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Autore: alga francoise14    03/07/2023    6 recensioni
Perché ogni anima, anche la più nobile, nasconde un lato oscuro...
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Persi
 
"Messier Fournier, di grazia, sapreste indicarmi un posto chiamato Le Pen Duick?[1]  Credo si trovi nei pressi dei moli… " s’informò Victor, fermandosi al bancone della conciergerie e infilandosi un paio di morbidi guanti di pelle bianca ricamati d'argento.
L'albergatore, un uomo alto e asciutto, vestito di verde e con una parrucca troppo calata sulla fronte bassa, lo guardò per un momento perplesso, chiedendosi cosa un gentiluomo tanto distinto dovesse andare a fare in un posto tanto malfamato. Avesse fatto il nome di una qualche elegante casa di piacere, avrebbe capito, ma per quanto ne sapeva Le Pen Duick era la più nota tra le bettole di Saint-Seurin[2], un postaccio per gentaglia in cerca di vino e compagnia a buon mercato. Tuttavia, faceva quel mestiere da troppo tempo per meravigliarsi più di tanto, del resto in una città come Bordeaux, dove ogni giorno transitavano centinaia di persone, gli affari e i gusti della gente erano quanto mai variegati, esattamente come la loro tipologia.
"Sì…" rispose quindi con cortesia, lieto di potersi rendere utile "Ma non si trova sul lungofiume, è a Saint Seurin, dalle parti di Rue Saint Martin. Alle spalle di Place Dauphin… "aggiunse per maggior chiarezza, notando l'espressione pensosa del suo ospite "Se volete, dispongo affinché siate accompagnato, quel posto è un dedalo per chi non è di Bordeaux…"
"No, vi ringrazio" rispose Victor "ma preferisco andare solo. Riuscirò a trovarlo. Piuttosto avete fatto preparare il mio cavallo?"
"Ma sì, sì… certo Signore! È fuori che vi aspetta." rispose con sussiego l'albergatore.
"Bene" ribatté Victor e senza aggiunger altro si voltò e uscì. In strada ad attenderlo accanto al suo Grigio, c'era un ragazzo esile, che appena lo vide si piegò in un inchino per poi porgergli le redini e tendergli la staffa. Victor montò in sella con un movimento rapido e dopo aver dato un'occhiata al cielo ancora carico di nuvole, lanciò una moneta al ragazzo e si avviò verso la sua destinazione.
Superata Rue Royale,[3] si lasciò alle spalle le linee ordinate degli eleganti edifici che si affacciavano sull'ampio spazio della nuova Place, per entrare poi nelle strette vie del centro di Bordeaux.
Fortunatamente aveva smesso di piovere, ma un fastidioso vento proveniente dall'estuario spazzava le strade della città, rese fangose da una miriade di piccole pozze che il temporale del mattino aveva disseminato un po' ovunque. Victor si passò le dita tra il collo e la camicia per allentare un po' la stretta della cravatta. Era stanco: stanco per il viaggio, stanco per quel tempo infame, ma soprattutto stanco di tutta quella dannata situazione che si augurava di chiudere quella sera stessa, ovviamente nel miglior modo possibile che, nelle sue intenzioni, prevedeva Jean de Grammont con la testa poggiata su un ceppo in attesa della mannaia.
Riportare a casa il corpo senza vita del Generale era stato uno strazio. Nell'arrivare aveva ordinato al cocchiere di non passare per il cancello d'onore ma dall'ingresso di servizio, cosicché, se la contessa fosse stata in giardino o presso una delle grandi finestre che davano sul parterre d'ingresso, non vedesse arrivare la carrozza e soprattutto discenderne il corpo di suo marito, ricoperto di sangue, portato a braccia dai domestici.
Era ovviamente conscio che sarebbe spettato a lui l'ingrato compito di darle la drammatica notizia e voleva farlo nel modo più delicato possibile. Per tutto il tragitto aveva pensato alle parole da usare, ma non ne aveva trovate, giungendo ben presto alla conclusione che non ce n'erano.
Madame Marguerite lo aveva ricevuto nel suo boudoir, una luminosa stanza deliziosamente arredata. Si era alzata da poco e si accingeva a prendere un caffè, avvolta in una sontuosa veste da camera di seta damascata. Al suo ingresso aveva congedato la cameriera che ancora le stava acconciando i capelli e con un sorriso cortese lo aveva invitato a farle compagnia ad un piccolo tavolo, dove su un vassoio d'argento faceva bella mostra di sé una fumante caffettiera panciuta circondata da delicate tazze di porcellana e un piatto ricolmo di piccole delizie. Dal suo atteggiamento era evidente che il marito le avesse taciuto del duello, il che rendeva ancora più difficile, se possibile, il suo triste compito. Rifiutato il suo invito, le aveva quindi annunciato di essere venuto per portarle notizie del Generale.
L'espressione della contessa si era fatta dapprima sorpresa e subito dopo attenta, supponendo, forse, che il giovane colonnello fosse venuto ad informarla di qualche importante faccenda che vedeva coinvolto Augustin e che magari lo avrebbe tenuto lontano. Tuttavia era rimasta tranquilla, non immaginando certo l'enormità di quanto stava per ascoltare. Facendosi forza Victor aveva quindi proseguito e sorvolando sui dettagli per non caricare d'ulteriore peso una vicenda che già nell'epilogo aveva il suo dramma, le aveva spiegato che quella mattina il Generale aveva preso parte ad un duello, che si era battuto con onore avendo dalla sua ragione e giustizia, ma che…
Era impallidita… Victor aveva visto i suoi occhi dilatarsi e la bocca aprirsi in cerca d'aria, mentre si portava al petto una mano stretta in pugno come a voler trattenere l'oppressione che doveva averla avvolta con la dolorosa violenza di una verità che non poteva essere accettata.
"È ferito?" gli aveva chiesto con voce vibrante, in una domanda che suonava come una preghiera.
Non aveva avuto la forza di sostenerne lo sguardo. Aveva distolto gli occhi da quelli della contessa divenuti pozze blu cupe di angoscia e scuotendo la testa, aveva mormorato: mi dispiace.
Quando poco dopo aveva rialzato lo sguardo sulla donna, l'aveva trovata immobile: il viso chino sul petto, una mano ancora stretta sul cuore e l'altra poggiata in grembo aggrappata alla veste. Le spalle piegate. Spezzata. Poi d'improvviso aveva sollevato la testa e si era alzata, al che lui, credendo che potesse crollare, le si era fatto da presso per sostenerla, ma non era accaduto. Con una fermezza che non si sarebbe aspettato, gli aveva chiesto se suo marito fosse già a casa e al suo assenso, senza dire una parola, si era avviata alla porta.
L'aveva seguita mentre attraversava con passo veloce le sale che separavano i suoi appartamenti da quelli del marito, per poi vederla fermarsi sulla soglia della sua camera da letto. I domestici, affaccendati attorno al letto, nel vederla si erano bloccati, nella stanza era calato il silenzio.  Marguerite era avanzata piano mentre i servitori, abbassando i volti contriti, si erano fatti da parte svelando ai suoi occhi il corpo senza vita di Augustin.
Era adagiato sul letto, il volto cereo, le labbra esangui, i capelli sfatti, una mano abbandonata oltre il bordo. Indossava una camicia bianca e immacolata che i valletti non avevano fatto in tempo a chiudere e che svelava sul petto la ferita che lo aveva ucciso. Poco distante un catino colmo di acqua rossa del suo sangue. Marguerite non era riuscita a reggere a quella vista, chiudendo gli occhi si era lasciata cadere sulle ginocchia mentre la gonna azzurra si gonfiava attorno a lei come un fiore. Una donna anziana, con una cuffia candida sui capelli raccolti e gli occhi gonfi di lacrime dietro un paio di piccoli occhiali, era accorsa al suo fianco. La contessa le si era aggrappata come una bambina accogliendo il suo abbraccio e con un gemito di dolore si era lasciata andare a un pianto sommesso e lacerante, finché volgendo il viso sfatto verso il suo sposo, si era sciolta dalle braccia amorevoli che la stringevano per prendere tra le sue la mano esangue di Augustin. L'aveva stretta e con labbra tremanti aveva baciato le dita fredde mentre lacrime silenziose scendevano a rigarle le guance, quindi se l'era portata al cuore, trattenendola a sé con una mano e allungando l'altra ad accarezzargli il viso con una tenerezza infinita.
Era rimasto immobile sulla soglia della stanza a guardare quella scena straziante, consapevole che in quel momento nessun suo gesto, nessuna parola, avrebbe potuto alleviare la pena di Madame Marguerite. Andare via gli era parsa la cosa migliore da fare per non violare, con la sua presenza, l'intimità di quel dolore così grande.
Era tornato a casa avvilito e stanco, con l'unico desiderio di riposare almeno qualche ora prima di mettersi all'opera e denunciare la vera identità del conte di Grammont, ma le cose non erano andate come previsto, poiché ad attenderlo aveva trovato la cameriera di Aurore con una lettera e aveva capito che non avrebbe avuto riposo finché quell'uomo non fosse calato in una fossa.
La ragazza aveva avuto l'ordine di mettere la missiva unicamente nelle sue mani e di attendere una risposta. Prendendo la lettera Victor le aveva chiesto se venisse dalla sua padrona, al che la cameriera, abbassando gli occhi con mestizia, aveva scosso la testa e risposto di essere stata incaricata dal Signore. Ignorando la lettera, Victor le aveva chiesto allora notizie della contessa; il viso della giovane si era contratto, la fronte si era corrugata, le labbra strette; aveva distolto lo sguardo, incapace di guardarlo negli occhi, quando dopo un momento di esitazione aveva mormorato un quasi impercettibile: bene. Quell'evidente menzogna gli aveva provocato un moto di rabbia tale che si era dovuto trattenere dal prendere la lettera e gettarla via senza neanche aprirla. Era infatti certo che non fosse affatto un biglietto di scuse: doveva contenere qualcosa che Jean riteneva fondamentale che lui sapesse, e che molto probabilmente giocava a suo favore. Con mani tremanti di collera, quindi, l'aveva aperta, scoprendo che conteneva un'altra missiva, a sua volta ripiegata e redatta su una particolarissima carta, con petali di fiori inglobati nella trama, che riconobbe come la stessa che sua madre si faceva arrivare dall'Italia e che utilizzava per la sua corrispondenza privata. Il sangue gli si era gelato nelle vene, quel dettaglio tanto peculiare non poteva essere una coincidenza; allarmato, aveva deciso dunque di aprirla e leggerla per prima.
Il contenuto lo aveva lasciato basito.
Diverso era stato per le parole di Grammont che l'accompagnavano, poiché ciò che aveva immaginato  dopo aver letto la prima lettera, era stato esattamente quel che aveva trovato nella seconda:
"Credo abbiate riconosciuto la scrittura della vostra deliziosa Signora Madre" esordiva "ad ogni modo, se avete dubbi potete domandare a lei, saprà dirvi di certo, seppure verosimilmente con qualche imbarazzo. A tal proposito vi chiedo l'accortezza di non essere troppo insistente nel chiederle spiegazioni, la donna che vi ha messo al mondo è una creatura straordinaria, capace di vivere le passioni senza tutti gli odiosi limiti e i condizionamenti che reprimono le donne della nostra triste società e mi dispiacerebbe davvero se dovesse sentirsi urtata da accuse che la vorrebbero moglie e madre unicamente dedita a marito, figli e lustro del casato.
Ad ogni modo sappiate che quella che vi apprestate a leggere, o che come credo, avete già letto, non è la sola lettera che la cara Amelie ha avuto la gentilezza di scrivermi, né tanto meno la più significativa. Ne conservo gelosamente, e devo dire con orgoglio, una decina, e mi dispiacerebbe davvero dovermene separare per metterle nelle mani di chi non le riserverebbe la mia stessa attenzione.
Non costringetemi a farlo.
Quello di stamani è stato un duello come mille altri, un duello in cui due gentiluomini hanno risolto definitivamente e nell'unico modo degno, un conto d'onore da troppo tempo sospeso. E come qualsiasi altro duello dovrà restare tra coloro che erano presenti. Lo stesso vale per il mio pittoresco soprannome e l'attività ad esso legata. Del resto, vista la mia amicizia con la vostra Signora madre, è nel vostro stesso interesse che rimanga tale. Che poi, a volerne discutere, converrete con me che non è il caso di giudicarla troppo severamente. In fin dei conti i pirati non fanno nulla di diverso dai corsari, solo che gli uni esercitano il brigantaggio per conto del re, gli altri liberamente e senza distinzione di bandiera[4]. Per quanto riguarda i vostri testimoni, sono certo che saprete perorare la mia causa. Siete un uomo stimato e l'eloquenza non vi manca, troverete certo le giuste parole per convincerli, tuttavia per aprirvi la strada, farò in modo che una mia umile dimostrazione di stima vi preceda facilitandovi il compito. Mi pare infatti di aver riconosciuto in uno dei due distinti gentiluomini che vi hanno accompagnato un appassionato frequentatore dei tavoli da gioco, una passione, ahimè, piuttosto costosa, specie per chi non gode di particolare fortuna.
Tuttavia, se né la mia generosità né le vostre parole dovessero bastare, ebbene ricorderete a lui, come all'altro vostro amico, che come avranno ormai appurato, non conviene inimicarsi persone del mio calibro e che se nessuno ha mai potuto descrivere il volto di Le Requin un motivo c'è… vedrete che cambieranno idea.
Vi saluto, dunque, e vi aspetto a Bordeaux fra tre giorni a partire da ora. Quando sarete in città lo saprò e vi farò riferire il luogo esatto in cui ci incontreremo, abbiate pertanto cura di venire solo. Come segno di buona fede, in quella circostanza, vi consegnerò un'altra delle lettere di Amelie, le rimanenti le avrete poi a tempo debito. Spero che accettiate la mia proposta, personalmente non ho nulla contro di voi e mi dispiacerebbe sinceramente che l'onore e il nome di vostra madre finissero su bocche indegne di pronunciarlo.
Credetemi vostro devotissimo etc. etc.
Si era seduto, o meglio si era lasciato cadere su una poltrona ed era rimasto per qualche minuto con lo sguardo perso e i fogli stretti in una mano, incredulo e completamente annichilito. A schiacciarlo non era stato scoprire che sua madre avesse un amante, non era un bambino e ben sapeva che era prassi comune tra le dame di Versailles, ma piuttosto che si fosse fatta soggiogare da Grammont al punto da consegnare la sua reputazione nelle sue mani, affidando alla carta, e con parole tanto esplicite, passioni e sentimenti fatti per rimanere racchiusi tra le pareti dell'alcova. Non riusciva a credere che una donna accorta come lei, avvezza alle dinamiche della corte, avesse potuto commettere una tale leggerezza, perché un conto era che nei salotti si facessero congetture e si sussurrassero pettegolezzi dietro i ventagli, un altro che si commentassero apertamente dati di fatto. L'invidia era un'ulcera fin troppo diffusa a Versailles e quelle lettere, messe nelle mani di qualcuno interessato a screditare la sua famiglia, avevano il potenziale di una lama puntata al cuore. Sarebbero state la loro rovina. Sua madre, se pure non avesse subito l'ipocrita ostracismo della corte, ne avrebbe certamente subito la derisione, il che era anche peggio; le sue appassionate parole, riservate a un uomo tanto più giovane, sarebbero passate di bocca in bocca divenendo fonte infinita di lazzi. Suo padre, screditato nell'onore, per salvarsi a sua volta dal ridicolo ed evitare di perdere i suoi prestigiosi incarichi, probabilmente avrebbe finito per ottenere una lettera di Cachet per rinchiuderla in qualche convento se non peggio… Quanto a lui… dubitava seriamente che sarebbe riuscito a trattenersi dallo sfidare a duello chiunque gli avesse rivolto uno sguardo anche solo vagamente ilare… Un sorriso amaro gli aveva increspato le labbra: lo aspettava una lunga fila di risvegli all'alba e lui odiava alzarsi troppo presto…
Era rimasto ancora un po' sprofondato nella poltrona a combattere tra ciò che era giusto e ciò che era opportuno fare. Infine si era alzato, aveva poggiato su un tavolo i fogli che ancora stringeva in mano e si era versato da bere, chiedendo alla ragazza di attendere di sotto la sua risposta per Grammont.
Sua madre non era certo una santa, ma non meritava di essere annientata per aver mal riposto la sua fiducia, per essersi troppo persa in una passione per un uomo che non aveva saputo giudicare. Dopo aver annoverato quelle ore tra le più difficili della sua vita, aveva preso le lettere e le aveva avvicinate a una candela. La carta era bruciata in un lampo, l'aveva gettata nel camino spento ed era rimasto a guardare il fuoco consumare i fogli e divorare le parole. Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e ceduto al ricatto di Grammont, per il momento non poteva fare altro. Quanto a sua madre, aveva deciso per il momento di non dirle una parola: si era comportata come una sciocca e aveva perso di vista la realtà, be'... non era l'unica in famiglia a cui l'amore faceva questo effetto…
 
 
Dalla finestra della loro camera André l'aveva guardata attraversare la strada e avviarsi, con quella sua andatura fiera e lieve nonostante il passo veloce, verso l'agognata chiave della loro nuova vita. Sarebbe voluto andare con lei, condividere l'ansia del tragitto, la tensione della trattativa e infine l'emozione quando, stretta la mano al capitano, avrebbero finalmente avuto una data di partenza. In quell’istante, nascosto tra le pieghe dei mantelli, avrebbe preso la sua di mano e gliel’avrebbe stretta, aspettando il momento in cui nel primo angolo di strada, lontano da occhi indiscreti, avrebbe potuto suggellare con un bacio la gioia di quel momento.
Ma non poteva… Oscar aveva ragione: uscire con quel tempo e rischiare una ricaduta era impensabile e soprattutto inutile; era perfettamente in grado di cavarsela da sola, abituata com'era a comandare e gestire un reggimento di soldati, non aveva certo bisogno di essere sostenuta in una trattativa, come in nient'atro del resto… L'aveva salutata dunque, sollevando la mano oltre il vetro e restituendole il sorriso quando lei si era voltata, un attimo prima di sparire, con passo veloce, oltre le mura della città. Lasciata la finestra, si era quindi liberato di quel sotterraneo senso di rammarico che lo punzecchiava, si era vestito ed era sceso di sotto, dove aveva trascorso una tranquilla mattinata sfogliando il Journal de Guienne[5] e l'ultimo numero de La Gazzette[6], cui l'attenta Madame Lescaut, per soddisfare le esigenze della sua clientela di piccoli avvocati e frequentatori a vario titolo del vicino Palazzo de L'Ombrière[7], aveva deciso di abbonarsi. Stava appunto facendo quattro chiacchiere con uno di questi signori, quando aveva rivolto il primo di una lunga serie di sguardi, via via sempre più preoccupati, all'orologio appeso in un angolo della sala.
Oscar non era rientrata per il pranzo che André, dopo averla a lungo attesa, aveva consumato da solo e di malavoglia su insistenza della locandiera che, sapendolo convalescente, aveva liquidato la sua preoccupazione per il ritardo del cugino come eccessiva, facendogli notare che se non era stato trattenuto da qualche contrattempo, certamente era stata la pioggia a fargli mutare programma per il pranzo.
Tuttavia, quando le nuvole si diradarono, lei non era ancora tornata. André decise di averne abbastanza e uscì a cercarla.
Trascorse l'intero pomeriggio a vagare in lungo e in largo per gli Chartrons, chiedendo invano di lei ai rari passanti avventuratisi in strada con quel tempo da lupi e sentendosi man mano divorare, col passare delle ore, dall'angosciosa paura di non riuscire a ritrovarla.
Dove… dove mai poteva essere finita, perché sembrava essere sparita nel nulla?
Sconsolato, si fermò per un momento sulla riva, tentando di individuare nella foschia che velava ancora le acque del fiume increspate dal vento, il profilo delle imbarcazioni ancorate al largo. Forse Oscar era salita a bordo di uno di quei vascelli, ma perché non aveva fatto ancora ritorno? Troppo tempo era passato per giustificare il protrarsi della sua assenza…
Tornò a ripetersi che doveva rimanere lucido, che non poteva lasciarsi andare alla disperazione, ma la ragione iniziava a ritenere plausibile ciò che l'istinto gli aveva suggerito sin dall'inizio: doveva esserle capitato qualcosa, che fosse l’incontro con qualche tagliagole o un’accidentale caduta nel fiume…
Lo stomaco gli si contrasse in una morsa.
Il pensiero che gli sgherri del Generale potessero averla trovata gli sembrò quasi più accettabile di saperla morta o in pericolo di vita.
Eppure respinse con forza ognuna di quelle ipotesi, deciso a non arrendersi e divorato dalla tensione si addentrò nel cuore della città.
Fu proprio mentre si aggirava per le fangose strade di Bordeaux, che ad un tratto udì una voce alle sue spalle chiamare il suo nome.
 
 
[1] Pen Duick significa “piccola testa nera” ed è il nome che danno i bretoni alla cincia mora, un modesto uccellino poco più piccolo di un pettirosso.
[2]Sul finire del XVIII secolo le "ragazze di mondo" erano raggruppate nel quartiere di Saint Seurin. Nei dintorni della chiesa esistevano infatti svariate osterie e spesso capitava, con grande disperazione del Capitolo, che gli incontri galanti si tenessero finanche nel chiostro.
(La prostitution et les prostituées à Bordeaux Di ft Laurence Amiell)
[3]RueRoyale è il nome precedente dell'attuale Rue Philippart; questa strada, che congiunge Place de la Bourse a Place du Parlement (allora Place Royale), era destinata, secondo i desideri degli intendenti Tourny e Boucher, che furono responsabili dei rifacimenti che cambiarono l'aspetto di Bordeaux nella seconda metà del Settecento, a formare una sorta di svolta nel cuore della città vecchia ponendosi quale passaggio privilegiato dalle banchine al centro della città. Ancora oggi svolge perfettamente questo ruolo.
[4]Durante una guerra la predazione delle navi mercantili nemiche era un'attività ampiamente legalizzata e molti marinai s’imbarcavano su navi da guerra private dove svolgevano attività di Corsari, imparavano il mestiere del brigantaggio e si abituavano a standard di guadagno elevati, dividendo il bottino con armatori e governo. Con la pace, l'attività di predatori su commissione dei corsari, si riduceva sensibilmente e molti marinai si ritrovavano senza lavoro. Impossibilitati a passare nella marina militare, che in pace non arruolava ma anzi congedava, potevano solo passare alla marina mercantile, ma gli ingaggi erano estremamente più bassi di quelli cui si erano abituati, molti decidevano così di passare alla pirateria.
(L'economia secondo i pirati. Di Peter T. Leeson).
 
[5] Nel 1784 a Bordeaux si comincia a stampare il quotidiano “Journal”, il primo giornale provinciale Francese d'impronta critica e riformista. Il Giornale che mirava non solo a "favorire il commercio", ma a "diffondere la luce", oltre ad avvisi vari relativi a meteorologia, marina, commercio, cerimonie religiose, civili e militari, nascite, morti e matrimoni etc., riportava sentenze della Corte del Parlamento di Bordeaux, editti, decreti del Consiglio di Stato del Re ma anche a articoli relativi alla vita intellettuale e artistica della città, nonché aneddoti e fatti vari, curiosi o drammatici, dalla provincia e dall'estero. Dal giugno 1789 si aggiungerà una sezione dedicata agli Stati Generali e all'Assemblea Nazionale che si farà sempre più invasiva a scapito degli articoli relativi alle arti, alle scienze, alla letteratura...e altre distrazioni. L'ultimo numero uscì nel 1790. https://dictionnaire-journaux.gazettes18e.fr/journal/0647-journal-de-guyenne.
[6]La Gazette, anche detta Gazette de France, fu una rivista settimanale francese il cui primo numero uscì il 30 maggio 1631. Organo ufficiale della monarchia, raccoglieva una serie di notizie da ogni dove, datate il giorno della loro uscita. Le informazioni francesi, non erano altro che notizie dalla Corte o da Parigi, comunicati ufficiali - il testo di decisioni reali, alcuni discorsi ministeriali - o informazioni minori come programmi, concorsi accademici, celebrazione dei centenari, ecc. Nella seconda metà del XVIII secolo, vengono aggiunti alla fine di ogni numero, una serie di annunci molto concisi. Da 1792, fu rinominata “Gazette nationale de France”, divenne quotidiano e fu per tutto il 19° sec. la voce principale del partito realista. Cessò le pubblicazioni nel 1914. All'epoca dei fatti narrati usciva il martedì e il venerdì.
https://dictionnaire-journaux.gazettes18e.fr/journal/0492-gazette-de-france
[7] L'Ombrière era un palazzo, ora scomparso, costruito nel Medioevo per ospitare la Corte e l'amministrazione giudiziaria e finanziaria della provincia in epoca inglese. Dopo la caduta dell'Aquitania e del Bordeaux nel 1453 e l'annessione alla Corona di Francia, divenne sede del Parlamento di Guyenne, dei tribunali, e principale prigione della città fino al 1790. Fu demolito nel 1800.
   
 
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