mikasa risuonò rauca e profonda – È per questo che volevo parlare con te. Tu… tu sei sempre stato l’unico che mi ha parlato in maniera diretta, anche se quando ero più piccola non mi andava giù, mi rendo conto di quanto io col tempo abbia apprezzato questa parte di te.
Il ragazzo impietrì. Non poteva dirsi un complimento, ma era la prima volta che Mikasa diceva di aver notato qualcosa di lui con del vago interesse. La cosa l’avrebbe reso felice se solo lei non stesse piangendo.
La ragazza prese un respiro profondo per cercare di calmare la sua voce: - Jean, ti prego, sii onesto con me quest’ultima volta perché io non so più che cosa pensare. – Mikasa proruppe in un pianto dalle lacrime copiose. Si portò le mani sulla faccia piegata verso il basso – Ho sempre pensato che Eren facesse il possibile per tutti noi, ma ora non so più cosa pensare. Non lo so davvero…
Jean la guardò con triste rassegnazione, il cuore gli si strinse al pensiero che aveva travisato uno dei rarissimi momenti di fragilità di Mikasa per qualcosa di più subdolo.
- Per cui Jean, sii onesto con me. Sto sbagliando a pensare che le azioni di Eren siano ancora guidate da buone intenzioni? 
Ci sono dei momenti in cui si presentano dei bivi lungo la strada, e adesso era il turno di Jean scegliere: come avrebbe consolato Mikasa, malleabile come un pezzo d’argilla con la sola forza delle sue parole, gli avrebbe potuto regalare il momento che tanto sognava da anni.
Il ragazzo chiuse la mano che aveva già proteso e la fermò a mezz’aria, la abbassò e inghiottì la voglia di accontentare qualsiasi suo recondito desiderio.
- Cosa dici adesso, non sei la Mikasa che conosco da sempre. – gli occhi di lei emersero dalle dita affusolate che le coprivano il viso – Per quanto Eren possa essere impulsivo, non credo farebbe del male a qualcuno deliberatamente e con cattiveria. Magari potrebbe essere stato plagiato da Zeke per quanto ne sappiamo… io e Siri non siamo riusciti a tenerlo sempre sott’occhio a Marley, sarebbe stato rischioso per noi e per lui.
La ragazza tirò su col naso: - Ma…
- No, non te lo dico solo per rassicurarti. Sai bene quante volte non sono mai stato d’accordo con i modi e le scelte di Eren. – Jean distolse lo sguardo – Che stia sbagliando è sicuro, ma sono altrettanto certo che sta facendo tutto questo mosso dalle migliori intenzioni. E sai quanto mi secca ammetterlo…
Siri gli aveva sempre detto che non era mai stato un gran bugiardo, gli consigliava di far percepire il meno possibile al suo interlocutore il suo disperato bisogno di essere creduto. Eppure, in quel momento riuscì a vendere così bene le sue bugie a Mikasa, che lei ci credette e gliene fu anche grata. Realizzò a posteriori che era stato cosi convincente perché lui nel profondo non voleva essere creduto.
Sentì la mano di Mikasa afferrargli l’avambraccio con una mano: - Grazie… Jean. – lo circondò anche con l’altra stringendoglielo e alzò la testa per incontrare gli occhi marroni di lui. In altre circostanze, lei sarebbe stata capace di leggere dietro quell’espressione scoraggiata tutto l’amore con cui in realtà la guardava.
- Siamo ad un buon punto quindi? – la voce di Pieck lo richiamò alla realtà.
Voltò il capo verso di lei, l’espressione di chi era palesemente distratto: - Sì. È… manca poco perché questa foresta finisca di coprirci.
La ragazza tornò a guardare davanti a sé valutando meditabonda la loro situazione. La pioggia continuava a cadere leggera, si raccoglieva sui lunghi steli d’erba che ricoprivano il terreno e man mano che li pestavano inumidiva il cuoio dei suoi stivali, mentre scivolava sullo strato gommoso delle tute dei soldati che l’accompagnava.
- Devi scusarmi Jean, ma non ho fatto a meno di origliare la tua conversazione con quella donna in nero prima che partissimo. – Jean la guardò di sbieco – Sono del suo stesso avviso per la cronaca: non tollererei che il tuo aiuto venga meno a causa di questa tua amica. Né tantomeno che per colpa sua fallisca questo tentativo.
Lui rimase in silenzio, colpevole. Tentò di replicare ma lei fu più veloce.
- Non cercare di rassicurarmi, non ci riusciresti neanche con le migliori intenzioni. Giustifico il tuo risentimento nei miei confronti, non ci avete attaccati senza motivo, tuttavia il nostro rapporto è ben lontano da quello di due commilitoni. Capisci quello che voglio dire?
Lui si limitò a distogliere lo sguardo, ma il suo silenzio-assenso parlava per lui. A Pieck non poteva raccontare nessuna menzogna che la potesse rassicurare, a quella ragazza così sveglia poteva solo dire cosa l’aveva effettivamente portato a percorrere quella strada per convincerla che avrebbe combattuto fino alla fine.
- Lo capisco. Ti posso assicurare che avrei preferito scappare a nord e vivere la vita tutto sommato tranquilla che merito, sai avrei potuto farlo ormai mi hanno fornito tutte le qualifiche per essere capace di farlo. Ma allo stesso tempo le ceneri dei miei compagni non avrebbero mai potuto perdonarmi. – si fermò, tutti gli altri fecero altrettanto, Pieck lo osservava molto interessata – Spero adesso tu capisca quello che voglio dire.
Jean riprese a camminare, tenendo ben saldi i manici del dispositivo tra le mani. La marleyana fissò le spalle del ragazzo e piegò il capo con un’espressione sorpresa.
Questo sì che è interessante.
 
Levi scattò verso Siri, rimasta impietrita dai bagliori, le circondò la vita con un braccio e a tutta velocità fece lo slalom tra tutte quelle luci che man mano si spegnevano lasciando al loro posto i corpi deformati e sgraziati dei loro compagni trasformati in giganti. Un paio di loro si gettò sui due, arrampicandosi con una foga innaturale sugli alberi, Levi continuò a spostarsi ad una velocità tale che Siri fece fatica ad elaborare.
Quando lei si riprese dallo shock, strinse il braccio dalla stretta dura come il cemento con cui la teneva avvinghiata a sé: - FALCO! Levi, devo andare! Non posso lasciarli soli!
Levi si fermò su di un ramo per capire cosa Siri gli stesse dicendo, ma ci si fermarono solo qualche secondo che di nuovo un aggrovigliarsi di corpi e mani gigantesche erano uno sull’altro, spezzando il tronco su cui si trovavano. Lui strinse di nuovo la presa e si portò verso l’alto tra le fronde degli alberi più alti.
- Quel maledetto bastardo. Non ho mai visto giganti così, li starà controllando per starmi addosso come mosche sulla merda. – si nascosero dietro il tronco di un albero, talmente in alto che riuscivano quasi a vedere il cielo plumbeo mentre la pioggia riusciva a quell’altezza a bagnarli più prepotente.
- Siri, adesso fai come ti dico, tu vai da loro e io ti copro.
Lei annuì, Levi sperò che la sua agitazione non avesse la meglio sul suo sangue freddo.
- Se la mia teoria è giusta, dovrebbero concentrarsi solo su di me. Inoltre se tu vai avanti, sarai un’esca perfetta. – Siri annuì ancora mormorando un “va bene”. Il tronco scricchiolò sotto di loro quando un gigante vi si spiaccicò con la faccia contro.
Levi sguainò le spade e si piegò pronto per saltare, voltò la testa un’ultima volta verso Siri e si guardarono. Lei si sporse verso di lui e gli diede un fugace bacio sulle labbra prima di saltare giù e muoversi il più velocemente possibile dall’altra parte della foresta, dove, verosimilmente, Gabi e Yvonne erano rimaste con Falco. 
Come Levi aveva previsto, i giganti vedendola la seguirono offrendogli le spalle con tutta la nuca e lui, dall’alto, poté gettarsi a tradimento su di loro e abbatterne tre con pochi sforzi. In men che non si dica un’altra frotta fu su di lui e dovette di nuovo spostarsi verso l’alto per evitare mani e braccia che si confondevano le une sopra le altre. Alcuni giganti continuavano comunque a seguire Siri che accelerava e zigzagava il più possibile, Levi quindi girò oltre il tronco di un albero, facendoci schiantare un gigante contro e proseguì nella stessa direzione della spia. Dandosi la spinta da un albero, diede una potente sfiatata di gas e si gettò sulle caviglie di un gigante che le stava alle calcagna, tagliandogli i tendini d’Achille di netto. Il corpo del mostro scivolò in avanti colpendo una gamba di Siri che vacillò, ma fortunatamente non perse la presa.
Lei continuò svolazzare tra gli alberi quando finalmente arrivò nel punto in cui aveva chiesto ai tre di aspettarla: il gigante di Falco era riuscito a far cadere Yvonne che giaceva lontana incosciente mentre Gabi era seduta nell’erba e indietreggiava impaurita. Con una sfiatata abbondante, Siri si gettò sulla bambina e la prese tra le braccia.
- Gabi aggrappati con tutte le tue forze! Non sono molto brava con questi maledetti arnesi, mi servono entrambe le braccia!
- Sì! – le disse tra i singhiozzi, stringendosi al collo della donna – Signorina Siri, Falco…
Siri raggiunse un albero e vi si appese coi rampini e si voltò verso il gigante di Falco che, dopo essersi guardato attorno confuso, le puntò di nuovo: - Lo so Gabi! Cercheremo di distrarlo fino al momento in cui non avverrà il contatto.
Le due rimasero sul tronco fino a quando Falco non si avvicinò abbastanza a loro, a quel punto Siri si spostò su un altro albero: man mano che lo schema si ripeteva, quello spostarsi da un albero all’altro era diventato un balletto fatto di giravolte, salite e discese insopportabili, tant’è che a Gabi venne la nausea.
Nel loro spostarsi continuamente, raggiunsero di nuovo la zona in cui Levi era rimasto a far loro da scudo contro gli altri giganti. Man mano che Levi cercava di fermarli evitando il più possibile di tagliarli la nuca, si stava alzando una spessa coltre di vapore dagli arti mozzati dei giganti e più il capitano si spostava e tagliava a tutta velocità, più la visibilità diminuiva. Siri atterrò su un ramo frastornata, a pochi metri da loro sentì il suono sibilante delle lame di Levi, con un braccio si poggiò al tronco, la testa che le girava per i movimenti e l’agitazione.
- Attenta! – urlò Gabi, ma la mano di Falco le raggiunse facendo spezzare il ramo su cui erano poggiate. Capitolarono in basso, Siri lanciò i rampini su un albero vicino, ma Falco fu di nuovo su di loro e con una manata staccò i ganci facendole di nuovo cadere verso il basso.
Levi, che aveva appena accecato un gigante, si girò verso di loro all’urlo di Gabi, ormai Falco le avrebbe afferrate per certo se non avesse fatto qualcosa. Un altro gigante alle sue spalle gli sbarrò la strada tra lui e le due, con una spirale velocissima, gli risalì lungo la mano, tagliandogli le dita di metto, poi lungo il braccio e con le lame gli sfregiò metà della faccia. Si spinse oltre lui e agganciò una spalla di Falco, intromettendosi tra il gigante e Siri che, precipitando, teneva stretta Gabri fra le braccia. Levi sparò una lancia fulmine che colpì in piena faccia il gigante, sganciò il cordino che bloccava l’ingranaggio della bomba e tentò di riavvolgere i cavi del dispositivo quando Falco li afferrò, bloccandolo a mezz’aria.
Quando la lancia esplose, il gigante lasciò la presa e Levi venne investito in pieno petto dall’esplosione che lo scaraventò lontano.
 
Per la seconda volta in vita sua, Siri era distesa senza sensi nel bel mezzo di un campo di battaglia. Aveva la faccia che affondava nell’erba dal lato dell’orecchio buono, quindi sentiva i versi dei giganti e le esplosioni completamente ovattati.
Si sentì scuotere ripetutamente: - Signorina Siri, la prego, si svegli!
Pigramente aprì gli occhi e incontrò quelli spalancati pieni di terrore di Gabi che, vedendola muoversi, apparve più sollevata.
- Dobbiamo andarcene! – continuò la bambina, aiutandola a sedersi.
- Cosa? – la caduta l’aveva frastornata, non riusciva nemmeno a capire come mai non fossero state ancora mangiate. Man mano che riprendeva conoscenza, riuscì a intravedere i soldati del corpo di ricerca, quelli che non avevano disertato perlomeno, combattere contro i giganti dei loro compagni. Il gigante di Pieck le copriva e teneva Falco a bada, facendolo incespicare su se stesso.
- Dobbiamo allontanarci! – le gridò di nuovo Gabi.
Siri si afferrò la testa e annuì, poi con l’aiuto della bambina si alzò.
- Dobbiamo… Gabi, dobbiamo recuperare Yvonne.
- Ha ragione, è da questa parte! – le prese la mano e la guidò verso il limitare della foresta – Non sono arrivati altri giganti oltre Falco qui. I suoi amici sono arrivati in tempo.
Mentre camminavano, Siri si guardava attorno, ancora scombussolata, prendeva aria con profondi respiri per tornare ad essere il più lucida possibile. Nell’aria l’odore di pino era quasi del tutto spento da quello di bruciato e sangue.
Intravide nella penombra un corpo poco lontano da loro. Si fermò, perdendo la presa sulla mano di Gabi che si fermò a sua volta interdetta.
Levi era riverso al suolo, incosciente.
La bambina seguì il suo sguardo e intravide anche lei il corpo.
- Gabi. – disse Siri senza guardarla – Porta Yvonne qui.
L’altra rimase a fissarla per qualche secondo, quando digerì l’ordine corse via alla volta dell’altra spia.
Siri camminò verso Levi e non appena lo raggiunse, vi si inginocchiò accanto e lo voltò supino: gli usciva sangue da un angolo della bocca, aveva una grossa bruciatura che partiva dalla clavicola e si espandeva sul deltoide e tutto il petto senza contare che ad una mano mancavano le due dita con cui teneva il manico del dispositivo. Tirò in avanti la sacca che aveva sulla cintura, non aveva molti strumenti ma pregò che le bastassero, la aprì ed estrasse lo stetoscopio mentre con l’altra mano gli prendeva i battiti sotto la mandibola. Quasi aveva paura a farlo e quando sentì i pochi e flebili battiti del suo cuore, esalò un sospiro con cui cercò di spirare via tutta la sua ansia.
Gli tolse ciò che restava della camicia e della giacca e iniziò a togliersi a sua volta le fasce. Quando allungò le mani su Levi, e, sentendosele bagnate, per un attimo le vide macchiate di rosso. Sobbalzò e chiuse gli occhi, quando li riaprì le guardò di nuovo e si rese conto che erano solo bagnate dalla pioggia che riusciva a penetrare dalle fronde fittissime della foresta. Iniziò a tremare e, inevitabilmente, ripensò a come aveva perso Sasha nella medesima situazione.
- Tu non sei una brava persona.
Le parole di Levi riecheggiarono nella sua mente e finalmente si rese conto di una cosa: che lei poteva scegliere. Era quello il senso del suo allontanamento dal corpo di ricerca, il senso del suo ritiro, ossia che lei aveva scelto di non essere più il geco, la spia, la soldatessa senza scrupoli. Lei aveva scelto di essere solo Siri, e quindi poteva essere un medico e lasciarsi tutto alle spalle.
Cosa avrebbe fatto con quelle mani poteva deciderlo lei. Non c’era una forza suprema che guidava le sue scelte o qualcuno dall’alto che le ordinava di compiere azioni sconsiderate.
Adesso c’era solo lei.
Strinse i pugni e afferrò lo stetoscopio decisa, infilò le olivette nelle orecchie e lo mise sul petto di Levi, ascoltando attentamente. Accanto a lei arrivò Gabi che posò il corpo di Yvonne accanto a quello del capitano.
- Siri, che facciamo adesso?
- Lo sai prendere un polso? – le chiese risoluta, la sua più completa attenzione su Levi mentre nella sua testa calcolava tutte le possibili soluzioni per salvarlo.
- Io… più o meno. – le rispose Gabi incerta, mentre si puliva il naso con la manica del vestito.
- Prendile il polso carotideo e conta, dimmi quanti battiti sono al minuto. – Siri tolse lo stetoscopio e si piegò sull’uomo mettendo l’orecchio a pochi centimetri dalla sua bocca. Si rimise seduta dopo qualche secondo e iniziò a frugare convulsamente nella sacca fino a quando non tirò fuori un grosso e lungo ago assieme ad un tubo di platica che finiva in una grossa sacca vuota e trasparente.
- Allora?
Gabi fece un attimo mente locale: - Credo… su per giù cinquanta.
- Ottimo. – mentre stava disinfettando il petto di Levi con un pezzo di cotone imbevuto di un liquido rossastro, passò la sua sacca alla ragazzina – Cerca uno stecco con una punta luminosa, controllale le pupille.
Gabi fece come le disse, uno schianto poco distante la distrasse.
- Non guardare. – la rimbeccò Siri, che adesso disinfettava l’ago – Occhi su di lei, devi essere veloce, intesi? Ho davvero bisogno del tuo aiuto.
L’altra deglutì e lanciò un’ultima occhiata preoccupata a Pieck poco davanti: se prima appariva in difficoltà, fortunatamente adesso era aiutata da un soldato che lei riconobbe essere Jean, lo stesso che l’aveva difesa da Kaya.
- Gabi!
- Sì! Scusa.
Siri prese l’ago con la punta delle dita, fece un respiro profondo e lo spinse dentro il petto di Levi, poco a sinistra dello sterno, si fermò alla giusta profondità. Un fiotto di sangue risalì lungo l’ago e poi lungo il tubo, lui iniziò a tossire e prese aria come se poco prima stesse soffocando.
Siri gli strinse il braccio con una mano, in viso le spuntò un sorriso sollevato, quella tosse era musica per le sue orecchie: - Ssh, non muoverti troppo. – gli disse dolcemente, le lacrime che scendevano lungo le guance quasi come seguissero un loro corso naturale.
Il respiro roco di Levi andava placandosi, il suono della voce della donna gli fece alzare istintivamente la mano del braccio che Siri gli stringeva e vi si aggrappò a quello di lei. Un pensiero irrazionale gli diceva di non lasciarlo andare per alcun motivo, ma alcuni secondi dopo un getto di vapore coprì tutto attorno a loro, calò un silenzio irreale e Levi credette di essere morto per quello che vide non appena aprì gli occhi.
 
Quando Zeke aveva intuito che i due soldati erano in un qualche modo legati, capì che non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione per liberarsi di Levi. Il capitano avrebbe fatto di tutto per salvarla, il mutante doveva solo sperare che la spia non avesse bevuto vino Marleyano così da non trasformarsi ed essere la distrazione perfetta per non farlo intervenire.
L’armata degli Yeageristi che incedeva verso di loro fu il segnale sufficiente a farlo agire, ciò che lo sorprese furono la quantità spropositata di lampi, molti di più di quanti si aspettava: non solo la foresta di alberi giganti, ma anche le boscaglie adiacenti al sentiero s’illuminarono intensamente attorno all’armata, circondandola da entrambi i lati di miriadi di giganti che, appena evocati, si lanciarono su di loro. Esplose il caos in pochi secondi. Zeke cercò di controllare i giganti, ma la lama con cui Siri l’aveva trafitto non riusciva a farlo urlare a sufficienza. S’inginocchiò sull’erba con molta fatica e afferrò la lama con entrambe le mani, grugnì di dolore quando tentando di tirarla fuori dal petto si tagliò i palmi delle mani. Emise un urlo sordo e roco nel momento in cui riuscì a toglierla e gettarla via. Incedette a gattoni verso il sentiero lasciandosi dietro una scia di sangue e vapore.
Gli Yeageristi montarono a cavallo e chi tra loro si trovava più dietro e verso l’esterno della formazione fu raggiunto e massacrato senza pietà dai giganti. Dal centro della truppa i soldati si lanciarono all’attacco dei giganti, cercando di abbatterne il più possibile ed evitare che avanzassero verso Eren, che adesso era su di un cavallo guidato da Mikasa e procedevano a tutta velocità attraverso la pioggia fattasi più fitta verso la foresta di alberi giganti, seguiti da un piccolo gruppetto di soldati a fare da protezione.
Le urla e le esplosioni arrivavano alle orecchie di Zeke non come se fossero parte di uno scenario apocalittico, ma come se fossero il culmine del suo più grande progetto: gli si riempirono gli occhi di lacrime di gioia quando vide Eren procedere verso di lui, alzò le braccia per farsi vedere ma le fitte nel petto lo facevano piegare dal dolore. Un sibilo e delle macchie scure volarono ai suoi lati verso i giganti che invece si trovavano alle sue spalle, alle prese con Levi. Zeke si voltò e intravide Armin, seguito da Connie e altri soldati armati, che si gettavano nella foresta urlando ordini e incoraggiamenti. Altri due lampi tuonarono poco dopo, sia da una parte che dall’altra del sentiero, gli occhi del capo guerriero saettarono da entrambi i lati, riconoscendo Pieck e Porko che si gettarono anch’essi dentro la foresta. Zeke, che all’inizio credeva fossero opera del temporale, rimase confuso e disorientato, ma finché Eren cavalcava verso di lui e nessuno interferiva poco gli importava dei loro inutili tentativi di salvataggio.
Adesso che c’era solo qualche centinaio di metri a separarli, Zeke gattonò ancora verso Eren e Mikasa, tese la mano verso di loro con un’espressione disperata. La ragazza, tenendosi in equilibro sulla sella, piegò una gamba e afferrò Eren con un braccio.
- Mikasa, che fai?! – gridò lui per sovrastare i rumori degli zoccoli e le urla – Non serve che tu partecipi!
La ragazza non gli rispose, lanciò i rampini su Zeke e mentre si lanciava giù dall’animale riavvolse i rampini, tirando a sé il corpo dell’uomo e qualche istante dopo i tre si aggrovigliarono tra loro, toccandosi.
 
Nota: so che magari alla maggior parte di voi alcuni dialoghi possono suonare già sentiti, ma chiaramente non avrei potuto fare altrimenti mischiando canon con what-if: gli archi dei personaggi ho dovuto lasciarli invariati per dare un senso a tutta la narrazione, se non l’avessi fatto è ovvio che sin dall’inizio non avrebbe avuto senso tenerli il più canon possibile.
L’ultimo capitolo spero di scriverlo e caricarlo il prima possibile, con questo ho avuto grossi problemi, tutta colpa del dialogo tra Pieck e Jean… è difficile volere che il dialogo vada in una certa direzione con due personaggi che hanno interagito così poco, però alla fine mi è venuto quasi “naturale”, solo che mi distraevo parecchie volte tra un’interazione e l’altra perché mi sforzavo di tenerli il più canon possibile, insomma “un macello”.
Alla fine la prima parte mi ha rubato un sacco di tempo, mentre il resto è stato molto più semplice da scrivere. Spero di aver riletto e corretto bene, volevo pubblicare il prima possibile e non escludo errori di sorta, ma, comunque, non credo ce ne siano di così gravi da doverlo ripubblicare.
Non appena pubblicherò l’ultimo capitolo non vedo l’ora di scrivere alcune one shot, qualora v’interessasse, una Jeankasa e un’altra Levihan (su quest’ultima ci devo lavorare ancora, quindi non so quando vedrà la luce). Perdonatemi per l’immenso ritardo, con questo caldo qualsiasi cosa mi è diventata pesantissima da fare!
Alla prossima (ultima ) volta!
  
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